La Parola del mese
Una parola in grado di offrirci nuovi spunti di
riflessione
SETTEMBRE
2024
Come già altre volte la
Parola di questo mese, all’apparenza, non brilla certo per originalità e
complessità, eppure, come si cercherà di far comprendere in questo post, non di
meno offre interessanti spunti di riflessione. Soprattutto se posta in
relazione al filo conduttore del nostro prossimo programma 2024/2025:
uguaglianza/disuguaglianza. Il quale da qualunque ottica possa essere affrontato
sempre richiede di precisare “i soggetti” che ne sono coinvolti e che quindi lo animano. Questa Parola si
muove esattamente in questa direzione e lo fa, dal punto di vista
antropologico, ponendoli in contrasto con altri modi di definirli
PERSONA
persòna =
sostantivo femminile derivato dal latino, ma di probabile origine etrusca usato
per indicare una “maschera teatrale” per poi passare al
significato di “individuo di sesso non specificato”. Da qui il suo utilizzo odierno per indicare un “individuo
della specie umana senza distinzione di sesso, età, condizione sociale ed
etnia, considerato sia come soggetto a sé stante sia come membro di un gruppo o
di una comunità/collettività”. Nel linguaggio giuridico “persona” indica ogni soggetto
titolare di diritti e obblighi, in quello filosofico invece l’individuo umano in quanto soggetto che è ed esiste a
costituire una manifestazione singolare di quanto può considerarsi essenza
dell’uomo ed in quanto soggetto cosciente di attività variamente specificate
(razionale, etica, ecc.).
Per far meglio emergere la sua valenza
in relazione a quanto premesso si è dimostrato utile ed interessante il testo
di Carlo Capello (professore di discipline
demo-etno-antropologiche presso la Facoltà di Filosofia e Scienze
dell’Educazione dell’Università di Torino)
con titolo
che nel risvolto di copertina subito
inquadra il tema:
Che cos'è
l'antropologia della persona? È lo
studio etnografico e comparativo delle varie modalità con cui le diverse
società e culture pensano il soggetto e attribuiscono lo status di persona. Se, infatti, nella società
occidentale moderna l'idea di persona
corrisponde a quella di individuo, altre culture hanno elaborato visioni e
concezioni molto diverse, che è compito dell'antropologia descrivere e
interpretare in tutta la loro profondità, facendole dialogare tra loro e con la
concezione individualistica.
Come
si vedrà è proprio sulla corrispondenza o meno con quello di “individuo” che si snoda l’intera ricerca di
Capello sul significato di fondo del concetto di “persona”.
L’assunto
di partenza consiste nella considerazione che i modi in cui le diverse culture
rappresentano l’essere umano sintetizzano i criteri in base ai quali il singolo
viene riconosciuto come soggetto, ossia come persona
a pieno titolo. Universalmente
l’attestazione della condizione di persona
rappresenta infatti la premessa indispensabile del riconoscimento sociale.
Non a caso quindi secondo Francesco Remotti (1943,
antropologo italiano, a lungo Direttore del Dipartimento di Scienze
Antropologiche, Archeologiche e Storico-Territoriali dell’Università di Torino
e Presidente Centro Studi Africani) le concezioni culturali di
persona corrispondono ad autentici “modelli di umanità”
che si traducono in “modelli di …..” là dove
fissano descrizioni dell’uomo e del suo essere ed in “modelli per…..” là dove
prefigurano ideali che ispirano la sua stessa costruzione culturale, la sua
formazione. In questo modo la categoria culturale “persona”
acquista una evidente valenza ideologica e al contempo una portata sociologica. (Remotti aggiunge che da tale riconoscimento
emerge inoltre un valore aggiunto, un “qualcosa di
più” che va oltre la semplice attestazione di “umano”.
Non per nulla alcune culture distinguono chiaramente “essere
umano” e “persona” e riconoscono questo status solo ai soggetti che corrispondono
agli ideali locali). Se resta pur vero allora che il concetto
di persona possa essere stato declinato
in modi molto diversi nelle varie culture e nel corso della loro storia è
comunque possibile rintracciare alcuni aspetti presenti, seppure con diversa
importanza, in ognuna di esse:
Ø la componente “materiale” del corpo
Ø la dimensione spirituale, sia filosofica che religiosa
Ø il contesto sociale, ossia il sistema di relazioni
Ø la sfera dell’individualità, vale a dire i personali spazi
autonomi di manovra
La
disciplina dell’antropologia della persona
poggia esattamente sullo studio di questi distinti aspetti, sulle loro
combinazioni (fra
i tanti attuali studiosi citati da Capello compare anche il nome di Philippe Descola, antropologo francese, il suo
testo “Oltre natura e cultura” è stato il
nostro Saggio del mese di Giugno 2021) dal quale emerge con
evidenza una differenza fondamentale fra l’idea di persona
propria della cultura occidentale, a partire da quella europea, così come si è
conformata nel corso della sua storia, e quella sostanzialmente comune a tutte
le altre culture: la prima di fatto l’ha portata a coincidere con quella di “individuo”, il quarto aspetto, le seconde
privilegiano il peso del sistema delle relazioni sociali, il terzo aspetto,
fino a declinare in modo conseguentemente diverso anche i primi due aspetti. Si
parlerà quindi, in termini contrapposti, di concezione egocentrica ed
individualista, quella occidentale, e di concezione socio-centrica, quella di
base comune a tutte le altre. Il testo di Capello approfondisce proprio
l’origine e la valenza di questa contrapposizione (ancora
oggi lo snodo centrale del dibattito antropologico e filosofico attorno
all’idea di persona) e
lo fa ripercorrendo il dibattito che attorno ad essa ha interessato la ricerca
antropologica partendo dal testo ritenuto il suo esordio ufficiale: “Una categoria dello
spirito umano. la nozione di “persona”
e quella di “io”, saggio del 1938 di Marcel Mauss ((1872/1950, antropologo e sociologo francese,
il suo testo più famoso “Saggio sul dono” è ampiamente citato nel nostro
recente Saggio del mese di Agosto 2024 “Cybercapitalismo” di Emanuela Fornari).
Sono due le convinzioni
di partenza sulle quale Mauss costruisce la sua tesi:
Ø
come
tutte le categorie dello spirito anche quella di persona non
può essere considerata una idea innata e universale, ma è il frutto di un lungo percorso evoluzionistico che può aver quindi
conosciuto diverse definizioni
Ø
la
storia di questo percorso evoluzionistico è sintetizzabile in un percorso lineare di costante progresso in cui ogni stadio rappresenta comunque uno sviluppo rispetto
a quelli precedenti.
Una
analisi oggettiva della storia del concetto di persona,
se fondata su questi presupposti, non può non rilevare a suo avviso che esso ha
conosciuto nella cultura occidentale, a partire dalla sua Modernità, un salto
culturale che lo ha progressivamente differenziato in modo netto rispetto a
tutte le altre culture. Rispetto alle quali era già intervenuta una prima evidente
cesura con la cultura giuridica romana che formalizzava il soggetto umano come titolare di specifici
diritti, successivamente il cristianesimo, con la sua idea di anima
individuale, e la sua integrazione con
quella della filosofia classica greca di un uomo responsabilmente autonomo
nelle sue scelte di vita, hanno completato questo primo salto giungendo a
definire quella che ancora oggi è la nozione occidentale di persona, posta in capo al singolo individuo (la nozione di “io”),
vista come “soggetto
individuale razionale e morale”. Mauss certifica quindi la
correttezza della piena correlazione fra persona
e individuo, giudicandola il risultato di un lineare sviluppo storico e
ponendola, di fatto, su un più alto gradino evoluzionistico rispetto a tutte le
altre culture ferme alla cancellazione dell’io nella rete dei legami sociali e
comunitari. Il contributo di Mauss alla nascita ed allo sviluppo
dell’antropologia della persona
è indubbio, in particolare è rimasta fondamentale la sua idea che essa sia uno
specifico costrutto
culturale, ma fin da subito la sua così netta separazione fra “noi e gli altri”,
inevitabile conseguenza della sua tesi, è stata oggetto di letture critiche, che
in antropologia sono state costruite da diversi studiosi sulla base di numerose
ed approfondite ricerche su varie culture socio-centriche.
Carlo Capello ripercorre in questo senso i
lavori e le conseguenti specifiche tesi, che diversi antropologi hanno
effettuato e messo a punto nei decenni successivi al testo di Mauss. Si tratta
di considerazioni molto specialistiche qui non riprese nella loro interezza
specialistica perché troppo al di sopra del limitato obiettivo di questa Parola
del mese. Se ne recuperano solamente alcune a puro titolo esemplificativo
premettendo due significative perplessità, strettamente connesse al “noi e gli
altri”, preliminarmente emerse in tutte le ricerche e quindi giustamente
evidenziate dallo stesso Capello: da una parte il rischio che il dibattito possa
ridursi ad una sterile questione terminologica, termini come persona,
individuo, io, compaiono infatti, per quanto declinati diversamente, in tutte
le culture, e le loro differenze sono
spesso molto sottili, dall’altra, aspetto ancora più significativo, non è stato
così semplice, per gli stessi antropologi, spogliarsi della prospettiva
individualistica propria della cultura occidentale ormai così invasiva ed
afferrare nella loro piena valenza altre concezioni (un esempio paradigmatico è
quello della cultura del popolo Tallense nel Ghana settentrionale che
attribuisce ai coccodrilli di un lago ritenuto sacro lo status di persona).
Ciò premesso le ricerche sul campo hanno individuato in molte culture,
assimilabili nel loro essere “pre-logiche”,
l’esistenza consolidata di una idea di relazioni sociali così fortemente
connessa ai vari “ruoli” ricoperti nella
comunità in base alla quale la persona non
esiste se non nella misura in cui li esercita, li vive. In questo gioco di
relazioni, assimilabile ad una sorta di rappresentazione teatrale, la persona
è considerata un vero e proprio “personaggio”.
In alcune culture questo aspetto viene vieppiù accentuato dal riconoscere al
singolo soggetto lo status di persona solo a fronte di un pieno rispetto etico
della posizione, ruolo, ricoperta nel tessuto sociale.
Capello in questo quadro concede grande
attenzione alle tesi di Louis Dumont (1911/1998,
antropologo francese), che ha schematizzato, nell’ambito del
“noi e gli altri”, l’esistenza di due contrapposte grandi configurazioni di
idee-valori, di ideologie, all’interno delle quali va collocata il concetto di persona: quelle proprie delle società
tradizionali (ad
es. quella indiana con il suo sistema di caste a lungo studiata da Dumont)
che enfatizzano la società nel suo insieme anche a costo, là dove occorre, di
limitare lo spazio individuale, e quella moderna che al contrario valorizza
l’individuo a scapito della società. Quest’ultima si fonda, a suo avviso, sui due valori,
maturati nel corso della modernità occidentale, della libertà e dell’uguaglianza
che a loro volta presuppongono, per potersi esprimere compiutamente, proprio l’idea
di individuo, l’idea che ogni singolo uomo contenga in sé l’essenza
dell’umanità e abbia quindi, in quanto persona,
lo stesso valore di tutte le altre persone. A questo approccio
valoriale si affianca però, a suo avviso, una conseguenza inevitabile:
l’individuo così concepito, inevitabilmente diventa un’entità a sé stante, autonoma rispetto
agli atri soggetti, vive cioè nella società ma è da questa separato in quanto
vero depositario dei valori che la fondano. Dumont, allievo di Mauss, sviluppa quindi
l’idea del suo maestro portandola però alle sue ultime conseguenze: la concezione individualista
di persona, lungi dall’esprimere la vera natura
del soggetto umano e dall’essere il punto d’arrivo di una evoluzione culturale
e sociale, è in realtà in contrasto artificiale con l’intera storia
dell’umanità che fin dal suo nascere è sempre stata quella dell’uomo come
essere sociale. A maggior ragione resta rafforzata la convinzione, già espressa
da Mauss seppure con altri intendimenti, che l’idea di persona
come individuo esclusivo ed autonomo sia a tutti gli effetti il risultato di
una specifica costruzione ideologica. Lo sviluppo impresso da Dumont all’idea
originaria di Mauss accentua quindi la consapevolezza che la contrapposizione
fra le due tipologie ideali di persone, quella individuale e quella
socio-centrica/relazione, ha una sua evidente oggettività, ambedue hanno cioè una loro ragion d’essere
che non può non consistere che nei rispettivi retroterra culturali e ideologici.
Il binomio “noi e gli altri” continua ad ispirare l’antropologia della persona ancora per tutti gli ultimi
decenni del Novecento e conosce una ulteriore accentuazione nella ricerca dell’antropologa
Marylin Strathern (1941, antropologa
britannica) che, sulla base delle sue esperienze di
studio delle culture melanesiane (una
regione dell’Oceania), ha messo a fuoco un aspetto in questo
senso sicuramente significativo : il binomio individuo-dividuo (il concetto di dividuo è presente, però in
una accezione più sociologica, nel citato Saggio del mese di Agosto di Emanuela
Fornari). Con questo binomio la Strathern vuole indicare il fatto che nelle
società socio-centriche/relazione la definizione di persona
va sicuramente riferita ad ogni loro membro il quale però,
proprio perché inserito in un contesto relazionale che conforma l’intera sua
socialità, è a tutti gli effetti un dividuo, ossia un soggetto che contiene in
sé, nella sua individualità, una pluralità di parti costitutive che emergono in
modo distinto in relazione ad ogni specifica azione o relazione sociale. Emerge
inoltre un legame molto stretto fra l’essere un dividuo e la pratica rituale del
dono (attentamente
studiata dallo stesso Mauss, nel suo testo “Saggio
sul dono”, per la sua valenza di creare, attraverso di esso, relazioni
sociali finalizzate al superamento non violento di eventuali contrasti e
divisioni) vissuta come una autentica “separazione di una parte di sé”
vissuta gioiosamente proprio per la sua valenza di creare/cementare relazioni
sociali. Il lavoro sul campo di Marylin Strathern ha così avviato una riflessione,
che ha coinvolto diversi studiosi in campo antropologico e filosofico (in generale negli ultimi decenni si è
fatto intensa l’interrelazione fra queste due discipline) che
partendo proprio dalla sua distinzione fra individuo e dividuo è entrata nel
merito del ruolo del “mercato (capitalistico)” nella definizione stessa di persona.
Il binomio di opposti individuo/dividuo rappresenta infatti una sintesi
paradigmatica dell’opposizione fra la logica del mercato e quella del dono. Da
una parte sta l’individuo connesso alla visione “proprietarista”, propria della
modernità occidentale, radicalmente fondata sull’idea di proprietà privata, e
quindi di merce, che coinvolge corpi, ruoli e relazioni sociali a definire una persona così indipendente e separata
dagli altri da creare una netta opposizione concettuale tra individuo e
società. Dall’altra si muove un dividuo per il quale questa
opposizione non può presentarsi perché il suo intero sistema di relazioni
sociali, l’idea stessa di società, è così contenuta al suo stesso interno da
divenire il tratto fondativo del suo essere persona
così marcato da impedire la stessa idea di proprietà privata e di merce
sostituite dalla logica del dono ancora e sempre finalizzata alla relazione
sociale. In questo modo da una parte, nel mercato capitalistico, si muovono
individui “reificati”
ridotti cioè a merce per ottenere merci, dall’altra si trovano dividui che,
come soggetti plurali, guardano inversamente al dono come “cosa personificata”. Quest’ultima
riflessione attorno al concetto di persona
è stata inoltre colta e approfondita anche in campo filosofico da Max Horkeimer
(1895/1973)
Theodor Adorno (1903/1969)
ambedue filosofi e sociologi fra i membri più importanti della Scuola di Francoforte
(una scuola di pensatori di
chiaro orientamento neomarxista attiva soprattutto nei decenni fra due le due
guerre mondiali). La loro convinzione, espressa nel comune testo
“Dialettica
dell’Illuminismo”, consiste nel ritenere che questa componente
antropologica alla base dell’intero sistema economico e sociale capitalistico,
abbia inoltre conosciuto, già a partire dal Secolo dei Lumi, un ulteriore
sviluppo logico-razionale racchiuso in quella che è stata da loro definita la “ragione soggettiva”,
vale a dire l’idea che, nella persona reificata,
la stessa ragione, ridotta a mezzo utile ad agire nelle logiche di mercato, sia
stata così individualizzata, e
identificata come strumento di puro calcolo individuale, da rafforzare vieppiù
la separazione tra individui. E’ lo stesso Capello, a questo punto della sua
esplorazione antropologica e filosofica, a ritenere che con queste riflessioni
sia stato raggiunto il punto più alto della contrapposizione fra il concetto di
persona come puro individuo e quello di persona relazionale e
socio-centrica con il rischio, da molto studiosi condiviso, di
rendere insormontabile ed irrecuperabile la separazione tra “noi e gli altri”. Con
una ulteriore aggravante: se non era certo accettabile la visione eurocentrica
di Mauss e dei suoi eredi, non può rappresentare una corretta via di uscita il
ribaltamento del “noi e gli altri” nel suo opposto di “gli altri e noi” nel quale, paradossalmente, si rivela troppo
superficiale e povera la ricerca e
l’approfondimento del concetto occidentale di persona eccessivamente
schiacciato sulla sua identificazione con quello di individuo e con quello di soggetto irrigidito nelle, pur
evidenti, logiche di mercato. Si sono così via via affermate la preoccupazione
per un dibattito troppo specialistico e troppo schematizzato e la conseguente
esigenza di tentare di recuperare una visione più onnicomprensiva capace di
cogliere, nelle pur evidenti diversità, un percorso unitario. Un primo
importante contributo in questo senso è venuto dal lavoro di Clifford
Geertz (1926/2006,
antropologo americano), le cui tesi stanno positivamente
orientando il più recente dibattito antropologico, a cui va riconosciuto il
merito di aver delineato una chiave di lettura potenzialmente capace di
unificare (superando quindi il
“noi e gli altri” ed anche “gli altri e noi”) tutte le diverse concezioni di persona per quanto fra di loro così
marcatamente differenti. A suo avviso infatti in tutte emerge la comune
finalità ultima di fissare criteri utili a capire e definire cosa sia l’essere
umano e tutte, per farlo, ricorrono a “strutture simboliche” che puntano esattamente
a tale scopo. L’idea di persona
è al centro di esse per sintetizzare l’idea locale di umanità, di coscienza
individuale, di identità personale, di azione. Le differenze che emergono non
sono allora null’altro che la conseguenza inevitabile delle diversità culturali
e di percorso storico che stanno a monte di tali strutture simboliche a formare
un quadro in cui nessuna
può vantare una qualche supremazia. In questo solco si sta muovendo
la gran parte della attuale antropologia della persona
(fra i tanti studiosi
citati da Capello ancora emerge l’importante figura del “torinese” Francesco
Remotti) che sta mirando a costruire un quadro di un “continuum”,
di un unico percorso globale, lungo il quale le differenti rappresentazioni del concetto
di persona si sono disposte, e tutt’oggi si dispongono, in base ad una maggiore
o minore enfasi attribuita al principio dell’individualità piuttosto che a
quello della relazionalità sociale. Non di meno anche in campo
filosofico si sono affermate identiche sensibilità, l’esempio più significativo
viene, non casualmente, proprio da quello che viene considerato l’erede più
importante della Scuola di Francoforte: Jurgen Habermas (1929, filosofo e
sociologo tedesco), che nel suo saggio “Teoria dell’agire comunicativo”
evidenzia la necessità di distinguere fra la sfera del mercato e quella del
vivere comune, all’interno delle quali si possono cogliere diverse e
contrapposte idee di persona:
se nella sfera del mercato la logica del profitto produce innegabilmente la persona/individuo, isolato e mercificato, in quella del vivere
comune non sono meno evidenti esperienze e tradizioni che poggiano su
concezioni della persona/relazionale sentitamente universalistiche ed egualitarie, (in
questa stessa direzione si stanno, come anticipato, muovendo esplorazioni etnografiche
che guardano ad esperienze come l’adozione e l’affido, la donazione di organi,
il ruolo delle famiglie e delle parentele allargate, le comunità locali, i
movimenti di difesa dei beni comuni). Esistono quindi, così
afferma Capello nella conclusione di questo suo saggio, significative
convergenze tra le antropologie “native” delle culture antiche e la critica
filosofica all’individualismo moderno che, proprio attorno ad una più attenta e
completa declinazione del concetto di persona,
mirano a (ri)creare una più etica “partecipazione e comunicazione sociale”,
la nozione di persona, in altri termini, ci
ricorda che la vita umana è essenzialmente “convivenza” ossia interdipendenza
reciproca (ci piace ricordare
che esattamente su questo tema riflette il nostro ultimo “Saggio del mese” di
Agosto 2024 con titolo “La cultura della convivenza”).
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