La
parola del mese
Una parola in grado di offrirci
nuovi spunti di riflessione
DICEMBRE
2022
Da tempo è dato acquisito
la notevole incidenza (assieme
a quella persino più impattante dell’allevamento) delle attività
agricole - e più in generale di tutte le attività che utilizzano risorse
biologiche, provenienti da terra e mare, come materiali di base per produzioni
di vario genere – sui processi di degrado ambientale e di cambiamento
climatico. Ed è quindi anche sulla sua trasformazione in senso ecologico che si
gioca una parte consistente della sfida per un salvifico cambiamento di
direzione. Si è visto in un nostro recente post (il
“Saggio del mese” di Ottobre 2022 “Elogio del petrolio” di Massimo Nicolazzi) come la indispensabile transizione energetica, altro tassello
per un pianeta più vivibile e più giusto, significhi di fatto ritornare, al
posto dei combustibili di origine fossile, all’utilizzo di fonti quali il sole,
il vento e l’acqua, che oggi definiamo “sostenibili”,
ma che da sempre sono state la risposta al fabbisogno energetico umano. E’
possibile che anche per le attività agricole e di utilizzo di risorse
biologiche valga un virtuoso percorso a ritroso capace di recuperare antiche
saggezze coniugandole con le odierne possibilità tecnologiche? Un aiuto a
capirlo può venire dalla “Parola” di questo mese, la quale però, come
scopriremo, ha persino valenze più grandi……
BIOECONOMIA
Bioeconomia = (sostantivo
femminile composto da bio, derivato dal greco bios = che vive, e da economia) Teoria economica fondata sul concetto di
limite biofisico della crescita, applicato
nel contesto di un sistema termodinamicamente chiuso quale la Terra.
Si tratta di una parola
di recente conio suggerita dal filosofo cecoslovacco Jirì Zeman a Nicholas Georgescu-Roegen
(1906–1994, economista, matematico e
statistico rumeno) come termine per sintetizzare la sua corposa analisi
economica. Nicholas Georgescu Roegen è considerato, a ragione, uno
dei più importanti precursori della moderna economia ecologica, di una visione
economica finalizzata ad incorporare le variabili ambientali in modelli di
gestione delle risorse con implicazioni non solo strettamente
economiche, ma anche sociali e politiche, proponendo quindi un modello alternativo
di sviluppo capace di garantire un equilibrio economico e ecologico,
appropriato, intercambiabile e riproducibile. La sua teoria della bioeconomia rappresenta
la summa dell’intero suo pensiero economico, espresso in particolare in un
primo saggio “The Entropy Law and the Economic
Process (La Legge dell’Entropia ed il processo
economico)” pubblicato nel 1971 (ma mai stampato in italiano) ed in uno successivo “Energia e miti
economici” del 1976 (stampato
in Italia da Bollati Boringhieri –nel 1998)
Alla
base del suo pensiero sta la convinzione che il processo economico non sia
altro che un'estensione dell'evoluzione biologica, e quindi, come tale,
un’azione umana che si concretizza nella biosfera fino ad esserne divenuto, in
particolare dalla Rivoluzione Industriale in poi, una fondamentale componente. Una
convinzione che prende forma compiuta nel saggio “La Legge dell'Entropia e il processo economico” nel quale viene
stabilita, con grande originalità di pensiero, una “correlazione tra i processi economici e il secondo principio della
termodinamica” (secondo il quale gli eventi termodinamici, come ad
esempio il passaggio di calore da un corpo caldo ad un corpo freddo,
sono irreversibili, ed è questa irreversibilità a dare una freccia al
tempo. Ha inoltre una stretta correlazione con l'entropia, ossia la misura del disordine presente in un
sistema fisico, il secondo principio asserisce
infatti che l'entropia di
un sistema isolato lontano dall'equilibrio termico tende ad
aumentare nel tempo, finché l'equilibrio non è raggiunto). Georgescu-Roegen
sostiene infatti che qualsiasi processo economico che produce/utilizza merci
fisiche diminuisce la disponibilità di energia nel futuro (ogni trasformazione di energia in lavoro implica
una sua parziale dispersione nell’ambiente in forma di calore) e ciò
pregiudica la possibilità futura di produrre/utilizzare altre merci e prodotti
materiali. Inoltre, nel processo economico la stessa materia, in parallelo con
l’energia, tende a degradarsi e quindi a diminuire tendenzialmente la sua
possibilità di essere usata in future attività. Ciò significa in particolare
che le materie prime, precedentemente concentrate nel sottosuolo, utilizzate, e
quindi disperse nell’ambiente come rifiuto residuo, possono sì essere
reimpiegate nel ciclo economico (un
concetto alla base dell’economia circolare) ma solo in misura
minore di quella iniziale ed a prezzo di un più alto dispendio di energia. Vale
a dire, in termini fisici, che materia ed energia entrano nel processo
economico con un grado di entropia relativamente basso per uscirne con uno
decisamente più alto e pertanto che tutte le attività umane, che interferiscono
con l’ambiente e che si alimentano di bassa entropia, si possono sviluppare
solo a costo di una dissipazione irrevocabile, di energia e materia, segnando
in questo modo un limite fisico ai processi economici. Provocatoriamente Georgescu-Roegen
ha definito questo principio: “Quarto
principio della termodinamica”. A suo avviso anche
la teoria economica deve tenere in grande considerazione questo aspetto che
incide fortemente sullo stesso rendimento economico e finanziario. Infatti ad
ogni “commercio” che realizza un ritorno economico corrisponde
inevitabilmente una diminuzione progressiva dei beni del mondo reale (fertilità
del suolo, minerali estraibili, capacità ricettiva dell’aria e delle acque) utilizzati pregiudicando quindi anche i futuri margini di redditività. Ma
soprattutto ciò significa che nell’operare umano nella biosfera possono anche
aumentare i beni materiali, ma in parallelo diminuisce, in un pianeta dalle
risorse finite, la potenzialità della natura di essere fonte di materie prime e ricettore dei rifiuti. E se è pur vero che il progresso tecnologico
può ottimizzare il ciclo e le modalità di utilizzo dei beni naturali i vantaggi
che ne derivano possono valere solo su tempi brevi, ma sempre a forte discapito
del futuro. Dall’insieme
di queste considerazioni deriva allora la necessità, non aggirabile, di
ripensare radicalmente la scienza economica, rendendola capace di incorporare
il principio dell'entropia ed i vincoli ecologici che da esso inevitabilmente
conseguono. Basandosi su questo fondamentale presupposto Georgescu-Roegen rivisita
e corregge in chiave critica la teoria economica classica mettendo in risalto i
gravi errori commessi in suo nome, fatti tanto dal capitalismo quanto dal comunismo,
riconducibili ad una errata visione meccanicistica (fatti,
in questo caso economici, che si ripetono costanti nel tempo) dei processi
economici alla base del mito, del tutto insostenibile, di una crescita infinita.
Facendo quindi pienamente sua la celebre frase attribuita a Kenneth Boulding (1910-1993, economista e filosofo inglese naturalizzato
americano):
….... Colui che crede fermamente che la
crescita esponenziale possa durare in eterno in un mondo finito, o è un pazzo o
è un economista ... Le soluzioni auspicate da Georgescu Roengen,
precisate in particolare nel successivo saggio “Energia e miti economici”
completano la traduzione concreta del concetto di bioeconomia in un progetto complessivo articolato su più
punti, fra i quali spiccano, a segnare una straordinaria visione lungimirante:
la necessità di limitare la corsa agli armamenti, l'inutilità degli acquisti di
prodotti alla moda o semplicemente stravaganti, la riduzione dell'incremento
demografico fino al limite permesso dall'agricoltura biologica, e la
collaborazione con i paesi in via di sviluppo idonea al raggiungimento di un
diffuso ed uguale livello di vita adeguato a bisogni reali. Una sua frase
sintetizza bene il suo approccio radicale ….. L'economia
neoclassica ha concepito la crescita economica in termini di capitali, mano
d'opera e progresso tecnico. Ma oggi credo che sia più chiarificante concepire
i principi propulsori dell'economia in termini di energia e idee sostenibili ….. Che, a testimoniare una sua filosofica
concretezza, bene si sposa con un’altra sua affermazione …. spesso il destino dell'essere umano è inteso come
una vita breve, ma intensa, eccitante, febbrile, stravagante, è tempo semmai di
una vita lunga, sana, vegetativa…..anche se
magari un poco monotona …… Coerentemente con queste visioni
strategiche di processi economici sostenibili Georgescu-Roegen, in piena sintonia con la contemporanea pubblicazione
del documento ”I Limiti della Crescita” da parte
del Club di Roma (Il Club di Roma è una associazione, ancora oggi attiva, non governativa,
non-profit, di scienziati, economisti, uomini e donne d'affari, attivisti dei
diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali e capi di Stato di tutti
e cinque i continenti, promossa nel 1968 in particolare da
Aurelio Peccei, illuminato imprenditore italiano), dedica nei suoi studi molto spazio ad
evidenziare i gravi rischi di contaminazione
dell'ambiente e di esaurimento delle risorse non rinnovabili. L’insieme delle
sue considerazioni economiche, che hanno sicuramente una valenza complessiva di
indirizzo dei processi economici, non hanno, ovviamente, trovato adeguata
attenzione nel pensiero economico mainstream del tempo, che si stava
decisamente orientando in tutt’altre direzioni, quelle riconducibili al
pensiero neo-classico e neo-liberista. Come controcanto la sua opera ha invece costituito
uno dai capisaldi teorici del movimento, soprattutto francese, promotore
dell’idea della “decrescita (felice)”. Anche questa identificazione non ha però favorito
la diffusione in ambito accademico del termine “bioeconomia” sostanzialmente a lungo del tutto ignorato per essere poi
resuscitato, a cavallo del nuovo millennio ed a fronte delle crescenti
problematiche ambientali, soprattutto in ambito europeo e negli USA (sotto la presidenza Obama), ma ad indicare
un insieme di produzioni, in particolare quelle definibili come “biotecnologie”, ossia
attività che utilizzano risorse biologiche messe però al servizio di tecnologie
di forte loro manipolazione. Ed è in questo passaggio che torna sulla scena
“agricoltura” richiamata in apertura di questo post. La Commissione
Europea ha infatti definito alcune linee guida, per le produzioni interessate,
basate su questa concezione di bioeconomia, in uno specifico
documento di indirizzo emanato in una prima versione nel febbraio 2012, poi
aggiornata, e meglio precisata, nell’ottobre 2018. Anche se, a giudizio di
molti, fortemente condizionati dalle corrispondenti strategie americane di
sviluppo dell’industria biotecnologica, e sostanzialmente meglio definibili
come “bioeconomics” (a differenza di “economy”, in italiano “economia”, che definisce
l’intera sfera delle attività economiche umane, il termine “economics” indica
più specificamente i modi ed i sistemi con i quali sono organizzate le attività
economiche, in ispecie quelle produttive). Questo recupero del
termine “bioeconomia” sembra
quindi avere una valenza molto più specifica e ristretta di quella originaria
nella sua declinazione da parte di Georgescu-Roegen. Non mancano nel dibattito,
soprattutto europeo, che attorno ad essa ha comunque ripreso vigore,
sollecitazioni ad una sua più completa declinazione. Ne è testimonianza il
saggio di tre autori italiani
I quali affermano convintamente, proprio in relazione all’evoluzione del
dibattito sul tema nell’ambito delle istituzione europee, che la bioeconomia stia effettivamente riacquistando un significativa centralità nella
transizione energetica ed ecologica. Non è invece dello stesso parere Giorgio
Nebbia (1926-2019, chimico di formazione e a lungo docente di
merceologia, considerato uno dei padri fondatori dell’ecologia
economico-sociale italia)
autore di numerosi saggi ritenuti fondamentali nell’ambito del
dibattito ambientalista italiano, fra i quali spicca
che, ancora appena prima
della sua scomparsa, restava molto perplesso al riguardo. A suo avviso la
versione circolante di bioeconomia, anche
nei suoi recenti aggiornamenti e aggiustamenti, resta una operazione, che guarda
in modo privilegiato agli sviluppi tecnologici ed industriali, di classico utilizzo della componente
“bio”. E quindi una strategia,
tecnicamente definita bio-based
economy, (economia basata sul
“bio”), che, per
quanto coniugata all’idea di economia circolare, resta lontanissima dalla vera
essenza del pensiero di Georgescu Roegen. Nebbia, in non casuale richiamo del
titolo del suo secondo fondamentale saggio, afferma che …… a
mio modesto avviso, rappresentano dei nuovi “miti economici” ….. per
poi aggiungere ….. sarebbe
operazione migliore cercare di trovare le radici della nuova bioeconomia nell’idea fisiocratica di
un’economia armonica fortemente basata
sulla rivalutazione della produzione agricola unitamente ad un uso più
importante della biomassa residua a fini industriali….. (queste affermazioni sono tratte da una lunga intervista,
con titolo “Bioeconomia una, due, tre” concessa da Giorgio Nebbia pubblicata
nel sito on-line “Altro Novecento”). Le speranze e le convinzioni di
Nebbia, ed a monte quelle ancor più generali ed impattanti di Georgescu Roegen,
non sembrano tuttavia avere immediate possibilità di realizzazione. “Bioeconomia”
al momento sembra restare fortemente concentrata alla sua versione “di produzione agricola”, per quanto nominalmente inserita in un più
ampio processo di transizione ecologica ed ambientale dei processi economici (nei termini ancora troppo generici e teorici, quelli di un generico "green", sempre fermi a
“buone volontà” non ancora coerentemente concretizzate). E’ quanto, ad esempio, emerge
dagli obiettivi che la Commissione Europea ha precisato nella sua “strategia per la bioeconomia”
(quella contenuta nei due documenti
programmatici del 2012 e 2018 già citati), la quale, pur nell’ambito di un proclamato generale
approccio alle sfide ecologiche, ambientali ed energetiche, sembra decisamente
valorizzare soprattutto le sue, pur rilevanti, ricadute economiche e
produttive. Ed in effetti negli ultimi decenni stanno acquisendo una crescente importanza i settori produttivi che compongono questa versione di bioeconomia
(in particolare
agricoltura, silvicoltura, pesca e acquacoltura, trasformazione
delle risorse biologiche quali l’industria della carta, della lavorazione del
legno, le bioraffinerie, le industrie biotecnologiche e alcune industrie
associate al mare).
Il recente 8° Rapporto sulla bioeconomia italiana realizzato da Intesa Sanpaolo a Luglio 2022 fotografa, ad
esempio, un settore che nel suo insieme nel nostro paese ha raggiunto un valore di produzione pari a 364,3
miliardi di euro dando impiego a circa due milioni di
occupati. Per certi versi numeri confortanti per l’attuale concezione di bioeconomia
la quale però non è certo quella auspicata da Georgescu
Roegen nel suo porla al centro di un nuovo modello economico generale capace di
invertire radicalmente l’idea di crescita infinita.
Mi pare che il saggio richiami concetti (entropia, disordine, equilibrio) che in effetti sono molto vecchi. I fattori che portano ad uno sviluppo irresponsabile (secondo leggi fisiche note) sono chiari, almeno in termini generali. Il problema è come cambiare lo sviluppo garantendo al contempo le condizioni essenziali della vita (natura e umanità). Tornando alla bioeconomia, una buona parte delle proposte emerse a livello di Nazioni Unite (IPCC) affida proprio al mondo biologico il compito di regolare le emissioni. Peccato che queste proposte siano principalmente rivolte alla produzione di biocarburanti con un impatto devastante sull'approvvigionamento alimentare e sull'assetto sociale di intere aree del pianeta. L'approccio (che è sicuramente inquadrabile come "bioeconomico") è infatti molto criticato da altre scuole di pensiero che lo qualificano come la via "verde" del nuovo capitalismo economico (tutto come prima, col profumo del bioetanolo a sostituire la puzza del petrolio). Il dibattito economico/filosofico sulla crisi ambientale e sociale dovrebbe svilupparsi maggiormente sui modelli socio-economici adatti a mitigare l'effetto negativo dei processi attuali.
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