LA PAROLA DEL MESE
A
turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di
aprirsi verso nuove riflessioni
APRILE
2017
COMPETENZA (competizione) VS CONOSCENZA
Dal Vocabolario
on line Treccani
competènza s. f. [dal latino
tardo competentia,
derivato di competĕre
«competere»].
·
L’essere
competente; idoneità e autorità di trattare, giudicare, risolvere determinate
questioni..
· Capacità,
per cultura o esperienza, di parlare, discutere, esprimere giudizî su
determinati argomenti:.
· Competizione:
i nostri simili,
coi quali solamente
sogliamo entrare in competenza (Leopardi). Con questo significato. è
tuttora vivo nell’uso popolare toscano
conoscènza (ant. cognoscènza o cognoscènzia e canoscènza) s. f. [dal latino. tardo cognoscentia, derivato di
cognoscĕre
«conoscere»].
·
L’atto
del conoscere una persona, dell’apprendere una cosa:).
·
Il
conoscere, come presenza nell’intelletto di una nozione, come sapere già
acquisito
· Facoltà, capacità di conoscere,
d’intendere
La scelta
di questa doppia (tripla) parola del mese ci è stata suggerita dal seguente
interessante articolo
Competenze e competizione?
Perché è meglio la conoscenza
Perché è meglio la conoscenza
Articolo di Roberto Cotroneo - Corriere.it del 24
Marzo 2017
Le sciatrici italiane Federica Brignone, Sofia Goggia e Marta Bassino sono
ormai per tutti la «valanga rosa». Si sono piazzate nei primi tre posti alla
finale della Coppa del Mondo di Aspen. E naturalmente questo riempie tutti di
orgoglio. È l’orgoglio di un mondo che negli ultimi anni ha scelto, più o meno consapevolmente,
il modello culturale dello sport come esempio per la nostra società. Le imprese
sportive sono emblematiche, trasmettono valori: quelli del sacrificio, della
costanza, della competizione, della vittoria. Elvira Serra, qualche giorno fa,
ricordava che la radice di competenza è la stessa di competizione. Spingendo il
ragionamento fino a dire che non c’è «competenza che non si manifesti nella
forma di una competizione». E facendo notare che l’accezione negativa della
parola «competizione» è un pregiudizio di cui dovremmo liberarci. Ma forse non
è del tutto vero. Un anno fa Carlo Ginzburg ha pubblicato un saggio molto
importante per l’editore Adelphi. Si intitola: Paura,
reverenza e terrore». Ginzburg ci ha ormai abituati a una lettura del mondo
sorprendente e molto intelligente. E in questo saggio tra le altre cose dice
che «per capire il presente dobbiamo imparare a guardarlo di sbieco». Non si
tratta soltanto di riconoscersi in un modo di guardare la realtà. È molto di
più. Ha a che fare con le competenze e con le conoscenze. Sono due cose molto
diverse. Il nostro mondo, sempre più pragmatico, è ossessionato dalle
competenze. Tutto quello che dobbiamo capire del mondo sta nelle competenze che
riusciamo ad avere. Le università ormai troppo spesso lavorano soltanto sulle
competenze. E rischiano di perdersi per strada le conoscenze. Per cui la
competenza è competere. Ed è guardare il mondo frontalmente. Tutta la mitologia
della vittoria, della competizione, che ormai abbiamo messo nello sport, e che
un tempo era nella guerra, si basa sulla sfida, sulle capacità che ti portano a
raggiungere un risultato, meglio ancora un traguardo. Come se il sapere fosse
nient’altro che un mezzo e non il fine. Salvatore Settis, in un’intervista di
qualche tempo fa lo ricordava e se ne preoccupava. Stiamo perdendo il valore
della conoscenza a favore della competenza. Ed è per questo che ci affascina la
competitività, la gara, il risultato. Ma le competenze sono pragmatiche, sono saperi
passeggeri perché sono dentro il tempo
che viviamo e dipendono da quello che accade. La competenza senza conoscenza non
è applicabile. E la competitività è decisamente interessante se si deve correre
più veloce degli altri nei 100 metri, o vincere una partita di calcio.
Decisamente meno se si deve scegliere a quali conoscenze rifarsi per leggere le
cose del mondo. Guardare il mondo frontalmente aiuta la mitologia dei vincenti,
di coloro che guardano dritto davanti a loro e superano ogni difficoltà, e
spesso esaspera l’individualismo. Ma tutti i modelli vincenti, che si parli di
cultura, che si parli di imprenditoria, funzionano attraverso innovazione e
collaborazione e come dice Ginzburg, si muovono di sbieco, guardano il mondo in
una maniera diversa, là dove non sanno guardare gli altri. Nel gioco degli
scacchi il pezzo più affascinante è il cavallo, che non muove in modo lineare,
ma salta, e procede in modo sghembo. In alcuni atenei c’è ormai la moda, forse
l’ossessione di educare alla competizione. Da molti anni dirigo un master alla
Luiss, e vivo da dentro i processi della mia università per temi cruciali come
questo. Credo di poter dire che da noi in Luiss il punto è quello di educare
alla conoscenza senza perdere di vista le competenze, chiedendo molto agli
allievi ma anche mettendoli nella condizione di orientarsi in un mondo dove le
grammatiche cambiano di continuo. Le competenze invecchiano rapidamente e vanno
aggiornate, come fosse un software, ma è il sistema operativo delle conoscenze
quello che serve a leggere il futuro, quello che ti consente di realizzare i
progetti. E di vincere le partite. Anche di competere, certo, quando è
necessario, ma senza farne una leggenda che non aiuta affatto i nostri ragazzi
che si preparano al futuro. Perché il mondo è un po' più complesso di una gara sugli sci.
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