la Biblioteca comunale “Primo Levi”
Martedì 17 Dicembre 2019
“Storie di persone e di comunità
traumatizzate:
come riattivare possibilità di vita”
RELATRICI : Anna Maria Bastianini ed Ester Chicco
esponenti dell’Associazione PSICOLOGI nel MONDO
Massima Bercetti, presidente dell’Associazione
Circolarmente, spiega che, nell’ambito della
celebrazione della nascita di Primo
Levi, promossa dall’Amministrazione
comunale di Avigliana,
Circolarmente ha proposto questo
progetto in quanto consente di ricordare la figura di Primo Levi e nel contempo
di attualizzarne il messaggio. L’Associazione Circolarmente, con questo
Progetto pone in essere due aspetti importanti dell’evento:
1) la
collaborazione di Circolarmente con
l’ANPI e il Circolo dei Lettori esprime
la volontà dell’Associazione di voler
costruire relazioni per evitare di essere autoreferenziale e di voler condividere le sfide del presente non
nella forma del reflusso e non nella pura e semplice ripetizione di quello che c’è già stato, affrontando nuove modalità capaci di conoscere, includere ed esercitare anche rispetto
nel confronto degli altri;
2) Circolarmente ha accolto la proposta del Circolo dei
lettori in quanto nel suo programma di questa annualità il tema centrale è “Ricucire le ferite” e qui ci sono le Ferite, i Traumi e le
persone che si chinano su queste ferite,
cercando di aiutare e di soccorrere.
La Presidente fa anche presente che
Circolarmente, nella persona di Antonietta Fonnesu, ha già ben documentato, in una dettagliata ricerca, il periodo lavorativo, trascorso da Primo Levi in
Avigliana , dal 1946 al giugno del 1947, dove ha iniziato sistematicamente la
stesura della sua opera “Se questo è un uomo” per testimoniare il suo dolore e
la sofferenza derivata.
Intervento di AnnaMaria
Bastianini, dell’Associazione Psicologi nel Mondo - Torino
La relatrice specifica che il suo intervento si inserisce all’interno dei
significati esposti nella presentazione in merito alla elaborazione sulla
partecipazione alle Reti che costituiscono la Comunità, infatti è in questa
ottica che agisce l’intervento della sua associazione che non è costituito da
progetti già confezionati, né da risorse economiche da elargire ma nell’aiuto
all’elaborazione dei traumi con un approccio alla ricostituzione dei vincoli
sociali, alla rigenerazione della Comunità come rete di relazioni proficue. La
tematica trattata riguarda nello specifico i TRAUMI, i traumi delle persone e
delle Comunità. Non tutte le ferite diventano traumi ma soprattutto lo diventano le ferite per
eventi che ci pongono di fronte alla propria morte. Si parla di eventi per
cause umane ( guerre) o naturali, come la guerra civile che ha devastato per
dodici anni il Salvador o il terremoto che ha colpito recentemente il nostro
centro Italia. Il concetto di TRAUMA si focalizza su un’esperienza cui tutti
possiamo essere esposti, innanzi tutto chi ha subito le conseguenze di un
vissuto di guerra, ma anche un qualsiasi evento come un incidente d’auto potrebbe diventare un trauma. Un trauma è
un’esperienza con la morte possibile, ma ogni evento di questo tipo non è detto
che possa diventare trauma in quanto ci sono persone che possono essere meno
esposte a tali eventi sia per la loro
personalità sia per la loro rete sociale d’appartenenza. DEFINIZIONE di Trauma: una situazione di funzionamento
psicologico che si caratterizza come una
frattura importante nella continuità psicologica per un evento che disarticola
la stabilità del funzionamento psicologico
ponendo una frattura soprattutto
tra razionalità ed emozionalità, per cui
è possibile che una persona possa”raccontare cose terribili senza
coinvolgimento emotivo.” Così la psicologa esemplifica raccontando l’esperienza
con gli abitanti d Santa Marta , paese del Salvador , le cui narrazioni, dopo un’esperienza
traumatica di dodici anni di guerra civile, pur esprimendo un’esigenza
narrativa, come aveva già rilevato Primo Levi, rivelavano però una razionalità
priva dell’elemento emozionale, senza alcun riferimento al dolore personale.
Questi atteggiamenti mentali sono opera della DISSOCIAZIONE che si verifica per
l’evento traumatico. Affronta quindi le problematiche relative al
CONDIZIONAMENTO CLASSICO rilevando che
nei sopravvissuti la valutazione del contesto è deficitaria per cui
continuano a utilizzare il sistema di difesa in reazione a stimoli condizionati
di minaccia, senza attivare altri sistemi di azione che in effetti sarebbero più adatti al
contesto corrente. Inoltre precisa che la presenza degli eventi traumatici,
permanendo a livello inconscio, si può ripresentare sottoforma di INCUBI o di
FLASHBACK che disturbano il pensiero e
l’attenzione anche nei momenti più disparati, oppure anche
attraverso le cosiddette memorie somatiche o corporee. Ricorda l’esperienza che
hanno avuto con i terremotati, ad esempio della zona di Amatrice, dove anche i
bambini avevano acquisito una particolare sensibilità tale che al minimo
sentore di un lieve evento sismico
immediatamente riattualizzavano l’evento traumatico anche se in un
contesto sociale di normalizzazione. Gli
stessi migranti ci riportano nelle loro narrazioni i loro drammatici ricordi
come se fossero continuamente presenti, anche se nell’attuale situazione
nessuno li minaccia. Così Primo Levi ci riporta, nella sua opera letteraria, le
violenze estreme subite in un clima di
totale disumanizzazione. Sempre in
questo ambito vi è la difficoltà di proiettarsi e di progettare un futuro per
le difficoltà identitarie relative alle difficoltà di integrazione
degli aspetti di sofferenza traumatica e degli altri aspetti comunque
“funzionanti” della personalità. Un’altra questione ancora riguarda la
ripetizione del trauma per cui è possibile che
persone traumatizzate inconsciamente vadano a ricercare situazioni di
vita che potenzialmente riproducano quello che hanno subìto. Ad esempio nel
Salvador dove hanno subìto per anni violenze si è osservato la possibilità di
passare da vittima a carnefice e ciò è in qualche modo una possibilità
inconscia di cercare di controllare quello
che si ha subìto. Come si sa che
chi ha subìto violenza dal punto di vista sessuale è possibile che ripeta
situazioni di questo genere, così come avviene alle donne che subiscono
violenza che vanno a cercare uomini
violenti perché in qualche modo il problema del ricucire le ferite è una
questione importante perché una funzione psichica traumatizzata permane e se
non c’è la possibilità di intervenire su questo funzionamento psichico si finirà di procurarsi guai
nel cercare di neutralizzarla.
La fruizione dei videogiochi
violenti, ad esempio, ferisce profondamente e perciò si cercherà di ricucire
questa ferita nello stesso modo in cui è stata subìta, cercando cioè di
procurarsi situazioni sempre più violente per sfidare se stessi, di qui
l’importanza della fruizione dei
videogiochi in compagnia, in comunità, per limitarne l’effetto devastante.
Da questo intervento,
riassunto in estrema sintesi, scaturisce la necessità di approfondire alcune
considerazioni che trasmetto direttamente alla psicologa.
DOMANDA : Focalizziamo il discorso sul fatto che le
donne vittime di violenza sessuale ricercano inconsciamente uomini violenti o
meglio un ruolo di sudditanza alle servitù sessuali ma che nel contempo
ritrovano il coraggio alla ribellione, fornito loro dalla Comunità di
appartenenza . E’ forse questo il
nocciolo della questione: ripetere la scena iniziale della violenza per cui poi annientarla con una ribellione,
possibile solo ultimamente perché aiutate da una Comunità che finalmente offre
soluzioni di supporto?
In
sostanza questa coazione a ripetere è solo un tentativo di rivincita alla
violenza subìta?
RISPOSTA:
Penso che la coazione a ripetere rimandi
da una parte alla situazione di congelamento emotivo proprio del funzionamento
traumatico, bloccato nella possibilità di elaborare esperienze di dolore
estremo, e dall’altra rappresenti comunque un tentativo di gestire e di
controllare e di reagire a situazioni di sofferenza capace di annientare la
persona nelle sue possibilità di pensare e di agire in modo libero e
autonomo. Il riattivare possibilità di
parola e di esperienze relazionali positive, anche sul piano corporeo, può permettere trasformazioni di
funzionamento psicologico che
favoriscono l’uscita dalla sterilità e della distruttività della coazione a
ripetere spezzando il circolo della violenza. Il supporto, l’accompagnamento e
soprattutto il riconoscimento da parte della Comunità rappresenta un fattore di
protezione e di trasformazione molto potente per una positiva evoluzione delle
situazioni traumatiche personali e collettive.
La
psicologa ci presenta il lavoro svolto dalla loro Associazione all’interno
della Comunità di Santa Marta in Salvador, un paese raso al suolo nel 1981 (nel
corso della guerra civile 1980 – 1992) dall’esercito per contrastare il movimento
di lotta antigovernativa supportato anche da movimenti cattolici che si
ispiravano alla teologia della liberazione. Si ricorda che in quegli anni,
oltre a innumerevoli efferati massacri compiuti dalle forze governative sulla
popolazione civile, furono assassinati anche il Vescovo di San Salvador Monsignor
Romero e un gruppo di gesuiti della UCA (1989). Da Santa Marta la popolazione
era dovuta fuggire nel vicino Honduras dove era vissuta per sei anni in campi
di rifugio. Ritornata e ricostruito il loro paese, questa comunità continuava a
portare dentro di sé tutte le ferite dovuti ai traumi e alla violenza vista e
subìta che, come sappiamo dalla letteratura psicologica, possono trasmettersi
alle nuove generazioni. L’associazione Psicologi nel Mondo – Torino ha lavorato
fin dall’inizio nel rinforzare la resilienza individuale, familiare e
collettiva, giungendo poi, nel corso del tempo, anche ad affrontare più
direttamente le tematiche relative ai traumi di guerra. Nell’ottica di pensare
che il benessere psicologico passa anche attraverso lo star bene nella propria
famiglia e nella comunità, riuscendo a
pensare a un presente e a un futuro migliore, e partendo da quello che già era
presente a livello associativo a Santa Marta, il gruppo ha dato impulso a
gruppi di gioco mamma-bambino, ha supportato gli arbitri e i giocatori delle
squadre di calcio maschili e femminili, ha collaborato con Radio Victoria, la
radio comunitaria, ha sostenuto un gruppo di giovani nell’iniziare una attività
di artigianato con il legno, ha lavorato con la scuola dove erano presenti
molte problematiche di apprendimento, riconducibili, almeno in parte, anche ad
elementi di violenza presenti nelle famiglia (a loro volta legati alla violenza
della guerra civile). A questo proposito è da evidenziare l’importanza
attribuita dalla comunità all’istruzione: anche nei campi profughi funzionava
una scuola popolare in cui le conoscenze era trasmesse dai maestri popolari. Una
delle conseguenze del trauma, sia a livello personale che comunitario, è quello
di ridurre e rendere difficile la progettualità nel futuro e questa è una delle
dimensioni su cui il gruppo ha lavorato. A partire da queste attività, con il
tempo e la fiducia instauratasi fra i gruppi di Santa Marta e Psicologi nel
Mondo, insieme con alcuni psicologi locali, che nel frattempo si erano formati,
è stato possibile mettere in atto gruppi di parola e di ascolto, che toccassero
più direttamente i vissuti e i racconti personali rispetto agli eventi
traumatici legati alla guerra, ma anche alle difficoltà e alle mancanze di
prospettive del presente. Questi racconti si sono poi anche trasformati in
spettacolo teatrale. E’ stato dato anche supporto psicologico ai testimoni di
una sessione del Tribunale della Giustizia Restaurativa, all’interno della
quale è stato possibile per gli abitanti di Santa Marta denunciare
pubblicamente massacratori e torturatori, ancora in vita ed impuniti a causa
dell’amnistia concessa nell’Accordo di Pace ai
crimini di guerra, che ha portato come conseguenza anche la convivenza
con i responsabili dei massacri e degli assassinii. Il compito di Psicologi nel
Mondo in questo momento continua nell’aiuto alla comunità di Santa Marta ad
affrontare la povertà e la mancanza di prospettive di sviluppo, in particolare
rispetto alle fasce più fragili della popolazione, e a “difendersi” dalle
problematiche relative alla criminalità, che purtroppo imperversano sempre più
nel paese. Successivamente la psicologa espone l’intervento in una comunità
italiana, a Fiastra, nelle Marche, che, dopo il terremoto del 2016, che aveva
distrutto buona parte del paese, pur non facendo vittime umane, era stata
praticamente divisa in due: una parte della popolazione era rimasta in
montagna, l’altra era stata spostata nei campeggi del mare dalla Protezione
Civile. Anche in questo caso si è lavorato con l’approccio della Psicologia di
Comunità, supportando gli elementi di resilienza delle persone e dei gruppi e
lavorando per una ricucitura delle fratture che si sarebbero potute verificare
in questa situazione. Anche in questo caso si è lavorato con gruppi di ascolto
e di parola, con le fasce più deboli della popolazione, con le scuole e dando
impulso a tutte le attività che potessero andare nell’ottica di una ripresa di
progettualità. In quest’ottica va la progettazione, effettuata anche con
un’architetta che fa parte del gruppo, del Giardino “La rinascita dei sogni”
con l’amministrazione comunale e i bambini delle scuole.
DOMANDA: si
potrebbe approfondire il discorso sulle motivazioni del vostro recente viaggio
in Burkina Faso?
RISPOSTA: Il
nostro gruppo si è recato nel mese di novembre scorso in Burkina Faso, a
Bobodjoulasso, su richiesta dell’Abbé Emannuel Nabaloun, che gestisce un centro
di accoglienza e cura per malati mentali raccolti in gran parte dalla strada,
per verificare la possibilità di un appoggio di tipo psicologico ai medici e
agli operatori del centro stesso. Un secondo obiettivo del nostro viaggio è
stato quello di incontrare psicologi africani per comprendere meglio alcuni
aspetti legati alle rappresentazioni e alle manifestazioni della sofferenza
mentale in quell’area dell’Africa. Questo perché come Psicologi nel Mondo ci
occupiamo qui a Torino e provincia di sostegno psicologico a migranti e
richiedenti asilo e ci rendiamo conto come le nostre categorie occidentali non
sempre ci siano utili nell’aiuto psicologico a persone di culture differenti.
L’incontro
con questi psicologi, che fra l’altro lavorano anche con migranti rimandati
indietro dall’Europa, o con persone che migrano da un paese all’altro
dell’Africa, e che sono in grosse difficoltà per rientrare nelle loro
situazioni di origine, non solo per motivi economici, ma anche psicosociali, ci
ha dato elementi di comprensione molto stimolanti, che contiamo di approfondire
restando in contatto con loro.
A
cura di Maria Letizia Villa
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