In una recente intervista apparsa su La Repubblica Franco Garelli alla
domanda se la vicenda pandemica ha in una qualche misura modificato
l’atteggiamento verso la religione risponde che non sembrano essere intervenute
variazioni di fondo significative. A suo avviso restano pertanto valide le considerazioni, presentate nel suo
saggio del 2020 “Gente di poca fede”,
elaborate sulla base di una accurata indagine statistica. Vista la rilevanza,
culturale e sociale, del tema ci è sembrato quindi interessante recuperarle,
almeno in linea generale, affidandoci al seguente articolo di Irma Galgano – sito online Articolo 21
Cosa è cambiato nella
religiosità e, soprattutto, nella spiritualità degli italiani del nuovo
millennio? Quanto contano oggi i valori di fede ed etica? Il multiculturalismo
ha inciso anche sugli aspetti più intimi della spiritualità? Questi e tanti
altri interrogativi trovano una valida ed esaustiva risposta nel saggio
pubblicato dalla Società Editrice il Mulino Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio.
Un testo nel quale il professor Franco Garelli raccoglie e analizza i risultati
di un’ampia indagine, quantitativa e qualitativa, su religiosità e spiritualità
oggi in Italia. Uno studio accurato che riporta al lettore un dettagliato
resoconto e una approfondita analisi della società italiana, indagata
attraverso la spiritualità e la religiosità ma elaborata nel suo vivere
“civile” e quotidiano.
«Viviamo in un’epoca che coltiva un’idea
debole e plurale della verità: la religione non fa eccezione.»
Franco Garelli è stato ordinario di Sociologia dei processi culturali e di
Sociologia delle religioni all’Università di Torino ed è membro
dell’International Society for the Sociology of Religion. Ha svolto l’indagine
con il supporto dell’Apsor (Associazione piemontese di sociologia delle
religioni), dell’Ipsos, dell’Università di Torino, della Cei. Uno studio che si
rivela fin da subito interessante per il lettore. Per la capacità di aver
abbracciato, inglobato e indagato tutti, o quasi, i temi di fede, spiritualità,
etica e bioetica i quali, spesso, sono al centro del dibattito pubblico ma solo
perché riferiti o conseguenza di eclatanti fatti di cronaca. Nel libro di
Garelli invece, sono sviscerati con occhio critico sì ma obiettivo e, dalla
attenta lettura dei dati e delle riflessioni riportate, il lettore riesce
davvero a prendere coscienza di dove stanno andando Italia e italiani in questo
Terzo Millennio ormai rodato. Da alcuni anni a questa parte, l’Italia religiosa
è in grande movimento: per la crescita dell’ateismo e dell’agnosticismo tra i
giovani, per l’aumento di fedi diverse da quelle della tradizione, per la
ricorrente domanda di forme nuove o alternative di spiritualità. A farne le
spese sembra essere “quel cattolicesimo che per molto tempo ha
rappresentato la cultura comune della nazione, ma che appare in difficoltà a
raccordarsi con la coscienza moderna, nonostante la presenza a Roma di papa
Francesco”. In Italia non sta avvenendo quello che alcuni definiscono rottura silenziosa della tradizione religiosa, cosa che starebbe accadendo in altri paesi del Centro-Nord Europa,
tuttavia “su tutto il discorso c’è un warning
generazionale, che getta una luce sinistra sulle sorti del cristianesimo, ma
fors’anche sul futuro della religione”. Gli indici di religiosità presentano un
andamento a scalare direttamente proporzionale al diminuire dell’età. Inoltre,
tutti oggi – credenti e non credenti – interpretano e vivono la loro condizione
in modo più libero e aperto rispetto al passato. “È il lato soggettivo della vita umana che prende il sopravvento anche
sulle questioni religiose e informa il modo in cui le persone si definiscono e
percepiscono in questa sfera della vita”. Oltre ad essere più incerto, il credente di oggi sembra anche più
solitario. Affronta in solitudine le vicende della vita, ma anche le sfide che
l’epoca attuale pone alla fede religiosa. Sfide che derivano, ad esempio, dal
contatto con quanti professano altre fedi o credono laicamente. Oppure dalla
difficoltà di orientarsi in una sfera etica e bioetica in continua evoluzione.
Oppure ancora dal vivere in un mondo globale,
“ricco di inquietudini e paure, di
disuguaglianze e di squilibri, di spettacoli del dolore”. Garelli
ricorda ai lettori che, fin dagli anni della contestazione – ’68 e dintorni – ,
alcuni studiosi evocano l’idea che nella chiesa “sia in atto uno scisma sommerso”, per la distanza di molti cattolici dalla dottrina ufficiale nella sfera dei
comportamenti sessuali e famigliari. Ora l’autore si domanda se si stia
delineando uno scisma analogo attinente la dottrina sociale della chiesa. Al di
là del differente giudizio sul pluralismo religioso, che si snoda tra coloro
che quasi auspicano un allineamento al “mondo globale” e chi, invece, si
dichiara preoccupato per l’aumento di “simboli religiosi che modificano il paesaggio abituale e sfidano le
certezze consolidate”, si osserva negli italiani una
preoccupazione diffusa: “la difficoltà di far convivere nella
stessa società gruppi che esprimono credenze e culture diverse, portatori di
domande – religiose e sociali – non facilmente componibili in un quadro
unitario”. Le riserve maggiori sono rivolte all’islam
e quello con i musulmani “resta un rapporto scomodo”, perché sovente connesso al discusso fenomeno dell’immigrazione nonché per
le tensioni che accompagnano la presenza dell’islam in tutto l’Occidente. Diverso
approccio invece si denota nei confronti del cristianesimo ortodosso e delle
fedi orientali, verso le quali si ritiene svilupparsi un interesse culturale e
spirituale che tende ad arricchire la nazione. Pur non mettendo in discussione
l’idea di una “verità religiosa”, si attenua, rispetto al passato, la
convinzione che vi sia una verità assoluta, custodita da una sola confessione
religiosa, mentre tutte le altre sarebbero portatrici di mezze verità o di
verità parziali o false, in un contesto in cui molti ritengono che tutte le
religioni esprimano delle verità importanti per la condizione umana, e che
ognuna di esse offra un percorso di avvicinamento a quella “verità ultima che tutti ci sovrasta”. In poco più di due decenni, il gruppo dei non credenti è aumentato di
circa un terzo, a fronte di una riduzione di circa l’8% dei credenti. I più coinvolti nel fenomeno dell’ateismo sono i giovani. Inoltre, la non credenza aumenta anche in maniera inversamente
proporzionale al livello di scolarizzazione, passando da un 13% per le persone
con licenza elementare o prive di titolo, a un 35% per i laureati. I maggiori
ostacoli al credere derivano, per atei e agnostici, dalla presenza del male nel
mondo e dal dissidio tra scienza e fede, ragione e religione. Una parte dei
“senza religione” sembra farsi carico di una particolare missione: “contrastare la pretesa della chiesa di
rappresentare i sentimenti più autentici della popolazione”, ovvero uscire dall’equivoco di identificare l’Italia tout court con
l’Italia cattolica e rivendicare pari dignità di considerazione sia per le idee
dei credenti sia per quelle dei non credenti. E ciò, specificatamente, sulle
questioni calde oggi al centro del dibattito pubblico: i temi di vita,
famiglia, bioetica, gender, diritti degli omosessuali, laicità dello stato… Oltre
il 70% degli italiani condanna, almeno come dichiarazione di principio:
evasione, sfruttamento della manodopera, lavoro nero, favoritismi, assenteismo,
infrazioni e via discorrendo. Una percentuale che però scende notevolmente tra
i 18-34enni, tra i quali vi è una più elevata percentuale di accettazione di
tali comportamenti che dovrebbero essere anomali. E stupisce un ulteriore
gruppo sociale per cui risulta egualmente difficile l’accettazione e il
rispetto delle regole base della convivenza civile: i divorziati e separati. In
situazioni di forte disagio, sia esso generazionale o personale, sembra quindi
svilupparsi una maggiore sfiducia istituzionale e marginalizzazione che porta a
una disaffezione rispetto alle regole e a minori aspettative e speranze per il
futuro, nonché alla rarefazione della volontà di impegnarsi per la
realizzazione di progetti e per il raggiungimento di obiettivi. Negli ultimi decenni si è
sensibilmente ridotto lo stigma nazionale nei confronti della pratica
dell’omosessualità e si è anche attenuato il giudizio negativo sul consumo
delle droghe leggere. Ieri come oggi, invece, è rimasto pressoché invariato il
numero di italiani (circa un quinto) che negano la liceità dell’aborto. Largo consenso riscuotono le pratiche della riproduzione assistita, sia
omologa che eterologa, mentre dividono ancora l’utero in affitto, la maternità
oltre l’età feconda, gli esperimenti su embrioni umani a fini terapeutici e gli
interventi sulle cellule umane per determinare alcune caratteristiche (statura,
colore degli occhi…) su cui si registra il dissenso dei due terzi degli
italiani. Garelli sottolinea che non tutti gli aderenti alle principali fedi si
comportano e la pensano allo stesso modo ma ciò è ancora più vero all’interno
dell’appartenenza cattolica, differenze di “stile religioso” che delineano diversi
e plurimi modi di interpretare l’identità cristiana o cattolica. Inoltre, va
ricordato, che da società a monopolio cattolico l’Italia si sta trasformando in
una società permeata dalla varietà di fedi. Il pluralismo culturale e
religioso, non dovuto meramente al fenomeno migratorio, sembra porre ai
credenti di ogni fede “una sfida più sottile e
destabilizzante di quella della secolarizzazione”. Una sfida che introduce nella mente degli individui l’idea che vi sono
diversi modi di credere – e di rispondere ai quesiti dell’esistenza -, che ogni
società e cultura ha le sue forme del sacro, che è difficile ritenere vi sia
un’unica fede depositaria della “verità”. Il confronto con la diversità
religiosa rende dunque più incerto e precario il credere di molti, mette in
discussione la fede abituale, erode l’assunto (comune a molte religioni) che vi
sia una forma superiore di conoscenza, che esista una “verità cognitiva e
normativa assoluta”. Circa metà della popolazione italiana si riconosce
nell’idea – assai enfatizzata nell’attuale clima
politico – che la presenza di
fedi e culture diverse da quelle della tradizione costituisca una minaccia per
l’identità culturale, a dire il vero già un po’
incerta, della nazione. L’altra metà invece ritiene sia o possa rappresentare
una fonte di arricchimento culturale. Pressoché universale è la condanna
dell’estremismo religioso, che in tanti riconducono direttamente alla
radicalizzazione e al terrorismo di matrice islamica. Altri, invece, si
soffermano a pensarlo come esistente o possibile per qualsiasi fede religiosa,
riportando l’attenzione, per esempio, “ai guasti provocati dalle crociate”. Concludendo si può affermare con Garelli che questa è un’epoca che,
anche nel campo religioso, è più segnata da flussi che da blocchi,
caratterizzata da una ricerca di senso ondivaga, che si spinge sovente oltre i
confini e fatica a riconoscersi nelle definizioni convenzionali. Incerto e solitario, il credente di oggi sembra affidarsi a “un Dio più sperato che creduto”. La poca fede, la fede debole può anche rappresentare, secondo Garelli, un tratto che
accomuna i credenti di ogni confessione religiosa, che “esprime la perenne difficoltà della condizione
umana a rapportarsi con un grande messaggio religioso”. Un tratto comune che, forse, potrebbe anche arrivare a diventare un
tratto caratteristico e caratterizzante delle nuove forme, ora embrionali, di
società multietniche, multiculturali e plurireligiose.
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