Una
miniera di geni indiani
Articolo di Silvia Bencivelli – Le Scienze del 10/02/2018
Le banche dati genetiche rappresentano
soprattutto europei e statunitensi, per questo l’indiano Sumit
Jamuar, co-fondatore e amministratore delegato di Global Gene Corporation,
vuole sequenziare il DNA dei suoi connazionali. Il suo obiettivo è
"democratizzare la genomica" e riequilibrare le disuguaglianze
nell'accesso ai risultati della ricerca medica più avanzata
Sulla Terra,
un essere umano su cinque è indiano. Ma nelle banche dati genetiche, è indiano
solo un DNA su 500. Anche Sumit Jamuar è indiano: co-fondatore e amministratore
delegato di Global Gene Corporation, ha deciso di porre rimedio a questa
clamorosa diseguaglianza e di cominciare a sequenziare il DNA dei propri
connazionali. E non si fermerà lì. C’è una parte di umanità poco considerata,
tagliata fuori dai vantaggi della ricerca medica avanzata, sostiene Jamuar. Se
questo non sembra abbastanza ingiusto, prosegue, è bene sapere che la
democratizzazione della genomica dà grandi vantaggi anche alla parte ricca
dell’umanità. Abbiamo incontrato Jamuar al Web Summit di Lisbona e ci siamo
fatti spiegare il perché.
Sumit Jamuar partiamo dalla situazione indiana: che cosa significa non essere rappresentati nelle banche dati genetiche?
Possiamo
dire che cosa significa essere rappresentati! Significa essere parte di quella
fetta di umanità su cui si sta disegnando la medicina di precisione, cioè su
cui sta nascendo la medicina del futuro, che dall’attuale modello one size fits
all, impreciso e approssimativo, avrà più informazioni sulla predisposizione
alle malattie, su come prevenirle, su come scegliere i trattamenti migliori
paziente per paziente. Sono queste le grandissime potenzialità che offre oggi
la genomica: in particolare si parla di malattie croniche, che sono quelle su
cui attualmente, contenute le malattie infettive, si sta investendo sempre di
più. Le informazioni raccolte su una parte limitata di umanità potrebbero non
funzionare per tutti. In più abbiamo già cominciato a notare che avere un
puzzle incompleto è svantaggioso sia per chi è escluso dalle banche dati sia
per chi vi è dentro.
Che cosa intende dire?
Ve lo spiego
con un esempio. Nel raccogliere i primi dati abbiamo considerato una coorte di
indiani sani e ne abbiamo studiato il DNA. Bene, è venuto fuori che il 96 per
cento aveva una mutazione che, nella letteratura medica, è considerata tra le
cause dell’epilessia. Ma nessuno di loro aveva mai avuto una crisi epilettica!
Che cosa significa? Che probabilmente non ci abbiamo capito niente. Che
studiare parti omogenee di umanità, e avere banche dati in cui l’80 per cento
del DNA è di provenienza caucasica, può portare a errori. Questi sono dati
preliminari, tuttavia ci stanno mostrando chiaramente che, anche con le tecniche
migliori del mondo, se non hai i dati giusti ti puoi ritrovare coi risultati
sbagliati.
Per questo lei sostiene che è arrivato il momento di rimediare.
I numeri sono questi. Il DNA del 60 per cento dell’umanità rappresenta il cinque per cento di quello custodito nelle banche dati del DNA: è il DNA di africani, indiani, altri asiatici, sudamericani. Ma solo quattro o cinque anni fa rappresentava a malapena l’uno per cento, segno che le cose possono cambiare. Noi abbiamo cominciato in India quattro anni fa: non possiamo ancora rendere pubblici i nostri risultati, ma si consideri che più o meno abbiamo già raccolto 10.000 genomi insieme ai relativi dati clinici e consensi informati, e lo abbiamo fatto grazie a importanti collaborazioni con ospedali ed enti di ricerca. Dopo l’India andremo in Sud America, Africa e così via. È il momento giusto per farlo
Per questo lei sostiene che è arrivato il momento di rimediare.
I numeri sono questi. Il DNA del 60 per cento dell’umanità rappresenta il cinque per cento di quello custodito nelle banche dati del DNA: è il DNA di africani, indiani, altri asiatici, sudamericani. Ma solo quattro o cinque anni fa rappresentava a malapena l’uno per cento, segno che le cose possono cambiare. Noi abbiamo cominciato in India quattro anni fa: non possiamo ancora rendere pubblici i nostri risultati, ma si consideri che più o meno abbiamo già raccolto 10.000 genomi insieme ai relativi dati clinici e consensi informati, e lo abbiamo fatto grazie a importanti collaborazioni con ospedali ed enti di ricerca. Dopo l’India andremo in Sud America, Africa e così via. È il momento giusto per farlo
Perché?
Perché oggi la genetica ha abbattuto i costi: sequenziare il primo genoma è costato circa 2,7 miliardi di dollari. Oggi bastano quattro ore e 1000 dollari, e via via che le tecnologie avanzano le cose si fanno più semplici ed economiche: presto il prezzo sarà intorno ai 100 dollari a persona. Non solo: avanzano le nostre conoscenze nell’ambito dell’intelligenza artificiale, quindi migliorano i nostri strumenti informatici e sappiamo sempre meglio come usare i dati.
Il momento è giusto anche per investire, dunque. Global Gene Corporation è nata nel 2013, ha sede a Singapore e ha il centro di ricerca e sviluppo a Cambridge, in Regno Unito, nel Wellcome Trust Sanger Institute. Perché non in India?
Perché oggi la genetica ha abbattuto i costi: sequenziare il primo genoma è costato circa 2,7 miliardi di dollari. Oggi bastano quattro ore e 1000 dollari, e via via che le tecnologie avanzano le cose si fanno più semplici ed economiche: presto il prezzo sarà intorno ai 100 dollari a persona. Non solo: avanzano le nostre conoscenze nell’ambito dell’intelligenza artificiale, quindi migliorano i nostri strumenti informatici e sappiamo sempre meglio come usare i dati.
Il momento è giusto anche per investire, dunque. Global Gene Corporation è nata nel 2013, ha sede a Singapore e ha il centro di ricerca e sviluppo a Cambridge, in Regno Unito, nel Wellcome Trust Sanger Institute. Perché non in India?
Abbiamo
anche una sede in India, a Mumbai: io sono indiano, ho studiato in India e ho
investito nel mio paese. Abbiamo anche una sede negli Stati Uniti, a Boston.
Tuttavia la nostra è un’azienda e per costruire un’azienda che funzioni c’è
bisogno delle professionalità migliori. E il Sanger Institute è uno dei luoghi
chiave della ricerca genetica al mondo. Inoltre a Cambridge ho modo di lavorare
con professionalità altissime di diversi settori. È una delle cose più belle
della genomica, che mette insieme fisici, biologi, informatici e medici.
Lei però non è né genetista né niente di quello che ha nominato: laureato in ingegneria chimica, ha sempre lavorato nella finanza. Perché si è buttato in questa impresa?
Lei però non è né genetista né niente di quello che ha nominato: laureato in ingegneria chimica, ha sempre lavorato nella finanza. Perché si è buttato in questa impresa?
Perché sono
rimasto affascinato dalle potenzialità della genomica, e mi entusiasma l’idea
di che cosa si può fare con questi dati, del salto che potrà fare l’assistenza
medica e la prevenzione, la sanità in generale, e anche del fatto che oggi
circa il 40 per cento dei farmaci che somministriamo è inefficace; un giorno
tuttavia saremo capaci di usarli con precisione. Tra dieci o vent’anni avremo
il DNA di tutti i neonati e tutti saranno sequenziati. Nel frattempo dobbiamo
costruire banche dati che ci dicano, per esempio, quanto è probabile che un
farmaco funzioni o meno. Prendiamo il tumore al polmone non a piccole cellule:
se è presente una mutazione del gene EGFR, la chemioterapia funziona circa tre
volte su quattro. Se quella mutazione non è presente, funziona solo nel cinque
per cento dei casi. Bene, si è scoperto che nelle popolazioni asiatiche la
mutazione è più frequente rispetto agli europei, quindi le terapie funzionano
meglio. Osservazioni come questa possono aiutare a indirizzare meglio gli
investimenti farmaceutici e la ricerca.
Che cosa fate con i dati raccolti? Cioè,
l’obiettivo generale è democratizzare la genomica, va bene. Ma in pratica
perché un indiano dovrebbe regalarvi il DNA?
Considerate
che esistono altre iniziative per la raccolta dei dati genetici nelle parti del
mondo finora escluse, ovvero tutte tranne Europa, Stati Uniti e Giappone, ma
soprattutto l’Africa. Noi di Global Gene Corporation siamo consapevoli di
essere parte di un ecosistema complesso, insomma. Quindi facciamo parte di una
coalizione internazionale chiamata Global Alliance for Genomics and Health
(GA4GH), che ha più di 500 partner al mondo e che sta lavorando proprio alla ricerca
di standard scientifici, ma anche legali ed etici, per usare nel modo migliore
i dati genetici dell’umanità. Questo a garanzia di tutti.
Sumit S. Jamuar è presidente e amministratore delegato di Global Gene Corporation (GGC),
considerata tra le Next Big Thing dal Cambridge Network.
Prima di assumere gli incarichi alla GGC, Jamuar è stato amministratore delegato di SBICAP (UK), la sussidiaria europea della banca d’investimento affiliata alla State Bank of India, direttore generale di Lloyds Banking Group e consulente per McKinsey & Company. È stato co-presidente dell’iniziativa per l’inclusione finanziaria e il miglioramento della consapevolezza e della protezione dei consumatori promossa dall’agenzia specializzata delle Nazioni Unite per le telecomunicazioni (ITU) in collaborazione con la Bill & Melinda Gates Foundation. Si è laureato in ingegneria chimica all’Indian Institute of Technology di Delhi e ha un MBA dell'INSEAD di Fointainebleau.
Prima di assumere gli incarichi alla GGC, Jamuar è stato amministratore delegato di SBICAP (UK), la sussidiaria europea della banca d’investimento affiliata alla State Bank of India, direttore generale di Lloyds Banking Group e consulente per McKinsey & Company. È stato co-presidente dell’iniziativa per l’inclusione finanziaria e il miglioramento della consapevolezza e della protezione dei consumatori promossa dall’agenzia specializzata delle Nazioni Unite per le telecomunicazioni (ITU) in collaborazione con la Bill & Melinda Gates Foundation. Si è laureato in ingegneria chimica all’Indian Institute of Technology di Delhi e ha un MBA dell'INSEAD di Fointainebleau.
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