La
sfida dell’ambiente all’economia:
quanta
natura consumiamo per vivere?
Conferenza
tenuta dal Prof. Marco Bagliani
Dipartimento
di Economia e Statistica “Cognetti de Martiis”, Università di Torino
Sintesi
A partire dagli ultimi decenni del secolo
scorso sono sicuramente aumentate attenzione e sensibilità verso le tematiche
ambientali. Alcuni importanti risultati, soprattutto nei paesi europei, si sono
così resi possibili. Ma la gravità di diversi impatti delle attività umane in
generale, e di quelle economiche/produttive in particolare, resta purtroppo
ancora molto pesante e richiede, in tempi brevi e certi, una svolta
significativa e reale. Appare evidente che quei livelli di attenzione e sensibilità
non sono al momento adeguati alla sfida che il degrado ambientale pone
all’intera umanità. Per andare oltre e costruire un consenso ed una adesione
convinta non servono però generici richiami ideologici, ma la creazione di una coscienza
collettiva, forte e diffusa su scala mondiale. Un obiettivo che può essere
conseguito unicamente partendo dalla conoscenza, la più precisa e condivisa
possibile, del reale stato delle cose. Conoscere i dati scientifici del degrado
ambientale, gli scenari che si stanno delineando, le ragioni oggettive che li
hanno creati, è il primo fondamentale passo per capire le correzioni da
apportare e per superare i tanti ritardi e gli inevitabili contrasti, spesso
determinati da persistenti logiche di profitto economico.
La relazione del Prof. Bagliani ha preso le
mosse da questo invito alla conoscenza, motore di una svolta reale, per
proporre una disamina delle problematiche da affrontare.
Cosa sta succedendo?
Quanto impattano
sull’ambiente i nostri sistemi socio-economici?
Il primo dato essenziale da conoscere è
quello del livello “accertato” di degrado ambientale. Gli scienziati che
operano sul campo hanno definito 9
aspetti fondamentali del “Sistema Terra” e i limiti biofisici ad
essi correlati, i cui sforamento può determinare cambiamenti irreparabili per
l’equilibrio ambientale. Il seguente grafico presentato nell’ambito della
conferenza, li riassume evidenziandoli con diversi colori in base al livello di
degrado raggiunto: grigio per quelli ancora da misurare, verde per quelli a
basso rischio, giallo per quelli già a livello pericoloso ma ancora gestibili,
rosso per quelli in pieno allarme:
Sono in colore rosso:
·
la biodiversità (genetic
diversity con
un collegato aspetto in fase di avvio di studio, e quindi grigio, functional diversity) = stanno con ritmo progressivo
scomparendo specie animali e vegetali, creando non solo un deficit di patrimonio
naturale ma soprattutto sfalsando la catena alimentare, con conseguenti gravi
rischi di sostenibilità complessiva dell’eco-sistema
·
il ciclo dell’azoto e del
fosforo (biochemical flows) = gli
scarichi industriali e più ancora l’agricoltura intensiva (fertilizzanti) hanno
immesso nei terreni massicce quantità di
azoto e fosforo che hanno contaminato, in modo ormai grave, terre e mari
sono in colore giallo:
·
il
cambiamento climatico (climate change) =
l’innalzamento della temperatura globale del pianeta dovuto all’impressionante
crescita dei livelli di CO2 e di gas metano nell’atmosfera è dato accertato ed
i suoi effetti sono quelli più percepiti dall’opinione pubblica
·
l’utilizzo
del suolo (land-system chamge) =
l’azione umana è ormai presente sulla maggior parte del terreno produttivo, ci
stiamo avvicinando al limite degli spazi utilizzabili
sono in colore verde:
·
L’acidificazione degli oceani (ocean acidifcation): circa un quarto della CO2 emessa in
atmosfera passa negli oceani acidificandoli e riducendo in modo critico le
sostanze chimiche necessarie a molte specie marine incidendo anche in questo
caso sulla catena alimentare complessiva
·
Il ciclo idrologico (freshwater use): il patrimonio idrico mondiale è messo
in crisi dal cambiamento climatico e dai prelievi antropici in crescita. La
crisi è molto forte in diverse aree del pianeta, resta per ora al limite del
verde su scala globale
·
La distruzione della fascia di ozono stratosferico
(stratospheric ozone depletion):
era di colore rosso accentuato fino a vent’anni fa, grazie al Protocollo di
Montreal (1987), si sono ridotte/azzerate le emissioni di sostanze chimiche che
la provocavano riportandola a livello verde. Esperienza positiva di grande
valore esemplare
sono in colore grigio perché tutt’ora in
fase di studio e valutazione, ma potenzialmente molto pericolosi
·
L’inquinamento
chimico da sostanze di nuova produzione (novel entities)
·
L’emissione
di aerosol in atmosfera (atmospheric aerosol loading)
Quanta «natura» consumiamo?
Come possiamo misurare i nostri impatti sull’ambiente?
Il progresso scientifico e tecnologico ha
messo a disposizione dell’azione umana potenzialità straordinarie alla base
della “rivoluzione agricola”, delle “rivoluzioni industriali”, del collegato
boom demografico e dell’esplosione dei consumi (per una parte crescente della
popolazione). Sono indubbiamente questi i fattori scatenanti i nove processi di
crisi che sono stati esaminati. Conosciamo quindi i “colpevoli” e i “corpi del
reato” diventa però indispensabile conoscere come agiscono. Ossia se vogliamo
capire come intervenire sui fattori di crisi, e quali ordini di priorità sarà
opportuno seguire per gestire il rientro nella “compatibilità”, dobbiamo poter
misurare il peso complessivo della azione umana sull’ambiente, e all’interno di
questa quello di ogni azione ed attività, quello di ogni specifica produzione,
di ogni singolo bene e prodotto. Questa sommatoria di misurazioni ed azioni
conseguenti rientra in quella che è tecnicamente definita “contabilità ambientale”
Ed anche in questo caso il mondo scientifico,
che con diverse specializzazioni, segue le problematiche ambientali, ha messo a
punto numerosi indicatori che permettono di “conteggiare” analiticamente il
“consumo di natura”. Il prof. Bagliani ha scelto di concentrare la nostra
attenzione su due specifici indicatori che operano questa misurazione prendendo
in esame due elementi naturali fondamentali: il terreno e l’acqua. Il primo,
messo a punto negli anni novanta, è universalmente conosciuto come “impronta
ecologica”, il secondo, più recente, è quello del “water footprint (impronta idrica).
L’impronta ecologica, nella sua versione “di
base”, traduce in superficie di terreno il totale di risorse impiegato per ogni
tipo di bene e prodotto finale di ogni attività umana, compresi gli smaltimenti
degli scarti collegati e le attività cosiddette di “servizio”.
Ad esempio, quello fatto dal Prof. Bagliani,
una semplice bottiglietta di plastica vale una porzione di terreno determinato
dalla incidenza su di esso di ogni singolo componente, passaggio ed operazione,
messa in atto per produrla.
Attraverso sommatorie via via più complesse,
ma sempre scientificamente definite, si può così arrivare a misurare, sempre in
termini di “superficie” quanto vale il complesso di risorse consumate da una
regione o uno Stato, piuttosto che da una tipologia di produzione o da una
determinata attività. E di capire, così facendo, quali produzioni ed attività
sono più “risparmiose”, o viceversa, oppure di comprendere quanto pesa una
singola comunità sul territorio che ha a disposizione. Interessante in questo
senso è stato il grafico della situazione di Venezia
citato a titolo esemplificativo dal Prof. Bagliani
L’impronta ecologica di Venezia
Venezia a fronte di una data disponibilità (colonna
verde = 1,45) consuma (colonna arancione = 4,68) molto di più creando un
significativo deficit ecologico, reso possibile dal “prendere” superficie in
altre parti.
Procedendo verso l’alto si possono così
tracciare i bilanci delle impronte ecologiche delle singole nazioni o aree del
pianeta; facile intuire che la parte ricca del mondo, quella che di più produce
e consuma, può permettersi un alto deficit ecologico soltanto “rubando terreno”
alle parti povere.
Il passaggio logico successivo, andando
oltre queste pesanti diseguaglianze, porta a valutare la sostenibilità della
“impronta ecologica” dell’intera umanità, una umanità che abita un pianeta
“finito”, con una disponibilità non sforabile di terreno, di superficie, di
risorse. Il paragone proposto nella conferenza è quello di un equipaggio a
bordo di una astronave che compie un lungo viaggio spaziale che deve, gioco
forza, vivere con le risorse imbarcate.
E qui il dato scientifico che il misuratore
“impronta ecologica” ci propone è oltremodo preoccupante: il peso complessivo
attuale delle azioni umane richiede di fatto la disponibilità di una Terra e
mezza: Questo impressionante deficit ecologico è reso possibile unicamente
grazie ad uno sfasamento temporale: in sostanza l’umanità consuma “in
anticipo”, e con un anticipo crescente, quanto il pianeta Terra può mettere
fisiologicamente a disposizione, così come si può cogliere dal seguente grafico:
Distribuzione temporale del consumo di risorse:
sostenibilità inter-generazionale
sostenibilità inter-generazionale
La linea verde orizzontale segna il totale
massimo della disponibilità di risorse utilizzabili annualmente, si può quindi
notare che a partire dal 1970 questo limite annuale viene costantemente, e con
progressione a crescere, superato fino a richiedere, dato del 2010 “mezzo
pianeta in più”, ossia traducendolo in consumo temporale attuale, dato del
2016, l’umanità finisce di consumare quanto la Terra potrebbe produrre
nell’anno già il giorno 08 Agosto. Nel 2015 questo sforamento (tecnicamente
definito “overshoot day = il giorno dello sforamento) cadeva il giorno 22
Agosto. Una progressione negativa impressionante.
Non è diverso il quadro ricavabile se si
passa a utilizzare l’indicatore “water footprint”, l’impronta idrica, ossia il
volume totale di acqua dolce utilizzata, direttamente e indirettamente, per
produrre un bene, un servizio, ovvero la quantità globale di acqua utilizzata,
direttamente e indirettamente, da singoli e da comunità
Anche in questo caso si evidenziano sforamenti,
diseguaglianze fra nazioni e aree del mondo, un consumo cieco che ipoteca il
futuro.
Ha colpito una tabella illustrata dal Prof.
Bagliani che dettaglia per una serie di beni e prodotti di largo utilizzo la
quantità di acqua che è servita per produrli, considerando quindi anche quella
usata in modo indiretto per arrivare al risultato finale:
quanti
litri di acqua sono stati utilizzati per produrre……?
Una fetta di pane
|
40 litri
|
Una mela
|
70 litri
|
Un bicchiere di birra
|
75 litri
|
Una tazzina di caffè
|
140 litri
|
Un Kg di zucchero di canna
|
1.500 litri
|
Una maglia di cotone
|
2.700 litri
|
Un kg di formaggio di mucca
|
5.000 litri
|
Un kg di carne di vitello
|
15.000 litri
|
Per quanto esemplari sono certamente
indicazioni parziali, limitate, non è bene banalizzare più di tanto perché la
contabilità ambientale, qualunque indicatore si scelga di usare, è scienza
complessa e articolata, quello che è fondamentale rilevare è l’importanza
centrale di affrontare le tematiche ambientali procedendo sulla base di dati,
certi ed inoppugnabili, per poter affrontare in modo adeguato e mirato le tante
problematiche e per poter sgombrare il campo da ignoranze, reticenze,
omissioni, resistenze.
Non è ovviamente diverso il discorso per
quanto concerne il cambiamento climatico.
Il cambiamento
climatico
Saltuariamente, ma con rilevante frequenza,
è possibile leggere o sentire sui media servizi che presentano il riscaldamento
globale (global warming) come una ipotesi ancora controversa e dibattuta. E’
una autentica bufala (certamente suggerita da interessi di parte), una fake
news. La comunità scientifica, esaminando tutte le pubblicazioni uscite al
riguardo dagli anni novanta in poi, è totalmente concorde su due dati:
·
la
terra si sta riscaldando
·
la
causa principale sono le azioni umane
Il dato certo, che emerge dalle accurate
rilevazioni su scala mondiale per il periodo 1901 – 2012, è quello di un
aumento della temperatura media del pianeta di 1,5 gradi. Quello più
preoccupante è che una parte significativa di questo aumento presenta caratteristiche
di irreversibilità sul breve/medio periodo, ossia le azioni correttive che
potranno essere messe in atto avranno caratteristiche contenitive, limitative,
potranno cioè evitare che il cambiamento climatico (il climate change del primo
grafico) passi dal colore giallo (è già al suo limite) a quello definitivamente
rosso.
A supporto di questa preoccupante
constatazione il Prof. Bagliani ha illustrato un grafico, solo all’apparenza
complesso, che illustra il processo climatico terrestre degli ultimi
ottocentomila anni reso possibile dall’analisi dei carotaggi degli strati di
ghiaccio ai Poli.
Le tre curve del grafico rappresentano:
·
quella
in basso, rossa, la percentuale di gas metano presente nell’atmosfera
·
quella
in alto, blu, la percentuale di CO2
presente nell’atmosfera
il gas
metano e la CO2 sono
i due gas che di più incidono sulla temperatura globale
·
quella
al centro la temperatura media registrata ai Poli (per estensione applicabile
come valore di scala a quella globale del pianeta Terra)
Si può facilmente cogliere un andamento
parallelo delle tre curve, l’aumento di gas metano e CO2 ha sempre inevitabilmente comportato un
aumento della temperatura (fasi calde) la loro diminuzione una sua analoga
corrispondente diminuzione (fasi fredde-glaciazioni).
Quello che però di più colpisce è che
l’ampiezza delle variazioni, che pure hanno significato cambiamenti molto
significativa della temperatura globale, è sempre avvenuta entro un margine
mediamente contenuto, con rarissimi picchi:
·
per
il metano (curva rossa) da 400 a 700 ppb (parti per miliardo)
·
per
la CO2 da 180 a 260 ppm (parti per milione)
·
per
la temperatura ai Poli da -0,8 a -0,2 gradi centigradi
I numeri in basso sull’asse orizzontale
indicano le centinaia di migliaia di anni del processo, il che significa che
ogni scostamento si è manifestato, con lente progressioni, in un arco temporale
di migliaia di anni. Il dato che colpisce, e che testimonia la gravità di
quanto sta oggi avvenendo ed il rapporto con l’azione umana (rivoluzione
agricola + rivoluzioni industriali) è l’impressionante balzo verso l’alto dei
due valori del gas metano e della CO2
avvenuto
negli ultimi 250 anni, ossia in un battito di ciglia:
·
il
gas metano è arrivato a 1790 ppb ossia
tre volte tanto la media degli 800.000 anni
·
la
CO2 a 386 ppm ossia al doppio della media degli 800.000 anni
E’ purtroppo lecito, proprio sulla base dell’andamento
storico, attendersi che l’aumento di 1,5
gradi registrato nel periodo 1901-2010 sia solo l’inizio di una crescita ancora
più consistente.
L’evoluzione del rapporto
tra ambiente e economia
Nel canonico tempo di una relazione,
inevitabilmente tutto dedicato ad illustrare quanto sin qui sintetizzato, non è
stato possibile per il Prof. Bagliani riferire nel dettaglio sui percorsi
dialettici che a partire dal secondo dopoguerra si sono innescati, a fronte
dell’evoluzione del degrado ambientale e della sua conoscenza e coscienza, tra
economia ed ambiente.
Su sua gentilissima concessione inseriamo in
questa sintesi i punti che, tempo permettendo visto inoltre che alla
interessantissima relazione sono seguite numerose domande ed interventi,
avrebbe voluto presentare sul tema. Ovviamente lo facciamo lasciandoli nella
veste di tracce da illustrare a voce e quindi, in questa sede, da cogliere come
suggestioni:
·
il
rapporto ambiente/economia mette di fatto a confronto due visioni opposte, antropocentrismi-ecocentrismo,
basate in estrema sintesi su:
ü antropocentrismo
ü Dominio
sulla natura
ü Valore
strumentale della natura, vista come risorsa a disposizione dell'uomo
ü Crescita
economica illimitata
ü Soluzioni
altamente tecnologiche
ü Consumismo
ü Sistema
socio-economico centralizzato
|
ecocentrismo
ü
Armonia e simbiosi con la natura
ü
Valore intrinseco della natura
ü
Beni naturali limitati
ü
Tecnologie appropriate
ü
Sobrietà, ricliclaggio
ü
Sistema economico decentralizzato, regionalismo
|
·
L’evoluzione
della dialettica fra queste due visioni si è sostanzialmente articolata in tre
fasi storiche con caratteristiche differenziate
Prima fase
anni sessanta
• Reazione al
diffondersi di effetti negativi sull’ambiente. Problema principale:
inquinamento.
• Logica dominante:
end of pipe (cosa succede alla fine del percorso)
• Inquinamento prodotto dalle attività umane su
differenti bersagli (naturali e non)
• Ambiente come esternalità economica
• Approccio “regolativo”: introduzione di regolamentazioni,
“livelli ottimi” di emissione, interventi end of pipe
• Approccio puntuale (solo evidenze specifiche)
|
Seconda fase
anni settanta/ottanta
·
Nasce
soprattutto come reazione a “I limiti dello sviluppo” e alla crisi
petrolifera del 1973;
·
A
“riparazione/protezione” si affianca la gestione delle risorse e del
rischio
·
Approccio
ancora basato sul danno, ma si estende attenzione anche altre dimensioni
dell’ambiente
·
Insufficienza di un approccio puntuale
·
Negli
anni ottanta, le imprese si “rassegnano” a considerare inevitabili i costi
della protezione ambientale
·
«Economicizzare»
l’ecologia
·
Risorse ambientali limitate = Necessità di gestione
delle risorse
·
Politiche
ambientali che superano la regolazione diretta: internalizzazione dei costi
ambientali; responsabilizzazione dei produttoti (polluter pays - user pays),
prevenzione, difesa/tutela, politche/pianificazione
|
Terza fase
Da fine anni ottanta
·
Non
è un approccio teorico piuttosto un obiettivo politico.
·
Approccio
regolativo: dimensione globale con Conferenza di Rio;
·
applicazione
a livello locale (Agenda 21)
·
Pregi:
-
Visione
integrata di aspetti ecologici, economici, sociali, istituzionali.
-
Supera
approccio per singole componenti ambientali
·
Limiti:
-
Tentativo
di far coesistere obiettivi antinomici: sviluppo economico e integrità
ambientale
-
Progressiva
“diluizione” del concetto => dal paradigma alla paranoia
|
Nel corso della discussione seguita alla
relazione rispondendo ad alcune domande il Prof. Bagliani ha concordato con
l’osservazione di chi sottolineava la lentezza che la “politica” dimostra nel
concretizzare politiche che sappiano meglio coniugare ambiente ed economia, con
buona probabilità, giusto o sbagliato che sia, la crisi economica che dal
2007/2008 ha investito l’intera economia globalizzata sta imponendo altre
attenzioni prioritarie. Ma al tempo stesso ha precisato che un processo di
“ri-conversione” delle logiche economiche non può essere ottenuto con
l’adozione di politiche soltanto impositive e coercitive. Occorre, proprio
sulla base della crescita di una consapevolezza condivisa del quadro da
affrontare e dei margini sempre più ristretti in cui operare, mirare alla
massima condivisione possibile di una diversa logica economica condivisa da
tutti i soggetti chiamati in causa. In risposta ad una domanda specifica sul
tema ha proposto come esempio virtuoso e vincente vista la positiva evoluzione
del problema, le politiche messe in atto per la messa al bando dei gas colpevoli
del buco dell’ozono che hanno visto una vera collaborazione fra tutte le
nazioni ed il coinvolgimento attivo delle stesse aziende produttrici i gas
killer dell’ozono.
A chiusura di questa sintesi è opportuno
inserire l’ultima slide illustrata dal Prof. Bagliani che chiarisce anche
visivamente i possibili passaggi di questo percorso virtuoso per la
realizzazione di un diverso rapporto fra economia ed ambiente ed il messaggio finale
della sua ottima relazione, facendola precedere da una frase estrapolata dal
Rapporto Brundtland, il documento rilasciato nel 1987 dalla Commissione
Mondiale sull’ambiente e lo sviluppo in cui per la prima volta venne introdotto
il concetto di “sviluppo sostenibile”
……. uno sviluppo che
soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle
generazioni future di soddisfare i propri……..
il grafico presenta due piani di lettura
sempre partendo, procedendo in senso orario, dal quadratino in basso a sinistra
(i nomi delle nazioni inserite nei singoli quadratini hanno lo scopo di
esemplificare il processo ecologico rapportandolo a situazioni simbolo attuali):
·
sintetizza
il percorso storicamente avvenuto in questi duecentocinquanta anni che hanno
visto una umanità complessivamente “povera” percorrere, in modo diversificato,
una curva di sviluppo (economico) passando prima allo stadio “in via di sviluppo”, successivamente a quello
di “recente sviluppo” per raggiungere lo stadio finale di “sviluppate”
·
evidenzia
al contempo che questo sviluppo ha comportato, viste le modalità con le quali è
stato realizzato, passare da uno stadio di “basso impatto ecologico – bassa impronta
ecologica” (quello che ha caratterizzato per migliaia di anni la storia umana)
attraverso quello di “alto impatto ecologico”, allo stadio finale di “alta
impronta ecologica”.
La finalità è quella di completare il
percorso, probabilmente per un cumulo di ragioni avviabile in primo luogo dalle nazioni “sviluppate”,
tornando nella situazione del quadratino in basso a sinistra, quella di “basso
impatto ecologico – bassa impronta ecologica”
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