martedì 17 settembre 2024

Intervento tenuto dal nostro socio Suriani Renzo al dibattito CGIL SPI del 14 Settembre 2024

 

Sintesi della relazione sul tema “Sanità” del dott. Renzo Suriani

al dibattito della CGIL SPI Lega 17 – Titolo Clima-Sanità-Pace

Devo ringraziare la compagna Irene Chiaudano segreteria della lega 17 della SPI CGIL di Avigliana e il compagno Felice Celestini per l’invito al dibattito organizzato oggi. Non è infatti così scontato che un medico con esperienza clinica, un ex primario ospedaliero, e quindi non un medico con cariche sindacali o politiche venga invitato dalla CGIL ad un dibattito sindacale sulla sanità pubblica. Penso che questa sia stata una scelta coraggiosa e quindi non vada sottovalutata come modello di apertura a nuove idee, a interpretazioni della realtà politica in forme non tradizionali giuste o sbagliate che queste siano. In realtà molti di Voi mi conoscono, conoscono il mio orientamento politico ancorato nell’ambito della sinistra ed Io conoscono molti dei presenti per cui dò per scontato che molte dei fatti che riguardano il progressivo deterioramento della sanità pubblica siano di comune conoscenza. Avrei poco da aggiungere al fatto che è necessario aderire alla richiesta di sottoscrivere il referendum per l’abolizione dell’autonomia differenziata regionale e che si debba sollecitare la massima partecipazione al voto affinché il referendum possa integralmente bocciare la riforma regionale in tutte le sue parti compreso il premierato. Il fatto sorprendente è il riconoscimento del progressivo decadere della sanità pubblica da parte di testate giornalistiche che appartengono politicamente ad un’area di orientamento liberale come, ad esempio, il Sole 24 ore. In questo quotidiano nell’articolo pubblicato il 24 luglio 2024 dal titolo “Scandalo liste di attesa, oltre un anno per esami e visite ed è una babele di dati” vengono citati questi dati:

Ø 810 ospedali pubblici chiusi negli ultimi 40 anni (-44,6%),

Ø 43.000 medici ed infermieri in meno negli ultimi 10 anni,

Ø 70% di posti letto tagliati dal 1975 (dai 10,6 posti letto ordinari ai 3,2 per 1000 abitanti nel 2021),

Ø 8,7 milioni di italiani che non possono usufruire del diritto alle cure,

Ø 43 milioni di euro tagliati negli ultimi 10 anni.”

Questo ed altri articoli pubblicati sullo stesso quotidiano e con un uguale profilo di allarme sul SSN hanno però un altro risvolto preoccupante che chiariscono subito la soluzione al problema nella visione liberale del SOLE 24 ore. In un articolo comparso sulla stessa testata il 2 giugno ’24 si legge “le pensioni schiacciano la spesa. Italia in coda per sanità e scuola”. Quindi in definitiva i pensionati sarebbero i veri responsabili del deficit sanitario pubblico e a pensare male, la decurtazione delle pensioni potrebbe essere un buon mezzo di bilanciamento economico. Ugualmente è allarmante l’articolo pubblicato sul quotidiano “La Stampa” del 26 luglio 2024 che riporta un’indagine eseguita dal sindacato dei medici ospedalieri ANAAO in Piemonte in cui viene riferito come il 91% dei dottori ospedalieri si sente abbandonato dalle istituzioni e l’81% è preoccupato per il futuro del servizio sanitario nazionale. Insomma il decadere del Servizio Sanitario Nazionale è un dato così evidente e incontrovertibile che anche alcuni esponenti dell’attuale governo denunciano perplessità sull’azione del governo. Tra questi ad esempio la vicepresidente del senato Licia Renzulli di Forza Italia, il governatore della regione Calabria e anche organi tecnici come l’Ufficio del Bilancio dello Stato. La situazione del Servizio Sanitario Italiano è centrale nelle politiche economiche nazionali non solo perché riguarda la salute di ciascuno di Noi, ma anche per il peso in termini assoluti del costo complessivo del Fondo Sanitario Nazionale ((FSN). Infatti la spesa sanitaria complessiva, pubblico e privato, ha totalizzato 176,2 miliardi nel 2023 rispetto ai 175,7 del 2022 come risulta dai dati dell’area studi di MEDIOBANCA. Se le risorse assegnate al SSN sono cresciute in termini assoluti, sono in realtà diminuite tenendo conto dell’inflazione come confermato dal Sole 24 ore da una analisi pubblicata in questa testata giornalistica il 7 aprile 2024. L’Italia in questo rapporto risulta per la sola spesa pubblica al di sotto della media OCSE con il 6,8% del PIL pro capite dietro Spagna (7,3%), Regno Unito (9,3%), Francia (10,3%), Germania (10,9). Il Piemonte risulta poi una regione povera rispetto a regioni come Lombardia, Emila Romagna e Veneto e quindi che più portare aiuto alle regioni del sud noi piemontesi dovremmo essere aiutati. Leggo sul quotidiano LA STAMPA un articolo pubblicato il 4 settembre in cui, secondo indiscrezioni, il governo sta apportando un aumento di 2/2,5 a favore del Servizio Sanitario Nazionale. Un tale aumento se da una parte testimonia la situazione al limite del collasso del SSN non più sostenibile in termini di popolarità delle scelte, lascia molte perplessità sulla sua reale fondatezza per cui anche Paolo Baroni responsabile dell’articolo si chiede “se si tratti solo di propaganda o no”. Molto meno pubblicizzati sono i conti della sanità privata come risulta dai dati forniti dagli studi di Area Medio Banca pubblicati il 5 giugno 2024.:

Ø Nel 2022 il 79% del valore complessivo della spesa sanitaria è determinato dalle strutture pubbliche e il 21% da quelle accreditate.

Ø Nel 2022 salvo il periodo emergenziale legato al COVID, il giro di affari dei maggiori operatori sanitari privati in Italia è stato in crescita con ricavi di 10,6 miliardi di euro e ha realizzato un + 2,7% sul 2021 e un 8,7% sul 2019.

Ø La ripresa è stata significativa con +22,3% sul 2019 per la diagnostica medica, +10% l’assistenza ospedaliera e +4,1% le residenze per gli anziani. La presenza di strutture private con conti in attivo è localizzata prevalentemente nelle regioni del Centro Nord e quindi per gli operatori privati l’autonomia differenziata esiste già da almeno cinque anni. Tra gli operatori privati si segnalano l’Humanitas di Rozzano in Lombardia e il San Raffaele di Roma e l’Istituto Don Calabria in provincia di Verona.

La sanità privata è quindi un ottimo investimento in termini economici non solo per gli operatori del settore come case farmaceutiche, laboratori di analisi, il settore industriale legato alla produzione di presidi sanitari come TAC, Ecografi, ecc., ma anche per gli operatori sanitari. Infatti le strutture private non potrebbero esistere senza l’assunzione e il lavoro di una buona parte di medici ed infermieri. Non solo. Vi è la seria preoccupazione che il settore privato abbia le potenzialità di attrarre ancora più risorse umane a fronte delle basse remunerazioni nel settore pubblico e la scarsità di personale medico. Quest’ultimo fatto è stato determinato dal blocco alla laurea in medicina effettuata con il numero chiuso all’accesso alla facoltà in atto negli ultimi 10 anni. Inutile dire che il fenomeno era ben prevedibile, così come il pensionamento massiccio dei medici di questi ultimi anni. Pensare male è peccato, ma in questo caso nulla mi trattiene dal dire che vi sia stata e perduri una perversa razionalità nell’affossare la sanità pubblica agendo semplicemente sull’incremento della domanda con la scarsità dell’offerta. Quindi l’aumento dei ricavi della sanità privata con un andamento previsto in crescita e un andamento nettamente in negativo per la sanità pubblica è un fenomeno presente da tempo ancor prima del decreto Calderoli pubblicato nel giugno 2024 con il titolo le “Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione ”. Inoltre nel Consiglio dei Ministri nella seduta del 2 febbraio 2023 il federalismo differenziato viene poi subordinato alla determinazione dei Livelli  Essenziali delle  Prestazioni (LEP). I LEP dovrebbero comprendere molteplici funzioni per le regioni che richiedano maggiori spazi di autonomia e quindi non solo i LEA che rappresentano i Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria, ma anche ciò che concerne istruzione, trasporto pubblico locale e assistenza sociale. La domanda legittima che quindi dobbiamo porci è: Quali sono le modifiche che l’autonomia differenziata comporta rispetto al già presente degrado del SSN? Prima di esaminare nel dettaglio le variazioni che il decreto Calderoli comporta, colpisce il fatto che di queste variazioni poco si conosce nella attuazione pratica perché non ci hanno fornito dati e già questo quindi è un fatto in sé negativo. Oltre a ciò nel decreto appare evidente una profonda mutazione di prospettiva. Se prima era permessa l’dea che chi possedeva maggiori risorse finanziarie potesse curarsi meglio, idea formulata in base alla realtà pragmatica dei fatti, io, singolo uomo ricco oppure io regione ricca, disponendo di maggiori risorse, comunque me la cavo, adesso con l’autonomia regionale quella che era ammessa solo come una possibilità, diventa un diritto acquisito per legge. Se fossi un uomo di legge, un costituzionalista non avrei dubbi nel giudicare il decreto come anti costituzionale, ma come medico posso esprimere un parere simile, ma ancora, se possibile, peggiore. Mi sento di dire che questa legge è disumana come le leggi razziali e le politiche contro l’immigrazione e quindi non è solo anti costituzionale. In effetti il principio di cure regolate dalla ricchezza è di per sé un concetto così aberrante che lo stesso legislatore sostiene come questo decreto sia eticamente e costituzionalmente ammissibile solo in base all’introduzione di misure di equità come i livelli essenziali di assistenza (LEA) e i livelli essenziali di prestazioni (LEP). In pratica ci si viene a dire che fatto salvo un livello di assistenza di base comune a tutti, chi vuole curarsi meglio in base a maggiori risorse ha il diritto, non solo la possibilità quindi di farlo. E’ inutile negare che questa un’idea possa risultare suggestiva e per molti versi attraente per i cittadini delle regioni più ricche. Supponendo che a tutti sia concessa un livello di assistenza accessibile (il pane quotidiano, LEA) nulla si può rimproverare a chi oltre il pane quotidiano mangi anche le brioches  ricordando la regina Maria Antonietta prima che le venisse tagliata la testa! A questa interpretazione si contrappone da parte delle forze politiche di opposizione e dei movimenti sindacali come la CGIL la visione della solidarietà e dell’aiuto alle regioni più disagiate sostenendo che i LEA e i LEP accentueranno le disparità di prestazioni sanitarie tra regioni e singoli individui. Come medico sostengo che questa interpretazione è corretta, ma poco adatta a definire nella loro essenza tutti gli aspetti negativi proposti dall’autonomia differenziata. Basare la critica e l’opposizione al decreto sui concetti di solidarietà e aiuto ai più deboli è probabilmente insufficiente a mobilitare l’opinione pubblica contro la riforma. Questa è con ogni evidenza una valutazione politica, ma la storia dei LEA è tuttavia complessa e andrebbe analizzata anche storicamente. Le prime idee sui LEA erano formulate all’inizio degli anni 90 e una prima formalizzazione è avvenuta nel 1999. La riforma costituzionale n.3/2001 con le modifiche al Titolo V introduceva a livello costituzionale la nozione dei Livelli Minimi di Prestazioni (LEP) e nello stesso anno venivano formulati gli indicatori per i LEA.  Questi indicatori come ad esempio l’occupazione dei posti letto, avevano l’intento di monitorizzare e armonizzare le prestazioni sanitarie. Infatti il D.P.C.M. del 12 gennaio del 2017 aveva introdotto nuovi servizi come nell’assistenza alla gravidanza, alle malattie rare o invalidanti, la vaccinazione gratuita per l’anti Papilloma virus ecc. Gli indicatori, 100, venivano poi suddivisi per classi e tipi di sottoclassi. Veniva anche approntata una grafica specifica denominata “rosone”, in pratica consisteva in una figura a cerchi concentrici di vario colore, in rosso i dati negativi, come fanno i bambini in quinta elementare. In base al punteggio esemplificato nel disegno, le regioni venivano classificate come adempienti o non adempienti. Il sistema degli indicatori e della classificazione ha poi seguito numerose variazioni nel tempo come nel 2020 con il Nuovo Sistema di Garanzia (NSG). Tuttavia questi sistemi di monitoraggio con alcune variazioni non fornivano né indicazioni sull’origine delle carenze e né i presupposti sul come fare per il loro superamento. Solo per la Calabria era stata individuata l’infiltrazione mafiosa. Il monitoraggio era solo una fotografia dello stato delle cose a livello regionale con risultati più o meno adeguati a seconda degli indicatori utilizzati. I piani di rientro (PdR) con il sistema di monitoraggio (STEM) introdotto nel 2010 prendevano in considerazione sostanzialmente l’obiettivo del pareggio di bilancio. In assenza di pareggio di bilancio le regioni erano sanzionate pesantemente con ad esempio il blocco automatico del turnover del personale. In buona sintesi l’dea iniziale di individuare carenze e attenuare le diseguaglianze tra regioni andava via via persa in ragione delle risorse economiche da preservare operando tagli lineari. Risorse economiche che il conflitto Russia-Ucraina ha fatto vedere come fossero per altro ben disponibili per armamenti. In sostanza i LEA non avevano o avevano poco a fare con la salute dei cittadini, ma erano un mero strumento di controllo della spesa sanitaria.Questo fatto è ben messo in risalto dall’Osservatorio dei Conti dei Conti Pubblici Italiani (CPI) con uno studio dell’università Cattolica del Sacro Cuore di Roma pubblicato il 31 marzo 2023 a firma di R. Arcano, I Maroccia e G. Turati di Roma. Questo studio rende conto dell’incoerenza nella definizione dei LEA che hanno necessitato per altro di revisioni di oltre 20 anni. Lo studio prendeva in considerazione i LEA dal 2012 al 2019. Se gli indicatori dei LEA fossero stati individuati con correttezza, ad un basso punteggio di indicatori in una regione, quindi scarsa qualità di prestazioni sanitarie, sarebbe dovuta corrispondere un tasso di migrazione in crescita verso regioni a punteggio più elevato e quindi con prestazioni sanitarie migliori. Questo non si è verificato. In Campania si osservava un aumento del tasso di migrazione di 1,49 punti a fronte di un miglioramento del punteggio dei LEA di 50 punti. Idem in modo inverso, per la Calabria con un tasso di emigrazione di 1,42 con un peggioramento del punteggio dei LEA di 8 punti. La conclusione di questi ricercatori è che la valutazione tecnica non collima con la valutazione della qualità dei servizi forniti dai cittadini. I cittadini, i pazienti intuiscono sulla loro pelle l’incoerenza dei dati e agiscono di conseguenza non badando alle statistiche governative. Un medico può raccontare ad un paziente un sacco di fandonie più o meno azzeccate, ma viene inevitabilmente un momento in cui la verità nuda e cruda emerge! Penso inoltre che l’analisi dovrebbe essere approfondita per cogliere alla radice il fallimento dei LEA come mezzo di tutela della salute pubblica. La salvaguardia della salute non deve essere intesa nel SSN come una “merce”  paragonabile ad altre merci disponibili sul mercato. I criteri da adottare per una sua valutazione sono diversi da quelli comunemente adottati per altre merci. Non è possibile comperare due etti di gorgonzola e mezzo di chilo di una ecografia anche se l’esempio è del tutto irriverente rispetto ai medici che operano in campo ecografico. Sicuramente in ambito assicurativo la salute è una merce, se mi taglio il pollice destro sul lavoro ho una valutazione del danno peggiore del taglio del pollice sinistro, ma questo concetto non è applicabile in questi termini alla salute pubblica. La salute se è una merce, è una merce con caratteristiche peculiari non sempre quantificabili secondo il prezzo di mercato per cui ad esempio più un prodotto è caro meglio funziona. Per chiarire meglio la proposta Calderoli penso sia utile paragonare i LEA e i LEP agli orologi da polso.  Esistono sul mercato orologi dal costo di poche decine di euro che svolgono egregiamente il loro compito che è quello di segnare l’ora esatta, esistono parallelamente orologi dal costo di migliaia di euro che assolvono ugualmente al loro compito di segnatempo. Se i LEP e i LEA fossero assimilabili agli orologi economici e svolgessero egregiamente al loro compito, non ci sarebbe nulla di male se ad alcuni facoltosi fosse garantito usufruire di oggetti appartenenti alla categoria del lusso. In sanità questa doppia opzione non è praticabile e in particolare l’opzione economicamente più onerosa, farmaci e terapie, può rivelarsi in molti casi nella pratica clinica o inefficace o addirittura dannosa. Qui di seguito riporto alcuni esempi a sostegno di questa tesi. In caso di infezione delle vie urinarie di eziologia batterica è buona prassi eseguire un antibiogramma sulle urine con l’urocultura per valutare la terapia batterica più efficace. Quindi somministrare a casaccio un antibiotico saltando quest’esame è dannoso anche se è praticamente possibile eliminare questo passaggio risparmiando un esame di laboratorio. In una data regione sarebbe quindi possibile ipotizzare che il LEA escluda l’urocultura dai criteri essenziali perché non indispensabile. Tuttavia una tale pratica è portatrice di guai sulla salute e anche economici. Infatti l’urocultura permette di stabilire come molte volte l’antibiotico più efficace non sia il più costoso ribadendo quindi il concetto che l’efficacia non è in funzione del costo. Inoltre un antibiotico di ultima generazione e quindi carissimo può causare resistenze se usato in modo inappropriato smentendo il pensiero che spendendo di più “guarisco prima e meglio”.

Alcuni farmaci sicuramente indispensabili come l’aspirina come antiinfiammatorio o ad esempio alcuni beta bloccanti indispensabili per l’alterazione del ritmo cardiaco o dell’ipertensione costano così poco che le ditte produttrici non ne garantiscono più la produzione oppure come per l’aspirina il principio attivo viene addizionato con vitamici altri composti non indispensabili per maggiorane il prezzo. Nuovamente a ribadire il concetto che il costo non ha un rapporto diretto all’efficacia. I reali di Inghilterra sono affetti da tumori di vario tipo come si può dedurre dalle notizie apparse su riveste e nei media. Non ho accesso alle cartelle cliniche di questi pazienti, ma sono sicuro che i protocolli oncologici impiegati sono simili se non del tutto uguali a quelli in adozione a Torino o a Milano. Non esistono pazienti con il sangue blu. Solo i risultati positivi derivati dall’impiego su un alto numero di pazienti garantisce la certezza della loro efficacia. I nobili quindi se vogliono salvarsi la pelle devono essere curati come le tute blu delle officine metalmeccaniche o come tutti quelli che vivono con il sudore della loro pelle. Nulla poi vieta che ai regnanti venga servita cena il brodo di tartaruga o il caviale ma i LEA del trattamento oncologico sono uguali e debbono essere necessariamente uguali per tutti. Veniamo poi ad esempi più vicini a noi tutti perché siamo una platea di persone oltre i cinquant’anni di età. Ebbene tutti noi siamo stati sottoposti allo screening del cancro del colon retto per la prevenzione del cancro intestinale. Ora pochi sanno, al di fuori della stretta cerchia del mondo sanitario, che la prevenzione è stata oggetto di un grosso dibattito in campo medico sulla strategia da adottare. Da un punto di vista strettamente teorico per una prevenzione efficace si sarebbe dovuto praticare a tutti i soggetti con età superiore ai 50 anni circa, la colonscopia per l’esame di tutto il colon un metro di intestino, centimetro più o centimetro meno. La colonscopia a miglia di pazienti avrebbe significato uno sforzo economico non sostenibile nel rapporto vita salvate e costi economici. Gli epidemiologi piemontesi dopo un ampio dibattito hanno optato per un approccio alternativo. Come voi tutti sapete siamo stati sottoposti o alla ricerca del sangue occulto nelle feci oppure al solo esame endoscopico degli ultimi 30 cm-40 cm. dell’intestino (la rettosigmodoscopia). Ebbene i risultati scientifici a distanza di anni hanno dimostrato la correttezza della scelta effettuata con riduzione della mortalità per cancro intestinale a fronte di costi di prevenzione accettabili. I medici quindi da molti anni e senza alcuna necessità di autonomia differenziata hanno preso in carico e tentato di adeguare i risultati clinici alle disponibilità economiche privilegiando la prevenzione della malattia alla sua cura. Ancora per i trapianti d’organo, cosa si farà con l’autonomia regionale differenziata? Ad un paziente nato in Piemonte verrà salvata la vita con il trapianto di fegato, mentre ad un cittadino calabrese no? L’idea mette ribrezzo al solo pensiero per cui questa possibilità non va neppure discussa. A fronte di questi esempi dovrebbe quindi risultare chiaro che i LEA e i LEP non hanno nessuna motivazione per essere accreditati con strumenti scientifici. Non esistono livelli di cure essenziali, ma esistono solo cure corrette o cure sbagliate. Tutta la comunità medica è da sempre impegnata a definire con percorsi diagnostici e terapeutici quali siano le cure più efficaci con la valutazione costo/beneficio. I LEA e i LEP non esistono e non devono esistere perché tutti noi medici dovremmo sempre attenerci alle linee guida indicate nei percorsi diagnostico terapeutici che le società scientifiche mediche di anno producono e rivedono. Chi tra i medici sostiene l’efficacia dei LEA o i LEP come mezzo di uguaglianza sanitaria non è un medico conservatore o di destra o un fascista è più semplicemente e soltanto un medico che pratica una cattiva medicina. Se la sanità non risponde alle caratteristiche di “merce” si deduce che il solo aumento delle risorse assegnate non risolve complessivamente il problema, ma si presenta solo come una pezza temporanea e inefficace nel tempo.  E’ inutile ampliare le corsie di una autostrada per diminuire il traffico automobilistico, ma bisognerebbe pensare con nuovi modelli organizzativi come diminuire il trasporto privato. Così bisognerà pensare a nuovi modelli di procedure per dare salute pubblica, ma questo risulterà impossibile senza rivoluzionare i modelli organizzativi e culturali della “classe” medica.

Infine l’annoso problema: Che fare?

La realtà è piuttosto semplice: se ciascuno di noi riuscisse a comunicare ad altri questo o altri esempi che la ricchezza non garantisce la salute e che in sanità il “si salvi chi può” non è efficace, il problema sarebbe risolto. Se si riuscisse a convincere almeno un altro individuo tra quelli che non si sono recati alle urne dell’assurdità e della pericolosità delle scelte governative, i politici incompetenti potrebbero essere mandati a casa! Siamo troppo anziani per poterlo fare? La risposta è sicuramente no stando ai moventi suscitati e condotti dalle Nonne contro la destra “Oma genen Rechts” in Germania che contano ormai oltre 30.000 persone con età media sui 70 anni. Questo movimento unisce la lotta contro il nazismo a quella della difesa per la democrazia e per il clima proprio come è stato fatto qui ad Avigliana oggi, con la felice intuizione di legare l’ambiente, la sanità e la pace in una discussione unitaria. Infine un’ultima considerazione gli ospedali di Rivoli, di Avigliana e di Giaveno non appartengono nè alla famiglia Agnelli nè a quelle di Berlusconi. Questi ospedali sono i nostri ospedali, appartengono a noi, riprendiamoceli!

Avigliana 14 settembre 2024

 

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