Il “Saggio” del mese
GENNAIO 2020
E’ buona regola avere una certa dose
di diffidenza verso le definizioni che ambiscono a sintetizzare il carattere,
ritenuto fondamentale, di una fase storica piuttosto che di un processo
economico o sociale. Troppe, troppo complesse e troppo condizionate da contesti
specifici, sono le variabili che sempre formano questi fenomeni. E’ pur vero,
al tempo stesso, che queste definizioni, quando riescono a superare l’esame del
tempo, acquistano una valenza ed una efficacia durature in grado di
“etichettare” l’oggetto preso in esame. Sarà quindi il tempo, ed il dibattito
che sarà stata in grado di suscitare, a stabilire se abbia centrato il suo
obiettivo la definizione di “società signorile di massa”, usata da Luca Ricolfi
(sociologo,
politologo, professore
ordinario di Analisi dei dati presso l’Università degli Studi di Torino). per
la società italiana, così come si è venuta a delineare dagli anni Sessanta ai
nostri giorni,. Quello che però di più interessa in questa sede, la vera
ragione per la scelta del saggio di Ricolfi, è conoscere e valutare i dati
analitici che lo hanno indotto a ricorrere a tale definizione. Ci sono sembrati
dati che compongono una interessante fotografia sulla quale riflettere, tenendo
nella giusta considerazione la competenza professionale di analisi dei dati, in
ispecie in campo sociologico, che Ricolfi indubbiamente possiede ed al tempo
stesso le controversie, i dubbi, che molto spesso, specie a sinistra, hanno
suscitato le sue prese di posizione non di rado cariche di un eccesso polemico
verso quello da lui giudicato essere il
pensiero “mainstream” di sinistra.
"La società signorile di massa!" - di Luca Ricolfi - Ed."La nave di Teseo" 2019 - pag.261
L’antefatto che spiega la ragione per
la quale Ricolfi sia stato indotto ad una definizione quantomeno “provocatoria”
sta nella difficoltà, per l’opinione pubblica diffusa e per gli stessi
studiosi, di conciliare due letture antagoniste della società italiana: da una
parte la cruda realtà, basata su dati e statistiche inoppugnabili, di una
economia in costante crisi se non di declino, di una società segnata da fasce
consistenti di povertà e da una continua accentuazione delle disuguaglianze
economiche, e dall’altra la percezione, altrettanto diffusa ed difficilmente
negabile, di un persistente livello di consumi e di comportamenti generali propri
di una società “del benessere”……… si dovrebbe concludere, in modo salomonico, che l’Italia
è un paese felice e ricco, in cui tuttavia permangono sacche di povertà e
diseguaglianze che alcuni enfatizzano ed altri ignorano …… Una più
attenta ed approfondita lettura di alcuni dati fondamentali impone però, a suo
avviso, una diversa conclusione: che non si tratti cioè del semplice permanere
di alcune imperfezioni in un quadro ancora ottimistico, ma che in Italia si sia
progressivamente costruita una diretta relazione fra povertà e ricchezza, con
la prima ad alimentare la seconda, ovvero la seconda ad accentuare la prima.
Una società quindi ancora opulenta nonostante una economia in (irreversibile?)
declino ma in cui ……. i cittadini che accedono al surplus senza lavorare sono
più numerosi dei cittadini che lavorano …… E’ soprattutto quest’ultimo aspetto che
consente a Ricolfi il ricorso alla definizione di “società signorile di massa”.
La società signorile del passato, quella “classica”, definiva una situazione in
cui alcuni gruppi sociali, nobili, guerrieri e clero, si appropriavano di una
quota rilevantissima del reddito economico prodotto dal resto della popolazione
alla quale restavano ben poche briciole. Si trattava però dell’ingiusto
rapporto fra una ristretta minoranza e la stragrande maggioranza della
popolazione. E’ possibile però utilizzare la definizione di “società signorile”
quando questo rapporto fra minoranza e maggioranza si rovescia? E’ possibile
cioè che il termine signorile debba essere completato con l’aggiunta di
“massa”? Sono queste le domande da cui
prende le mosse questo saggio che intende rispondere verificando l’effettiva
sussistenza delle tre condizioni di base che, a suo avviso, caratterizzano una possibile
“società signorile di massa”:
1. il numero dei cittadini che non lavorano è superiore a quello di
chi lavora
2. l’accesso ai consumi opulenti riguarda una alta percentuale di
cittadini
3. l’economia è in condizione di decrescita e produce sempre meno
surplus
Capitolo Primo = che cos’è la “società signorile di
massa”
Alcuni dati, anno 2018, chiariscono
immediatamente l’ambito generale al quale è inderogabile fare riferimento (tutti i dati citati
sono di fonte Istat o comunque elaborati sulla base di quelli d istituti di analisi
ufficiali):
- in Italia sono presenti circa 5
milioni di “non cittadini” (gli immigrati)
- sono considerati sotto la soglia di
povertà circa 3 milioni di cittadini (italiani)
- i cittadini al di sopra della soglia
di povertà, con grande disparità di condizione tra di loro, sono circa 52
milioni, l’87% dei residenti e ben il 94% dei cittadini (italiani)
- fatto cento il numero di residenti da
almeno quindici anni il loro rapporto con la situazione lavorativa è il
seguente:
- il 39,9% degli italiani che lavorano è
formato da tutti quelli che in qualche modo concorrono ad attività
economico/produttive indipendentemente da tipologia di contratto e di figura
professionale
- il 52,2% degli italiani che non
lavorano è costituito da tutti coloro (pensionati, studenti, NEET, disoccupati, inoccupati, invalidi, etc.) che non hanno alcuna relazione, ufficialmente
rilevabile, con attività economico/produttive, in buona misura in relazioni di
parentela con i primi
- il 7,9% di non cittadini stranieri in
gran prevalenza lavora ma in buona misura in condizioni tali da poter essere
definite “para-schiavistiche” con l’effetto che uno su tre è in povertà
assoluta, cinque volte e mezza rispetto ai cittadini italiani
- il “sorpasso” degli italiani che non
lavorano rispetto a quelli che lavorano non è avvenuto recentemente ma risale all'ormai lontano 1964, l’anno della “congiuntura”, la prima recessione dell’economia
italiana dalla fine della guerra, che da lì in poi non ha più ripetuto le precedenti formidabili percentuali di crescita del PIL
Il dato più rilevante, ai fini
dell’analisi di Ricolfi, è sicuramente quello che, scontate eventuali limature
di limitatissima incidenza, al termine di un percorso storico di ormai più di
settant’anni, ……. fra i cittadini italiani sopra i quindici anni la percentuale di
quanti, a vario titolo, non svolgono alcun lavoro supera il 50% …… In campo sociologico ed economico sono
ovviamente molte le interpretazioni di un fenomeno così eclatante, Ricolfi fa
sua quella, sostenuta ad esempio da Giuseppe De Meo, Presidente ISTAT dal 1961
al 1980, che evidenzia il ruolo disincentivante del benessere che il
miracolo economico degli anni Sessanta ha avuto sulla propensione alla ricerca
del lavoro. In questo senso va tenuta presente la notevole incidenza dei
lavoratori stranieri sulla percentuale degli occupati, (elemento sul quale
Ricolfi tornerà, stante la sua centralità, nel Capitolo successivo). Quale che sia la lettura più corretta
resta comunque il fatto che già a metà degli anni sessanta la prima condizione
che definisce una società signorile di massa, più inoccupati che occupati, è
stata raggiunta e non è più mutata se non per accentuarsi. Occorre
contestualizzare questo dato: una società “normale” possiede fisiologicamente
una percentuale anche ampia di inoccupati ma essa, per garantire la
“normalità”, non deve superare il 50%. Ed è quanto succede in quasi tutti i
paesi avanzati:, come si può rilevare dalla seguente tabella che confronta i
primi cinque paesi con più occupati con i cinque con meno occupati (in mezzo si
collocano tutti i paesi ad economia avanzata che hanno un tasso di occupazione
comunque superiore al 50%)
Più complessa è la definizione della
seconda condizione, non fosse altro per il fatto che i parametri per
quantificare i livelli, quantitativi e qualitativi, dei consumi sono molto
variati nel corso del tempo. Una situazione di consumo cospicuo degli anni sessanta
non è paragonabile ad una attuale. Una possibile risposta, quella più
utilizzata dagli studiosi del settore, è quella che …… la soglia fra consumi voluttuari e consumi
di base è che questi ultimi siano posseduti o fruiti da oltre la metà dei cittadini …… ed in aggiunta, ad ulteriore precisazione, che
….. nella
popolazione nativa il surplus, ossia il consumo che eccede quello dei bisogni
essenziali, soddisfatti per oltre la metà della popolazione, superi il triplo
dei livelli di sussistenza …….. Può aiutare ad ancora meglio capire
l’evoluzione avvenuta per tre beni di consumo, fino a pochi decenni fa
riservati ad una minoranza, ed oggi, in accordo con quanto sopra, goduti da più
della metà degli italiani: la casa di proprietà, l’automobile, le vacanze lunghe
……. oggi il
possesso della casa di proprietà e dell’automobile riguarda quasi l’80% degli
italiani, e le vacanze lunghe sono godute da circa il 65% ……. Questa situazione si è realizzata per
l’appunto solo quando il surplus di
consumo ha superato il triplo del reddito di sussistenza. Dal punto di vista
storico ciò si è realizzato solo tra gli
anni ottanta ed i primi anni duemila, tenendo conto che, sempre dati Istat,
oggi il livello di sussistenza per una famiglia di due persone è fissato a
circa 12.000 euro netti l’anno, reddito che è pur sempre il doppio di quanto era nel
1951. Ciò detto se si pone in relazione questo livello di consumo con il
parallelo diminuire del numero di occupati diventa possibile sostenere che
…… una
porzione significativa del surplus di reddito prodotto dalla società italiana è
goduta da parte di chi non lavora …….
Ricolfi approfondirà nei capitoli successivi questa analisi, ma questa prima
constatazione è già sufficiente per sostenere che anche la seconda condizione
della società signorile di massa si è concretizzata. I dati che riguardano la
terza condizione non presentano al contrario alcuna complicazione di lettura:
Emerge con chiarezza una costante
contrazione, con una ulteriore discesa a cavallo della crisi 2007/2008, delle
capacità economiche e produttive del nostro paese. Un dato che dovrebbe essere
maggiormente tenuto in considerazione nelle attuali sterili discussioni sul
raggiungimento di un decimo di punto in più. Restando alle finalità del saggio
di Ricolfi è indubbia la presenza della terza condizione per poter proporre
l’ipotesi della società signorile di massa. In una società a “crescita zero”,
se non di vera e propria contrazione, …… è matematico che i progressi di ego siano gli
arretramenti di alter, che i successi di ego siano i fallimenti di alter
……
Capitolo secondo: i pilastri
La società signorile di massa così
configuratasi nel nostro paese poggia, secondo Ricolfi, su tre pilastri
fondamentali:
1.
la
ricchezza accumulata da due generazioni, la prima di quelli che “hanno fatto la
guerra” e la seconda di quelli che “per primi in Italia non ne hanno mai fatta
una”
2.
lo
scadimento della scuola con i collegati abbassamento degli standard di
istruzione e l’inflazione dei titoli di studio
3.
la
formazione, più recente rispetto ai primi due pilastri, di una “infrastruttura
paraschiavistica”
Il
risparmio dei padri
1951 = il potere di acquisto medio
delle famiglie italiane, rivalutato ai prezzi attuali, è di circa 12.000 euro
l’anno. Vale a dire, come si è visto nel Capitolo precedente, l’attuale soglia
di povertà assoluta per la famiglia tipo. Non mancano, al di là delle nude
cifra statistiche, evidenze testimoniali, basti pensare allo spaccato degli
italiani raccontato dal cinema neorealista di quegli anni, l’Italia del
censimento del 1951 era decisamente povera soprattutto se valutata con gli
standard attuali di benessere minimo. Tornando alle nude cifre oggi il reddito
medio annuo familiare è di 46.000 euro, e deve sostenere nuclei familiari molto
meno numerosi. Come e quando si è realizzato un salto così significativo?
Emerge con evidenza come la ricchezza
da reddito sia cresciuta costantemente e significativamente fino al 1992, e
quindi nei decenni con protagonista la generazione dei giovani usciti dalla
guerra ed in parte di quella immediatamente successiva. Da lì in poi il potere
di acquisto ha fermato la sua crescita rimanendo, con scostamenti poco
significativi, pressoché identico negli ultimi venticinque anni. Un altro dato
economico conferma questa constatazione: sempre fino ai primi anni novanta …… è stato elevatissimo
il tasso di risparmio delle famiglie italiane ….. nel 1951 la
ricchezza media, rivalutata alle cifre attuali e composta da patrimonio immobiliare e
risparmio mobiliare,, era di 100.000 euro, è poi salita ai primi anni novanta a 350.000
euro per fermarsi fino ai nostri giorni ad un livello appena inferiore ai
400.000 euro. Ad uno spirito di forte propensione al risparmio si sono aggiunti
due fattori che, sempre nel periodo “buono”, hanno inciso moltissimo: la bolla
immobiliare, con una fortissima rivalutazione del patrimonio già posseduto
piuttosto che acquisito, e gli altissimi tassi di interessi dei titoli pubblici
emessi in quantità crescenti per finanziare un debito pubblico in costante
evoluzione. In sostanza la ricchezza in Italia si è costruita nel trentennio
che va dal miracolo economico del secondo dopoguerra fino alla fine della Prima
Repubblica (1994) nel successivo trentennio il reddito è entrato in stagnazione
mentre la ricchezza è continuata a crescere unicamente grazie alla rivalutazione
dei valori immobiliari ……a partire dal 1964...... lo stesso anno che, come
si è visto in precedenza, segna il sorpasso degli inoccupati sugli
occupati ……. si
ferma la crescita del reddito e cresce, seppur di poco, solo più quella delle
ricchezza …….
Distruzione
delle scuola e disoccupazione volontaria
Il secondo pilastro è costituito
dall’abbassamento dei livelli effettivi di istruzione ed il collegato mutamento
nella ricerca ed accettazione del lavoro. Ed anche per questi fenomeni la
svolta avviene nei primi anni sessanta con l’istituzione della scuola media
unica del 1962 e con la successiva liberalizzazione degli accessi universitari
del 1969. Ricolfi non cita in questo caso dati, essendo difficile reperirne di
specifici oggettivi, ma richiama evidenze diffuse sul progressivo scadimento
della “preparazione” scolastica ad ogni livello, comprese quelle delle
clamorose esclusioni da graduatore di esame di un numero impressionante di
concorrenti “laureati” non in possesso delle basi grammaticali e di sintassi in
precedenza acquisite a livello di terza media inferiore. La conseguenza più
importante, ai fini della nascita della società signorile di massa, consiste
non tanto nella crescente minore qualità di formazione delle nuove generazioni
che si affacciano sul mercato del lavoro quanto nel mutamento delle loro
aspettative e propensioni lavorative. Il più facile conseguimento del “pezzo di
carta” ha significato che le nuove leve uscite dal percorso scolastico, e con
alle spalle famiglie diventate negli stessi anni “più ricche”, abbiano,
comprensibilmente da un certo punto di vista, alzato l’asticella di gradimento
dei lavori da accettare. E’ l’atteggiamento sociale tecnicamente definito
“disoccupazione volontaria”. Con un cambiamento, non diffusissimo, maturato
soltanto negli anni successivi alla crisi del 2007/2008 ……per disoccupazione volontaria si intende la
condizione di chi non lavora non già perché non trova alcun lavoro bensì perché
non è disposto ad accettare lavori che trova o che potrebbe trovare ……
Lavori cioè che spesso sono stati, e ancora sono, rifiutati in quanto non
ritenuti all’altezza degli standard di reddito e di prestigio ritenuti adeguati
al titolo di studio altrettanto spesso ottenuto con un percorso troppo
facilitato. Non è un fenomeno solo italiano, interessa infatti molti paesi, pressoché
tutti quelli ad economia avanzata, ma è nel nostro paese che si raggiungono
percentuali tanto rilevanti quanto preoccupanti: impressiona il raffronto della
percentuale, sulla popolazione di giovani dai 25 ai 29 anni, di NEET (giovani
che non lavorano, non studiano, non fanno formazione) in Europa
Non può non impressionare il dato
italiano, e certo non consola condividere un poco onorevole primato con la
Grecia e, a distanza già ragguardevole, con la Spagna. Si parla di propensioni
individuali quindi ma che, messe insieme, concorrono a creare un fenomeno
sociale di dimensioni davvero significative, che si è concretizzato, con queste
percentuali in Italia, soprattutto grazie a quanto appena prima evidenziato
sulla ricchezza diffusa creatasi nel secolo scorso. Per meglio capirlo è utile
visualizzare la curva che evidenzia …… l’eccesso del reddito disponibile totale rispetto alla
crescita della ricchezza reale prodotta, ossia del PIL ……..
Si coglie bene che l’eccesso di
ricchezza, valore superiore a 1, tarda a manifestarsi per tutti gli anni del
miracolo economico italiano, quelli con altissimi valori di crescita del PIL, ancora
una volta è solo a partire dai primi anni sessanta, quando il PIL inizia a
rallentare, che si inizia a salire sopra 1. La vera esplosione si ha nel
ventennio1975-1995, per poi iniziare una progressiva e costante discesa che ci
riporta sostanzialmente al valore del 1951.
L’infrastruttura
para-schiavistica
La ricchezza in eccesso ha pertanto
consentito una propensione giovanile al lavoro molto selettiva, perché mal
indirizzata da un eccesso di inconsistente preparazione scolastica, ma non meno
“premiante”. Questi due aspetti costituiscono secondo Ricolfi due pilastri
della società signorile di massa. Ma questa, ed i due pilastri in questione,
non reggerebbero senza un terzo pilastro: quello che ha consentito di mantenere
quote importanti di “lavoro” indispensabile al funzionamento economico e
sociale grazie al ricorso a un “esercito” di lavoratori operante in condizioni
“para-schiavistiche”, già chiamate in causa nei Capitoli precedenti. …….. per
infrastruttura para-schiavistica intendo una serie di situazioni nelle quali
una parte della popolazione residente , spesso stranieri, si trova collocata in
ruoli servili o di ipersfruttamento, ……
Di quali professioni, di quali qualifiche si parla? Ricolfi individua diversi
segmenti che li raggruppano:
Segmento I = lavoratori stagionali in
agricoltura, sottopagati, ipersfruttati, spesso costretti a condizioni
residenziali indecenti
Segmento II = prostitute, in
maggioranza straniere tenute in totale sottomissione da parte di organizzazioni
criminali
Segmento III = persone di servizio, in
larga maggioranza donne, che svolgono varie mansioni domestiche
Segmento IV = dipendenti quasi sempre
in nero per mansioni pesanti, usuranti o sgradevoli, braccianti non stagionali
in particolare addetti all’allevamento, lavoratori dell’edilizia, addetti
consegne e magazzinaggio, lavapiatti e uomini di fatica, lavoratori di laboratori tessili e
di cucitura, o di assemblaggi vari
Segmento V = addetti al ciclo della droga, ovviamente in mano alla criminalità organizzata, a coprire “ruoli” di
spaccio su strada piuttosto che di “palo”
Segmento VI = addetti ai “nuovi
lavoretti”: consegne a domicilio, pubblicità in buca, etc., governato sempre
più da “algoritmi”
Segmento VII = servizi di pulizia,
sorveglianza, presso ditte private o attività pubbliche, spesso dipendenti da
cooperative fittizie con condizioni di lavoro capestro
Un mondo di attività, molto spesso
quasi “invisibili”, che, per quanto professionalmente di limitata competenza,
già del loro non sono in cima alla scala della qualità di lavoro e che sono svolte in
condizioni di ricatto, di mancanza totale di diritti e che, comunque,
consentono il “normale” funzionamento del tessuto produttivo, del piacere
legale ed illegale. Quanto valgono come numero di lavoratori? Ricolfi, fatta la
tara a dati ufficiali sicuramente sottostimanti e dati ufficiosi non di rado
esageranti, ritiene che ……. l’ampiezza dell’infrastruttura schiavistica valga 3
milioni e 500 mila addetti, vale a dire circa un occupato su sette …… Una società signorile di massa ha certamente
bisogno di un consistente esercito di “servi”.
Capitolo terzo: la condizione signorile
Nel 1928 John Maynard Keynes in una
conferenza sulle prospettive economiche di lungo periodo sostenne che l’aumento
della produttività del lavoro, reso possibile dal progresso tecnologico,
avrebbe consentito una drastica riduzione degli orari di lavoro permettendo
così a tutti un diverso modi di vivere. Ed in effetti, a quasi cento anni di
distanza, si è davvero registrata una significativa riduzione complessiva
dell’incidenza del lavoro sulla vita, perlomeno nei paesi ad economia avanzata.
Ma questa riduzione non si è materializzata in una riduzione degli orari di
lavoro bensì ……. In
una netta suddivisione della popolazione in una minoranza di lavoratori, spesso
iperlavoratori, e una maggioranza di non-lavoratori ….. Ricolfi lo evidenzia nella seguente
tabella che applica alla “concentrazione del lavoro” lo stesso “indice Gini”
usato per misurare la concentrazione della ricchezza. In questo indice il
valore zero significa che il reddito ed il lavoro sono divisi fra tutta la
popolazione mentre il valore uno significa che reddito e lavoro sarebbero in
capo ad una sola persona; più ci si avvicina ad uno quindi e più ricchezza, ovvero lavoro
stanno in capo a meno persone
E’ evidente che la progressione della
concentrazione del lavoro in un numero sempre minore di persone ha una curva
molto più accentuata di quella della concentrazione della ricchezza (Ricolfi, in linea con sue prese di posizioni critiche, nega
che in Italia si stia verificando un processo accentuato di concentrazione
della ricchezza. In effetti la curva dell’Indici Gini testimonia una
significativa riduzione delle disuguaglianze economiche nei decenni di maggiore
peso della contrattazione salariale e di progressività fiscale, anni Settanta
ed Ottanta. Da lì in poi però la curva ha ripreso a salire in modo costante e
significativo. Ricolfi poi dimentica di dire che l’Italia, dati 2018, è il
paese europeo con il più alto Indice Gini subito dopo i cinque paesi dell’ex
blocco sovietico. Non è solo la progressione della curva, comunque tutt’altro
che rasssicuarnte, che merita di essere considerata, è corretto capire in quale
contesto ciò avviene: se l’Europa resta l’area in cui storicamente la
distribuzione del reddito è più equa, la posizione italiana è in continuo
peggioramento tanto da essere passata nella graduatoria dei paesi con maggiore
disuguaglianza dal decimo posto del 2008 al sesto posto del 2018) In coerenza con quanto già rilevato in
precedenza Ricolfi evidenzia che la situazione italiana della concentrazione
del lavoro, storicamente misurata nel grafico precedente, è anomala rispetto al
resto dell’Europa come dimostra il raffronto con altri paesi europei e del
resto del mondo
La previsione di Keynes non è stata
solo smentita, e come si è visto in Italia in misura rilevante, per quanto
concerne la concentrazione del minore orario di lavoro ma anche per le modalità
di utilizzo del maggior tempo libero di vita …… anziché usare la cultura per riempirlo si è
scelto di usare i consumi per attrezzarlo ……. Da qui
l’impressionante sviluppo di beni, servizi e attività il cui scopo primario è
il riempimento del tempo libero invece di
letture, arte, sport, convivialità.
Al punto che sempre di più non solo lo si riempie di “consumi” ma si
partecipa quasi come coproduttori al perfezionamento del bene consumato: da qui
il significato di prosumer (producer e consumer). In che relazione sta questa
distorta libertà dal lavoro con la società signorile di massa? Con il
novantacinque percento delle famiglie italiane che non vivono in condizioni di
povertà assoluta e che, come si è visto, sono in maggioranza composte da
persone che non lavorano? In cosa consiste cioè la fenomenologia del consumo
signorile superata la soglia del “solo” possesso dell’abitazione, dell’auto, e
delle risorse per le vacanze lunghe? Sta nell’impressionante sviluppo delle
risorse destinate al cibo, ben oltre la normale alimentazione di base, e con
buona frequenza consumato fuori casa, al fitness e alla cura di corpo e mente,
al riempimento vacanziero dei fine settimana, al ricorso a servizi per le
incombenze domestiche e di assistenza alle persone, alla incessante rincorsa a
dotarsi di dispositivi tecnologici, spesso acquisiti, sempre più tramite
Internet e senza una vera e chiara necessità, al consumo di droghe, al gioco d’azzardo,
legale ed illegale. Ricolfi sintetizza in una tabella alcuni dei dati che
compongono questa la “fenomenologia signorile italiana”
E’ buona regola quella di maneggiare
con cura analisi statistiche che poggiano su assemblaggi molto ampi, ma fatta
salva questa precauzione se si ribalta l’insieme di questi dati sul totale
della popolazione italiana, escludendo quindi sia la componente straniera senza
cittadinanza, sia il 30% degli italiani meno benestante (quelli che stanno nei
primi tre decili, ossia le dieci fasce di reddito in cui si divide la
popolazione), il quadro che emerge è decisamente impressionante ……. L’espressione
società signorile di massa non indica che TUTTI accedono a consumi cospicui ma
che lo fa la MAGGIORANZA dei cittadini ITALIANI ….. Tolti
quindi gli stranieri e le famiglie meno benestanti i consumi che definiscono la
fenomenologia di quello “signorile”, la cui entità totale vale circa 800 miliardi
di euro annui, sono quindi appannaggio di circa il 60% degli italiani. Se
inoltre si tiene nella giusta considerazione, come già evidenziato, l’incidenza
del peso delle rendite, che ormai valgono di più del reddito reale prodotto, si
mette meglio a fuoco l’esistenza di una delle condizioni che definiscono una
società signorile …….. le rendite sono la tipica forma su cui nobili proprietari
e classe agiata, i signori di un tempo, hanno poggiato le loro vite ed i loro
consumi ……
Capitolo quarto: la mente signorile
Nella
premessa si sono evidenziate le ragioni che hanno indotto alla scelta del testo
di Ricolfi come “Saggio del mese”:, legate non tanto alla condivisione della
definizione di “società signorile di massa” quanto piuttosto alla conoscenza ed
alla valutazione dei dati che la sostengono, ben sapendo che, soprattutto nel
campo delle scienze sociali, ogni dato si presta a diverse letture e offre
quindi sostegno a differenti opinioni. Ci è sembrato opportuno richiamare
queste ragioni perché il quarto Capitolo è quasi interamente dedicato alla
“esplorazione” della “mente signorile”, ovvero alle predisposizioni, alle
motivazioni, individuali e collettive, che a giudizio di Ricolfi compongono il
bagaglio culturale ed attitudinale di quella maggioranza di italiani “non
produttori” ma solerti ed attivi “consumatori” del surplus alla cui formazione
non hanno per nulla contribuito. Un Capitolo pertanto privo di dati ma ricco di
richiami a fenomeni sociali di fortissimo impatto e consistenza. Individualismo,
identità sociale, narcisismo, propensione al consumo, edonismo, cultura del
possesso e cultura dell’uso, condivisione ed esibizione sui nuovi mezzi di
comunicazione, patologizzazione dei rapporti familiari e interpersonali in
genere, etica della generosità ed egoismo sociale, appiattimento sul presente,
sono questi i fenomeni che Ricolfi ritiene concorrano a formare l’odierna
“mente signorile”, e pertanto presentati nelle poche pagine di questo Capitolo.
Ma sono tutti temi di straordinaria complessità che richiederebbero ben altro
spazio per essere affrontati con la giusta attenzione. In coerenza quindi con la premessa ne consegue che questa sintesi si autolimita alla loro
elencazione e li affida all’eventuale lettura integrale del saggio. Merita comunque di essere
presentata una interessante definizione della “eredità attesa”, un aspetto
rilevante dell’odierna ricchezza sempre più composta da patrimoni accumulati a
creare posizioni di rendita ereditabili, Il peso dell’eredità, accuratamente
analizzato dal Thomas Piketty nel suo “Capitale del XXI secolo”, è determinante
nella formazione delle propensioni verso consumo e lavoro delle nuove
generazioni-
.……..
l’Italia è di gran lunga il paese europeo in cui è
maggiore l’eredità attesa ovvero la quantità di patrimonio che un giovane può
aspettarsi di ereditare…….. Ciò
si spiega sulla base dei tre parametri che definiscono l’eredità attesa:
1.
grado
medio di patrimonializzazione
2.
peso
degli anziani sulla popolazione totale
3.
peso
dei giovani sulla popolazione totale
Più sono grandi i patrimoni
ereditabili e maggiore è il numero degli anziani, minore è al contrario il
numero dei giovani e quindi più è rilevante l’eredità attesa. Ebbene i dati sulla
situazione europea attestano che l’Italia …… è al primo posto come peso degli anziani,
all’ultimo per quello dei giovani e al quarto come livello di
patrimonializzazione …….
Capitolo quinto: il futuro della società signorile di
massa
Per meglio comprendere la situazione
italiana è necessario verificare se la sua supposta “signorilità” rappresenta
una anomalia o è al contrario una condizione condivisa con altri paesi. Per
farlo Ricolfi applica ad un nutrito elenco di paesi, quasi tutti quelli
definibili “società avanzate”, le stesse valutazioni che, applicate all’Italia,
consentono, a suo avviso, la definizione di società signorile di massa, con l’opportuna
aggiunta di altri tratti secondari utili a comprendere le tendenze sul breve
periodo. I parametri di valutazione utilizzati da Ricolfi sono quindi otto così
suddivisi:
La successiva tabella (che per comodità di inserimento nel post e di relativo
commento viene spezzata in due parti)
riepiloga il risultato ottenuto:
Si era già visto nel Capitolo Primo che la
sola Italia presenta tutti e tre i tratti primari, in aggiunta dei quali
contempla anche tutti i restanti cinque tratti secondari, a formare una
situazione che incide sul presente e che, come si vedrà in seguito, è a forte
rischio di ulteriore accentuazione. La sola Grecia si avvicina a questa
situazione italiana, non centrata unicamente perché, dato tutt’altro che
confortante, è lungi dal disporre di un elevato grado di ricchezza. Interessanti sono le situazioni francese e belga del tutto fra di loro identiche: due paesi non
definibili “signorili”, perlomeno al momento, perché con la sola eccezione del
tasso di fertilità centrano tutti i tratti secondari, ma soprattutto perché,
sempre al momento, non sono in stagnazione economica. La Finlandia pur
centrando tutti i tratti secondari, e quindi avendo di fronte un futuro a
breve/medio periodo da monitorare, è attualmente lungi dall’essere una società
opulenta e gode di un trend economico confortante. Fra i paesi che centrano
cinque tratti totali il Giappone è l’unico a presentare due tratti primari,
confermando così che il suo grande problema consiste in una popolazione,
lavoratori compresi, molto anziana (la più anziana del mondo) e in un tasso di
fertilità del tutto insufficiente ad invertire una situazione che rischia di
compromettere gli indispensabili equilibri generazionali.
La valutazione di tutti i restanti
paesi che, con la sola eccezione dell’Irlanda, centrano un solo tratto primario
e pochi tratti secondari, e che quindi non sembrano essere alla soglia di una
evoluzione in una società signorile di massa, consente a Ricolfi una
considerazione: la maggior parte dei paesi distanti dall’evolversi in questa
direzione sono paesi di cultura protestante: scandinavi, di area germanica o di
matrice anglosassone ……. A quanto pare il nesso fra cultura del lavoro e
tradizione protestante resta ancora molto stretto ……… Merita infine un preciso commento il dato di
Israele che, in questa particolare graduatoria, si rivela l’unico senza alcun
tratto nè primario né secondario, ossia l’esatto contrario dell’Italia, la
ragione, evidenzia Ricolfi, non può che consistere nel suo essere ……una società ed
una cultura in cui, per le particolari ragioni storiche della sua nascita e
della sua esistenza, la dimensione collettiva, identitaria, ancora prevale su
quella individuale …… Tornando
alla situazione italiana Il doppio combinato di tratti primari e tratti
secondari tutti centrati induce Ricolfi a riflettere sugli scenari della
possibile evoluzione di una società signorile di massa. Un primo aspetto pone
importanti domande: l’accentuarsi del divario Nord – Sud. Se la stagnazione
economica, seppure con diversa intensità, è tratto comune fra le due parti del
paese per il resto le cose divergono. Il dato del Sud dei non occupati, correlato alla
percentuale di popolazione anziana, è molto alto e molto preoccupante. E,
paradossalmente, incide su un collegato maggior consumo di surplus non prodotto. Incide poi pesantemente in questo senso il diverso peso dell’economia
sommersa e di quella illegale. Non è inoltre possibile, in generale, trovare ragioni di
conforto nelle modalità di utilizzo del surplus di tempo libero creato
dall’incidenza del non-lavoro e favorito dal progresso tecnologico. Non pare
proprio che gli italiani destinino questo surplus di tempo libero ad attività
“nobilitanti” in grado di alzare il livello di socialità e di cultura. Pur con
la lodevolissima eccezione di un significativo peso del volontariato civile la
fotografia evidenzia tre caratteristiche molto meno confortanti:
1.
siamo
agli ultimi posti nella maggior parte degli indicatori del livello di
istruzione
2.
possediamo
molti più cellulari e smartphone che computer, indice di un utilizzo molto più
orientato a svago e divertimento che a informazione e studio
3.
come
si è già visto spendiamo una frazione spropositata di reddito e tempo nel gioco
d’azzardo, legale ed illegale
Ma questa Italia “signorile”, in
possesso di tutti gli otto tratti, ha speranza e possibilità di restare
opulenta e in maggioranza non lavoratrice? L’ovvio stretto intreccio che i
processi economici di creazione di ricchezza impone una sola possibilità: che
……. la
produttività del nostro paese cresca ad un ritmo non inferiore a quello dei
paesi con cui è costretta a misurarsi sui mercati internazionali ……. Peccato però che l’Italia sia l’unico paese
del mondo sviluppato in cui la produttività media del lavoro è rimasta ferma
negli ultimi vent’anni! E al momento non sono rilevabili segnali confortanti di
una svolta. Quali che siano le cause, sulle quali molto si discute e poco si
fa, il ristagno della produttività renderà sempre più difficile avere livelli
di PIl, di produzione di ricchezza, adeguati trasformando inevitabilmente la
stagnazione in recessione. Ricolfi al riguardo precisa di non credere al potere
taumaturgico dell’innovazione tecnologica; per quanto da questa possano venire
contributi importanti resta e resterà fondamentale avere più lavoro, più
lavoratori …….. dobbiamo
constatare che nei paesi ricchi si lavora di più e non di meno che nei paesi
meno ricchi. I paesi prosperi hanno tassi di occupazione altissimi, prossimi al
70% l’Italia è sotto il 45% …….
La produttività del lavoro del sistema Italia non è solo ferma da vent’anni ma
è bassa, molto più bassa di quello che servirebbe per coprire i nostri consumi ……. il fatto è che
da mezzo secolo viviamo al di sopra delle nostre possibilità …… Il
problema quindi non è tanto se sarà possibile, e giusto, mantenerci in questa
condizione di “società signorile di massa”, quanto piuttosto quello di sopravvivere
come sistema paese.
La Magia delle Parole anzi il Potere delle parole risiede forse nel loro alone semantico che può nel contempo generare comunicazione egocentrica e comunicazione non-egocentrica in quanto il rapporto tra inderteminatezza e livello di astrazione potrebbe generare confusione ma anche generare collegamenti creativi tali da attirare la nostra attenzione, perché è questo l’obiettivo di chi scrive, in ultima analisi. Così si è visto per “ La società signorile di massa” e per “ Iperluoghi” , presentati oggi da Simone Paliaga, sul numero di Avvenire del 16 gennaio, che intervista Michel Lussault, geografo francese, il quale ha coniato il termine IPERluoghi per indicare che ”i luoghi e il modo in cui l’uomo li costruisce ci aiutano a capire l’attualità”. Infatti oggi si passa dalla lotta di classe alla lotta per i luoghi come lo esemplificano due grandi fenomeni : l’immigrazione e il capitalismo della delocalizzazione.
RispondiEliminaIl libro di Ricolfi offre, secondo me, molti spunti validi. Ad esempio, il fatto citato che nell'ultimo ventennio la burocrazia e la legislazione si sono complicate al punto di paralizzare molte attività economiche è un fatto che osservo direttamente con i miei occhi. Tuttavia, c'è una cosa di cui non si parla mai:
RispondiEliminail sistema pensionistico italiano attuale che porta alcuni, anche funzionari pubblici, a percepire pensioni elevatissime, anche oltre 10 mila Euro mensili - fatto che non ha eguali in nessun altro paese europeo- mentre altri ricevono pensioni estremamente basse, fino al caso estremo di quelle pensioni tagliate d'ufficio (ma non necessariamente quelle più elevate). Questo schema pensionistico folle e iniquo è indubbiamente tra le cause principali della bassa efficienza delle
finanze pubbliche, che vengono così a soffrire su alcune voci fondamentali (istruzione, ricerca, sanità pubblica) per causa anche della cattiva gestione della maggiore voce di spesa pubblica (oltre 15% del PIL), cioè appunto le pensioni.
Marco Ciaramella