venerdì 23 febbraio 2018

Relazione sull’incontro con il professor Maurizio Balistreri a cura di Enrica Gallo


IL FUTURO DELLA PROCREAZIONE

                                          

Nel presentare il relatore, professore di bioetica all’Università di Torino, Massima Bercetti ricorda come sia stato già gradito ospite dell’associazione nella fase iniziale del suo percorso, per trattare argomenti di grande importanza (dai cosiddetti “superumani” alla clonazione) collegati al tema che verrà affrontato nella serata.

Ricorda ancora che questa iniziativa, con quella che seguirà e in cui avremo modo di discutere con la dottoressa Mirella Rostagno di questioni attinenti all’identità sessuale, si colloca all’interno del progetto “Impronte”: un progetto che è stato avviato alcuni anni fa da Rossella Morra, allora assessore alle Pari Opportunità, e che ora viene portato avanti dall’attuale amministrazione allo scopo di proporre riflessioni sulla condizione femminile, attivando buone pratiche di sostegno alle donne.

Dal canto suo, CircolarMente intende mettere in luce in questo primo incontro, grazie alla competenza del relatore e alla sua attitudine al confronto, alcuni scenari che si stanno configurando, in modo che le nostre scelte come cittadini possano avvalersi delle conoscenze necessarie a produrre una maggiore consapevolezza. Ringrazia per questo il pubblico, numeroso nonostante la serata fredda e il cambio di data, notando con piacere la presenza di alcuni studenti e insegnanti.        

                              

 N.B. = per chi volesse approfondire gli argomenti della serata, ricordiamo il testo  pubblicato di recente dal prof. Balistreri: “Il futuro della procreazione umana”– ed. Fandango  



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GLI SCENARI POSSIBILI:



Con un’esposizione particolarmente chiara ed efficace, il prof. Balistreri ha fatto il punto su quello che sta accadendo, o che possiamo ipotizzare come futuribile nel campo della procreazione umana, condividendo col numeroso pubblico le conoscenze e le riflessioni che hanno accompagnato la stesura del testo a cui Massima Bercetti ha fatto riferimento.

Da quel giorno dell’ormai lontano luglio 78 in cui è venuto alla luce la prima bambina concepita in provetta*, risultante cioè non da un rapporto sessuale ma dalla fecondazione in vitro di una cellula uovo da parte di uno spermatozoo, le tecnologie riproduttive hanno avuto un avanzamento impressionante in cui è possibile riscontrare, secondo il prof. Balistreri, alcune linee di tendenza che aprono scenari completamente nuovi: esse paiono infatti portarci non solo verso una sempre maggiore separazione della riproduzione dalla sessualità, già evidente nella cosiddetta riproduzione assistita, ma ancora -  se pensiamo all’ipotesi dell’utero artificiale, lontana per ora dal suo  realizzarsi ma non concettualmente impossibile – ad un vero e proprio sganciamento della riproduzione dal corpo, senza contare la possibilità di concepire da soli, che potrebbe essere resa fattibile dalle ricerche sui gameti artificiali, ottenuti cioè dalle cellule del corpo.

Seguiamo dunque il percorso illustrato dal relatore, che ci presenta quelle nuove tecniche riproduttive che  potrebbero in futuro rendere del tutto realistiche queste possibilità:

1. La possibilità di separare la  riproduzione  dalla sessualità

Cominciamo dal primo punto. Sappiamo bene che dopo quella nascita che è apparsa allora tanto foriera di speranze quanto di sgomento e che ha suscitato pertanto un dibattito molto intenso (alle preoccupazioni per la salute dei bambini così concepiti si accompagnavano infatti, almeno in una parte dell’opinione pubblica, oscuri timori di una  loro riduzione a oggetti), le resistenze sono andate via via scemando, tanto è vero che la riproduzione assistita è diventata oggi una pratica non solo socialmente accettata ma relativamente comune, anche se ancora la maggior parte dei concepimenti  deriva  direttamente da un rapporto sessuale.

Il prof. Balistreri ritiene peraltro che in un futuro non troppo lontano potremo considerare la riproduzione assistita decisamente più adeguata e vantaggiosa per il nascituro. Ad aprire questo nuovo scenario è sicuramente lo sviluppo dell’ingegneria genetica che permette (o per meglio dire potrebbe presto permettere, visti i risultati della sperimentazione sugli animali) di intervenire sul codice genetico dell’embrione, per correggerne le eventuali anomalie, renderlo più resistente a certe malattie o alla fatica, o ancora per potenziare alcune capacità cognitive o empatiche.

Anche oggi in effetti abbiamo già la possibilità di controllare lo stato di salute dell’embrione attraverso una diagnosi prenatale, rendendo possibile un’eventuale interruzione di gravidanza nel caso si riscontrino gravi anomalie; quando poi si ricorre alla procreazione assistita, dove la legislazione lo permette è possibile produrre un certo numero di embrioni e selezionare quelli che non presentano anomalie, o che mostrano di avere il migliore corredo genetico.  

La possibilità di intervenire puntualmente sul codice genetico del nascituro aprirebbe peraltro scenari completamente inediti, facendo emergere l’idea che la riproduzione in laboratorio potrebbe essere in effetti più vantaggiosa di quella sessuata (si può agire nel momento stesso del concepimento,  senza fare interventi invasivi all’interno del grembo materno). Si potrebbe giungere addirittura in futuro a considerare scarsamente responsabile chi scegliesse di riprodursi sessualmente, esponendo il nascituro a rischi maggiori (a questo proposito il prof. Balistreri apre una parentesi letteraria ricordando come ne “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley – uno dei più famosi racconti distopici della narrativa novecentesca - solo i selvaggi che abitano nelle zone più remote del pianeta continuino a concepire sessualmente, mentre gli abitanti del mondo civilizzato vengono letteralmente “coltivati” in appositi laboratori in modo da evitare qualunque esposizione al caso).

2.  La possibilità di concepire da soli

Con il tema dei gameti artificiali - cioè dei gameti che possono essere ottenuti a partire da una qualunque cellula del nostro corpo - il prof. Balistreri apre un secondo importante scenario, a cui nel suo testo ha dedicato una particolare attenzione.

Come sappiamo, fino ad oggi le persone che non hanno a disposizione cellule uovo o spermatozoi adatti alla riproduzione devono dipendere da un donatore esterno. Ci potrebbe essere invece in futuro la possibilità di ottenerli direttamente dal proprio corpo: le sperimentazioni condotte finora sugli animali hanno infatti dato  ottimi risultati (il prof. Balistreri cita la recente nascita di alcuni topolini in cui a fecondare la cellula uovo sono stati gli spermatozoi ottenuti dalla coda di altri topi).

In effetti, se è vero che ancora non abbiamo la possibilità di produrre gameti maturi utilizzabili per la riproduzione assistita a partire da cellule prese da una qualunque parte del corpo umano, si immagina che un giorno questo possa davvero diventare fattibile, consentendo a ciascuno di noi, uomo o donna,  di poter contare su di una scorta inesauribile di gameti, vita natural durante; e ancora, si ipotizza, sempre a partire dalle ricerche in corso, che si possano produrre non solo gameti del nostro stesso genere, ma anche dell’altro sesso (sia spermatozoi che cellule uovo, dunque). In questo modo il nascituro deriverebbe il proprio codice genetico da un’unica persona (già con la clonazione del resto questo è possibile, consistendo essa nel trasferimento del DNA nucleare di una cellula del corpo in una cellula uovo privata precedentemente del suo DNA).

Questo significa che una donna, lasciando trasferire il suo DNA nucleare in una cellula del suo corpo, potrebbe concepire da sola, avendo a disposizione le sue cellule uovo: cosa che per gli uomini non sarebbe possibile, perché si dovrebbero utilizzare cellule uovo che pur private del DNA nucleare conserverebbero comunque alcuni geni legati al DNA mitocondriale. Ma in futuro?

Qui si aprono davvero scenari fino ad ora impensabili, osserva il prof. Balistreri: se diventasse possibile ottenere delle cellule uovo dalle cellule del corpo di un uomo, anche gli uomini potrebbero concepire da soli,  passando ai figli un corredo genetico derivato esclusivamente da loro. La parità dei sessi, dunque, diventerebbe sotto questo aspetto effettiva! Certamente tutto questo cambierebbe completamente il nostro stesso concetto di genitorialità. In futuro a genitorialità singolari, fino ad ora impensabili, si potrebbero infatti affiancare anche forme multiple di genitorialità, perché ci potrebbero essere più persone che contribuiscono al codice genetico del nascituro dando magari vita a genitorialità “allargate”, gestite cioè da più persone disposte a condividere un progetto genitoriale.

Sono cambiamenti che possono apparirci alquanto inquietanti, ma secondo il prof. Balistreri alcune di queste tecnologie che oggi magari ci sembrano incompatibili con la nostra umanità potrebbero assumere ai nostri occhi, in futuro, una valenza socialmente ed eticamente accettabile, com’è accaduto nel caso della fecondazione assistita. Detto questo, discutere sulla liceità etica di queste pratiche e sui problemi che ne possono derivare è non solo opportuno ma necessario, anche se prima di affrontare tali questioni c’è ancora un altro importante scenario da prendere in considerazione.

3. La possibilità di separare la riproduzione dal corpo

 Fra le possibilità che potrebbero cambiare fortemente il nostro modo di pensare e di attuare la riproduzione, quella del cosiddetto “utero artificiale” non si limiterebbe a separare la riproduzione dalla sessualità, come già avviene nella riproduzione assistita - in cui l’embrione prodotto in laboratorio viene comunque reinserito nel corpo della donna che porterà a termine la gravidanza - ma verrebbe a determinare un vero e proprio “sganciamento” della riproduzione dal corpo.

Si tratta di una prospettiva possibile? E se tale, quali vantaggi o problemi potrebbe recare?

Seguiamo ancora il prof. Balistreri che illustra questo nuovo scenario, pur considerando che l’utero artificiale sembra essere una prospettiva alquanto lontana. Se peraltro consideriamo da un lato, come il relatore ci invita a fare, quanto sta avvenendo nella pratica medica, in cui grazie allo sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate è possibile ora far sopravvivere feti molto prematuri (scendendo al di sotto del limite di quelle trenta settimane che fino a pochi anni fa sembrava non superabile), e dall’altro osserviamo quanto si sta facendo nei laboratori dove si seguono le fasi iniziali della vita embrionale, questa possibilità appare decisamente meno remota.

Per adesso, spiega il prof. Balistreri, noi siamo in grado di tenere in vita un embrione separato dal grembo materno per un periodo di circa quattordici giorni: un termine che peraltro potrebbe in linea di massima aumentare, se questo non fosse tassativamente vietato dalla legge per motivi etici, nonostante sia stata fatta da parte di molti ricercatori la richiesta di prolungare il termine a 21 giorni per permettere la ricerca su embrioni più maturi.

In linea teorica dunque potremmo anche considerare fattibile la possibilità di tenere gli embrioni in vita  più a lungo, colmando questa distanza: se si riuscisse a far crescere in laboratorio embrioni di tre o quattro settimane, e se dall’altro lato si accorciassero ancora i tempi di sopravvivenza dei prematuri, l’utero artificiale diventerebbe possibile, dal momento che le difficoltà maggiori in genere si verificano nelle prime fasi di un percorso, per poi decrescere (alcuni esperimenti fatti su animali  verrebbero a confermare  la possibilità di far crescere un feto in un ambiente diverso da quello materno: il prof. Balistreri cita in particolare  il caso del feto di una pecora, estratto molto prematuro dal corpo della madre, che è stato fatto sopravvivere per alcuni giorni, fino alla nascita, in una sacca piena di una sorta di liquido amniotico).

Naturalmente possiamo, anzi dobbiamo chiederci quali conseguenze porterebbe lo schiudersi, accanto a quelli delineati in precedenza, di questo ulteriore scenario in cui la riproduzione si separa addirittura dal corpo. Se questo avvenisse, osserva il prof. Balistreri, si realizzerebbe intanto una piena uguaglianza riproduttiva fra uomini e donne: potrebbero infatti, i primi, decidere di avere un figlio come e quando vogliono, senza dipendere da una donna, mentre le seconde non sarebbero più costrette ad affrontare da sole la responsabilità di mettere al mondo un figlio per la coppia. Si aprirebbero inoltre possibilità finora impensabili per le coppie dello stesso sesso, che se maschili devono ricorrere non solo alle cellule uovo di una donatrice, ma al corpo di una donna disponibile a portare avanti la gestazione, mentre le donne devono comunque ricorrere ad un donatore esterno. Pensiamo ancora, e non come cosa ultima, alla possibilità che un utero artificiale offrirebbe alle donne che hanno difficoltà nel condurre la gestazione…

Se questi vantaggi, secondo il prof. Balistreri, non devono essere sottovalutati, non possiamo certo evitare di porre la nostra attenzione sui rischi e sui problemi che queste pratiche potrebbero comportare. Per questo  affronta ora questo piano del discorso, chiarendo in primo luogo qual è la situazione attuale di alcune delle ricerche cui si è fatto accenno.

UN QUADRO DI GRANDE COMPLESSITA’:

C’è anzitutto da considerare il problema della sicurezza delle tecnologie, su cui si fonda parte dei timori per quello che potrebbe accadere a chi nasce grazie ad esse.

Pensiamo, per fare un esempio, alla clonazione che benché sia una tecnica ormai ampiamente collaudata sugli animali, con buone percentuali di successo, non è ancora considerata abbastanza sicura per essere applicata nel concepimento di un essere umano, pur essendoci virtualmente la possibilità di impiantare degli embrioni prodotti per clonazione nel corpo di una donna. In effetti, come spiegherà più oltre il prof. Balistreri in risposta ad un intervento del pubblico, non si può escludere che qualcuno ci abbia già provato, dal momento che noi non abbiamo il controllo di quanto avviene in laboratori situati in paesi dove l’obbligo della trasparenza scientifica può essere disatteso o aggirato (bisogna dire peraltro che sulla parola “clone” gravano a suo giudizio alcune idee non corrette: se anche ci fosse in alcuni il desiderio di riprodurre il codice genetico di altre persone, in realtà non è possibile “ricrearle”: chi nascerà lo farà in un contesto diverso, avrà altre relazioni significative,  non sarà mai identico ad un altro, né sul piano fisico né sul piano della personalità).

Ma torniamo al discorso sullo stato dell’arte delle tecnologie riproduttive su cui si sta lavorando. Per alcune di esse – pensiamo in particolare alla partenogenesi umana, cioè alla possibilità di far sviluppare un essere a partire dal solo ovocita – non ci sono ancora risultati apprezzabili, tanto è vero che questo tipo di ricerca è stato per il momento accantonato. Non si è dato infatti il caso di alcun embrione prodotto solo da una cellula uovo che sia stato in grado di svilupparsi in un individuo adulto: è dunque qualcosa che assomiglia ad un embrione, senza esserlo compiutamente.

Proprio  per la loro caratteristica di incompiutezza si è pensato qualche anno fa, in un laboratorio milanese,  di poter utilizzare gli embrioni ottenuti stimolando una cellula uovo, denominati “partenoti”, per produrre cellule staminali embrionali, dal momento che la nostra legislazione non consente  la ricerca sugli embrioni completi perché essa comporterebbe la loro distruzione (il prof. Balistreri ricorda che le cellule embrionali staminali sono considerate assai preziose, perché possono essere coltivate e moltiplicate all’infinito producendo tutti i tipi di tessuto). E’ proprio su tali questioni, in effetti, che è possibile rendersi conto dell’estrema complessità del quadro su cui si sta lavorando. Se un tempo definire l’embrione era facile – il prodotto della fecondazione di una cellula uovo da parte di uno spermatozoo – ora è assai difficile farlo, perché in realtà c’è pochissima differenza fra una cellula uovo fecondata e una qualunque cellula del nostro corpo. In entrambe è presente infatti un codice genetico completo, che nelle giuste condizioni potrebbe dare vita ad un nuovo individuo (pensiamo, dice il prof. Balistreri, a quelle contenute nei nostri capelli, che in effetti non abbiamo alcun problema a tagliare, non pensando certo di stare uccidendo degli embrioni…).

Fatte salve queste considerazioni, il relatore conviene sulla necessità di muoversi, in questo campo, con la giusta circospezione, ma senza eccessi di paura. Occorre a suo giudizio porre fiducia nella plasticità della nostra natura, nella capacità che abbiamo di confrontarci con scenari nuovi valutando i vantaggi che tecniche per ora inconsuete potrebbero portare alla procreazione, tenendo conto dell’evoluzione della mentalità  che abbiamo noi stessi potuto riscontrare in questi ultimi anni (pensiamo a quanto sarebbe apparsa impensabile, fino a non molti anni fa, una legge di civiltà come quella che consente ora a due persone dello stesso sesso di convivere legalmente e di adottare, in qualche caso di poter avere figli che comunque nasceranno ormai in questo nuovo scenario culturale e il cui il modo di rapportarsi con tali questioni sarà certamente diverso dal nostro).



IL DIALOGO CON IL PUBBLICO:



Dopo questa introduzione, in cui sono stati forniti molti e importanti elementi di discussione, il prof. Balistreri apre il dialogo con un pubblico che lo ha seguito con grande attenzione e che ora lo sollecita, attraverso domande e riflessioni, a rispondere alla richiesta già posta in prima battura dalla presidente dell’associazione: quella cioè di chiarire, rispetto alle pratiche, alle tecnologie, alle trasformazioni in atto, se esse siano da considerare solo come cose che “emergono”, cioè che accadono e di cui dobbiamo semplicemente prendere atto, o se invece si profilino dei pericoli e in questo caso, quali criteri di giudizio ci può fornire il discorso bioetico. Ci permettiamo qui di riassumere, accorpandoli, sia gli interventi del pubblico che le riflessioni del relatore, non potendo trasferire nel testo scritto la ricchezza del confronto reale.

Le questioni poste:

C’è stato intanto, soprattutto da parte di chi ha vissuto sulla propria pelle le lotte che le donne hanno condotto per separare la sessualità dalla riproduzione, il riconoscimento positivo delle opportunità che sono venute dalla ricerca sulla procreazione assistita, anche se a chi ormai ha una certa età può accadere di considerare con un certo sgomento l’idea di una molteplicità di figure familiari, per come si è configurata nel discorso del prof. Balistreri…

Nella maggior parte degli interventi vengono comunque evidenziati i vari problemi che si presentano, perché è soprattutto rispetto ad essi che si desidera il confronto con il relatore. In particolare viene posto il tema del controllo decisionale, che si trova a fronteggiare un quadro globale di grandi disuguaglianze nelle condizioni di vita, nel tasso di crescita demografica, nell’orientamento politico e sociale. Sappiamo bene che ci sono paesi molto diversi dalle nostre democrazie occidentali, in cui le scelte governative possono anche non tenere conto di particolari vincoli (pensiamo in particolare alla Cina, la cui politica del figlio unico imposta per legge ha condizionato pesantemente le scelte riproduttive, per produrre poi guasti difficilmente sanabili; o ancora, per riportarci a noi – come viene messo in rilievo da un altro intervento -  il fatto che manchi un quadro legislativo unitario anche a livello europeo,  per cui si può tranquillamente fare appena fuori dai nostri confini ciò che magari non è consentito in Italia). Ci si interroga quindi su come si possono far crescere i meccanismi decisionali, tanto più importanti in un momento in cui le tecnologie stanno diventando sempre più potenti: tecnologie, fra l’altro, che tendiamo a considerare come “neutre”, in modo asettico, senza in realtà ben sapere chi le attua, chi le controlla, quali interessi economici le muovono…

E ancora, si sottolinea la necessità di regolamentare le molte questioni sul tavolo, cominciando dalla sperimentazione sugli animali che è ora un campo totalmente aperto, ponendo attenzione alla direzione che potrebbe prendere la ricerca, soprattutto quella legata all’ingegneria genetica (si cita a questo proposito un recente e corposo provvedimento dell’Unione Europea in cui si cerca di regolamentare gli interventi sull’intelligenza artificiale). In linea con quest’ultimo tema, altri interlocutori richiamano la necessità di costruire un modello di ragionamento sulla liceità di certi interventi, facendo crescere la responsabilità morale di fronte ad una ricerca che di per sé non si arresta e che ha oggi possibilità prima impensabili: cosa che chiama in causa, come giustamente viene ricordato da un successivo interlocutore, il controllo dell’evoluzione della nostra specie, la cui direzione è sempre meno affidata alla natura.

Gli interventi del relatore:

Nella sua risposta, o per meglio dire nei successivi interventi che via via si snodano attraverso il dialogo con i vari interlocutori, il prof.  Balistreri accoglie le loro sollecitazioni cercando di chiarire non solo la sua posizione personale, ma anche di indicare qual è in generale la direzione del dibattito bioetico.

Più che discutere sulla naturalità o meno di certi procedimenti, che è ormai questione annosa, si pone oggi una particolare attenzione sui problemi di giustizia che vengono necessariamente a determinarsi con queste nuove tecnologie, a suo parere portatrici di grandi opportunità, ma comunque non facili da arginare, qualora lo si volesse, per le forti aspettative e gli interessi in campo. La preoccupazione bioetica si appunta pertanto soprattutto sulla loro accessibilità: se noi pensiamo alle tecniche di intervento sul genoma umano, che potrebbero essere usate per correggere le anomalie genetiche, evitare certe malattie, ma anche – almeno così si ipotizza – per potenziare le nostre risorse fisiche e mentali, dobbiamo avere ben presente il rischio che solo una parte della popolazione possa goderne i benefici. Non è irrealistico infatti pensare che esse potrebbero determinare invece un ulteriore aggravamento delle disuguaglianze già presenti, e addirittura produrre un sistema castale, dando luogo a prospettive di vita fortemente differenziate. Il problema è enorme, e giustamente è stato richiamato il tema del controllo sulla nostra evoluzione come specie.

Come gestiremo – si domanda il prof. Balistreri – queste nuove opportunità a livello globale? Come potremo garantire l’accesso di tutti alle cure e a una condizione genetica senza precedenti?

Domande inquietanti ma ineludibili, che peraltro richiedono a suo giudizio un’ulteriore precisazione su cosa è oggi in grado di fare l’ingegneria genetica, che è stata giustamente chiamata in causa in alcuni interventi:

Per ora, spiega il relatore, se è consentito nella riproduzione assistita selezionare l’embrione più adatto alla vita, non è ancora possibile intervenire sul codice genetico. E’ stata peraltro recentemente approvata dal governo inglese una legge, non ancora applicata, che permette di correggere quelle anomalie del DNA mitocondriale che potrebbero determinare gravissime malattie degenerative (ricordiamo che il DNA mitocondriale è posto con i suoi 35 geni attorno al DNA nucleare, che sta al centro della cellula). Esiste infatti una tecnica ormai collaudata che consente di trasferire il DNA mitocondriale in una cellula uovo che non presenta difetti, rappresentando a questo livello una soluzione più evoluta rispetto ad altre tecniche già sperimentate anche a Torino, in cui si interveniva semplicemente inserendo il DNA mitocondriale sano di un’altra cellula uovo nell’embrione, nella speranza che esso prendesse il sopravvento o che comunque la situazione si bilanciasse.

Il problema della giustizia peraltro non riguarda solo l’accesso alle cure, ma anche la libertà di scelta che secondo il prof.Balistreri presenta dilemmi etici altrettanto rilevanti, dal momento che da un lato noi rivendichiamo sempre più la libertà di decidere in piena autonomia della nostra vita, dall’altro dobbiamo contemperare questo diritto con le esigenze della collettività. Che cosa accadrà – si chiede il relatore - quando le tecnologie riproduttive che abbiamo presentato saranno davvero operanti? Potremo scegliere, come donne, di condurre ancora la gravidanza nel nostro corpo? Se permettere o no, come genitori, l’intervento genetico sui nostri embrioni? (pensiamo a quanto è accaduto di recente nel caso dei vaccini, in cui sono venuti a scontrarsi la libertà di scelta e l’interesse della salute pubblica). Bisognerà ben riflettere su ciò che è malattia, su cosa è diversità, qual è il nostro margine di scelta…

Non c’è dubbio che dilemmi etici non indifferenti si presenteranno al legislatore, oltre che alla nostra coscienza, anche qualora partissimo dal presupposto che queste pratiche possano essere tanto vantaggiose quanto moralmente accettabili: il problema del CHI DECIDE COSA è già ora, e lo diventerà sempre di più, assolutamente centrale.

Parimenti non è certo da sottovalutare la questione della gestione delle tecnologie e della proprietà intellettuale delle scoperte, che è stato sollevato in uno degli interventi.  Esistono centri di ricerca pubblica, ma molti degli studi che vengono condotti in questo campo sono finanziati da aziende private, e sono pertanto legati alla possibilità di avere dei brevetti che diano il diritto esclusivo di utilizzo sul mercato delle conseguenti scoperte, come avviene già per i farmaci.

Non è facile, conclude il prof. Balistreri, il percorso che dovremo affrontare. Non sappiamo ancora che cosa faremo, nel momento in cui non solo sarà possibile eliminare una malattia degenerativa da un embrione ma anche modificarlo in modo da renderlo diverso (magari più morale, più capace di empatia? L’ipotesi può apparirci inquietante, e certo lo è: pensiamo tuttavia, tanto per fare un esempio, alla possibilità per un soggetto affetto da forme psicotiche gravi di poter condurre una vita normale), e certo non possiamo nascondere il fatto che queste ricerche comportano spesso sofferenza animale.

Cosa guadagneremo, e cosa perderemo della nostra umanità?  Indubbiamente dovremo porci, ad ogni passo e in un quadro di continua trasformazione, il problema delle scelte, per cui ci vorrà davvero un surplus di conoscenza e di consapevolezza delle questioni in gioco tale da permettere un’attenzione ancora più mirata sui meccanismi decisionali. Sarà comunque importante, a giudizio del relatore che nutre una profonda fiducia nella plasticità umana, mantenere un buon equilibrio fra l’eccesso di speranze e di aspettative e l’eccesso di paure, con una circospezione “giusta”.



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N.B.= come sempre abbiamo cercato di restare il più possibile fedeli al discorso del relatore, pur sintetizzando alcuni passaggi argomentativi, per evitare errori di interpretazione: ci assumiamo comunque la responsabilità di eventuali fraintendimenti

Per CircolarMente - Enrica Gallo

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