Utopia/Distopia
Nel
programma di quest’anno, imperniato sul tema dei confini, “CircolarMente” ha
pensato di proporre un seminario su quel particolare e complesso confine che
separa e insieme unisce l’utopia con la distopia, ritenendolo del tutto coerente
con il proposito di porre al centro del discorso i nodi della contemporaneità.
Certo
ricordiamo che la parola “utopia”
entra nella storia del pensiero filosofico e letterario quando all’inizio del
500 Thomas More, riprendendo in termini fantastici il tema della Città Ideale
già tratteggiato da Platone nella sua “Repubblica”, dà alle stampe un piccolo
libro in cui, attraverso un paradigma narrativo destinato a fare scuola e imperniato
sul tema della scoperta casuale di un luogo altrimenti sconosciuto, crea la
rappresentazione di un’alterità totale rispetto al presente drammatico in cui
gli è toccato di vivere, segnato da una corruzione endemica e da un’insopportabile
ingiustizia sociale.
Certo
More è ben consapevole che la felice isola di Utopia non esiste in nessun
luogo, e in effetti è questo il significato del neologismo da lui stesso
coniato, formato dalle voci greche “où”
(non) e “tòpos” (luogo), ma fin
dall’inizio apparentato, per via di un gioco di parole, con l’omofono inglese “eutopia”, dove “eu” significa buono, eccellente: pur tuttavia, come umanista
erasminiano non può rinunciare alla speranza che sia possibile costruire,
attivando tutte le risorse della ragione, un mondo più equo ed armonioso.
Da
quel momento in poi, la parola “utopia” entrerà nel linguaggio comune, venendo
ad indicare non solo quei romanzi che adottano un meccanismo narrativo simile a
quello inventato da More (un luogo “altro”, nello spazio o nel tempo – anche se
in quest’ultimo caso si parlerà piuttosto di “ucronia”) ma più in generale ogni proposta politico-filosofica di un modello ideale di
convivenza umana.
Sull’utopia
graverà peraltro, fin dall’inizio, una doppiezza di significato, che renderà
questo termine, e il concetto che rappresenta, oggetto di controversia: per
alcuni infatti le utopie non rappresenteranno altro che delle chimere, dei
modelli ideali e astratti privi di sostanza quando non intrinsecamente
pericolosi, mentre altri ne apprezzeranno la forza critica rispetto
all’esistente e la capacità di orientare forme di rinnovamento sociale. Nello
stesso modo la storia dell’utopia non sarà una storia lineare: vedremo infatti
- come osserva Bronislaw Baczko, un importante storico dell’utopia -
un’alternanza di momenti caldi di creatività utopistica (pensiamo al tardo rinascimento, segnato non solo dal testo di More ma dalle
opere di Tommaso Campanella e di Francis Bacon, o al secolo dei Lumi, in cui
l’utopia da romanzo diventerà progetto di riforme che invaderanno i campi più
diversi o ancora alle produzioni utopistiche dei riformatori sociali di fine
ottocento), ma anche momenti “freddi” in cui l’utopia non sarà più in grado di
scaldare i cuori o verrà messa direttamente sotto accusa (come accadrà nella
seconda parte del novecento, segnata dalla delusione cocente rispetto alla
degenerazione degli ideali che avevano animato i grandi movimenti rivoluzionari
di inizio secolo, e ancora, più in generale, dalla presa d’atto di uno scarto sempre più
evidente fra il progresso scientifico e tecnologico e la capacità dell’uomo di
gestirlo eticamente).
Non
l’utopia dunque, ma gli scenari cupi ed angoscianti della distopia
contraddistingueranno la narrativa novecentesca a sfondo fantascientifico, sia
nell’accezione più precisa del termine che implica la descrizione di una
società immaginaria altamente indesiderabile o spaventosa (distopia significa
appunto “cattivo luogo”) in cui potremmo essere condotti a causa di alcune
tendenze già operanti nel presente, che nella forma di una vera e propria “antiutopia”, intesa a mascherare gli esiti
perversi di alcune delle utopie realizzate (pensiamo alle grandi distopie
antitotalitarie della prima metà del novecento, dal “Noi” di Zamjatin a “Il
mondo nuovo” di Uxley e soprattutto al celebre “1984” di Orwell…)
Eppure
sono in molti, oggi, a pensare che rinunciare del tutto all’utopia significa
appiattirsi sulla realtà, chiudere, come diceva Lewis Mumford quasi un secolo
fa, le risorse del nostro immaginario creativo e della speranza, cedendo a
quella sorta di disincantamento del mondo che ci blocca sul “qui e ora”,
permettendo alla politica di limitarsi ad un’azione di piccolo cabotaggio
mentre nuove e insidiose forme di dominazione crescono. E’ pur vero che in
questo nostro confuso presente non mancano certo individui, gruppi, movimenti
che non hanno smesso di attivarsi
politicamente nel presupposto che sia
possibile un destino diverso rispetto ad un presente doloroso, ma indubbiamente
non raggiungono una massa critica sufficiente per attuare quelle trasformazioni
che pure appaiono indispensabili, se solo guardiamo allo scarto fra le
aspettative di giustizia e l’esclusione sociale sempre più accentuata e in
generale all’estrema frantumabilità della condizione dell’uomo nel mondo
contemporaneo.
Può
essere dunque davvero opportuno, oggi, ripensare l’utopia come ad un indicatore
di direzione, declinandola certo in forme nuove rispetto al passato e tenendo
presente la lezione della distopia, che ci aiuta a porre attenzione alle derive
possibili dei nostri percorsi ideali.
E’
per questo motivo che la nostra associazione ha ritenuto di inserire il tema
dell’utopia fra le sue proposte di riflessione, coinvolgendo il filosofo
Gianluca Cuozzo che ha dedicato alcune opere molto interessanti alle utopie
moderne e postmoderne e alle loro controparti distopiche, assumendo come
oggetto privilegiato della sua riflessione proprio il ripensamento di una
società dei consumi che per una malintesa e oltretutto fallace illusione di
benessere produce una quantità ormai fuori misura di scarti materiali e umani.
Già noto al pubblico di “Circolarmente”, per cui ha tenuto lo scorso anno due
seminari molto coinvolgenti che hanno visto la partecipazione attenta di
parecchi studenti dell’Istituto Pascal di Giaveno, sarà nuovamente con noi a
Dicembre per una conversazione sul confine fra utopia e distopia, in cui
partirà dall’analisi di un romanzo distopico di Paul Auster (“Nel paese delle ultime cose”).
In
previsione di questo incontro, sono stati messi a punto alcuni materiali che
saranno inseriti nel blog dell’associazione, nella sezione dedicata ai documenti di studio, alla
voce “Filosofia/Psiche”: oltre ad appunti sparsi su utopia e distopia, si potranno
trovare le relazioni-riassuntive sui testi di Cuozzo più attinenti al tema
scelto ( “Filosofia delle cose ultime” e “A spasso fra i rifiuti”) oltre ad una
presentazione del romanzo di Paul Auster
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