Nel percorso ampio e
variegato che come “CircolarMente” stiamo conducendo, ponendo al centro un tema
non facilmente afferrabile nelle sue molteplici sfaccettature come quello dei
confini, il seminario di mercoledì col dottor Montorfano ha rappresentato, a mio
giudizio, una tappa importante, anche se ci ha condotto su sentieri alquanto
scivolosi.
sabato 24 ottobre 2015
Conferenza di Massimo Recalcati "La parola e la violenza"
Conferenza di Massimo Recalcati "La parola e la violenza"
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oppure
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sabato 17 ottobre 2015
Commenti a margine della conferenza tenuta da Laura Onofri
Mercoledì
sera, come primo appuntamento del Programma 2015/2016, CircolarMente ha
ospitato la dott.ssa Laura Onofri che è intervenuta su " Le radici sociali
e culturali della violenza sulle donne." Un tema scabroso e purtroppo di
grande attualità che è stato reso più lieve dalla presentazione di tutta una
serie di attività sostenute da una legislazione regionale avanzata sul
contrasto al fenomeno che però interviene quando la violenza, nelle sue varie
forme, è già stata agita. La relatrice ha parlato di tutele legali, di case
segrete, di centri antiviolenza, di nuove strutture interne alle forze
dell'ordine e agli ospedali più idonee ad affrontare la sofferenza delle donne
che hanno subito violenza. Inoltre, guardando al versante della prevenzione,
poiché la violenza trova quasi sempre la sua motivazione nel perdurare della
mentalità patriarcale, la dott.ssa Onofri ci ha parlato diffusamente delle
iniziative di SeNonOraQuando? rivolte prevalentemente alle scuole con cui si
intendono sostenere dei percorsi educativi orientati dalla cultura del rispetto e della
parità di genere
martedì 6 ottobre 2015
Utopia e distopia - Anticipazioni/indicazioni
Utopia/Distopia
Nel
programma di quest’anno, imperniato sul tema dei confini, “CircolarMente” ha
pensato di proporre un seminario su quel particolare e complesso confine che
separa e insieme unisce l’utopia con la distopia, ritenendolo del tutto coerente
con il proposito di porre al centro del discorso i nodi della contemporaneità.
Certo
ricordiamo che la parola “utopia”
entra nella storia del pensiero filosofico e letterario quando all’inizio del
500 Thomas More, riprendendo in termini fantastici il tema della Città Ideale
già tratteggiato da Platone nella sua “Repubblica”, dà alle stampe un piccolo
libro in cui, attraverso un paradigma narrativo destinato a fare scuola e imperniato
sul tema della scoperta casuale di un luogo altrimenti sconosciuto, crea la
rappresentazione di un’alterità totale rispetto al presente drammatico in cui
gli è toccato di vivere, segnato da una corruzione endemica e da un’insopportabile
ingiustizia sociale.
Certo
More è ben consapevole che la felice isola di Utopia non esiste in nessun
luogo, e in effetti è questo il significato del neologismo da lui stesso
coniato, formato dalle voci greche “où”
(non) e “tòpos” (luogo), ma fin
dall’inizio apparentato, per via di un gioco di parole, con l’omofono inglese “eutopia”, dove “eu” significa buono, eccellente: pur tuttavia, come umanista
erasminiano non può rinunciare alla speranza che sia possibile costruire,
attivando tutte le risorse della ragione, un mondo più equo ed armonioso.
Da
quel momento in poi, la parola “utopia” entrerà nel linguaggio comune, venendo
ad indicare non solo quei romanzi che adottano un meccanismo narrativo simile a
quello inventato da More (un luogo “altro”, nello spazio o nel tempo – anche se
in quest’ultimo caso si parlerà piuttosto di “ucronia”) ma più in generale ogni proposta politico-filosofica di un modello ideale di
convivenza umana.
Sull’utopia
graverà peraltro, fin dall’inizio, una doppiezza di significato, che renderà
questo termine, e il concetto che rappresenta, oggetto di controversia: per
alcuni infatti le utopie non rappresenteranno altro che delle chimere, dei
modelli ideali e astratti privi di sostanza quando non intrinsecamente
pericolosi, mentre altri ne apprezzeranno la forza critica rispetto
all’esistente e la capacità di orientare forme di rinnovamento sociale. Nello
stesso modo la storia dell’utopia non sarà una storia lineare: vedremo infatti
- come osserva Bronislaw Baczko, un importante storico dell’utopia -
un’alternanza di momenti caldi di creatività utopistica (pensiamo al tardo rinascimento, segnato non solo dal testo di More ma dalle
opere di Tommaso Campanella e di Francis Bacon, o al secolo dei Lumi, in cui
l’utopia da romanzo diventerà progetto di riforme che invaderanno i campi più
diversi o ancora alle produzioni utopistiche dei riformatori sociali di fine
ottocento), ma anche momenti “freddi” in cui l’utopia non sarà più in grado di
scaldare i cuori o verrà messa direttamente sotto accusa (come accadrà nella
seconda parte del novecento, segnata dalla delusione cocente rispetto alla
degenerazione degli ideali che avevano animato i grandi movimenti rivoluzionari
di inizio secolo, e ancora, più in generale, dalla presa d’atto di uno scarto sempre più
evidente fra il progresso scientifico e tecnologico e la capacità dell’uomo di
gestirlo eticamente).
Non
l’utopia dunque, ma gli scenari cupi ed angoscianti della distopia
contraddistingueranno la narrativa novecentesca a sfondo fantascientifico, sia
nell’accezione più precisa del termine che implica la descrizione di una
società immaginaria altamente indesiderabile o spaventosa (distopia significa
appunto “cattivo luogo”) in cui potremmo essere condotti a causa di alcune
tendenze già operanti nel presente, che nella forma di una vera e propria “antiutopia”, intesa a mascherare gli esiti
perversi di alcune delle utopie realizzate (pensiamo alle grandi distopie
antitotalitarie della prima metà del novecento, dal “Noi” di Zamjatin a “Il
mondo nuovo” di Uxley e soprattutto al celebre “1984” di Orwell…)
Eppure
sono in molti, oggi, a pensare che rinunciare del tutto all’utopia significa
appiattirsi sulla realtà, chiudere, come diceva Lewis Mumford quasi un secolo
fa, le risorse del nostro immaginario creativo e della speranza, cedendo a
quella sorta di disincantamento del mondo che ci blocca sul “qui e ora”,
permettendo alla politica di limitarsi ad un’azione di piccolo cabotaggio
mentre nuove e insidiose forme di dominazione crescono. E’ pur vero che in
questo nostro confuso presente non mancano certo individui, gruppi, movimenti
che non hanno smesso di attivarsi
politicamente nel presupposto che sia
possibile un destino diverso rispetto ad un presente doloroso, ma indubbiamente
non raggiungono una massa critica sufficiente per attuare quelle trasformazioni
che pure appaiono indispensabili, se solo guardiamo allo scarto fra le
aspettative di giustizia e l’esclusione sociale sempre più accentuata e in
generale all’estrema frantumabilità della condizione dell’uomo nel mondo
contemporaneo.
Può
essere dunque davvero opportuno, oggi, ripensare l’utopia come ad un indicatore
di direzione, declinandola certo in forme nuove rispetto al passato e tenendo
presente la lezione della distopia, che ci aiuta a porre attenzione alle derive
possibili dei nostri percorsi ideali.
E’
per questo motivo che la nostra associazione ha ritenuto di inserire il tema
dell’utopia fra le sue proposte di riflessione, coinvolgendo il filosofo
Gianluca Cuozzo che ha dedicato alcune opere molto interessanti alle utopie
moderne e postmoderne e alle loro controparti distopiche, assumendo come
oggetto privilegiato della sua riflessione proprio il ripensamento di una
società dei consumi che per una malintesa e oltretutto fallace illusione di
benessere produce una quantità ormai fuori misura di scarti materiali e umani.
Già noto al pubblico di “Circolarmente”, per cui ha tenuto lo scorso anno due
seminari molto coinvolgenti che hanno visto la partecipazione attenta di
parecchi studenti dell’Istituto Pascal di Giaveno, sarà nuovamente con noi a
Dicembre per una conversazione sul confine fra utopia e distopia, in cui
partirà dall’analisi di un romanzo distopico di Paul Auster (“Nel paese delle ultime cose”).
In
previsione di questo incontro, sono stati messi a punto alcuni materiali che
saranno inseriti nel blog dell’associazione, nella sezione dedicata ai documenti di studio, alla
voce “Filosofia/Psiche”: oltre ad appunti sparsi su utopia e distopia, si potranno
trovare le relazioni-riassuntive sui testi di Cuozzo più attinenti al tema
scelto ( “Filosofia delle cose ultime” e “A spasso fra i rifiuti”) oltre ad una
presentazione del romanzo di Paul Auster
domenica 4 ottobre 2015
A proposito di un articolo di Roberto Esposito sulla "democrazia malata"
Credo che molti di noi abbiano avuto modo di
leggere con la giusta attenzione un articolo a firma di Roberto Esposito,
filosofo di assoluto valore, comparso su “La Repubblica” di oggi, Domenica 4
Ottobre, in cui esamina lo stato di salute della democrazia. L’articolo
contiene ovviamente osservazioni acute ed illuminanti, visto il prestigio del suo autore, ma credo che, anche in
questo caso per molti di noi, abbia (ri)sollecitato una perplessità. Sappiamo infatti da
tempo che la “democrazia” è malata grave, ogni giorno il bollettino medico si aggiorna
di nuovi e gravi sintomi, mentre quelli più antichi non danno alcun segno di
miglioramento, anzi. Sono molti i medici che si affollano attorno al suo
capezzale, molti di questi sono dei veri luminari nel loro campo. Roberto
Esposito è sicuramente uno di questi, così come lo erano Ezio Mauro e Zigmunt
Bauman di cui abbiamo riportato in questo blog la loro diagnosi “Babel”. A noi,
poveri parenti, più o meno prossimi, della democrazia, che sempre più
preoccupati affolliamo l’anticamera del capezzale, piacerebbe però che tutti
questi medici, tutti questi luminari, così bravi nel formulare diagnosi, nel
confermare il grave stato di salute dell’ammalata, fossero altrettanto bravi
nel proporre cure e rimedi, chiari e prontamente applicabili. Sappiamo bene che
nella migliore delle ipotesi tali cure, quando finalmente individuate, saranno pesanti e costose, e che il decorso sarà lungo e di esito
incerto, ma vorremmo almeno poter leggere una qualche ricetta scritta con
parole comprensibili e non con la solita scrittura da “dottori”. Ci spaventa
poi il fatto che attorno al capezzale inizino a muoversi strane figure di
santoni guaritori, che propongono cure quanto meno “originali”; l’ultimo, tal
Yascha Mounk, di cui abbiamo letto il
rimedio proposto in un articolo/intervista proprio di fianco a quello della
diagnosi di Esposito, pensa di trapiantare nella democrazia, evidentemente
giudicandola più morta che viva, il dispositivo del “sorteggio” nella scelta
dei suoi rappresentanti. In attesa di conoscere i dettagli operativi del
sorteggio (bussolotti nell’urna? Pagliuzza più lunga? E chi fa il notaio?)
continuiamo sempre più preoccupati ad assistere a questa lenta agonia.
venerdì 2 ottobre 2015
La parola del mese - Ottobre 2015
LA PAROLA DEL MESE
A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni
egualitarismo
(anche ugualitarismo
e egalitarismo) s.
m. [dal fr. égalitarisme,
derivato di égalitaire –
Concezione politico-sociale di origine illuministica, ispiratrice dei movimenti
socialisti e in genere di ogni azione tendente a realizzare, accanto
all’uguaglianza di diritto, un’uguaglianza di fatto, fondata sull’equa
ripartizione dei beni e delle fortune tra tutti i membri di una società
organizzata (per es., mediante l’uguale remunerazione di tutte le forme di
lavoro, lo sfruttamento collettivo dei prodotti dell’attività economica, e
soprattutto mediante la proprietà comune della terra e dei mezzi di produzione).
In particolare egualitarismo salariale
(o remunerativo),
ogni proposta di politica sindacale tendente a ottenere un uguale trattamento
per tutti i lavoratori (di un’industria, di un settore, ecc.),
indipendentemente dalle mansioni svolte.
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