venerdì 7 aprile 2017

Conferenza del Prof. Marco Bagliani "la sfida dell'ambiente all'economia" - sintesi a cura di Giancarlo Fagiano


La sfida dell’ambiente all’economia:

quanta natura consumiamo per vivere?



Conferenza tenuta dal Prof. Marco Bagliani

Dipartimento di Economia e Statistica “Cognetti de Martiis”, Università di Torino



Sintesi



A partire dagli ultimi decenni del secolo scorso sono sicuramente aumentate attenzione e sensibilità verso le tematiche ambientali. Alcuni importanti risultati, soprattutto nei paesi europei, si sono così resi possibili. Ma la gravità di diversi impatti delle attività umane in generale, e di quelle economiche/produttive in particolare, resta purtroppo ancora molto pesante e richiede, in tempi brevi e certi, una svolta significativa e reale. Appare evidente che quei livelli di attenzione e sensibilità non sono al momento adeguati alla sfida che il degrado ambientale pone all’intera umanità. Per andare oltre e costruire un consenso ed una adesione convinta non servono però generici richiami ideologici, ma la creazione di una coscienza collettiva, forte e diffusa su scala mondiale. Un obiettivo che può essere conseguito unicamente partendo dalla conoscenza, la più precisa e condivisa possibile, del reale stato delle cose. Conoscere i dati scientifici del degrado ambientale, gli scenari che si stanno delineando, le ragioni oggettive che li hanno creati, è il primo fondamentale passo per capire le correzioni da apportare e per superare i tanti ritardi e gli inevitabili contrasti, spesso determinati da persistenti logiche di profitto economico.

La relazione del Prof. Bagliani ha preso le mosse da questo invito alla conoscenza, motore di una svolta reale, per proporre una disamina delle problematiche da affrontare.



Cosa sta succedendo?

Quanto impattano sull’ambiente i nostri sistemi socio-economici?



Il primo dato essenziale da conoscere è quello del livello “accertato” di degrado ambientale. Gli scienziati che operano sul campo hanno definito 9 aspetti fondamentali del “Sistema Terra” e i limiti biofisici ad essi correlati, i cui sforamento può determinare cambiamenti irreparabili per l’equilibrio ambientale. Il seguente grafico presentato nell’ambito della conferenza, li riassume evidenziandoli con diversi colori in base al livello di degrado raggiunto: grigio per quelli ancora da misurare, verde per quelli a basso rischio, giallo per quelli già a livello pericoloso ma ancora gestibili, rosso per quelli in pieno allarme:

Sono in colore rosso:
·         la biodiversità (genetic diversity con un collegato aspetto in fase di avvio di studio, e quindi grigio, functional diversity)  = stanno con ritmo progressivo scomparendo specie animali e vegetali, creando non solo un deficit di patrimonio naturale ma soprattutto sfalsando la catena alimentare, con conseguenti gravi rischi di sostenibilità complessiva dell’eco-sistema
·         il ciclo dell’azoto e del fosforo (biochemical flows) = gli scarichi industriali e più ancora l’agricoltura intensiva (fertilizzanti) hanno  immesso nei terreni massicce quantità di azoto e fosforo che hanno contaminato, in modo ormai grave, terre e mari
sono in colore giallo:
·         il cambiamento climatico (climate change) = l’innalzamento della temperatura globale del pianeta dovuto all’impressionante crescita dei livelli di CO2 e di gas metano nell’atmosfera è dato accertato ed i suoi effetti sono quelli più percepiti dall’opinione pubblica
·         l’utilizzo del suolo (land-system chamge) = l’azione umana è ormai presente sulla maggior parte del terreno produttivo, ci stiamo avvicinando al limite degli spazi utilizzabili
sono in colore verde:
·         L’acidificazione degli oceani (ocean acidifcation): circa un quarto della CO2 emessa in atmosfera passa negli oceani acidificandoli e riducendo in modo critico le sostanze chimiche necessarie a molte specie marine incidendo anche in questo caso sulla catena alimentare complessiva
·         Il ciclo idrologico (freshwater use): il patrimonio idrico mondiale è messo in crisi dal cambiamento climatico e dai prelievi antropici in crescita. La crisi è molto forte in diverse aree del pianeta, resta per ora al limite del verde su scala globale
·         La distruzione della fascia di ozono stratosferico (stratospheric ozone depletion): era di colore rosso accentuato fino a vent’anni fa, grazie al Protocollo di Montreal (1987), si sono ridotte/azzerate le emissioni di sostanze chimiche che la provocavano riportandola a livello verde. Esperienza positiva di grande valore esemplare
sono in colore grigio perché tutt’ora in fase di studio e valutazione, ma potenzialmente molto pericolosi
·         L’inquinamento chimico da sostanze di nuova produzione (novel entities)
·         L’emissione di aerosol in atmosfera (atmospheric aerosol loading)

Quanta «natura» consumiamo?
Come possiamo misurare i nostri impatti sull’ambiente?
Il progresso scientifico e tecnologico ha messo a disposizione dell’azione umana potenzialità straordinarie alla base della “rivoluzione agricola”, delle “rivoluzioni industriali”, del collegato boom demografico e dell’esplosione dei consumi (per una parte crescente della popolazione). Sono indubbiamente questi i fattori scatenanti i nove processi di crisi che sono stati esaminati. Conosciamo quindi i “colpevoli” e i “corpi del reato” diventa però indispensabile conoscere come agiscono. Ossia se vogliamo capire come intervenire sui fattori di crisi, e quali ordini di priorità sarà opportuno seguire per gestire il rientro nella “compatibilità”, dobbiamo poter misurare il peso complessivo della azione umana sull’ambiente, e all’interno di questa quello di ogni azione ed attività, quello di ogni specifica produzione, di ogni singolo bene e prodotto. Questa sommatoria di misurazioni ed azioni conseguenti rientra in quella che è tecnicamente definita “contabilità ambientale”
Ed anche in questo caso il mondo scientifico, che con diverse specializzazioni, segue le problematiche ambientali, ha messo a punto numerosi indicatori che permettono di “conteggiare” analiticamente il “consumo di natura”. Il prof. Bagliani ha scelto di concentrare la nostra attenzione su due specifici indicatori che operano questa misurazione prendendo in esame due elementi naturali fondamentali: il terreno e l’acqua. Il primo, messo a punto negli anni novanta, è universalmente conosciuto come “impronta ecologica”, il secondo, più recente, è quello del “water footprint (impronta idrica).
L’impronta ecologica, nella sua versione “di base”, traduce in superficie di terreno il totale di risorse impiegato per ogni tipo di bene e prodotto finale di ogni attività umana, compresi gli smaltimenti degli scarti collegati e le attività cosiddette di “servizio”.
Ad esempio, quello fatto dal Prof. Bagliani, una semplice bottiglietta di plastica vale una porzione di terreno determinato dalla incidenza su di esso di ogni singolo componente, passaggio ed operazione, messa in atto per produrla.

Attraverso sommatorie via via più complesse, ma sempre scientificamente definite, si può così arrivare a misurare, sempre in termini di “superficie” quanto vale il complesso di risorse consumate da una regione o uno Stato, piuttosto che da una tipologia di produzione o da una determinata attività. E di capire, così facendo, quali produzioni ed attività sono più “risparmiose”, o viceversa, oppure di comprendere quanto pesa una singola comunità sul territorio che ha a disposizione. Interessante in questo senso è stato  il grafico della situazione di Venezia citato a titolo esemplificativo dal Prof. Bagliani

L’impronta ecologica di Venezia
Venezia a fronte di una data disponibilità (colonna verde = 1,45) consuma (colonna arancione = 4,68) molto di più creando un significativo deficit ecologico, reso possibile dal “prendere” superficie in altre parti.
Procedendo verso l’alto si possono così tracciare i bilanci delle impronte ecologiche delle singole nazioni o aree del pianeta; facile intuire che la parte ricca del mondo, quella che di più produce e consuma, può permettersi un alto deficit ecologico soltanto “rubando terreno” alle parti povere.
Il passaggio logico successivo, andando oltre queste pesanti diseguaglianze, porta a valutare la sostenibilità della “impronta ecologica” dell’intera umanità, una umanità che abita un pianeta “finito”, con una disponibilità non sforabile di terreno, di superficie, di risorse. Il paragone proposto nella conferenza è quello di un equipaggio a bordo di una astronave che compie un lungo viaggio spaziale che deve, gioco forza, vivere con le risorse imbarcate.
E qui il dato scientifico che il misuratore “impronta ecologica” ci propone è oltremodo preoccupante: il peso complessivo attuale delle azioni umane richiede di fatto la disponibilità di una Terra e mezza: Questo impressionante deficit ecologico è reso possibile unicamente grazie ad uno sfasamento temporale: in sostanza l’umanità consuma “in anticipo”, e con un anticipo crescente, quanto il pianeta Terra può mettere fisiologicamente a disposizione, così come si può cogliere dal seguente grafico:
Distribuzione temporale del consumo di risorse:
sostenibilità inter-generazionale



 
La linea verde orizzontale segna il totale massimo della disponibilità di risorse utilizzabili annualmente, si può quindi notare che a partire dal 1970 questo limite annuale viene costantemente, e con progressione a crescere, superato fino a richiedere, dato del 2010 “mezzo pianeta in più”, ossia traducendolo in consumo temporale attuale, dato del 2016, l’umanità finisce di consumare quanto la Terra potrebbe produrre nell’anno già il giorno 08 Agosto. Nel 2015 questo sforamento (tecnicamente definito “overshoot day = il giorno dello sforamento) cadeva il giorno 22 Agosto. Una progressione negativa impressionante.
Non è diverso il quadro ricavabile se si passa a utilizzare l’indicatore “water footprint”, l’impronta idrica, ossia il volume totale di acqua dolce utilizzata, direttamente e indirettamente, per produrre un bene, un servizio, ovvero la quantità globale di acqua utilizzata, direttamente e indirettamente, da singoli e da comunità
Anche in questo caso si evidenziano sforamenti, diseguaglianze fra nazioni e aree del mondo, un consumo cieco che ipoteca il futuro.
Ha colpito una tabella illustrata dal Prof. Bagliani che dettaglia per una serie di beni e prodotti di largo utilizzo la quantità di acqua che è servita per produrli, considerando quindi anche quella usata in modo indiretto per arrivare al risultato finale:

quanti litri di acqua sono stati utilizzati per produrre……?
Una fetta di pane
40 litri
Una mela
70 litri
Un bicchiere di birra
75 litri
Una tazzina di caffè
140 litri
Un Kg di zucchero di canna
1.500 litri
Una maglia di cotone
2.700 litri
Un kg di formaggio di mucca
5.000 litri
Un kg di carne di vitello
15.000 litri

Per quanto esemplari sono certamente indicazioni parziali, limitate, non è bene banalizzare più di tanto perché la contabilità ambientale, qualunque indicatore si scelga di usare, è scienza complessa e articolata, quello che è fondamentale rilevare è l’importanza centrale di affrontare le tematiche ambientali procedendo sulla base di dati, certi ed inoppugnabili, per poter affrontare in modo adeguato e mirato le tante problematiche e per poter sgombrare il campo da ignoranze, reticenze, omissioni, resistenze.
Non è ovviamente diverso il discorso per quanto concerne il cambiamento climatico.

Il cambiamento climatico

Saltuariamente, ma con rilevante frequenza, è possibile leggere o sentire sui media servizi che presentano il riscaldamento globale (global warming) come una ipotesi ancora controversa e dibattuta. E’ una autentica bufala (certamente suggerita da interessi di parte), una fake news. La comunità scientifica, esaminando tutte le pubblicazioni uscite al riguardo dagli anni novanta in poi, è totalmente concorde su due dati:
·         la terra si sta riscaldando
·         la causa principale sono le azioni umane
Il dato certo, che emerge dalle accurate rilevazioni su scala mondiale per il periodo 1901 – 2012, è quello di un aumento della temperatura media del pianeta di 1,5 gradi. Quello più preoccupante è che una parte significativa di questo aumento presenta caratteristiche di irreversibilità sul breve/medio periodo, ossia le azioni correttive che potranno essere messe in atto avranno caratteristiche contenitive, limitative, potranno cioè evitare che il cambiamento climatico (il climate change del primo grafico) passi dal colore giallo (è già al suo limite) a quello definitivamente rosso.
A supporto di questa preoccupante constatazione il Prof. Bagliani ha illustrato un grafico, solo all’apparenza complesso, che illustra il processo climatico terrestre degli ultimi ottocentomila anni reso possibile dall’analisi dei carotaggi degli strati di ghiaccio ai Poli.



Le tre curve del grafico rappresentano:
·         quella in basso, rossa, la percentuale di gas metano presente nell’atmosfera
·         quella in alto, blu, la percentuale di CO2 presente nell’atmosfera
il gas metano e la CO2 sono i due gas che di più incidono sulla temperatura globale
·         quella al centro la temperatura media registrata ai Poli (per estensione applicabile come valore di scala a quella globale del pianeta Terra)
Si può facilmente cogliere un andamento parallelo delle tre curve, l’aumento di gas metano e CO2 ha sempre inevitabilmente comportato un aumento della temperatura (fasi calde) la loro diminuzione una sua analoga corrispondente diminuzione (fasi fredde-glaciazioni).
Quello che però di più colpisce è che l’ampiezza delle variazioni, che pure hanno significato cambiamenti molto significativa della temperatura globale, è sempre avvenuta entro un margine mediamente contenuto, con rarissimi picchi:
·         per il metano (curva rossa) da 400 a 700 ppb (parti per miliardo)
·         per la CO2 da 180 a 260 ppm (parti per milione)
·         per la temperatura ai Poli da -0,8 a -0,2 gradi centigradi
I numeri in basso sull’asse orizzontale indicano le centinaia di migliaia di anni del processo, il che significa che ogni scostamento si è manifestato, con lente progressioni, in un arco temporale di migliaia di anni. Il dato che colpisce, e che testimonia la gravità di quanto sta oggi avvenendo ed il rapporto con l’azione umana (rivoluzione agricola + rivoluzioni industriali) è l’impressionante balzo verso l’alto dei due valori del gas metano e della CO2 avvenuto negli ultimi 250 anni, ossia in un battito di ciglia:
·         il gas metano è arrivato  a 1790 ppb ossia tre volte tanto la media degli 800.000 anni
·         la CO2 a 386 ppm ossia al doppio della media degli 800.000 anni
E’ purtroppo lecito, proprio sulla base dell’andamento storico,  attendersi che l’aumento di 1,5 gradi registrato nel periodo 1901-2010 sia solo l’inizio di una crescita ancora più consistente.

L’evoluzione del rapporto tra ambiente e economia

Nel canonico tempo di una relazione, inevitabilmente tutto dedicato ad illustrare quanto sin qui sintetizzato, non è stato possibile per il Prof. Bagliani riferire nel dettaglio sui percorsi dialettici che a partire dal secondo dopoguerra si sono innescati, a fronte dell’evoluzione del degrado ambientale e della sua conoscenza e coscienza, tra economia ed ambiente.
Su sua gentilissima concessione inseriamo in questa sintesi i punti che, tempo permettendo visto inoltre che alla interessantissima relazione sono seguite numerose domande ed interventi, avrebbe voluto presentare sul tema. Ovviamente lo facciamo lasciandoli nella veste di tracce da illustrare a voce e quindi, in questa sede, da cogliere come suggestioni:

·         il rapporto ambiente/economia mette di fatto a confronto due visioni opposte, antropocentrismi-ecocentrismo, basate in estrema sintesi su:
ü antropocentrismo
ü  Dominio sulla natura
ü  Valore strumentale della natura, vista come risorsa a disposizione dell'uomo
ü  Crescita economica illimitata
ü  Soluzioni altamente tecnologiche
ü  Consumismo
ü  Sistema socio-economico centralizzato
ecocentrismo
ü  Armonia e simbiosi con la natura
ü  Valore intrinseco della natura
ü  Beni naturali limitati
ü  Tecnologie appropriate
ü  Sobrietà, ricliclaggio
ü  Sistema economico decentralizzato, regionalismo


·         L’evoluzione della dialettica fra queste due visioni si è sostanzialmente articolata in tre fasi storiche con caratteristiche differenziate
Prima fase
anni sessanta
  Reazione al diffondersi di effetti negativi sull’ambiente. Problema principale: inquinamento.
  Logica dominante: end of pipe (cosa succede alla fine del percorso)
  Inquinamento prodotto dalle attività umane su differenti bersagli (naturali e non)
  Ambiente come esternalità economica
  Approccio “regolativo”: introduzione di regolamentazioni, “livelli ottimi” di emissione, interventi end of pipe
  Approccio puntuale (solo evidenze specifiche)

Seconda fase
anni settanta/ottanta
·   Nasce soprattutto come reazione a “I limiti dello sviluppo” e alla crisi petrolifera del 1973;
·   A “riparazione/protezione” si affianca la gestione delle risorse e del rischio
·   Approccio ancora basato sul danno, ma si estende attenzione anche altre dimensioni dell’ambiente
·   Insufficienza di un approccio puntuale
·   Negli anni ottanta, le imprese si “rassegnano” a considerare inevitabili i costi della protezione ambientale
·         «Economicizzare» l’ecologia
·         Risorse ambientali limitate = Necessità di gestione delle risorse
·         Politiche ambientali che superano la regolazione diretta: internalizzazione dei costi ambientali; responsabilizzazione dei produttoti (polluter pays - user pays), prevenzione, difesa/tutela, politche/pianificazione

Terza fase
Da fine anni ottanta
·         Non è un approccio teorico piuttosto un obiettivo politico.
·         Approccio regolativo: dimensione globale con Conferenza di Rio;
·         applicazione a livello locale (Agenda 21)
·         Pregi:
-      Visione integrata di aspetti ecologici, economici, sociali, istituzionali.
-      Supera approccio per singole componenti ambientali
·         Limiti:  
-      Tentativo di far coesistere obiettivi antinomici: sviluppo economico e integrità ambientale
-      Progressiva “diluizione” del concetto => dal paradigma alla paranoia


Nel corso della discussione seguita alla relazione rispondendo ad alcune domande il Prof. Bagliani ha concordato con l’osservazione di chi sottolineava la lentezza che la “politica” dimostra nel concretizzare politiche che sappiano meglio coniugare ambiente ed economia, con buona probabilità, giusto o sbagliato che sia, la crisi economica che dal 2007/2008 ha investito l’intera economia globalizzata sta imponendo altre attenzioni prioritarie. Ma al tempo stesso ha precisato che un processo di “ri-conversione” delle logiche economiche non può essere ottenuto con l’adozione di politiche soltanto impositive e coercitive. Occorre, proprio sulla base della crescita di una consapevolezza condivisa del quadro da affrontare e dei margini sempre più ristretti in cui operare, mirare alla massima condivisione possibile di una diversa logica economica condivisa da tutti i soggetti chiamati in causa. In risposta ad una domanda specifica sul tema ha proposto come esempio virtuoso e vincente vista la positiva evoluzione del problema, le politiche messe in atto per la messa al bando dei gas colpevoli del buco dell’ozono che hanno visto una vera collaborazione fra tutte le nazioni ed il coinvolgimento attivo delle stesse aziende produttrici i gas killer dell’ozono.
A chiusura di questa sintesi è opportuno inserire l’ultima slide illustrata dal Prof. Bagliani che chiarisce anche visivamente i possibili passaggi di questo percorso virtuoso per la realizzazione di un diverso rapporto fra economia ed ambiente ed il messaggio finale della sua ottima relazione, facendola precedere da una frase estrapolata dal Rapporto Brundtland, il documento rilasciato nel 1987 dalla Commissione Mondiale sull’ambiente e lo sviluppo in cui per la prima volta venne introdotto il concetto di “sviluppo sostenibile”
……. uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri……..


il grafico presenta due piani di lettura sempre partendo, procedendo in senso orario, dal quadratino in basso a sinistra (i nomi delle nazioni inserite nei singoli quadratini hanno lo scopo di esemplificare il processo ecologico rapportandolo a situazioni simbolo attuali):
·         sintetizza il percorso storicamente avvenuto in questi duecentocinquanta anni che hanno visto una umanità complessivamente “povera” percorrere, in modo diversificato, una curva di sviluppo (economico) passando prima allo stadio  “in via di sviluppo”, successivamente a quello di “recente sviluppo” per raggiungere lo stadio finale di “sviluppate”
·         evidenzia al contempo che questo sviluppo ha comportato, viste le modalità con le quali è stato realizzato, passare da uno stadio di “basso impatto ecologico – bassa impronta ecologica” (quello che ha caratterizzato per migliaia di anni la storia umana) attraverso quello di “alto impatto ecologico”, allo stadio finale di “alta impronta ecologica”.

La finalità è quella di completare il percorso, probabilmente per un cumulo di ragioni  avviabile in primo luogo dalle nazioni “sviluppate”, tornando nella situazione del quadratino in basso a sinistra, quella di “basso impatto ecologico – bassa impronta ecologica”

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