martedì 6 ottobre 2015

Utopia e distopia - Anticipazioni/indicazioni

Utopia/Distopia
Nel programma di quest’anno, imperniato sul tema dei confini, “CircolarMente” ha pensato di proporre un seminario su quel particolare e complesso confine che separa e insieme unisce l’utopia con la distopia, ritenendolo del tutto coerente con il proposito di porre al centro del discorso i nodi della contemporaneità.
Certo ricordiamo che la parola “utopia” entra nella storia del pensiero filosofico e letterario quando all’inizio del 500 Thomas More, riprendendo in termini fantastici il tema della Città Ideale già tratteggiato da Platone nella sua “Repubblica”, dà alle stampe un piccolo libro in cui, attraverso un paradigma narrativo destinato a fare scuola e imperniato sul tema della scoperta casuale di un luogo altrimenti sconosciuto, crea la rappresentazione di un’alterità totale rispetto al presente drammatico in cui gli è toccato di vivere, segnato da una corruzione endemica e da un’insopportabile ingiustizia sociale.
Certo More è ben consapevole che la felice isola di Utopia non esiste in nessun luogo, e in effetti è questo il significato del neologismo da lui stesso coniato, formato dalle voci greche “” (non) e “tòpos” (luogo), ma fin dall’inizio apparentato, per via di un gioco di parole, con l’omofono inglese “eutopia”, dove “eu” significa buono, eccellente: pur tuttavia, come umanista erasminiano non può rinunciare alla speranza che sia possibile costruire, attivando tutte le risorse della ragione, un mondo più equo ed armonioso.
Da quel momento in poi, la parola “utopia” entrerà nel linguaggio comune, venendo ad indicare non solo quei romanzi che adottano un meccanismo narrativo simile a quello inventato da More (un luogo “altro”, nello spazio o nel tempo – anche se in quest’ultimo caso si parlerà piuttosto di “ucronia”) ma più in generale ogni proposta  politico-filosofica di un modello ideale di convivenza umana.
Sull’utopia graverà peraltro, fin dall’inizio, una doppiezza di significato, che renderà questo termine, e il concetto che rappresenta, oggetto di controversia: per alcuni infatti le utopie non rappresenteranno altro che delle chimere, dei modelli ideali e astratti privi di sostanza quando non intrinsecamente pericolosi, mentre altri ne apprezzeranno la forza critica rispetto all’esistente e la capacità di orientare forme di rinnovamento sociale. Nello stesso modo la storia dell’utopia non sarà una storia lineare: vedremo infatti - come osserva Bronislaw Baczko, un importante storico dell’utopia - un’alternanza di momenti caldi di creatività utopistica (pensiamo al tardo rinascimento,  segnato non solo dal testo di More ma dalle opere di Tommaso Campanella e di Francis Bacon, o al secolo dei Lumi, in cui l’utopia da romanzo diventerà progetto di riforme che invaderanno i campi più diversi o ancora alle produzioni utopistiche dei riformatori sociali di fine ottocento), ma anche momenti “freddi” in cui l’utopia non sarà più in grado di scaldare i cuori o verrà messa direttamente sotto accusa (come accadrà nella seconda parte del novecento, segnata dalla delusione cocente rispetto alla degenerazione degli ideali che avevano animato i grandi movimenti rivoluzionari di inizio secolo, e ancora, più in generale, dalla  presa d’atto di uno scarto sempre più evidente fra il progresso scientifico e tecnologico e la capacità dell’uomo di gestirlo eticamente). 
Non l’utopia dunque, ma gli scenari cupi ed angoscianti della distopia contraddistingueranno la narrativa novecentesca a sfondo fantascientifico, sia nell’accezione più precisa del termine che implica la descrizione di una società immaginaria altamente indesiderabile o spaventosa (distopia significa appunto “cattivo luogo”) in cui  potremmo essere condotti a causa di alcune tendenze già operanti nel presente, che nella forma di una vera e propria  “antiutopia”, intesa a mascherare gli esiti perversi di alcune delle utopie realizzate (pensiamo alle grandi distopie antitotalitarie della prima metà del novecento, dal “Noi” di Zamjatin a “Il mondo nuovo” di Uxley e soprattutto al celebre “1984” di Orwell…)
Eppure sono in molti, oggi, a pensare che rinunciare del tutto all’utopia significa appiattirsi sulla realtà, chiudere, come diceva Lewis Mumford quasi un secolo fa, le risorse del nostro immaginario creativo e della speranza, cedendo a quella sorta di disincantamento del mondo che ci blocca sul “qui e ora”, permettendo alla politica di limitarsi ad un’azione di piccolo cabotaggio mentre nuove e insidiose forme di dominazione crescono. E’ pur vero che in questo nostro confuso presente non mancano certo individui, gruppi, movimenti che non hanno smesso di  attivarsi politicamente nel presupposto  che sia possibile un destino diverso rispetto ad un presente doloroso, ma indubbiamente non raggiungono una massa critica sufficiente per attuare quelle trasformazioni che pure appaiono indispensabili, se solo guardiamo allo scarto fra le aspettative di giustizia e l’esclusione sociale sempre più accentuata e in generale all’estrema frantumabilità della condizione dell’uomo nel mondo contemporaneo.
Può essere dunque davvero opportuno, oggi, ripensare l’utopia come ad un indicatore di direzione, declinandola certo in forme nuove rispetto al passato e tenendo presente la lezione della distopia, che ci aiuta a porre attenzione alle derive possibili dei nostri percorsi ideali.
E’ per questo motivo che la nostra associazione ha ritenuto di inserire il tema dell’utopia fra le sue proposte di riflessione, coinvolgendo il filosofo Gianluca Cuozzo che ha dedicato alcune opere molto interessanti alle utopie moderne e postmoderne e alle loro controparti distopiche, assumendo come oggetto privilegiato della sua riflessione proprio il ripensamento di una società dei consumi che per una malintesa e oltretutto fallace illusione di benessere produce una quantità ormai fuori misura di scarti materiali e umani. Già noto al pubblico di “Circolarmente”, per cui ha tenuto lo scorso anno due seminari molto coinvolgenti che hanno visto la partecipazione attenta di parecchi studenti dell’Istituto Pascal di Giaveno, sarà nuovamente con noi a Dicembre per una conversazione sul confine fra utopia e distopia, in cui partirà dall’analisi di un romanzo distopico di Paul Auster (“Nel paese delle ultime cose”).
In previsione di questo incontro, sono stati messi a punto alcuni materiali che saranno inseriti nel blog dell’associazione, nella  sezione dedicata ai documenti di studio, alla voce “Filosofia/Psiche”: oltre ad appunti sparsi su utopia e distopia, si potranno trovare le relazioni-riassuntive sui testi di Cuozzo più attinenti al tema scelto ( “Filosofia delle cose ultime” e “A spasso fra i rifiuti”) oltre ad una presentazione del romanzo di Paul Auster  

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