sabato 24 ottobre 2015

Commenti a margine del seminario tenuto da Emanuele Montorfano


Nel percorso ampio e variegato che come “CircolarMente” stiamo conducendo, ponendo al centro un tema non facilmente afferrabile nelle sue molteplici sfaccettature come quello dei confini, il seminario di mercoledì col dottor Montorfano ha rappresentato, a mio giudizio, una tappa importante, anche se ci ha condotto su sentieri alquanto scivolosi.

Non poteva del resto che essere così, data la difficoltà dell’oggetto in questione (il confine fra maschile e femminile, fra violenza ed eros) e la prospettiva psicanalitica da cui veniva ad essere osservato: perché se è vero che siamo esseri abitati dal linguaggio, e che il linguaggio, secondo la lezione di Lacan, non è solo un medium fra la nostra soggettività e quella degli altri con cui ci rapportiamo ma è anche qualcosa che ci sovrasta, che non afferra totalmente la cosa e il cui significato pertanto non è mai univoco, il gioco fra i significati che noi attribuiamo alle parole che pronunciamo e le potenzialità di significare che esse assumono nel discorso è sempre complesso e non privo di ambiguità.
Eppure è proprio dentro queste strettoie, queste mancanze originarie e costitutive che stiamo nel mondo come esseri parlanti, e se ho ben colto il senso del discorso del nostro relatore, è solo riconoscendole ed accettandole che possiamo attingere, nella relazione con l’altro, a quello che ci è dato come possibile. Il cardine di una relazione non mortifera sta appunto, secondo la prospettiva psicanalitica di cui il relatore si è fatto interprete e i cui passaggi sono stati esplicitati con molta cura, nel mantenere la separazione, non chiedendo all’altro di corrispondere ad un nostro riflesso, non racchiudendolo nei nostri significati, non pensando di ridurre ad unità, come nel suggestivo mito platonico, la nostra costitutiva differenza che ci chiede invece di vedere nell’altro non il nostro complemento, bensì il nostro confine, il nostro bordo: mantenendo peraltro aperti verso la relazione quel desiderio che è forza propulsiva e vitale e quella domanda generatrice di movimento che non si chiude in risposte, ma riconosce l’altro come destinatario attribuendogli lo statuto di interlocutore.
Non è cosa facile – chiunque di noi può averne avuta personale esperienza, e del resto la relazione è il luogo dove siamo davvero messi alla prova, dovendoci confrontare con “l’impossibile” di un rapporto che possiamo immaginare, secondo il nostro relatore, come una sorta di ponte che ci conduce verso l’altro ma che non può mai essere completamente varcato senza mettere a rischio la relazione stessa, annullando quella distanza fra noi e l’altro che ne è il respiro vitale. Una prova che non sempre riusciamo a reggere, facendo entrare così nel rapporto quella violenza in cui il maschile e il femminile, nell’interpretazione offerta da Montorfano, sono marcati entrambi non tanto dalla diversa biologia ma piuttosto dalle rappresentazioni che ci facciamo del nostro essere sessuati, dalla nominazione che ne diamo. Segnata, la prima, da una presenza che può essere tentata di “acchiappare” le cose, e così muovendosi soffocarle e distruggerle (come fanno, armati dei loro saperi disciplinari, i due protagonisti del romanzo di Flaubert, Bouvard e Pecuchet, che inesorabilmente cercano di calarli su di un mondo reso oggetto senza rendersi conto dell’assurdità della loro impresa), la seconda da una sorta di assenza che può portare ad eccepire, negando all’altro il suo valore, la sua verità, come fa più o meno consapevolmente uno dei personaggi femminili che assistono un morente in una novella di Alice Munro (“Certe donne”, tratto dalla raccolta “Troppa felicità” - inseriamo qui in limk di collegamento che consente di ascoltarne la lettura: clicca qui "Certe donne" di Alice Munro) che il prof. Montorfano ha citato, arricchendo con questi riferimenti narrativi il suo discorso.
Una posizione concettuale, questa di cui il relatore si è fatto potatore, su cui si potevano porre obiezioni importanti – e in effetti ci sono stati alcuni interventi significativi, senza peraltro che un vero dibattito abbia potuto avviarsi perché il tempo stabilito per il seminario era già stato ampiamente superato. Questo in effetti è stato l’unico “neo” di un incontro a mio giudizio molto interessante in cui peraltro la preoccupazione del relatore di evidenziare in modo esaustivo e corretto tutti i passaggi concettuali - segno certamente di rispetto verso i suoi interlocutori - ha rallentato la messa a fuoco del tema principale e la possibilità per i partecipanti di usufruire al meglio della sua attitudine a misurarsi davvero con i pensieri degli altri – a pensare con, piuttosto che a pensare su – che avevamo già altre volte avuto modo di apprezzare nel suo modo di porgersi.
Quanto all’impostazione generale di questo seminario, personalmente sono persuasa che l’approccio psicanalitico, quando non cede alla tentazione di afferrare il mondo interno alla stessa stregua dei personaggi su cui abbiamo avuto modo di sorridere, quando non rende assolute le sue proposizioni, possa davvero concorrere al pari dell’arte e della letteratura a renderci meno estranei a noi stessi e ad abitare non solo il mondo interno, ma anche il mondo esterno con maggiore consapevolezza. Il simbolico a cui esso fa spesso riferimento, non sta secondo me fuori dal mondo della ragione: mythos e logos non sono momenti successivi dell’approccio umano alla realtà, non stanno l’uno nell’infanzia dell’umanità, destinato a lasciare il passo all’altro nella sua età adulta, ma stanno dentro alla ragione stessa in una complementarità feconda.
Per quanto riguarda invece i contenuti specifici del discorso del prof. Montorfano, il valore di verità che possiamo avervi riscontrato può essere diverso per ognuno di noi, e non mi pare il caso di aprire qui una discussione su di essi.
Segnalo nondimeno una mancanza non tanto in questo seminario ma nel complesso dei due incontri (ci sono anche domande che vorrebbero legittimamente delle risposte!), perché la violenza di genere ha anche delle cause sociali e culturali su cui non si può sorvolare, e che non hanno trovato un posto sufficiente nell’intervento pur appassionato e interessante della dottoressa Onofri a cui era in parte demandato. Rimandiamo pertanto alla lettura dell’intervista di Montorfano a Lebrun, inserita nella documentazione, che apre alcune piste di riflessione importanti, riservandoci come Circolarmente di pubblicare nel nostro blog i contributi che altri possono offrirci, consentendoci di rendere davvero “circolare” questo nostro percorso associativo.

3 commenti:

  1. Premessa 1 = Ho apprezzato relatore e relazione: pur nella sua non voluta incompiutezza. Premessa 2 = vorrei stare nei limiti di spazio del commento, troppo da dire, tanto vale limitarmi qui ad elencare perplessità e disaccordi. Ci sarà modo di ridire. A)- il discorso psicanalitico è un percorso ad salendum costruito su affermazioni concatenate che richiedono singolarmente una “fideistica” accettazione, se, come in questo caso, alcuni passaggi non suonano convincenti, cosa resta del percorso? B)- contestualizzazione? Si è parlato in termini assoluti di relazione, di maschile e femminile, o del loro manifestarsi nella cultura occidentale, ammesso che ne esista una sola? Difficile aderire alla prima ipotesi, se vale la seconda quali sono i fattori specifici che l’hanno evoluzionisticamente determinata? Tentare di individuarli aiuterebbe non poco C)- la relazione è basata su differenza e domanda, occorre accettare l’inevitabilità della separazione, di un ponte non varcabile. Come farlo se quella che appare è una fisiologica e insopprimibile tendenza all’unità (non è forse alla base dello stesso istinto religioso?). Non è allora meglio capire ed intervenire sulla propensione a muovere verso la “mia” concezione di unità, il che rimanderebbe al discorso dei ruoli e dei modelli culturali, e dei collegati percorsi individuali, che la costruiscono? D)- “io non sono un corpo, io ho un corpo”, citazione testuale del relatore. Prevale quindi ancora questa insostenibile separazione tra corpo/sensi/fisiologia e mente/spirito/anima? Con questa seconda nel ruolo di “padrona” del primo? Gli straordinari progressi delle neuroscienza pare che dimostrino, sempre più e meglio, l’impossibilità di tale radicale separazione fra corpo e mente: noi siamo “corpo-mente”. Una sfida che la psicanalisi dovrebbe iniziare ad accettare E)- E’ possibile che tale affermazione fosse dialetticamente utile a staccare dalla semplice diversità fisiologica la differenza, giocata fra “presenza” ed “assenza”, fra maschile e femminile nel definire l’essenza della relazione, Bastano però Bouvard - Pecuchet e la Munro a sostenerlo? Maschile e femminile paiono costruzioni evoluzionistiche molto più complesse. F)- Linguaggio e desiderio: tema infinito, mi fermo sulla soglia constatando che questa dote umana, alla base della perniciosa (suicida?) antropomorfizzazione dell’intera Terra, è ben vituperata dai suoi stessi fruitori. Forse il desiderio vive del suo. E poi: ha senso che sia un discorso basato sul linguaggio a “parlare criticamente” del linguaggio? G)- Si è chiuso, il tempo è stato tiranno, non sviluppando a fondo la “formula”: S1, che vale S spezzato, - S2, che vale A per rappresentare simbolicamente la dialettica maschile-femminile, una dialettica comunque già problematica del suo (presenza-assenza), provo a completare per intuito il discorso interrotto: basta la caduta di “questa” dialettica a spiegare l’insorgere della violenza nella relazione?

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  2. Il ragionamento del prof. Montorfano ci ha condotto nel seminario ad interpretare la violenza dell’uomo e della donna in una forma diversa, anche se entrambe le modalità trarrebbero origine dalla incapacità di accettare la distanza che inevitabilmente caratterizza ogni relazione.
    Avvalendosi di esempi letterari, sostiene che l’uomo è animato dall’idea di poter conoscere in forma definitiva il senso delle cose, mentre la donna è animata da un approccio caratterizzato dalla tendenza ad eccepire. Entrambe le disposizioni si possono radicalizzare, anche in maniera violenta, nella forma di chi, al maschile, pretende di incasellare ogni aspetto della realtà mettendo la donna “al suo posto” o di chi, al femminile, pretende di conoscere il partner meglio di se stesso, fino ad arrivare alla pratica della derisione.
    Forse, per deformazione professionale, mi viene in mente una delle prime scene della storia della filosofia testimoniata da Platone nel Teeteto e reinterpretata dalla Cavarero in “Nonostante Platone”.
    Nel testo platonico si racconta che una giovane serva proveniente dalla Tracia abbia riso del grande Talete, che preso dalla contemplazione del cielo, era caduto in un pozzo. La giovane donna reagisce alla sua condizione di emarginazione, tipica della misoginia del mondo greco, aggravata dalla condizione servile, nonché dalla provenienza da una terra considerata barbara e al contempo magica, ridendo del grande sapiente che inciampa. A distanza di millenni le donne continuerebbero a eccepire nella loro eccentricità rispetto al modello maschile e a deridere.
    La domanda che mi pongo e che dovremmo trovare il modo di riprendere, è se sia ancora così o se la donna nel mondo occidentale abbia oggi guadagnato un'altra collocazione e nel contempo il diritto dovere di fornire altre risposte. Certamente il sapere avrà sempre bisogno della funzione dell’eccepire, e della lievità del riso senza che questo ruolo sia confinato solo all’elemento femminile.

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  3. Dopo le due conferenze di Onofri e di Montorfano mi sono occorsi alcuni giorni per riflettere.
    Premesso che il tema scelto, così complesso, avrebbe bisogno di ulteriore tempo per essere approfondito e non bastano due incontri, ma ambedue mi sono sembrate incomplete relativamente alle mie aspettative. Nella prima sono state trattate solo di sfuggita le cause sociali e individuali che compongono la violenza, anche se è stato illustrato quanto le associazioni come "Se non ora quando" e la politica sul nostro territorio stanno mettendo in pratica per aiutare le donne nei momenti di difficoltà. Mi aspettavo perciò che, nel seminario di Montorfano, fossero affrontati i temi che inducono la violenza sia maschile che femminile.
    Forse non sono stata in grado io di capire fino in fondo quanto il dr. Montorfano presentava
    anche perchè mi sono persa...molto spesso. Nel seminario ed anche nella conferenza di Recalcati ho avuto l'impressione che si fossero aperte alcune finestre che mi facevano intravvedere i problemi che sono tanti, ma poi tutto finiva lì. Per entrare nel merito occorrerebbe avere altri incontri per conoscere anche punti di vista differenti con psicoanaliste donne o filosofe o avere una bibliografia più aggiornata che ci aiuti a diradare la nebbia da cui io, in prima persona, sono avvolta.

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