“IL
FUTURO DELLA PROCREAZIONE”
Nel presentare il
relatore, professore di bioetica all’Università di Torino, Massima Bercetti
ricorda come sia stato già gradito ospite dell’associazione nella fase iniziale
del suo percorso, per trattare argomenti di grande importanza (dai cosiddetti “superumani”
alla clonazione) collegati al tema che verrà affrontato nella serata.
Ricorda ancora che
questa iniziativa, con quella che seguirà e in cui avremo modo di discutere con
la dottoressa Mirella Rostagno di questioni attinenti all’identità sessuale, si
colloca all’interno del progetto “Impronte”: un progetto che è stato avviato
alcuni anni fa da Rossella Morra, allora assessore alle Pari Opportunità, e che
ora viene portato avanti dall’attuale amministrazione allo scopo di proporre
riflessioni sulla condizione femminile, attivando buone pratiche di sostegno
alle donne.
Dal canto suo,
CircolarMente intende mettere in luce in questo primo incontro, grazie alla
competenza del relatore e alla sua attitudine al confronto, alcuni scenari che
si stanno configurando, in modo che le nostre scelte come cittadini possano
avvalersi delle conoscenze necessarie a produrre una maggiore consapevolezza.
Ringrazia per questo il pubblico, numeroso nonostante la serata fredda e il
cambio di data, notando con piacere la presenza di alcuni studenti e insegnanti.
N.B. = per chi volesse approfondire gli
argomenti della serata, ricordiamo il testo pubblicato di recente dal prof. Balistreri:
“Il futuro della procreazione umana”– ed. Fandango
…………………………………………………………………………..
GLI
SCENARI POSSIBILI:
Con
un’esposizione particolarmente chiara ed efficace, il prof. Balistreri ha fatto
il punto su quello che sta accadendo, o che possiamo ipotizzare come futuribile
nel campo della procreazione umana, condividendo col numeroso pubblico le
conoscenze e le riflessioni che hanno accompagnato la stesura del testo a cui
Massima Bercetti ha fatto riferimento.
Da
quel giorno dell’ormai lontano luglio 78 in cui è venuto alla luce la prima
bambina concepita in provetta*, risultante cioè non da un rapporto sessuale ma
dalla fecondazione in vitro di una cellula uovo da parte di uno spermatozoo, le
tecnologie riproduttive hanno avuto un avanzamento impressionante in cui è
possibile riscontrare, secondo il prof. Balistreri, alcune linee di tendenza
che aprono scenari completamente nuovi: esse paiono infatti portarci non solo
verso una sempre maggiore separazione della riproduzione dalla sessualità, già
evidente nella cosiddetta riproduzione assistita, ma ancora - se pensiamo all’ipotesi dell’utero artificiale,
lontana per ora dal suo realizzarsi ma
non concettualmente impossibile – ad un vero e proprio sganciamento della
riproduzione dal corpo, senza contare la possibilità di concepire da soli, che
potrebbe essere resa fattibile dalle ricerche sui gameti artificiali, ottenuti
cioè dalle cellule del corpo.
Seguiamo
dunque il percorso illustrato dal relatore, che ci presenta quelle nuove
tecniche riproduttive che potrebbero in
futuro rendere del tutto realistiche queste possibilità:
1. La possibilità di
separare la riproduzione dalla sessualità
Cominciamo
dal primo punto. Sappiamo bene che dopo quella nascita che è apparsa allora
tanto foriera di speranze quanto di sgomento e che ha suscitato pertanto un
dibattito molto intenso (alle preoccupazioni per la salute dei bambini così
concepiti si accompagnavano infatti, almeno in una parte dell’opinione
pubblica, oscuri timori di una loro
riduzione a oggetti), le resistenze sono andate via via scemando, tanto è vero
che la riproduzione assistita è diventata oggi una pratica non solo socialmente
accettata ma relativamente comune, anche se ancora la maggior parte dei
concepimenti deriva direttamente da un rapporto sessuale.
Il
prof. Balistreri ritiene peraltro che in un futuro non troppo lontano potremo
considerare la riproduzione assistita decisamente più adeguata e vantaggiosa
per il nascituro. Ad aprire questo nuovo scenario è sicuramente lo sviluppo
dell’ingegneria genetica che permette (o per meglio dire potrebbe presto
permettere, visti i risultati della sperimentazione sugli animali) di
intervenire sul codice genetico dell’embrione, per correggerne le eventuali
anomalie, renderlo più resistente a certe malattie o alla fatica, o ancora per
potenziare alcune capacità cognitive o empatiche.
Anche
oggi in effetti abbiamo già la possibilità di controllare lo stato di salute
dell’embrione attraverso una diagnosi prenatale, rendendo possibile
un’eventuale interruzione di gravidanza nel caso si riscontrino gravi anomalie;
quando poi si ricorre alla procreazione assistita, dove la legislazione lo
permette è possibile produrre un certo numero di embrioni e selezionare quelli
che non presentano anomalie, o che mostrano di avere il migliore corredo
genetico.
La
possibilità di intervenire puntualmente sul codice genetico del nascituro aprirebbe
peraltro scenari completamente inediti, facendo emergere l’idea che la
riproduzione in laboratorio potrebbe essere in effetti più vantaggiosa di
quella sessuata (si può agire nel momento stesso del concepimento, senza fare interventi invasivi all’interno
del grembo materno). Si potrebbe giungere addirittura in futuro a considerare
scarsamente responsabile chi scegliesse di riprodursi sessualmente, esponendo
il nascituro a rischi maggiori (a questo
proposito il prof. Balistreri apre una parentesi letteraria ricordando come ne
“Il mondo nuovo” di Aldous Huxley – uno dei più famosi racconti distopici della
narrativa novecentesca - solo i selvaggi che abitano nelle zone più remote del
pianeta continuino a concepire sessualmente, mentre gli abitanti del mondo
civilizzato vengono letteralmente “coltivati” in appositi laboratori in modo da
evitare qualunque esposizione al caso).
2. La possibilità di concepire da soli
Con
il tema dei gameti artificiali - cioè dei gameti che possono essere ottenuti a
partire da una qualunque cellula del nostro corpo - il prof. Balistreri apre un
secondo importante scenario, a cui nel suo testo ha dedicato una particolare
attenzione.
Come
sappiamo, fino ad oggi le persone che non hanno a disposizione cellule uovo o
spermatozoi adatti alla riproduzione devono dipendere da un donatore esterno.
Ci potrebbe essere invece in futuro la possibilità di ottenerli direttamente
dal proprio corpo: le sperimentazioni condotte finora sugli animali hanno
infatti dato ottimi risultati (il prof. Balistreri cita la recente nascita
di alcuni topolini in cui a fecondare la cellula uovo sono stati gli
spermatozoi ottenuti dalla coda di altri topi).
In
effetti, se è vero che ancora non abbiamo la possibilità di produrre gameti
maturi utilizzabili per la riproduzione assistita a partire da cellule prese da
una qualunque parte del corpo umano, si immagina che un giorno questo possa
davvero diventare fattibile, consentendo a ciascuno di noi, uomo o donna, di poter contare su di una scorta
inesauribile di gameti, vita natural durante; e ancora, si ipotizza, sempre a
partire dalle ricerche in corso, che si possano produrre non solo gameti del
nostro stesso genere, ma anche dell’altro sesso (sia spermatozoi che cellule
uovo, dunque). In questo modo il nascituro deriverebbe il proprio codice
genetico da un’unica persona (già con la
clonazione del resto questo è possibile, consistendo essa nel trasferimento del
DNA nucleare di una cellula del corpo in una cellula uovo privata
precedentemente del suo DNA).
Questo
significa che una donna, lasciando trasferire il suo DNA nucleare in una
cellula del suo corpo, potrebbe concepire da sola, avendo a disposizione le sue
cellule uovo: cosa che per gli uomini non sarebbe possibile, perché si dovrebbero
utilizzare cellule uovo che pur private del DNA nucleare conserverebbero
comunque alcuni geni legati al DNA mitocondriale. Ma in futuro?
Qui
si aprono davvero scenari fino ad ora impensabili, osserva il prof. Balistreri:
se diventasse possibile ottenere delle cellule uovo dalle cellule del corpo di
un uomo, anche gli uomini potrebbero concepire da soli, passando ai figli un corredo genetico derivato
esclusivamente da loro. La parità dei sessi, dunque, diventerebbe sotto questo
aspetto effettiva! Certamente tutto questo cambierebbe completamente il nostro
stesso concetto di genitorialità. In futuro a genitorialità singolari, fino ad
ora impensabili, si potrebbero infatti affiancare anche forme multiple di
genitorialità, perché ci potrebbero essere più persone che contribuiscono al
codice genetico del nascituro dando magari vita a genitorialità “allargate”,
gestite cioè da più persone disposte a condividere un progetto genitoriale.
Sono
cambiamenti che possono apparirci alquanto inquietanti, ma secondo il prof.
Balistreri alcune di queste tecnologie che oggi magari ci sembrano
incompatibili con la nostra umanità potrebbero assumere ai nostri occhi, in
futuro, una valenza socialmente ed eticamente accettabile, com’è accaduto nel
caso della fecondazione assistita. Detto questo, discutere sulla liceità etica
di queste pratiche e sui problemi che ne possono derivare è non solo opportuno
ma necessario, anche se prima di affrontare tali questioni c’è ancora un altro
importante scenario da prendere in considerazione.
3. La possibilità di
separare la riproduzione dal corpo
Fra le possibilità che potrebbero cambiare
fortemente il nostro modo di pensare e di attuare la riproduzione, quella del
cosiddetto “utero artificiale” non si limiterebbe a separare la riproduzione
dalla sessualità, come già avviene nella riproduzione assistita - in cui
l’embrione prodotto in laboratorio viene comunque reinserito nel corpo della
donna che porterà a termine la gravidanza - ma verrebbe a determinare un vero e
proprio “sganciamento” della riproduzione dal corpo.
Si
tratta di una prospettiva possibile? E se tale, quali vantaggi o problemi
potrebbe recare?
Seguiamo
ancora il prof. Balistreri che illustra questo nuovo scenario, pur considerando
che l’utero artificiale sembra essere una prospettiva alquanto lontana. Se
peraltro consideriamo da un lato, come il relatore ci invita a fare, quanto sta
avvenendo nella pratica medica, in cui grazie allo sviluppo di tecnologie
sempre più sofisticate è possibile ora far sopravvivere feti molto prematuri (scendendo
al di sotto del limite di quelle trenta settimane che fino a pochi anni fa
sembrava non superabile), e dall’altro osserviamo quanto si sta facendo nei
laboratori dove si seguono le fasi iniziali della vita embrionale, questa
possibilità appare decisamente meno remota.
Per
adesso, spiega il prof. Balistreri, noi siamo in grado di tenere in vita un
embrione separato dal grembo materno per un periodo di circa quattordici
giorni: un termine che peraltro potrebbe in linea di massima aumentare, se
questo non fosse tassativamente vietato dalla legge per motivi etici,
nonostante sia stata fatta da parte di molti ricercatori la richiesta di
prolungare il termine a 21 giorni per permettere la ricerca su embrioni più
maturi.
In
linea teorica dunque potremmo anche considerare fattibile la possibilità di
tenere gli embrioni in vita più a lungo,
colmando questa distanza: se si riuscisse a far crescere in laboratorio
embrioni di tre o quattro settimane, e se dall’altro lato si accorciassero
ancora i tempi di sopravvivenza dei prematuri, l’utero artificiale diventerebbe
possibile, dal momento che le difficoltà maggiori in genere si verificano nelle
prime fasi di un percorso, per poi decrescere (alcuni esperimenti fatti su animali
verrebbero a confermare la
possibilità di far crescere un feto in un ambiente diverso da quello materno:
il prof. Balistreri cita in particolare
il caso del feto di una pecora, estratto molto prematuro dal corpo della
madre, che è stato fatto sopravvivere per alcuni giorni, fino alla nascita, in
una sacca piena di una sorta di liquido amniotico).
Naturalmente
possiamo, anzi dobbiamo chiederci quali conseguenze porterebbe lo schiudersi,
accanto a quelli delineati in precedenza, di questo ulteriore scenario in cui
la riproduzione si separa addirittura dal corpo. Se questo avvenisse, osserva
il prof. Balistreri, si realizzerebbe intanto una piena uguaglianza
riproduttiva fra uomini e donne: potrebbero infatti, i primi, decidere di avere
un figlio come e quando vogliono, senza dipendere da una donna, mentre le
seconde non sarebbero più costrette ad affrontare da sole la responsabilità di
mettere al mondo un figlio per la coppia. Si aprirebbero inoltre possibilità
finora impensabili per le coppie dello stesso sesso, che se maschili devono
ricorrere non solo alle cellule uovo di una donatrice, ma al corpo di una donna
disponibile a portare avanti la gestazione, mentre le donne devono comunque
ricorrere ad un donatore esterno. Pensiamo ancora, e non come cosa ultima, alla
possibilità che un utero artificiale offrirebbe alle donne che hanno difficoltà
nel condurre la gestazione…
Se
questi vantaggi, secondo il prof. Balistreri, non devono essere sottovalutati,
non possiamo certo evitare di porre la nostra attenzione sui rischi e sui
problemi che queste pratiche potrebbero comportare. Per questo affronta ora questo piano del discorso,
chiarendo in primo luogo qual è la situazione attuale di alcune delle ricerche
cui si è fatto accenno.
UN QUADRO DI GRANDE
COMPLESSITA’:
C’è
anzitutto da considerare il problema della sicurezza delle tecnologie, su cui
si fonda parte dei timori per quello che potrebbe accadere a chi nasce grazie
ad esse.
Pensiamo,
per fare un esempio, alla clonazione che benché sia una tecnica ormai
ampiamente collaudata sugli animali, con buone percentuali di successo, non è
ancora considerata abbastanza sicura per essere applicata nel concepimento di
un essere umano, pur essendoci virtualmente la possibilità di impiantare degli
embrioni prodotti per clonazione nel corpo di una donna. In effetti, come
spiegherà più oltre il prof. Balistreri in risposta ad un intervento del
pubblico, non si può escludere che qualcuno ci abbia già provato, dal momento
che noi non abbiamo il controllo di quanto avviene in laboratori situati in
paesi dove l’obbligo della trasparenza scientifica può essere disatteso o
aggirato (bisogna dire peraltro che sulla
parola “clone” gravano a suo giudizio alcune idee non corrette: se anche ci
fosse in alcuni il desiderio di riprodurre il codice genetico di altre persone,
in realtà non è possibile “ricrearle”: chi nascerà lo farà in un contesto
diverso, avrà altre relazioni significative,
non sarà mai identico ad un altro, né sul piano fisico né sul piano
della personalità).
Ma
torniamo al discorso sullo stato dell’arte delle tecnologie riproduttive su cui
si sta lavorando. Per alcune di esse – pensiamo in particolare alla partenogenesi
umana, cioè alla possibilità di far sviluppare un essere a partire dal solo
ovocita – non ci sono ancora risultati apprezzabili, tanto è vero che questo
tipo di ricerca è stato per il momento accantonato. Non si è dato infatti il
caso di alcun embrione prodotto solo da una cellula uovo che sia stato in grado
di svilupparsi in un individuo adulto: è dunque qualcosa che assomiglia ad un
embrione, senza esserlo compiutamente.
Proprio
per la loro caratteristica di
incompiutezza si è pensato qualche anno fa, in un laboratorio milanese, di poter utilizzare gli embrioni ottenuti
stimolando una cellula uovo, denominati “partenoti”, per produrre cellule
staminali embrionali, dal momento che la nostra legislazione non consente la ricerca sugli embrioni completi perché
essa comporterebbe la loro distruzione (il
prof. Balistreri ricorda che le cellule embrionali staminali sono considerate
assai preziose, perché possono essere coltivate e moltiplicate all’infinito
producendo tutti i tipi di tessuto). E’ proprio su tali questioni, in
effetti, che è possibile rendersi conto dell’estrema complessità del quadro su
cui si sta lavorando. Se un tempo definire l’embrione era facile – il prodotto
della fecondazione di una cellula uovo da parte di uno spermatozoo – ora è
assai difficile farlo, perché in realtà c’è pochissima differenza fra una
cellula uovo fecondata e una qualunque cellula del nostro corpo. In entrambe è
presente infatti un codice genetico completo, che nelle giuste condizioni
potrebbe dare vita ad un nuovo individuo (pensiamo,
dice il prof. Balistreri, a quelle contenute nei nostri capelli, che in effetti
non abbiamo alcun problema a tagliare, non pensando certo di stare uccidendo
degli embrioni…).
Fatte
salve queste considerazioni, il relatore conviene sulla necessità di muoversi,
in questo campo, con la giusta circospezione, ma senza eccessi di paura.
Occorre a suo giudizio porre fiducia nella plasticità della nostra natura,
nella capacità che abbiamo di confrontarci con scenari nuovi valutando i
vantaggi che tecniche per ora inconsuete potrebbero portare alla procreazione, tenendo
conto dell’evoluzione della mentalità che abbiamo noi stessi potuto riscontrare in
questi ultimi anni (pensiamo a quanto
sarebbe apparsa impensabile, fino a non molti anni fa, una legge di civiltà
come quella che consente ora a due persone dello stesso sesso di convivere
legalmente e di adottare, in qualche caso di poter avere figli che comunque
nasceranno ormai in questo nuovo scenario culturale e il cui il modo di
rapportarsi con tali questioni sarà certamente diverso dal nostro).
IL
DIALOGO CON IL PUBBLICO:
Dopo
questa introduzione, in cui sono stati forniti molti e importanti elementi di
discussione, il prof. Balistreri apre il dialogo con un pubblico che lo ha
seguito con grande attenzione e che ora lo sollecita, attraverso domande e
riflessioni, a rispondere alla richiesta già posta in prima battura dalla
presidente dell’associazione: quella cioè di chiarire, rispetto alle pratiche,
alle tecnologie, alle trasformazioni in atto, se esse siano da considerare solo
come cose che “emergono”, cioè che accadono e di cui dobbiamo semplicemente
prendere atto, o se invece si profilino dei pericoli e in questo caso, quali
criteri di giudizio ci può fornire il discorso bioetico. Ci permettiamo qui di
riassumere, accorpandoli, sia gli interventi del pubblico che le riflessioni
del relatore, non potendo trasferire nel testo scritto la ricchezza del
confronto reale.
Le questioni poste:
C’è
stato intanto, soprattutto da parte di chi ha vissuto sulla propria pelle le
lotte che le donne hanno condotto per separare la sessualità dalla
riproduzione, il riconoscimento positivo delle opportunità che sono venute
dalla ricerca sulla procreazione assistita, anche se a chi ormai ha una certa
età può accadere di considerare con un certo sgomento l’idea di una
molteplicità di figure familiari, per come si è configurata nel discorso del prof.
Balistreri…
Nella
maggior parte degli interventi vengono comunque evidenziati i vari problemi che
si presentano, perché è soprattutto rispetto ad essi che si desidera il
confronto con il relatore. In particolare viene posto il tema del controllo
decisionale, che si trova a fronteggiare un quadro globale di grandi
disuguaglianze nelle condizioni di vita, nel tasso di crescita demografica,
nell’orientamento politico e sociale. Sappiamo bene che ci sono paesi molto
diversi dalle nostre democrazie occidentali, in cui le scelte governative
possono anche non tenere conto di particolari vincoli (pensiamo in particolare alla Cina, la cui politica del figlio unico
imposta per legge ha condizionato pesantemente le scelte riproduttive, per
produrre poi guasti difficilmente sanabili; o ancora, per riportarci a noi –
come viene messo in rilievo da un altro intervento - il fatto che manchi un quadro legislativo
unitario anche a livello europeo, per
cui si può tranquillamente fare appena fuori dai nostri confini ciò che magari non
è consentito in Italia). Ci si interroga quindi su come si possono far
crescere i meccanismi decisionali, tanto più importanti in un momento in cui le
tecnologie stanno diventando sempre più potenti: tecnologie, fra l’altro, che
tendiamo a considerare come “neutre”, in modo asettico, senza in realtà ben
sapere chi le attua, chi le controlla, quali interessi economici le muovono…
E
ancora, si sottolinea la necessità di regolamentare le molte questioni sul
tavolo, cominciando dalla sperimentazione sugli animali che è ora un campo
totalmente aperto, ponendo attenzione alla direzione che potrebbe prendere la
ricerca, soprattutto quella legata all’ingegneria genetica (si cita a questo proposito un recente e
corposo provvedimento dell’Unione Europea in cui si cerca di regolamentare gli
interventi sull’intelligenza
artificiale). In linea con quest’ultimo tema, altri interlocutori
richiamano la necessità di costruire un modello di ragionamento sulla liceità
di certi interventi, facendo crescere la responsabilità morale di fronte ad una
ricerca che di per sé non si arresta e che ha oggi possibilità prima
impensabili: cosa che chiama in causa, come giustamente viene ricordato da un
successivo interlocutore, il controllo dell’evoluzione della nostra specie, la
cui direzione è sempre meno affidata alla natura.
Gli interventi del
relatore:
Nella
sua risposta, o per meglio dire nei successivi interventi che via via si
snodano attraverso il dialogo con i vari interlocutori, il prof. Balistreri accoglie le loro sollecitazioni
cercando di chiarire non solo la sua posizione personale, ma anche di indicare
qual è in generale la direzione del dibattito bioetico.
Più
che discutere sulla naturalità o meno di certi procedimenti, che è ormai
questione annosa, si pone oggi una particolare attenzione sui problemi di
giustizia che vengono necessariamente a determinarsi con queste nuove
tecnologie, a suo parere portatrici di grandi opportunità, ma comunque non
facili da arginare, qualora lo si volesse, per le forti aspettative e gli
interessi in campo. La preoccupazione bioetica si appunta pertanto soprattutto
sulla loro accessibilità: se noi pensiamo alle tecniche di intervento sul
genoma umano, che potrebbero essere usate per correggere le anomalie genetiche,
evitare certe malattie, ma anche – almeno così si ipotizza – per potenziare le
nostre risorse fisiche e mentali, dobbiamo avere ben presente il rischio che
solo una parte della popolazione possa goderne i benefici. Non è irrealistico
infatti pensare che esse potrebbero determinare invece un ulteriore
aggravamento delle disuguaglianze già presenti, e addirittura produrre un
sistema castale, dando luogo a prospettive di vita fortemente differenziate. Il
problema è enorme, e giustamente è stato richiamato il tema del controllo sulla
nostra evoluzione come specie.
Come
gestiremo – si domanda il prof. Balistreri – queste nuove opportunità a livello
globale? Come potremo garantire l’accesso di tutti alle cure e a una condizione
genetica senza precedenti?
Domande
inquietanti ma ineludibili, che peraltro richiedono a suo giudizio un’ulteriore
precisazione su cosa è oggi in grado di fare l’ingegneria genetica, che è stata
giustamente chiamata in causa in alcuni interventi:
Per ora, spiega il
relatore, se è consentito nella riproduzione assistita selezionare l’embrione
più adatto alla vita, non è ancora possibile intervenire sul codice genetico.
E’ stata peraltro recentemente approvata dal governo inglese una legge, non
ancora applicata, che permette di correggere quelle anomalie del DNA
mitocondriale che potrebbero determinare gravissime malattie degenerative
(ricordiamo che il DNA mitocondriale è posto con i suoi 35 geni attorno al DNA
nucleare, che sta al centro della cellula). Esiste infatti una tecnica ormai collaudata
che consente di trasferire il DNA mitocondriale in una cellula uovo che non
presenta difetti, rappresentando a questo livello una soluzione più evoluta
rispetto ad altre tecniche già sperimentate anche a Torino, in cui si
interveniva semplicemente inserendo il DNA mitocondriale sano di un’altra
cellula uovo nell’embrione, nella speranza che esso prendesse il sopravvento o
che comunque la situazione si bilanciasse.
Il
problema della giustizia peraltro non riguarda solo l’accesso alle cure, ma
anche la libertà di scelta che secondo il prof.Balistreri presenta dilemmi
etici altrettanto rilevanti, dal momento che da un lato noi rivendichiamo
sempre più la libertà di decidere in piena autonomia della nostra vita,
dall’altro dobbiamo contemperare questo diritto con le esigenze della
collettività. Che cosa accadrà – si chiede il relatore - quando le tecnologie
riproduttive che abbiamo presentato saranno davvero operanti? Potremo
scegliere, come donne, di condurre ancora la gravidanza nel nostro corpo? Se
permettere o no, come genitori, l’intervento genetico sui nostri embrioni? (pensiamo a quanto è accaduto di recente
nel caso dei vaccini, in cui sono venuti a scontrarsi la libertà di scelta e
l’interesse della salute pubblica). Bisognerà ben riflettere su ciò che è
malattia, su cosa è diversità, qual è il nostro margine di scelta…
Non
c’è dubbio che dilemmi etici non indifferenti si presenteranno al legislatore,
oltre che alla nostra coscienza, anche qualora partissimo dal presupposto che
queste pratiche possano essere tanto vantaggiose quanto moralmente accettabili:
il problema del CHI DECIDE COSA è già ora, e lo diventerà sempre di più,
assolutamente centrale.
Parimenti
non è certo da sottovalutare la questione della gestione delle tecnologie e
della proprietà intellettuale delle scoperte, che è stato sollevato in uno
degli interventi. Esistono centri di
ricerca pubblica, ma molti degli studi che vengono condotti in questo campo
sono finanziati da aziende private, e sono pertanto legati alla possibilità di
avere dei brevetti che diano il diritto esclusivo di utilizzo sul mercato delle
conseguenti scoperte, come avviene già per i farmaci.
Non
è facile, conclude il prof. Balistreri, il percorso che dovremo affrontare. Non
sappiamo ancora che cosa faremo, nel momento in cui non solo sarà possibile
eliminare una malattia degenerativa da un embrione ma anche modificarlo in modo
da renderlo diverso (magari più morale,
più capace di empatia? L’ipotesi può apparirci inquietante, e certo lo è:
pensiamo tuttavia, tanto per fare un esempio, alla possibilità per un soggetto
affetto da forme psicotiche gravi di poter condurre una vita normale), e
certo non possiamo nascondere il fatto che queste ricerche comportano spesso sofferenza
animale.
Cosa
guadagneremo, e cosa perderemo della nostra umanità? Indubbiamente dovremo porci, ad ogni passo e
in un quadro di continua trasformazione, il problema delle scelte, per cui ci
vorrà davvero un surplus di conoscenza e di consapevolezza delle questioni in
gioco tale da permettere un’attenzione ancora più mirata sui meccanismi
decisionali. Sarà comunque importante, a giudizio del relatore che nutre una
profonda fiducia nella plasticità umana, mantenere un buon equilibrio fra
l’eccesso di speranze e di aspettative e l’eccesso di paure, con una
circospezione “giusta”.
…………………………………………..
N.B.= come sempre
abbiamo cercato di restare il più possibile fedeli al discorso del relatore,
pur sintetizzando alcuni passaggi argomentativi, per evitare errori di
interpretazione: ci assumiamo comunque la responsabilità di eventuali
fraintendimenti
Per CircolarMente - Enrica
Gallo
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