Il “Saggio” del mese
NOVEMBRE 2019
La
crisi della democrazia rappresentativa è da tempo al centro del dibattito
politico e culturale in genere. Eppure non pare che siano stati compiuti passi
certi e condivisi sulla comprensione dei sintomi ed ancor meno delle cause
ultime. E’ sicuramente possibile che occorra aggiornare, nell’epoca della Rete,
le categorie interpretative fin qui utilizzate per analizzare la versione
“classica” della democrazia. Ma è altrettanto possibile che alcune di queste
categorie contengano ancora elementi utili a capire in quali aspetti si è
concretizzata la crisi e la frattura piuttosto che in quali, al contrario, le
vecchie “chiavi di lettura” mantengono ancora una loro validità. Si muove
esattamente in questo quadro il saggio che abbiamo scelto come quello del mese di
Novembre 2019 in vista della conferenza del
prossimo 13 Novembre con titolo “Le ferite della partecipazione e della
democrazia” con relatore Leonard Mazzone, docente di filosofia presso
l’Università di Firenze. Nella stessa Università insegna storia delle
dottrine politiche l’autrice del saggio che recupera, proprio in funzione della
sua possibile adattabilità a comprendere alcuni aspetti del presente, una
interessante esperienza di scienze sociali di fine Ottocento. Parliamo di…….
“Il volto della folla – Soggetti collettivi, democrazia, individuo”
di Michela Nacci
(Insegna Storia delle
dottrine politiche all’Università di Firenze, autrice di diversi saggi su
tematiche varie della storia politica europea novecentesca tutti editi da Il
mulino)
Capitolo
Primo = Io ho orrore delle folle
…….A fine Ottocento fa la sua comparsa un nuovo soggetto
sociale……. E’ la “folla”, e più precisamente la “folla urbana”. Una
moltitudine di individui che la rivoluzione industriale, l’avvento delle grandi
fabbriche, ha concentrato, soprattutto nell’ultimo quarto di secolo, nelle
grandi città, nelle metropoli sempre più popolate. Folla ed industria sono legate a filo doppio,
sono una la causa dell’altra, una lo specchio dell’altra, si alimentano costantemente
a vicenda. La folla, questo nuovo soggetto, ben presto si rivela centrale nelle
dinamiche sociali tanto da richiedere una precisa attenzione da parte delle
scienze sociali. Ma come spesso succede la letteratura arriva prima: poeti e
scrittori del tempo si accorgono del suo crescente peso e la rendono
protagonista in molte delle loro opere. Ed è interessante vedere come sappiano,
ben prima delle più tecniche analisi socio-politiche che seguiranno,
tratteggiare molte delle sue fondamentali caratteristiche, positive e negative-
Baudelaire in “Lo spleen di Parigi” inserisce un capitolo intitolato “Le
folle”. E’ una sorta di celebrazione della loro capacità di rappresentare una
possibile liberazione dalla gabbia dell’individualismo posto al centro della
nuova religione sociale borghese. Abbandonarsi alla folla diventa una
esperienza di comunione universale …….una sana prostituzione dell’anima che si dà tutta intera
allo sconosciuto che passa…….. Immergersi in essa, in questa novità
esistenziale fino a poco tempo prima ancora inesistente, è il modo, come al suo
estremo opposto la solitudine, di perdere le differenze dagli altri, di
annegare nella dissoluzione della singolarità. Rimbaud nella raccolta
“Illuminazioni” parla della folla come del luogo della …….somiglianza di tutti con tutti……. Ai suoi occhi non c’è più distinzione nella
moltitudine che incessantemente percorre le vie urbane. La stesa cosa accade in
“L’uomo della folla” di Edgar Allan Poe. Vivere in questa nuova dimensione
sociale offre inaspettate opportunità di moltiplicare la propria personalità,
di sperimentare vite nuove, differenti. Assurge, come nel racconto di Dostoevskij
“Il sosia”, alla vertigine di sdoppiarsi in un altro sé stesso. Anche qui,
nelle folle russe, la distinzione individuale sembra non offrire più né sicurezza
né piacere, annullarsi nella folla offre inaspettati orizzonti, là dove tutti
si assomigliano, essere come un altro si traduce nel diventare molteplici,
infiniti altri sé stesso. La folla risulta affascinante proprio perché sembra
consentire, anche all’artista, di moltiplicare la propria individualità, di
allargare i propri sguardi. Ben presto
però queste celebrazioni delle sensazioni euforiche, e ribelli, lasciano il
posto ad inquietudini e dubbi. La folla, dopo essersi lasciati andare in essa,
pare diventare qualcosa di temibile. E’
lo stesso Baudelaire, proprio commentando la vita ai margini di Poe, che inizia
a percepire i rischi ed i limiti insiti nell’annullarsi nella massa. Nel saggio
“Esposizione universale del 1859” il brivido di piacere del confondersi nella
folla, dell’essere uno come tutti, diventa il rifiuto di una nuova
assimilazione, di un nuovo appiattimento Non ci può essere sintonia fra il
genio, e per Baudelaire Edgar Allan Poe era un autentico genio, e la massa
tutta uguale, con ideali bassi e volgari, ottusa e dispotica. Emile Verhaeren,
nella raccolta di poesie “Le città tentacolari”, si chiede cosa ne sia del
genio, del vero ed unico individuo non assimilabile, nell’epoca delle folle ed
osserva che si è invertito il rapporto che esisteva fra massa e genio, non è
più questo a fornire incitamento ed esempio, ma è la folla che impone la
strada. Ma il nuovo soggetto ha forme mutevoli, se da una parte sembra
fagocitare l’individuo, trascinandolo in una assimilazione verso il basso,
dall’altra si rivela docile strumento di figure forti, di individui che
assurgano al ruolo, anche momentaneo, di “capo”. Lo racconta Emile Zola in
“Germinale” …….la
folla non parla, inveisce, acclama, grida, non appoggia tesi adora chi le
propone, non da consenso ma applaude freneticamente, e se non adora o applaude
allora odia. La folla reagisce al capo, alle sue parole, al tono, all’enfasi
piuttosto che al contenuto. Né capo né folla ragionano ma provano emozioni,
giocano con le emozioni……. E’ la stessa folla tumultuante descritta
da De Amicis in “Primo Maggio”. Pochi anni dopo gli entusiasmi iniziali di
Baudelaire e Rimbaud, peraltro presto raffreddati, è Maupassant, in
“Sull’acqua” a sancire i pericoli mortali nel divenire folla, in primis il
pericolo di perdere per strada la capacità di riflessione, di rinunciare
all’esercizio individuale dell’intelligenza, perché ……la folla non usa la ragione, ma sentimenti
e passioni….. Anche nella sensibilità artistica di poeti e scrittori
inizia a diventare evidente che la folla non è la somma degli individui che la
compongono, proprio l’annullamento in essa delle singolarità,
quell’annullamento che aveva inizialmente affascinato ed esaltato Baudelaire,
la rende un essere collettivo che ha un proprio volto. E questo spiega anche il
suo mancato uso della ragione …….la folla fa cose che nessuno dei singoli che la
compongono da solo farebbe…… E’ ancora Dostoevskji che, sempre nel
suo “Il sosia” osserva la dissoluzione
del volto dell’individuo nel …….volto della
folla……… vivere in essa attiva somiglianze che possono
spossessarci di ciò che consideriamo più nostro: il volto. E’ attraverso il
volto che siamo riconoscibili, che esprimiamo emozioni e personalità. Ma se la
folla richiede di assomigliarci l’uno all’altro allora il mio volto non è più
solo il mio, è quello di tutti, quello della folla.
Capitolo
Secondo = Datare
Della disciplina delle scienze sociali che
ha posto la folla al centro della sua attenzione è incerta la nascita,
improvvisa la morte, sospetta la rinascita. Parliamo della “psicologia
collettiva”. Da non confondere con una collegata disciplina, la
“psicologia
sociale”. Ambedue prendono piede e vigore nell’ultimo quarto di
secolo dell’Ottocento, ma tutta europea è la prima, tutta americana la seconda,
tutta concentrata sulla folla la prima, più attenta all’insieme dei fatti
sociali la seconda. La psicologia collettiva, o psicologia
delle folle, affronta infatti in modo specifico …….la
trasformazione psicologica dell’individuo che si verifica quando questi entra a
far parte della folla…….. La sua nascita, come si è detto, è
incerta, quel che è certo è che in un breve, brevissimo, arco di tempo si
assiste in Europa ad un fiorire contemporaneo di studi sui comportamenti delle
folle, e sul rapporto individuo – folla. Lo spunto per tale fervore
intellettuale è fornito dalle crescenti tensioni sociali provocate dal primo
feroce capitalismo industriale e dalle conseguenti manifestazioni di piazza che
accompagnano scioperi e proteste. La vicenda della Comune di Parigi del 1871 è
solo l’episodio più eclatante in un quadro europeo di forti scontri che sempre
hanno al centro folle scatenate ed incontrollabili. Sono molti gli studiosi di
scienze sociali collegabili alla psicologia collettiva e moltissime le opere
che se ne occupano. Non mancano, al tempo, diatribe accademiche attorno al
diritto di arrogarsi la primogenitura di questo diffuso interesse culturale.
Polemiche che poco interessano a distanza di cento anni e più. Anche perché, a
torto o ragione che sia, un’opera in particolare si è confermata nel tempo come
quella più rappresentativa, si tratta del saggio “Psycologie des folles” di Gustave Le Bon (1841-1931
psicologo, antropologo e sociologo francese) uscita nel 1895. Molte polemiche accademiche,
molte varianti specialistiche che però nulla aggiungono ad un concetto di base
presente in tutte le opere e gli autori: …….la tesi dello spontaneo adeguamento del singolo al
comportamento altrui allor che si entra nella dimensione della folla……
La psicologia collettiva afferma che tale uniformità comportamentale deriva per
l’individuo dalla perdita delle tre caratteristiche che lo contraddistinguono: autonomia,
razionalità e autocontrollo. Una perdita da collegare al fenomeno,
incontrollabile, dell’imitazione di chi gli sta accanto. L’autonomia
viene così sostituita dalla assimilazione, la razionalità dall’irrazionalità, l’autocontrollo
dalla frenesia collettiva. Dall’imitazione consegue che la folla non coincide
con la somma degli individui che la formano, se così non fosse non andrebbero
perdute quelle tre caratteristiche. Ed invece tutte le individualità vengono
assorbite a comporre un nuovo soggetto collettivo con una sua propria
fisionomia ed autonomia. Accanto all’imitazione stanno altre due parole chiave
per capire la psicologia collettiva: contagio e degenerazione. Come una sorta di
virus il contagio si diffonde in modo impercettibile e velocissimo fino ad attraversare
tutta la moltitudine, la degenerazione sta a significare, nell’ambito della
folla, l’eclissarsi dei valori fin lì ispiratori del comportamento collettivo.
Ma, collocata nello sfondo sociale più ampio, la degenerazione spiega anche il
retroterra che prepara l’avvento della folla. Il traumatico avvento
dell’industrializzazione, delle megalopoli, di masse urbane prive degli antichi
punti di riferimento e sottoposte a ritmi di sfruttamento insostenibili,
implica la degenerazione degli istituti corretti di una democrazia ancora
troppo fragile nelle sue basi e nella sua reale applicazione. Alcuni
collegamenti incidono per meglio comprendere la psicologia collettiva ed il suo
assurgere la folla a soggetto sociale nuovo, autonomo e decisivo. Il primo, e più
importante, è il definitivo e completo affermarsi, in quel periodo, della
psicologia come strumento adattabile a tutte le discipline sociali, ma è una
psicologia molto diversa da quella che identifichiamo ai nostri giorni e che si
è consolidata nella seconda metà del Novecento. La psicologia di fine Ottocento
ha più le caratteristiche di una sorta di combinazione fra scienze naturali,
fisiologia e biologia, nella quale istinti e impulsi mantengono caratteri
fortemente naturali, ossia collegati alla “natura umana”, quasi in continuità
con la natura animale. L’evoluzionismo sta al tempo ancora dispiegando le sue
influenze. Ad esempio Herbert Spencer (1820-1905
, filosofo inglese teorico del darwinismo sociale), proprio in
collegamento con comportamenti animali, spiega alcuni comportamenti collettivi
umani con l’influenza della rappresentazione visiva delle emozioni. Un altro
collegamento è quello con le critiche che da più parti vengono mosse alla
democrazia, vista come il mezzo per l’affermarsi della mediocrità e non
dell’eccellenza, ma soprattutto come il sistema delle emozioni collettive, là
dove trionfano i demagoghi. Quando scompare la psicologia collettiva? Poco dopo
il suo affermarsi, già all’inizio del Novecento entra in crisi irreversibile
come disciplina accademica e come fervore intellettuale. Una delle ragioni che
spiegano questa improvvisa e rapida decadenza sta nel definitivo affermarsi, a
cavallo del secolo, della sociologia scientifica. E’ Emile Durkeim (1858-1917, sociologo, antropologo e
storico delle religioni)
a tagliarla fuori dal panorama intellettuale. La sua idea che un elemento
sociale, come la stessa folla, possa essere studiato solo ponendolo nel più
ampio contesto sociale elimina ogni possibilità per un approccio psicologico.
Ma è dalla stessa psicologia che viene un altro colpo mortale, in questo caso
dalla “nuova” psicologia freudiana. Freud riprende la descrizione della folla
di Gustave Le Bon ma sposta radicalmente le cause che la spiegano ponendo al
loro centro la figura del “capo”. La folla non ha comportamenti istintuali ed
inconsci incomprensibili. Anzi. Come ogni fenomeno psicologico può essere
capito e, se patologico, curato. Questo vale anche per la folla. E la figura
del capo, del catalizzatore di volontà collettive è la sua spiegazione. Non
diversamente si muove una terza figura emblematica: Max Weber, l’altro grande
padre della moderna sociologia assieme allo stesso Durkeim. Anche Weber spiega
certe manifestazioni sociali con la figura del “capo carismatico”. Esiste poi
una rinascita della psicologia collettiva ai tempi nostri? La Nacci è molto
perplessa al riguardo. La psicologia collettiva sa di vecchio, di positivismo,
di antidemocratico, persino di misogino, la folla si sa è femmina e come tale
isterica, così scrive Le Bon. Ci sono eccezioni di grande valore: lo stesso
Elias Canetti, con il suo “Massa e potere” …….compie in fondo un’opera a sfondo
psicologico da taglio fine Ottocento con in più un inserimento massiccio di
psicanalisi……. Ma la perplessità della Nacci è volta soprattutto
verso quelle opere odierne, come “La ragione populista” di Ernesto Laclau (1935-2014, filosofo argentino), che recuperano la
psicologia collettiva per riflettere attorno al populismo contemporaneo,
operazione di per sé del tutto possibile e legittima, ma senza dimostrare di
averla studiata e compresa a sufficienza. Esattamente quello che la Nacci ci
propone con questo suo saggio.
Capitolo
Terzo = Una sola ed unica persona, una belva innominata e mostruosa
La psicologia collettiva nasce sul
sottofondo del terreno positivista di fine Ottocento, ma a differenza di quanto
sosteneva uno dei padri del positivismo, Herbert Spencer (1820-1903, filosofo e sociologo
inglese),
che giudicava la folla la somma degli individui che la compongono, la definisce
come un soggetto sociale con una propria fisionomia, un soggetto unitario con
un proprio volto. E per Le Bon la folla rappresenta, sempre e comunque, il male
in contrapposizione all’individuo che, nelle sue virtù di razionalità e
autocontrollo, sintetizza il bene. Come si è visto l’individuo però perde,
quando fagocitato dalla folla, queste sue virtù essendo condizionato dai
meccanismi, indissolubilmente legati alla comporsi della folla stessa, di
imitazione, contagio, suggestione, e di quello stesso contatto fisico che di
norma l’individuo rifugge. A riprova che in essa prevalgono, sulle capacità
cognitive individuali, le facoltà emotive, ossia sentimenti semplici ed estremi
che inducono ad una intolleranza incontrollata verso il nemico di turno, reale
o presunto che sia. Non a caso in questa assenza della ragione prendono corpo
credulità, leggende, voci incontrollate quando non messe in giro ad arte. Queste
caratteristiche, al centro del suo saggio “Psycologie des folles”, sembrerebbero
applicabili alle sole folle che si formano, in determinati momenti, nelle
strade e negli spazi pubblici, ma così non è. Per Le Bon le folle, che per
essere tali non richiedono numeri particolari, sono di diverso genere: folle
omogenee, che comprendono sette, caste e classi, e folle eterogenee, anonime
come quelle di strada oppure non anonime, come assemblee, convivi, e persino
Parlamenti. La folla può essere occasionale, ma può formarsi e muoversi
all’interno di percorsi con scopi precisi ………una fede comune, una passione comune, un
fine comune, formano l’energia vitale di quell’essere animato che chiamiamo
folla…….. Gabriel Tarde (1848-1904,
sociologo e filosofo francese), altro elemento di spicco della psicologia collettiva,
evidenzia il carattere centrale della subitaneità del comportamento delle
folle: non servono tempi lunghi, discussioni, aggiustamenti, tutto succede
velocissimo all’improvviso. La folla esplode in manifestazioni incontrollate e tantomeno
si pone lo scopo di educare coloro che la formano, di farli crescere e renderli
più consapevoli di sé stessi. Vuole solo la loro energia animale. Da questo
punto di vista non può essere confusa con le masse dell’allora nascente
movimento operaio e socialista che quegli scopi, al contrario, si pongono.
Anche se parti di quelle stesse masse possono assumere, in situazioni e momenti
specifici, il volto della folla. Vero è che gli stessi meccanismi irrazionali
che muovono le folle possono talvolta indirizzarle verso atti di eroismo, di
generosità solidale, ma nulla cambia per Le Bon ed il giudizio negativo che egli
ha delle ragioni di fondo che muovono e caratterizzano la folla. La quale non
va confusa con la moltitudine. Li differenzia un aspetto fondamentale: la
separazione fra folla attiva e folla passiva. La linea netta di distinzione fra
le due passa attraverso la diversità di sentimenti che le animano. La folla
attiva è mossa da passioni, da emozioni istintive e occasionali, quella passiva
da sentimenti di più lunga durata e collegati alla razionalità ……..nella folla
attiva le emozioni si accendono, nella folla passiva si assopiscono, nella
prima si acuiscono nella seconda scendono al minimo….. La folla
attiva è quella al centro dell’interesse della psicologia collettiva, la folla
passiva sostanzialmente coincide con la moltitudine, studiata dalle scienze
sociali in uno spettro più ampio di competenze. Un solo elemento le accomuna:
il processo della mimesi, del contagio. Ambedue acquisiscono le loro distinte
caratteristiche attraverso un percorso di emulazione collettiva: immediato e
incontrollabile quello della folla attiva, progressivo e lentamente avvolgente
quello della folla passiva, della moltitudine. Non a caso la folla attiva è
spesso caratterizzata dalla violenza, quella passiva sempre e comunque dal
conformismo. Attorno a questi due elementi della “attività” e della “passività”
si aprono, già all’epoca, spunti significativi di riflessione sulla democrazia,
sull’individuo, sulle formazioni collettive, e sui loro legami. Pochi decenni
prima, in un’America non ancora investita dalla gigantesca industrializza-zione
che la farà in breve diventare la prima potenza economica mondiale, Tocqueville
(1805-1859, filosofo e
storico francese)
nella sua lungimirante opera “La
democrazia in America” ritiene che sarà proprio l’avvento pieno della
democrazia a creare in America, in quell’America della prima metà
dell’Ottocento, ……..una universale classe media…… Il livellamento
culturale e degli stili di vita, il sopirsi nei percorsi democratici dei contrasti
forti, l’adagiarsi su un benessere diffuso e senza differenze abissali fra
l’alto ed il basso, tutti elementi che Tocqueville legge nel panorama sociale e
politico americano, a suo avviso indurranno inevitabilmente ad uno spirito
sociale improntato ad una uniformità persino troppo tranquilla. Anche per
Tocqueville, molto prima di Le Bon, alla base agisce il meccanismo
dell’assimilazione, scrive esattamente così …..lascio scorrere il mio sguardo su questa
innumerevole folla composta da esseri simili….. Quasi a dire che la
democrazia, se davvero pienamente applicata, attutisce le passioni e può
condurre al conformismo, all’atomismo individuale, all’assimilazione in una
indistinta classe sociale fatta di individui fotocopia, ed alla conseguente scomparsa
di veri legami sociali. Tenendo sulla sfondo questi giudizi, storicamente molto
contestualizzabili al posto ed al tempo in cui Tocqueville li emette, le due
versioni della folla, attiva e passiva, si aprono, nell’ultimo quarto di
secolo, verso due linee di pensiero distinte ma complementari. Così come stiamo
vedendo la folla attiva è quella al centro della psicologia collettiva, sulla
folla passiva si concentra invece il focus della letteratura sociale sulla
massificazione, sulla nascita dell’uomo-massa. E’ quello che analizzano
personalità come Ortega Y Gasset (1883-1955,
filosofo e saggista spagnolo) in ispecie nel suo saggio “La ribellione delle masse”, e poi come David Riesman (1909-2002, sociologo statunitense) con “La folla solitaria”, e poi ancora con
Herbert Marcuse (1898-1979.
Filosofo e sociologo tedesco, naturalizzata americano) con il famoso “L’uomo ad una dimensione”. Se la psicologia collettiva ritiene che i
processi sociali sempre più avranno al loro centro la folla ed i suoi comportamenti,
i teorici della massificazioni li vedono proiettati a creare moltitudini di
uomini-massa. Uomini cioè che si muovono passivamente, silenziosamente, che non
solo ……hanno
lo stesso divano, lo stesso televisore, le stesse tendine, ma che hanno lo
stesso desiderio: quello di aderire alle aspettative altrui…….. Due
prospettive certamente divergenti, ma che hanno un tratto in comune: la
scoperta della scomparsa dell’autonomia individuale. Per la prima fagocitata
dalle dinamiche della folla, per la seconda divorato dalle logiche di
assimilazione consumistica del mercato. La prima più europea perché più legata
alla sua tradizione filosofica che da sempre vede il soggetto- individuo al
centro di ogni processo, la seconda più attenta alle dinamiche sociali
americane, quelle a suo tempo già prefigurate da Tocqueville. Non a caso sarà
nell’ambito di questo filone che nascerà l’attenzione verso un nuovo soggetto
collettivo: l’opinione pubblica. Mentre perlomeno su di un punto è già
possibile emettere un primo giudizio storico: la psicologia collettiva
sbagliava collegando la figura del capo alle dinamiche della folla attiva. Le
folle oceaniche dei totalitarismi sono state folle passive che si limitavano ad
ascoltare, a rispondere alle parole d’ordine del capo. Mentre è indubbia la
passività dell’opinione pubblica che per quanto possa essere anche violenta
nell’approvare o nel respingere, è indubbiamente manipolata e chiusa al
ragionamento …….crede
e non pensa…….
Capitolo
Quarto – Folle folli
Capitolo
Quinto – Castori, api, formiche, donne
Capitolo
Sesto _ L’anima della razza
Tutte le caratteristiche attribuite alla
folla, condivise nella loro sostanza da tutte le componenti della variegata
corrente di pensiero riconducibile alla psicologia collettiva, sono state
approfondite con accentuazioni diverse, ma raramente divergenti se non su
aspetti molto specifici, dalle diverse discipline che l’hanno composta:
psicologia, sociologia, biologia, criminologia, antropologia. Ognuno di queste
ha in effetti approfondito le caratteristiche della folla considerandole, a
seconda del tipo di approccio, manifestazioni patologiche piuttosto che amorali.
(Nota = In questi tre
capitoli del suo saggio Michela Nacci ci conduce in un percorso molto
dettagliato su come, a cavallo fra Ottocento e Novecento, la folla sia stata, a
seconda delle varie discipline, attentamente studiata fino a divenire, come per
Le Bon, un soggetto emblematico dell’intera epoca in cui essa è entrata al
cento della scena. Un percorso non solo qui difficilmente sintetizzabile per
restare nelle dimensioni standard del “Saggio del mese” ma anche così
specialistico da rendere difficoltosa l’attenzione sugli aspetti più
immediatamente collegabili all’attuale contesto sociale e politico. Ci
limitiamo quindi a evidenziare alcuni aspetti che meglio rendono conto del
fervore analitico che la psicologia collettiva ha dedicato alla folla)
L’approccio psicologico e criminologico ha
molto insistito sui comportamenti e sulle caratteristiche “folli” della folla,
applicando ad essa gli stessi criteri di analisi applicati per la follia
dell’individuo. Questo proprio in relazione alla caratteristica basilare della
folla di trasformare un insieme di individui in un solo individuo che ha il
“volto della folla” ………la folla è dunque un grande folle, un folle in grande, un
essere nel quale la ragione non riesce più a controllare la parte istintiva e
passionale……. Da qui il manifestarsi in essa di evidenti fenomeni di
delirio, di perdita di lucidità, di alterazione allucinata, di imitazione
irrefrenabile, di suggestione e stravolgimento della realtà, di isteria, di
aggressività e violenza incontrollabili, di cambiamento repentino degli stati
d’animo, di passione esplosiva, di psicosi collettiva Si usa per descriverla la
stessa esatta terminologia medica usata per descrivere le varie patologie,……..la folla è un
soggetto malato…… E come tale va affrontato e valutato; non pochi
criminologi ritengono che ad essa debba essere applicata la stessa attenuante
della “incapacità di intendere e volere” usata per individui colpevoli di
comportamenti violenti indotti da momentanee perdite della razionalità. Ma non
siamo di fronte solo ad una patologia mentale, ad una follia, la folla è anche
un caso di patologia sociale. In essa si manifestano elementi di parassitismo,
ossia di aggressione da parte di elementi sociali che agiscono con
comportamenti assimilabili all’aggressione dall’esterno di “parassiti”, di
degenerazione intesa come annullamento di tutti i collanti sociali e culturali,
di epidemia morale. Su questo substrato patologico si innestano poi
osservazioni di tipi biologico che introducono per la folla l’incidenza di
fenomeni di vero e proprio “contagio”, di “epidemie virali”. La “naturalità”
delle folla diventa così la base per i frequenti paragoni, non poco forzati,
con animali simbolo di comportamenti applicabili anche all’uomo. Da una parte
non stupisce allora di trovare gli esempi virtuosi degli animali sociali, anche
se formati da moltitudini di individui, come le api, le formiche e le termiti,
dall’altra quelli di animali che quando si raggruppano sviluppano aggressività
feroce, come le mute di cani inselvatichiti, i branchi di lupi, Va calata ancor
più nella cultura del periodo la visione della folla come donna, con tutto il
corollario dei pregiudizi antifemminili ben presenti al tempo …….le folle sono
sempre femminili…….. La folla è donna perché ambedue sono più
animalesche, più suggestionabili, più irrazionali, istintuale, più passionale,
più emotiva, ma è soprattutto la tendenza all’isteria a creare questo forte
legame identificativo. ………non esiste l’isterico, o quasi, esiste l’isterica: La
folla è femmina e l’isteria è femmina….. Questo incrocio fra
discipline diverse che giudicano la folla, fermo restando l’interesse specifico
di ognuna, rappresenta un interessante caso di interdisciplinarietà raramente
così evidente ………fanno
sociologia con gli strumenti della biologia, applicano alla biologia le
categorie della sociologia, mettono la psicologia ovunque……. E tutte
quante non sciolgono in modo sufficientemente chiaro, anzi dividendosi fra di
loro su questo aspetto, il ruolo della personalità iniziale dei singoli
individui che formano poi la folla. Le folle sono tutte uguali o sono diverse
fra di loro folle formate da borghesi piuttosto che da emarginati, folle
cattoliche o protestanti, folle maschili o folle femminili, folle giovani o
mature, folle del Nord o folle del Sud. Una prima tesi è quella che,
privilegiando i meccanismi individuabili in ogni folla, ritiene che tali
differenze non incidano ……..la folla non somma, la folla crea….. Una
seconda tesi ritiene che invece nella folla restino tracce importanti delle
diverse condizioni e caratteristiche degli individui che la compongono anche se
poi i comportamenti concreti sono non meno guidati dai meccanismi di
imitazione, contagio e degenerazione qui evidenziati nel precedente Capitolo
Secondo. L’incidenza del fattore “razza” è significativo in questo senso. La
prima relazione fra “folla” e “razza”, nell’ambito della psicologia collettiva,
viene fatto proprio da le Bon in un controverso passaggio della “Psycologie des
folles”, là dove afferma che …..nella folla emerge l’anima della razza……
L’affermazione di Le Bon si inserisce in un dibattito che a fine Ottocento vede
affacciarsi attorno al tema della razza un vasto dibattito che coinvolge,
ancora una volta, più discipline e che contiene, anche, alcune delle considerazioni alla base del
“razzismo” che segnerà pesantemente la storia europea del Novecento. Michela Nacci coglie l’occasione offerta da Le
Bon per mettere ordine attorno a concetti e atteggiamenti che, se distorti e
forzati, si prestano a gravi degenerazioni. E la “folla”, in questo senso, si
rivela una preziosa lente di ingrandimento. Si è detto che la somiglianza che
si realizza nella folla fra gli individui che la compongono è il prodotto di
specifici meccanismi quali l’imitazione, la suggestione, il contagio. Le
Bon aggiunge a questi un ulteriore elemento: l’inconscio collettivo. Ossia un
confuso e disordinato insieme di istinti, passioni, sentimenti, ma anche
elementi culturali intesi in senso lato, che formano quella che definisce per
l’appunto “l’anima della razza”. La perdita della razionalità che forma e muove
le folle si accompagna per le Bon all’emergere di elementi che si collocano,
individualmente e collettivamente, sotto il livello della coscienza, qualcosa
che ancor prima dell’uscita di scena della razionalità già stava “sotto la
ragione”. Questo substrato si lega indissolubilmente, per Le Bon, con la storia
del popolo in cui si manifesta perché è in essa che si è creato nel corso del
tempo. Questo inconscio collettivo non può non essere diverso da popolo a
popolo. Le Bon appartiene quindi a quella parte della psicologia collettiva che
ritiene le folle siano diverse perché sono diversi gli inconsci collettivi che
contribuiscono a crearle. Ci sono quindi folle latine, folle anglosassoni,
folle francesi, folle tedesche e così via. Ma perché Le Bon ricorre al termine,
che ha specifiche valenze, di “razza”? Innanzitutto incide una attitudine, al
tempo molto diffusa in tutti gli ambiti culturali, di usare questo termine
senza avere piena consapevolezza “scientifica” del suo vero significato. D’altronde
sono ancora molto lontani a venire i risultati delle discipline che studieranno
DNA e evoluzione genetica. Ma poi, in modo più specifico perché con il termine
razza si fa riferimento al suo essere un soggetto collettivo che …….si colloca a
metà strada fra natura e cultura, fra biologia e storia, fra eredità evolutiva
e costumi, e quindi alle tradizioni, alla socialità ed alle maniere che ci
hanno portato ad essere quello che siamo; e questi sono tutti elementi non
razionali……. La razza è irrazionale esattamente come la folla, non
dimora nei territori della ragione. Ma queste stesse caratteristiche non
possono riferirsi anche ad altri soggetti collettivi già presenti nella nostra
cultura? Secondo la Nacci certo che sì, e fa entrare in scena ……..il carattere
nazionale, la nazione……… Se scindiamo gli elementi più “culturali”,
che sempre e comunque si legano alle condizioni ambientali in cui si formano,
da quelli più “biologici”, che come soprattutto oggi ben si sa essere
occasionale frutto di meccanismi evolutivi locali, non più di razza si deve
parlare ma di carattere nazionale. Le Bon stesso nel definire quella che chiama
“anima della razza” fa riferimento proprio ai caratteri culturali che meglio di
collegano al soggetto collettivo di “nazione” con i propri specifici caratteri.
…….quando Le
Bon parla di anima della razza si riferisce in realtà al carattere nazionale,
cioè alle caratteristiche di lunghissima durata di tutta una nazione che si
esprimono in ogni suo individuo anche e soprattutto quando essi si riuniscono
in una folla….. La Nacci, operata questa opportuna distinzione,
evidenzia poi un passaggio fondamentale: nel definire i concetti di folla, di
razza piuttosto che di cittadini della nazione si compie sempre la stessa
operazione culturale, si parte da una molteplicità di individui e si crea un
soggetto collettivo dotato di un proprio volto. Questa operazione però compie
una astrazione che non consente di registrare la realtà in tutta la sua enorme
varietà, ma si selezione, sempre e comunque, qualche specifico elemento per
elaborare figure che nella realtà non esistono affatto. Emerge poi
l’irrazionale avversione per il “diverso” che nella folla diventa tutto quello
che sta fuori di essa, nel carattere nazionale tutte le altre nazioni, nella
razza tutte le altre razze. Questa avversione ha una precisa causa: il timore,
in buona misura inconscio, di vedere minacciata quell’unità che fa da collante
alla folla, come alla nazione, come alla razza. Tornando poi in modo più
specifico alla psicologia collettiva emerge, proprio su queste basi, una sua
evidente contraddizione: quello stesso inconscio che crea e alimenta il
concetto di carattere nazionale piuttosto che di razza svolge, quando fa ciò,
una operazione positiva, quando invece crea e alimenta una folla produce un
risultato negativo …….la nazione è un soggetto sano, la folla è un soggetto
malato…… Una contraddizione tutt’altro che risolta dalla psicologia
collettiva. Curioso è poi il ricorso all’inconscio con modalità che, fino a
quando Freud non lo riferirà al singolo individuo, per le scienze sociali a
cavallo di Ottocento e Novecento tendono invece ad attribuirlo al collettivo.
Capitolo
Settimo – Prima di Spengler
Nella psicologia collettiva confluiscono
molti degli elementi culturali di fondo che caratterizzano l’ultimo quarto di
secolo dell’Ottocento. La critica radicale che essa muove alla folla, vista
come soggetto sociale emblematico delle tensioni che attraversano la società
occidentale in quel periodo, si collega strettamente ad una vasta corrente di
pensiero altrettanto critica verso la modernità in generale. Se è vero che
anche la psicologia collettiva si muove nell’alveo del positivismo di fine
Ottocento, di un movimento che guarda ai progressi scientifici e propugna
l’applicazione del metodo scientifico a tutte le discipline culturali, sarebbe
però un errore ritenere che da esso derivi automaticamente un fiducioso ed
ottimistico atteggiamento verso il futuro. …….dal metodo positivistico, dalla legge di
evoluzione e dal riferimento alla natura, non deriva affatto la certezza del
progresso…… E’ proprio dall’adesione alle teorie evolutive che
deriva la convinzione che, come in natura, anche la società può attraversare
fasi di evoluzione positiva ma anche fasi di involuzione. ……le società si
espandono, ma si usurano anche, possono crescere ma anche indebolirsi e persino
sparire….. Ed è questa la cifra che sembra caratterizzare una buona
parte del dibattito culturale di fine ottocento, una visione pessimistica del
futuro indotta dal rifiuto della modernità così come inizia a manifestarsi in
quel fine secolo. Superata la fase dell’accumulazione originaria il capitalismo
sta velocemente cambiando volto, le produzioni di massa per la massa stanno
diventando lo standard, dai progressi scientifici stanno derivando innovazioni
tecnologiche che modificano non solo le modalità di produzione ma gli stessi
stili di vita. Tutto questo avviene a velocità impressionante lasciando
intravedere ulteriori inarrestabili cambiamenti. Il timore che si sia messo in
moto un processo inarrestabile in grado di sconvolgere la società così come si
era fin lì definita coinvolge molti protagonisti della scena culturale europea
e americana. Questo clima di perplessa diffidenza verso scenari futuri che
sembrano gravidi di rischi se non di negatività, per molti versi assimilabile
alla situazione odierna, è quello entro il quale si muove l’intero movimento
della psicologia collettiva. E la folla diventa, come si è già sottolineato in
precedenza, la cartina di tornasole per leggere l’irrazionalità e
l’incontrollabilità dell’intero processo sociale. Diventa pertanto possibile
meglio comprendere molte delle considerazioni di merito sulla folla,
sull’individuo, sul loro rapporto, tenendo nella giusta considerazione questo
clima anti modernista che coinvolge, inevitabilmente, anche la psicologia
collettiva. E questo succede alcuni decenni prima che questi timori, queste
perplessità, queste critiche assumano consistenza e forma compiuta con l’autore,
Oswald Spengler (1880-1936,
filosofo e storico tedesco), e l’opera, “Il tramonto dell’Occidente” del 1918, che meglio definiscono il rifiuto
della modernità, quella sorta di virus che aggredisce la società, vista come un
organismo naturale, decretandone, attraverso un processo degenerativo, prima la
malattia e poi la morte. E l’idea di “degenerazione”, oltre che titolo del
saggio di Max Nordau (1849-1923,
non a caso sia medico che sociologo, che si muove nel solco della psicologia
collettiva)
uscito nel 1892, è ……..lo strumento esplicativo della modernità……..
Folla,
democrazia, individuo
Quali sono le considerazioni politiche che
conseguono dalla critica della folla fatta dalla psicologia collettiva? ……….c’è materiale
più che sufficiente per leggerla come una critica della democrazia……..
se questa, con la progressiva estensione del diritto di voto, sempre più è
rivolta e si basa sulle masse, sulle folle, e se la folla è l’insieme dei
limiti, dei difetti, al limite della patologia, sin qui esaminati non c’è
dubbio alcuno che la stessa democrazia ha limiti, difetti, anch’essa è
“malata”. Lo è inoltre per un altro
elemento tutt’altro che secondario: lo stesso istituto al centro della
democrazia, il Parlamento, è una folla, ed in esso, secondo la psicologia
collettiva, si manifestano gli stessi meccanismi che nella folla innescano
l’irrazionalità e l’annullamento dell’individuo …….ritroviamo nelle assemblee parlamentari il
semplicismo delle idee, l’irritabilità, la suggestionabilità, l’esagerazione
dei sentimenti e dei comportamenti, l’influenza dei capipopolo e dei tribuni……come poggiare su
queste basi un governo ragionevole e stabile?............ La
democrazia si basa sulla maggioranza, la quantità vale di più della qualità, e
secondo la psicologia collettiva la quantità, da sola, non ha mai vera ragione.
Un giudizio senza appello quindi: nella triade in esame, folla, democrazia,
individuo, quest’ultimo si annulla e viene fagocitato dalla folla, che essendo
la base della democrazia conseguentemente la condanna al fallimento. Michela
Nacci cerca di capire, ciò scontato, se davvero la presenza in scena come prima
attrice della folla, della massa, svuota la democrazia di ogni significato,
ovvero se è possibile, mantenendole il ruolo principale assistere ad una
rappresentazione con un diverso finale. Un primo formidabile appiglio lo trova
in Elias
Canetti e nel suo fondamentale saggio “Masse e potere” (al centro della relazione di Leonard
Mazzone per la nostra conferenza del 12 Novembre prossimo)
Si deve tenere conto che Canetti lo
pubblica nel 1960, ma “Masse e potere” è il frutto di una elaborazione
lunghissima, durata praticamente quarant’anni essendo stato avviato nei primi
anni Venti del Novecento, ossia poco dopo il tramonto della psicologia
collettiva. Canetti accenna solo di passaggio alla politica, o meglio ancora
rielabora una visione della politica basata su altre considerazioni in gran prevalenza
non direttamente politiche. Il suo è lo sguardo dell’antropologo, munito di
conoscenze del mondo primitivo, antico ed extraeuropeo. Eppure la sua
ricostruzione delle dinamiche che muovono le masse è perfettamente applicabile
a quelle europee, a quelle contemporanee. Non diversamente dalla psicologia
collettiva anche per Canetti la massa, la folla, che esistono ovunque nel mondo
animale ed in quello umano, sono il soggetto sociale sul quale è indispensabile
concentrare l’attenzione. Ed anche per Canetti l’individuo, il singolo,
rinuncia a sé stesso per fondersi in esse. Ma la motivazione è completamente
diversa: la vera molla è l’aspirazione all’uguaglianza, una uguaglianza che è
nel primo decisivo istante legata al contatto fisico. Il saggio inizia con
questa affermazione …….nulla l’uomo teme di più che essere toccato dall’ignoto…….
Eppure l’istinto all’uguaglianza che percepisce nella massa annulla
completamente questo timore ancestrale. ……i singoli che compongono la folla non hanno più paura l’uno
dell’altro, si percepiscono come solidali, uguali, non temono più il contatto…..
Questo passaggio fondamentale vale per le masse statiche, che di più esaltano
compattezza, e per quelle dinamiche, le folle, nelle quali di più si realizza
la fusione dei corpi. E vale per tutte le altre forme di massa che Canetti
esamina: quelle chiuse e quelle aperte, quelle lente e quelle rapide, in tutte
appare evidente, a suo avviso, che …….all’interno della massa domina l’uguaglianza……
La stretta relazione fra mondo animale e mondo umano si evidenzia anche nelle
dinamiche interne alla massa, quella del branco, quella della muta di cani. Il
ruolo dominante dell’uguaglianza fa sì che tutte le stesse caratteristiche che
la psicologia collettiva attribuiva alle folle: assenza di ragionamento,
irresponsabilità, animalità, scomparsa dell’individuo, perdano la loro
negatività e diventino l’inevitabile corollario di un processo positivo,
costruttivo. In Canetti la massa, la folla, sono come per la psicologia
collettiva, e forse persino di più, alternative all’individuo ma questo non si
traduce in una critica della democrazia, se democrazia è una forma politica che
ha come base ……l’uguaglianza
di principio fra gli individui e la salvaguardia dei loro diritti…….
L’incontro sul terreno dell’uguaglianza annulla ogni distinguo fra massa e
democrazia. E’ semmai, nella visione di Canetti, una estremizzazione della
democrazia …….la
massa porta l’uguaglianza alle ultime conseguenze e l’individuo, lo spazio che
circonda l’individuo, scompare…… “Masse e potere” è un prezioso
esempio di come si possa guardare alla folla, ed al suo rapporto con la
democrazia, senza disprezzarla nel momento stesso in cui viene definita come tale. La massa, la folla, con Canetti
smette di esser un soggetto solo negativo, inferiore, malato, l’uguaglianza che
in essa si realizza la proietta in tutt’altre direzioni. Se con Canetti si
hanno quindi suggestioni che fanno guardare alla folla con uno sguardo diverso,
non di meno l’altro protagonista della psicologia collettiva, l’individuo, viene
differentemente considerato in altre analisi.
Già a partire dalla stessa psicologia
collettiva e attraversando successive numerose scuole di pensiero, si affermano
almeno quattro diverse sue interpretazioni. La prima evidenzia criticamente
l’enfasi eccessiva del ruolo dell’individualità che, mossa dai timori legati
all’estensione della democrazia, scarica sul soggetto “folla” queste paure. La
seconda pone in luce la fragilità della costruzione teorica di un individuo
ideale che, quando non fagocitato dalla folla, mantiene un perfetto
autocontrollo ed usa la ragione per tenere a bada istinti e passioni. Una
posizione ben sostenuta dalla scuola di Francoforte, in particolare nelle
analisi di Max Horkheimer (1895-1973
filosofo e sociologo tedesco) e di Theodor Adorno (1903-1969, filosofo e sociologo tedesco), che critica
apertamente il paradigma dell’individualismo capitalistico. Una terza
interpretazione mette in dubbio le caratteristiche solo positive dell’individuo
evidenziandone al contrario gli aspetti di meschinità e debolezza. Una quarta
posizione chiama in causa come principale fattore della “folla” l’eccesso di
atomismo, di frammentazione individualistica, tipici della modernità. Tutte
queste perplessità muovono da una comune considerazione di tipi
evoluzionistico: l’individuo è una costruzione “culturale” che si è
progressivamente consolidata con passaggi storici contorti e contraddittori.
L’homo sapiens non nasce infatti come individuo, ma come membro
indissolubilmente legato al gruppo, alla comunità. Per alcune centinaia di
migliaia di anni, senza contare l’analoga evoluzione precedente, la dimensione
del collettivo è stata l’unica atta a superare le difficoltà di sopravvivenza
della specie. In essa l’individuo non
era visto come entità a sé stante, di esso, come soggetto sociale
autenticamente autonomo, è forse possibile parlare solo a partire dalla rivoluzione culturale conseguente a
quella agricola di poche migliaia di anni fa. Questa fragilità evoluzionistica
emerge con evidenza soprattutto nella prima, terza e quarta interpretazione
dell’individuo, essendo la seconda più strettamente legata al rapporto
individuo-capitalismo. Su queste tre posizioni si concentra l’attenzione di
Michela Nacci. La prima critica, guardando alla netta opposizione che la
psicologia collettiva propone fra folla e individuo, evidenzia che ……solo in una
cultura profondamente improntata all’individualismo può nascere la folla……
Per quanto questa possa essere la dimensione sociale entro la quale l’individuo
perde le sue caratteristiche costitutive non si ha folla senza individui. Ed
immaginare che nel passaggio in essa l’individuo subisca una trasformazione
radicalmente negativa è operazione possibile solo se, preliminarmente, l’individuo
è visto solo in termini positivi. Vale a dire che …..solo quando l’individualismo è considerato
l’unico modello sociale che si crea l’impressione che se si attenta ad esso
tutta l’impalcatura della società crolla…….. Ci si trova quindi di
fronte ad una sorta di circolo vizioso basato su un presupposto non dimostrato.
Che cos’è infatti l’individuo? Come è fatto quell’io che nella folla viene
fagocitato dall’io collettivo? A queste domande, già nell’ambito della stessa
psicologia collettiva e via via a seguire con crescente intensità, basti
pensare all’irruzione della psicologia freudiana, …..l’individuo si presenta sempre più incerto,
insicuro, frantumato al suo interno…… lontanissimo quindi da quel
soggetto consapevole e sicuro di sé preda inspiegabile della folla. E’ questo
l’assioma su cui si basa la terza critica alla teoria della folla. Quella che
di più mette in luce la fragilità evolutiva della figura dell’individuo. Nel
quale costantemente emergono gli istinti, le tensioni, le pulsioni, tutte eredità
del suo lungo passato. Un bagaglio inconscio che non è governabile né dalla volontà
né dalla razionalità, le quali non essendo dati naturali, ma il risultato,
relativamente recente nel percorso evolutivo ……. di una conquista basata su sforzi,
educazione, esperienza…… che non riescono a gestire l’improvviso
riaffiorare dell’inconscio primitivo. In fondo quello che ritroviamo nella
folla è questo insieme di automatismi comportamentale del tutto istintivi e
incontrollabili che già giacciono nell’individuo. …….ecco perché la folla è la negazione punto
per punto dell’individuo perché essa proviene dall’individuo…… La
quarta critica muove dal considerare la presunta coesione frutto delicato e
provvisorio dell’equilibrio che si instaura fra gli atomi, la moltitudine di
individui, che la compongono. Atomi che con l’avvento della modernità sempre
più ruotano su traiettorie autonome, separate, concentrate sul proprio
personale interesse, ma che da nessuna parte portano se non
all’insoddisfazione, all’amarezza di obiettivi e speranze irraggiungibili. Al
punto che è proprio la folla, nel momento in cui formandosi fa crollare le
barriere che dividono gli individui atomo, a mettere in luce questo lato oscuro
dell’individualità. …….l’individuo da salvezza che poteva rappresentare rispetto
alla folla si rivela il responsabile della sua esistenza……. Una lunga scia di pensatori da tempo vede
nell’eccesso di individualismo una delle cause fondamentali della crisi della
democrazia e dell’intera coesione sociale. Basta pensare, tanto per citare
alcuni degli ultimi a muoversi in questo ambito, a Richard Sennet (sociologo statunitense) con il suo “declino
dell’uomo pubblico” ed a Zygmunt Baumann (1925-2017,
filosofo e sociologo polacco) con il suo ampio riflettere sulla “società liquida”.
L’eccesso di individualismo, dell’atomismo individuale, è il rovescio speculare
della folla ed insieme, quindi, la sua premessa. Di fatto …..una società
composta da individui rappresenta l’introduzione migliore ad una società
formata da folle……. In sostanza la contrapposizione fra individuo e
folla proposta dalla psicologia collettiva di fine ottocento, non sembra aver
retto né quando assegna all’individuo la parte del “buono”, del soggetto
razionale e autocontrollato, né quando vede nella folla, la parte “cattiva”,
solo una esplosione irrazionale e incontrollata di istinti e pulsioni di norma
tenute sotto traccia fino al traumatico avvento della modernità. E’ oggi? E’
ripresentabile una simile contrapposizione in un’epoca di individualismo
imperante definitivamente sdoganato e celebrato da globalizzazione e
neo-liberismo? Se è tutta da dimostrare la sussistenza della contrapposizione,
perlomeno nei termini allora proposti, è certo però che sono mutate le “folle”
e ancor di più l’individuo che ha accentuato la sua inconsistenza come soggetto
principale delle relazioni sociali. ……..le posizioni
sembrano ribaltate: la folla era il monstrum che spaventava ora è l’individuo
il monstrum che spaventa…… Al punto che è dal vuoto sociale
dell’individualismo che può derivare una ripresa del ruolo del soggetto
collettivo. A patto, evidenzia al termine del suo saggio Michela Nacci, di
prendere le giuste distanze dagli aspetti negativi della “folla” puntando
piuttosto su quelli positivi, perché di opposta natura, delle “moltitudini”,
soggetti sociali persino troppo quieti, silenziosi, indifferenti. Soggetti che
attendono quindi di essere mobilitati in alternativa sia agli eccessi di
individualismo sia a quelli delle “folle”, assimilabili a quelle della
psicologia collettiva, che ancora si agitano nelle pieghe dei nuove forme di
comunicazione e relazione non più “fisica”. Sono molti gli autori che
propongono percorsi rivolti alle moltitudini. Fra i tanti velocemente citati
dalla Nacci ci piace quello a noi più prossimo, Giorgio Agamben (filosofo italiano, docente alla
Sapienza di Roma, autore di numerosi saggi) che guarda con favore a comunità composte da
“gente” in grado di abbandonare individualismi e chiusure. Un ammonimento è
sicuramente ricavabile dalla psicologia collettiva: l’uso attento e ragionato
del termine ……non basta che alcuni o molti siano riuniti
perché si abbia folla……. Occorre saper differenziare e richiamare la
folla della psicologia collettiva solo quando davvero si ripresenta con le
caratteristiche che questa le ha attribuito.
INTRODUZIONE
No,
non è un refuso. Abbiamo volutamente spostato al fondo idi questa sintesi del
saggio di Michela Nacci la sua “Introduzione”. Per evitare che la pur
comprensibile esigenza di dare un volto dei giorni nostri al “volto della
folla” finisse per condizionare la conoscenza di una dea di “folla”, che ai
giorni nostri ovviamente porta, ma che ha caratteristiche specifiche meritevoli
di essere conosciute, ed utili come chiave di lettura del presente, ma senza le
possibili forzature di una preventiva identificazione. Ciò detto riprendiamo
dall’introduzione un passaggio,
perdonate la sua lunghezza ma merita di esser ripreso integralmente, che
riassume le caratteristiche attribuite al “populismo” odierno …….non ragiona, non discute, non ascolta le opinione
diverse, manifesta senza timori gli istinti da cui è mosso, si fa trasportare
da affetti e passioni, ama e odia senza vie di mezzo, nutre venerazione verso
il leader, cerca il capro espiatorio, forma un insieme compatto che deve
confermare continuamente la sua compattezza, emargina ed espelle chi dissente,
definisce un nemico esterno e basa sulla lotta ad esso la sua unità, sa di
essere incompetente ma vuole che la sua opinione conti, critica la politica, i
politici, gli esperti, vuole eliminare ogni mediazione ed esprimersi
direttamente, è il soggetto del quale si è detto che “vota con la pancia”……..E’
forse questo l’odierno “volto della folla” così come descritto dalla psicologia
collettiva?
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