Il “Saggio” del mese
Giugno
2024
Non diversamente da quello della “libertà”, il filo conduttore degli incontri del
nostro programma 2023/2024, non vi è dubbio che anche il tema dell’ “uguaglianza”, altrettanto fondamentale nella storia
culturale della Modernità europea, richieda un’analoga attenzione per meglio
capire il suo stato di salute nell’attuale epoca così ricca di profonde
trasformazioni. E d’altronde fra questi due valori esiste, a partire dallo
storico motto della Rivoluzione Francese, uno stretto rapporto che si è da
sempre concretizzato nella progressiva conquista di spazi di “democrazia”. Il Saggio di questo mese affronta
proprio questa relazione analizzando come le attuali democrazie europee stiano
affrontando l’innegabile ed accresciuta incidenza del suo esatto opposto: la “disuguaglianza”.
i suoi due autori sono: Leonardo
Morlino (1947, politologo, professore emerito di Scienza
Politica presso la LUISS di Roma)
Partendo
dalla convinzione, confermata da ricerche e studi di economisti, sociologi,
studiosi di politica, che la democrazia fornisca,
oggettivamente, le opportunità più rilevanti per una maggiore uguaglianza,
il saggio di Morlino e Raniolo si prefigge di analizzare le concrete esperienze
europee di contrasto dell’attuale disuguaglianza per individuare quali
soluzioni si siano effettivamente dimostrarsi più efficaci. Il saggio contiene infatti numerose tabelle e grafici (purtroppo qui non replicabili) che
giustificano le considerazioni empiriche presentate e, pur non essendo quindi
una trattazione teorica e concettuale, per meglio articolare questa indagine
presenta nelle prime parti interessanti indicazioni su cosa si debba oggi
intendere con “disuguaglianza” un concetto
che, rispetto alla sua declinazione originaria mirata soprattutto alle
condizioni materiali di esistenza, si è sempre di
più esteso ad ambiti diversi
Le definizioni, per cominciare
I profondi cambiamenti avvenuti nel tessuto economico e
sociale hanno arricchito il concetto storico di uguaglianza di una
significativa gamma di significati, tale da imporre la ricostruzione,
aggiornata all’attuale contesto storico, di una “grammatica dell’uguaglianza”.
Parliamo comunque di un ideale che da sempre deve fare i conti con una certa
consapevolezza di una sua concreta inapplicabilità, da un punto di
vista empirico è infatti evidente che l’uguaglianza fra individui diversi non
potrà mai essere realizzata alla lettera. Una sua aggiornata grammatica, che si
prefigga di affrontare con realistiche finalità di successo le attuali diffuse
disuguaglianze, deve allora rispondere con la maggiore chiarezza possibile alla
domanda: l’ideale
dell’uguaglianza tra chi e rispetto a che cosa potrebbe essere realizzato?
E prima ancora si impone una domanda ancora più significativa: perché gli
uomini dovrebbero essere uguali? che ha sin qui storicamente avuto tre risposte:
Ø una etica =
l’uguaglianza va perseguita perché è giusto che sia così, una società che tolleri la disuguaglianza non persegue l’ideale
della giustizia. E’
questo un punto centrale della filosofia politica contemporanea (ad esempio nella “Teoria della
giustizia” del filosofo statunitense John Rawls, teorico della
socialdemocrazia, il suo pensiero ha mirato a conciliare la libertà con la
giustizia sociale e l'uguaglianza sostanziale) che, consapevole della
inapplicabilità di cui si è detto, ha peraltro evidenziato l’emblematica esistenza
di una certa disponibilità a tollerare una qualche disuguaglianza a fronte però
del rigido rifiuto dell’idea di vivere in una società ingiusta
Ø una strumentale = il valore dell’uguaglianza non sta tanto in sé stesso, ma nel
fatto che è un mezzo indispensabile
per realizzare altri ideali quali dignità, autonomia, libertà politica e civile
Ø
una che guarda agli
effetti del suo opposto, la disuguaglianza = anche solo da un punto di vista strumentale
appare evidente che una società con forti
disuguaglianze è soggetta a numerosi e gravi costi (tra gli altri li
evidenzia l’economista Joseph Stiglitz, premio Nobel 2001 per l’economia, nel suo saggio “Il prezzo della
disuguaglianza”) per inefficienze, minore produttività, maggiore instabilità
Come rispondere allora alla prima domanda, uguaglianza
tra chi e per che cosa? occorre innanzitutto precisare che le possibili
risposte si dividono tra quelle che investono tutti i membri di una società, e
quelle che invece riguardano soggetti specifici. E’ una precisazione importante
perché chiama in causa proprio le diverse declinazioni del concetto di
uguaglianza intervenute nel corso del tempo molto sinteticamente riassumibili
in:
Ø
uguaglianza/disuguaglianza
economica
= è quella che di più investe tutti i membri della società e che, proprio per questo è da sempre ritenuta la più rilevante. E’ facilmente misurabile perché è
determinata dal reddito pro-capite (o
familiare),
comunemente per farlo viene utilizzato l’indice,
o coefficiente, di Gini (introdotto
dallo statistico italiano Riccardo Gini misura, con un numero da 0 a 10, oppure
100, il livello di concentrazione della ricchezza di un paese, con 0 che indica
che tale ricchezza è divisa in modo uguale tra tutti e 10, o 100, che al
contrario indica che essa è in capo ad una sola persona. In tutta Europa è in
costante aumento da alcuni decenni, nel 2021 è arrivato a 30,1)
Ø uguaglianza/disuguaglianza sociale = ovvero le disparità
che riguardano lo status sociale (lavoro, livello di istruzione, possesso di abitazione, stato
di salute, accesso ai servizi fondamentali) di tutti i membri della società,
spesso derivanti da quella economica anche se possono intervenire altri fattori.
Nelle società attuali è determinata soprattutto dall’estensione e dall’efficacia
del sistema di welfare
Ø uguaglianza/disuguaglianza di genere = anche questa ha
valenza generale ed è emersa solo di recente essendo stata per secoli ignorata
in società a forte impronta maschilista. E’ determinata da indicatori che
misurano parametri quali differenze salariali, possibilità di accesso a lavori
e ruoli sociali e politici e di raggiungimento di posizioni apicali in diversi
ambiti. Ancora più di recente sono rientrati in questo ambito le discriminazioni
verso gruppi sociali più specifici definiti dal loro orientamento sessuale
Ø uguaglianza/disuguaglianza intergenerazionale = ossia la diversa
attenzione riservata alle vecchie e nuove generazioni con le differenti
ricadute in termini di occupazione e sicurezza sociale. E’ misurata da
indicatori che indicano le possibilità di accesso a ruoli e servizi
Ø
uguaglianza/disuguaglianza
etnica = assomma
discriminazioni di vario genere con carattere storico con quelle che colpiscono
le più recenti ondate immigratorie. E’ quindi più difficile da misurare
inglobando indicatori economici (salari e possibilità occupazionali), di protezione
sociale, e non ultimi di riconoscimento culturale e religioso.
Soprattutto queste tre ultime disuguaglianze chiamano in
causa un aspetto che ha comunque carattere universale perchè precisa la
differenza fra una uguaglianza che può essere meglio realizzata intervenendo
sulle opportunità
di partenza ed una che richiede di essere affrontata valutando i risultati
di una intervenuta disuguaglianza. E’ una diversità fondamentale, perché
implica azioni differenti per delineare e attuare adeguate politiche di
contrasto delle disuguaglianza (aspetto
esaminato nella parte finale del saggio). Morlino e Raniolo
lasciano infine per ultima una particolare forma di uguaglianza/disuguaglianza,
quella politica.
In ambito accademico è questione aperta la sua stessa esistenza come forma a sé
stante, alcuni sostengono che lo è in quanto in essa confluiscono tutte le varie
forme di uguaglianza/disuguaglianza a formarne una sola di fatto assimilabile
alla realizzazione di una piena democrazia (in
termini di trasparenza, partecipazione e rappresentanza),
l’unica opzione in grado di dare loro soluzione concreta. Altri invece, pur
concordando sul ruolo fondamentale della democrazia, ritengono che quand’anche essa
fosse pienamente realizzata in tutte le sue componenti resterebbero sempre necessarie
specifiche politiche mirate a risolvere, nel loro merito, le varie disuguaglianze.
Morlino e Raniolo concordano con questa seconda visione e quindi,
coerentemente, esaminano quali istituzioni, meccanismi decisionali e modalità
di esercizio democratico meglio si prestano alla realizzazione di politiche di efficace
contrasto delle disuguaglianze, concentrando però la loro attenzione soprattutto su
quella socio-economica
Le condizioni politico-istituzionali e le strutture di
opportunità
La democrazia si è progressivamente affermata in tutto
l’Occidente avendo come principale riferimento ideale quello della libertà impostando
quindi su di esso norme, istituzioni e meccanismi decisionali. Diventa quindi
fondamentale capire se questo modello di democrazia è in grado di coniugare al
meglio libertà e uguaglianza, una relazione tutt’altro che priva di
complicazioni. Una storica corrente di pensiero ha sempre sostenuto che l’obiettivo di
una elevata uguaglianza socioeconomica entri inevitabilmente in conflitto con
le libertà individuali in
particolare in una società come quella capitalistica basata sulla libera
iniziativa individuale (è
ad esempio la posizione lucidamente esposta, nella sua opera “La società libera” da Friedrick
von Hayek, 1899/1992, economista e sociologo considerato uno dei padri
nobili del moderno neoliberismo). Altri pensatori (fra i quali emerge il già citato John Rawls) hanno sviluppato opposte
teorie in cui uguaglianza
e libertà non solo si integrano, ma anzi una è condizione dell’altra.
Si tratta di una querelle culturale probabilmente destinata a protrarsi
all’infinito, ma se dal piano ideale si passa all’osservazione empirica (mettendo a raffronto i dati
dell’indice di Gini e quelli degli indicatori di libertà, si rammenta che tutte
le osservazioni di Morlino e Raniolo sono sviluppate partendo da analisi
empiriche, tradotte in tabelle e grafici, svolte nell’ambito di studi
accademici) del
concreto rapporto tra livello di libertà democratiche realizzate e indicatori
del grado di disuguaglianza i dati raccolti
nell’arco degli ultimi decenni in tutti paesi europei confermano l’esistenza di una loro precisa
interdipendenza, ossia che il miglioramento o il peggioramento di
una trascina con sè un impatto sull’altra. Là dove le politiche messe in atto
hanno premiato in modo ampio le libertà individuali, soprattutto in campo
economico (si pensi ad esempio
alla Gran Bretagna thatcheriana), si è registrato una
correlata crescita delle disuguaglianze, parimenti, come controcanto, là dove
politiche di forte contrasto delle disuguaglianze
(si pensi ad esempio ai paesi dell’Est europeo sotto controllo sovietico)
sono state messe in atto comprimendo spazi di libertà non sono mai stati
conseguiti, sul medio-lungo periodo, risultati confortanti (oltretutto molto spesso accompagnati da
un aumento del livello medio di povertà). Non è di meno dato
storico acquisito che la difesa conservatrice di un alto livello di
disuguaglianza ha sempre implicato la restrizione di spazi di libertà
collettiva e che, al contrario, politiche di contrasto delle disuguaglianze
mirate a rafforzare aspetti fondamentali come istruzione, salute e tenore di
vita, hanno rafforzato la conquista e la difesa delle libertà collettive. Le
stesse politiche di mantenimento dell’ordine pubblico e di contrasto di
fenomeni degenerativi come la corruzione e l’economia sommersa, realizzabili
solo a fronte di istituzioni politiche e giudiziarie democratiche, imparziali e
funzionanti, rappresentano un contributo importantissimo sia per la difesa
della libertà reale delle persone sia per il contrasto delle disuguaglianze
legali ed illegali. Se quindi sono rintracciabili elementi oggettivi di
conforto sul fatto che la relazione tra la dimensione della libertà e quella
della uguaglianza/disuguaglianza possa avere una declinazione positiva per
entrambi questi valori vale la pena rilevare un ulteriore aspetto, anch’esso
confortato da analisi oggettive, relativo alla forma di democrazia. Se si punta
ad individuare quale
forma di
democrazia può meglio interpretare e declinare questa relazione, la
valutazione si restringe a prendere in considerazione due sue tipologie di
base: le democrazie
maggioritarie, quelle in cui il vincitore delle elezioni si riserva
il diritto esclusivo delle scelte politiche, e le democrazie consensuali, quelle
in cui queste scelte avvengono anche con un coinvolgimento delle opposizioni e
dei corpi intermedi della società. Il dato che emerge dalle rilevazioni prese
in esame attesta che la democrazia consensuale si rivela decisamente quella
più adatta a patto però che sia davvero solido il coinvolgimento di tutti i corpi
intermedi coinvolti nelle specifiche scelte, aspetto questo che si è
rivelato persino più rilevante del formale assetto politico-istituzionale. Vale
a dire che, quale che sia la forma della democrazia, occorre prestare
particolare attenzione a come si muovono, sempre con riferimento alla relazione “libertà
(ovvero democrazia)–disuguaglianza”, gli elementi
istituzionali (strutture e organizzazioni politiche
ed economiche nazionali ed internazionali) e gli attori sociali (individui, gruppi, classi, soggetti
politici e sindacali, associazioni) che al loro interno
agiscono in reciproca influenza. In estrema sintesi il quadro normativo
d’insieme che viene prodotto dalle loro azioni può essere definito come un
insieme di regole che mirano a gestire, sulla base di soggettivi criteri
politici e ideologici, la distribuzione delle risorse prodotte dalla società, i
comportamenti di individui e gruppi, la regolazione dei potenziali conflitti,
e che producono come risultato finale l’assetto generale – economico, politico,
sociale – di una data società. Da ormai più di duecento anni questo processo,
che ha valenza generale perlomeno nel contesto occidentale, avviene nella
struttura socioeconomica capitalistica di mercato (di
norma composta da quattro macro aree: il sistema di produzione e finanziario,
il mercato del lavoro, il sistema di welfare, le relazioni industriali interne
ed estere). La fotografia storica degli ultimi decenni (che media la situazione anni 90
fortemente influenzata dal neoliberismo globalizzato e quella post crisi
economica 2007/2008) delle ricadute sulla relazione
libertà/democrazia-disuguaglianze sintetizza (ferme
restando le pur significative specificità) un quadro che vede
quattro diverse situazioni ognuna con proprie caratteristiche fondamentali:
1. Economie di mercato fortemente liberiste (Gran Bretagna,
Irlanda)
= accentuata disuguaglianza
2. Economie di mercato miste (Spagna,
Italia, Portogallo, Grecia)
= alta disuguaglianza
3. Economie di mercato post comuniste (Slovenia, Ungheria, Repubblica Ceca,
Polonia, Romania, Bulgaria)
= alta/moderata disuguaglianza
4. Economie di mercato coordinate (Svezia,
Norvegia, Danimarca, Austria, Belgio, Olanda, Francia, Germania) = moderata/bassa
disuguaglianza
L’elemento attorno al quale si snodano queste differenti
situazioni è ovunque rappresentato dal rapporto tra crescita e redistribuzione, ossia
la volontà e la capacità di politiche del reddito di incidere sull’eccesso di
concentrazione della ricchezza prodotta. Se è vero che la sola redistribuzione
non rappresenta una soluzione alla fonte del problema
(i meccanismi di mercato che consentono i mega profitti) è
però innegabile che essa rappresenta per le democrazia una leva fondamentale
per mitigarne, a valle, gli effetti. Ma quali sono gli assetti istituzionali
democratici che sembrano meglio svolgere tale ruolo che si articola di fatto su
tre indicatori: livello
di reddito, tasso di crescita, livello di disuguaglianza (economica)? Applicandoli,
con una sguardo rivolto agli stessi decenni, alla precedente suddivisione delle
economie di mercato, con la sola eccezione di quelle post-comuniste che
presentano un quadro a sé stante molto differenziato e disomogeneo, emergono
sostanzialmente tre correlate fasce di economie:
Ø
quelle caratterizzate
da crescita non inclusiva con basso livello di redistribuzione (Gran Bretagna, Irlanda) accompagnato da un sistema di welfare
neoliberista molto limitato
Ø
quelle caratterizzate
da crescita inclusiva con un adeguato livello di redistribuzione (tutti
i paesi del Nord Europa, Francia e Germania) con un buon livello di welfare
Ø quelle caratterizzate da bassa crescita non inclusiva con
inadeguato livello di redistribuzione
(i paesi del Sud Europa) con un livello di welfare magari
anche potenzialmente buono ma limitato dalle risorse disponibili
Sembra poi emergere, per ognuna di queste tre fasce, una stretta correlazione con le corrispondenti caratteristiche del sistema politico: la prima fascia si abbina ad una democrazia fortemente maggioritaria, quella intermedia ad una prevalentemente consensuale, la terza ad una contraddittoria articolazione fra maggioritaria e consensuale. Va da sé che questo intreccio di classificazioni non deve essere inteso come un giudizio di merito delle singole specifiche situazioni, le quali presentano ovviamente non poche varianti ben più complesse e articolate, ma come un inquadramento in categorie ampie utile a meglio comprendere l’ineliminabile forte relazione tra forme di democrazie e quadro della disuguaglianza economica. In questo senso diventa non meno importante approfondire, in logica successione, il legame di tale relazione con la domanda di uguaglianza espressa dagli strati sociali più interessati e con la sua capacità storica di incidere e dare forma all’assetto democratico. E’ infatti evidente, anche solo guardando ai tempi più recenti, che la richiesta di uguaglianza è molto cambiata nel suo radicamento e nelle sue forme di manifestazione, anche grazie all’innegabile diffusione di un certo innegabile benessere avvenuta nel secondo dopoguerra. Una prima percezione, tutta da verificare e precisare, lascerebbe intendere una minore rilevanza del valore dell’uguaglianza (economica) anche se, sempre in linea generale, è altrettanto lecito presuppore una certa differenza fra paesi del Centro-Nord, quelli pervenuti per primi a diffusi livelli di benessere, e paesi del Sud europeo, storicamente più arretrati. Per entrare meglio nel merito sono opportuni alcuni chiarimenti preliminari su cosa si debba intendere per domanda (quando si esprime come orientamento collettivo) e sulle modalità con le quali essa si forma e si esprime. Anche in questo caso si è di fronte ad un tema non poco complesso non a caso quindi oggetto di specifiche analisi, Morlino e Raniolo si limitano qui a richiamare alcuni studi (in particolare quelli di Robert Dahl, 1915/2014, politologo statunitense) che hanno modellato il formarsi delle domande sociopolitiche, intese come atteggiamenti ed aspettative relative a specifici aspetti della realtà socioeconomica così come percepita, come un processo articolato su tre passaggi: macro – micro – macro. Il dato di partenza, macro iniziale, è quello di un situazione oggettiva che incide sulle condizioni di vita collettive, questa situazione viene vissuta e quindi interpretata da ogni singolo attore sociale, livello micro, questa interpretazione è a sua volta influenzata da alcuni soggetti/meccanismi – in particolare sistema dei partiti, regole del gioco democratico e istituzionale, organizzazioni sociali e istituzioni, reti sociali e famigliari – innescando così un meccanismo di aggregazione, ritorno al macro. Si è quindi di fronte ad un meccanismo complesso ed in così costante evoluzione da rendere molto instabili, specie sul medio/lungo periodo, le domande collettive che, nel caso specifico, fissano le priorità fra le tre principali dimensioni del contendere sociale: sicurezza, benessere, libertà. Non deve pertanto stupire che, proprio in relazione al mutare di questo intreccio macro-micro-macro, la loro domanda abbia un andamento altalenante, aspetto che si è di molto accentuato negli ultimi decenni a causa dell’influsso, non di rado distorsivo, dell’impressionante sviluppo delle comunicazioni di massa all’interno di una società sempre più complessa e frazionata. Appare comunque evidente, anche in questo caso, il peso della relazione con la democrazia, con le due molteplici forme e con il suo traballante stato di salute, sul formarsi e sull’esprimersi delle domande collettive, quella dell’uguaglianza ovviamente compresa. Non è comunque per nulla semplice in un quadro di questo tipo delineare con adeguata precisione l’attuale domanda diffusa di uguaglianza, può venire in soccorso, fornendo importanti dati empirici relativi al periodo 2017/2021, una indagine recentemente svolta dall’European Value Study (un indagine svolta in ambito accademico europeo che, a partire dal 1981 e oramai giunta alla settima edizione, periodicamente fornisce, sulla base di sondaggi scientificamente svolti e certificati, indicazioni su quello che gli europei pensano della vita, della famiglia, del lavoro, della religione, della politica e della società) che ha raccolto le opinioni, di un campione significativo in tutti paesi europei, sull’importanza del superamento delle disuguaglianze socioeconomiche collocandole in una scala i cui estremi erano costituiti da un lato da una opzione fortemente egualitaria (occorre realizzare la massima uguaglianza possibile) e dall’altro da una nettamente competitiva (l’intraprendenza e le doti individuali devono essere premiate). Sono emerse preziose indicazioni di sicuro collegabili alle precedenti analisi che ci dicono che all’estremo competitivo si trova la Svezia, seguita da Norvegia e Danimarca, ossia paesi a modello socialdemocratico con un basso livello di disuguaglianza, rendendo legittima l’ipotesi che in un consolidato contesto egualitario possa (ri)diventare fisiologica una propensione ad una certa accentuazione individualistica. Ma al contempo un identico atteggiamento emerge in due paesi come la Polonia e la Romania che presentano al contrario un accentuato livello di disuguaglianza, per di più accompagnato da evidenti spinte nazionalistiche e da tendenze illiberali. Un dato che invece, altra discordanza, non è così marcato negli altri paesi post-comunisti come l’Ungheria e la Bulgaria per nulla dissimili, anzi, da Polonia e Romania. Non meno eterogeneo è il gruppo dei paesi che esprimono un orientamento a favore della riduzione delle disuguaglianze, i cui valori più alti sono quelli di Spagna e Portogallo seguiti a discreta distanza da Francia, Grecia e Italia, con la Germania sostanzialmente allineata al valore medio delle preferenze. Un qualche aiuto per meglio comprendere è offerto da una seconda rilevazione relativa alla condivisione dell’opportunità dell’intervento dello Stato per la riduzione delle disuguaglianze. La Svezia anche in questo caso è al primo posto nel ritenere importante tale ruolo statale, un’indicazione all’apparenza opposta a quella precedente la cui unica spiegazione può consistere nel fatto che tale ruolo è storicamente dato per scontato, ma nuovamente ciò vale anche la Polonia, paese per il quale questa considerazione certo non vale. Altrettanto contraddittorio appare l’opinione raccolta nei paesi del Sud Europa (Italia in testa) che pur orientati verso la riduzione delle disuguaglianze non ritengono opportuno affidare questo compito allo Stato, forse perché, all’esatto opposto degli svedesi, storicamente disillusi sulla sua concreta volontà e capacità di incidere in tal senso. Come si può constatare si è di fronte ad una diversità di atteggiamenti di difficile decifrazione, ma che bene testimonia il vuoto ideologico lasciato dalla fine dell’universalistico idealismo egualitario di stampo ottocentesco e novecentesco. Eppure, altra contraddizione che richiederebbe specifici approfondimenti, un dato unifica tutto il ventaglio delle opinioni raccolte dall’indagine dell’European Value Study: al di là delle diverse declinazioni, la disuguaglianza economica è ritornata ad essere ovunque percepita, soprattutto dopo la crisi 2007/2008 e gli effetti lunghi della pandemia, un tema oggettivamente presente e cruciale. (è però sempre opportuno ricordare la variabilità delle priorità di domanda di libertà, sicurezza e uguaglianza di cui si è detto). Riprendendo il tema della relazione democrazia/disuguaglianza sembra comunque possibile sostenere che le diversità qui evidenziate siano in gran misura spiegabili proprio con la diversa percezione della solidità e dell’efficienza dei singoli sistemi democratici chiamati ad intervenire, al punto da rendere sostenibile l’idea che tale relazione si sia evoluta come un binomio tra disuguaglianza e insoddisfazione per la qualità democratica.
Nei
successivi tre Capitoli Morlino e Raniolo analizzano l’evoluzione del quadro politico
europeo per cogliere quali concreti percorsi, a sinistra e a destra, si siano
manifestati per spiegare, ovvero per intercettare, spesso strumentalmente,
questa insoddisfazione. Per quanto di sicuro interesse non sono stati qui
sintetizzati, per mantenere ferma l’attenzione sul tema centrale del saggio: la
relazione fra libertà/democrazia e uguaglianza/disuguaglianza
Nell’ultima parte del saggio Morlino e Raniolo prendono
in esame gli ostacoli che inevitabilmente intervengono a complicare le politiche
contro la disuguaglianza sia che mirino alla rimozione delle cause strutturali
che la determinano sia che puntino ad attutirne gli effetti. Nell’attuale fase
storica il primo ostacolo è sicuramente rappresentato dalla restrizione degli
spazi di manovra imposta dai vincoli della globalizzazione (peraltro la causa principale, nella
sua versione neoliberista, dell’impressionante aumento delle disuguaglianze
economiche). A lungo l’ideale dell’uguaglianza è stato
declinato in strategie politiche che guardavano al singolo contesto nazionale
accompagnate, con non minore enfasi, dalla visione utopica di un egualitarismo
universalistico (si
pensi alle varie Internazionali socialiste e comuniste), oggi,
nell’era
della globalizzazione realizzata, tale visione ha smesso di essere una scelta
volontaria per divenire un passaggio obbligato: le rigide
interdipendenze delle economie locali rendono oggettivamente impossibili soluzioni
a livello di singolo paese. Si aprono semmai spazi per politiche ugualitarie
quantomeno a livello di ampia area omogenea, ed in questo senso proprio la UE possiede i
giusti requisiti di partenza e le necessarie potenzialità. Una seria
volontà democratica a procedere in questa direzione dovrebbe però tradursi in
comuni politiche del reddito e della protezione sociale piuttosto che in
interventi di regolazione a monte delle logiche di mercato, al momento però stante
il tormentato percorso di costruzione comunitaria non sembra di cogliere
adeguate attenzione e tensione ideale in questa direzione. La dimensione
comunitaria potrebbe inoltre rappresentare un non meno importante aiuto per
affrontare il secondo
decisivo ostacolo rappresentato dal debito pubblico, dalla sua consistenza e
dalle sue attuali logiche. Come è noto il quadro europeo della
consistenza del debito pubblico varia moltissimo da paese a paese (si passa dal rapporto debito/pil del
172% della Grecia e del 141% dell’Italia al 66% della Germania e del 33% della
Svezia, dati 2022) anche se per tutti va registrato una
consistente impennata dovuta alla recessione del 2007/2008 ed alla emergenza
pandemica. Ma ben più dei numeri incidono lo stato di
salute, valutato sul lungo periodo, delle rispettive economie e la specifica
struttura del debito che, là dove
troppo aggravata dal peso degli interessi, accentua la rigidità della
situazione debitoria. Strettamente connesse al debito sono poi le famose tre “C” che
incrinano dall’interno la legittimità delle democrazia: clientelismo,
corruzione, criminalità organizzata, che presentano analoghe grandi
diversità tra un paese e l’altro (anche
in questo caso l’Italia non gode di certo una buona salute). In
un simile contesto non è certo facile immaginare politiche del reddito
concertate ed omogenee, ma la soluzione comunitaria resta l’unica via
percorribile per una efficace lotta alle disuguaglianze che, altro ostacolo di
non poco conto, non deve solo mediare le diversità fra paese e paese, ma anche
quelle, tecnicamente definite divergenze territoriali, che esistono fra loro
aree interne (ad
es. Nord e Sud Italia, ma anche Est e Ovest della Germania)
che, fra l’altro, molto incidono sulle scelte elettorali e sulle conseguenti
politiche di contrasto alle disuguaglianze. Il quadro degli ostacoli, qui
sintetizzato con riferimento solo a quelli più eclatanti, è così complesso ed
articolato da rappresentare oggettivamente un vincolo molto pesante, ma è pur vero
che, soprattutto nelle fasi di crisi ossia nelle congiunture storiche che di più si
prestano ad innescare cambiamenti, nelle pieghe dei meccanismi democratici,
così come abbiamo visto, sono presenti potenzialità adatte ad affrontare con
adeguata incisività l’attuale preoccupante livello delle disuguaglianze. Non
mancano analisi, riflessioni e proposte in tal senso, a formare un bagaglio di
idee attorno al quale (ri)costruire una nuova visione egualitaria adatta agli
attuali contesti economici e sociali. Morlino e Raniolo indicano in particolare
il prezioso lavoro di Adrian Atkinson (1944/2017, economista britannico
studioso della disuguaglianza e dell’economia del benessere, mentore dello
stesso Thomas Piketty e fondamentale punto di riferimento dell’italiano Forum
delle Disuguaglianze e Diversità di Fabrizio Barca)
che nel suo testo del 2015 “Disuguaglianza: che cosa si può fare” (Raffaello Cortina editore) sintetizza
le azioni
concrete che dovrebbero ispirare
tutte le democrazie nella irrimandabile lotta alle disuguaglianze basata sui
consolidati strumenti della leva fiscale e dell’estensione, quantitativa e
qualitativa del welfare. In questo stesso senso citano inoltre il lavoro di
Maurizio Franzini e Mario Pianta che nel loro saggio “Disuguaglianze: quante sono, come combatterle” (Laterza, 2016)
sintetizzano, riprendendo parte delle azioni concrete di Atkison, alcuni
passaggi altrettanto importanti:
1.
Riequilibrare i
rapporti capitale/lavoro
Ø
regolare e
ridimensionare la finanza
Ø
limitare le posizioni
di rendita
Ø
distribuire in modo
equo i benefici della tecnologia e gli aumenti di produttività
Ø
introdurre un salario
minimo e riconoscere un ruolo maggiore ai contratti di lavoro
2.
Contenere il
capitalismo oligarchico
Ø
controllare i
super-redditi
Ø
aumentare le imposte di
successione
3.
Contrastare
l’individualizzazione delle condizioni economiche
Ø
ridurre le
frammentazione dei contratti di lavoro
Ø
rafforzare l’istruzione
pubblica
4. Tornare ad efficaci politiche di redistribuzione
Ø
tassare in modo
appropriato la ricchezza a livello nazionale e internazionale
Ø
accrescere le
progressività delle imposte sul reddito delle persone fisiche
Ø
introdurre un reddito
minimo
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