domenica 21 febbraio 2021

Quale termine per definire il Potere globale?

 

Quale termine può meglio definire

l’attuale sistema di potere globale?

Ovviamente, nessun termine può da solo pienamente definire un sistema complesso composto da innumerevoli componenti in continua e correlata evoluzione, ma è pur vero che la necessità di “battezzare” un qualche processo storico è da sempre una esigenza sentita, ed a nostro modesto avviso condivisibile, per “capire meglio di cosa stiamo parlando”. La scelta del termine che abbia questa valenza sintetica si fa poi ancora più ardua quando lo si riferisce ad un contesto storico contemporaneo ancora in corso di completamento. Ed è esattamente questo il caso della denominazione che meglio dovrebbe fissare la caratteristica fondamentale del  sistema di “Potere” che si è conformato a cavallo del nuovo millennio caratterizzato da un quadro economico ormai pienamente globalizzato, ma da tempo sottoposto a forte fibrillazione, dalla crescente irruzione di nuove forme di produzione e ricchezza legate al formidabile sviluppo tecnologico, dalla collegata crisi della “democrazia” e del ruolo dello “Stato”, dalla profonda trasformazione delle comunicazioni e delle informazioni. In diversi saggi presentati in questo nostro blog in qualche modo dedicati all’analisi dell’attuale sistema globale il termine usato per definire l’attuale potere mondializzato è quello di “plutocrazia”. Lo usa ad esempio Massimo Salvadori nel suo saggio “Progresso”, nostro ultimo post, è uno dei cavalli di battaglia di Noam Chomsky, padre nobile della sinistra USA, ed ancora più esplicitamente utilizzato, tanto da essere il titolo del suo saggio,

da Chrystia Freeland (politica e giornalista canadese, decimo vice-Primo ministro del Canada dal 20 novembre 2019 e ministro delle finanze dal 2020).

L’opinione della Freeland, maturata prima dall’esterno come giornalista economica del Financial Times e poi dall’interno come autorevole membro del governo canadese, è netta: il potere globale è oggi saldamente nelle mani di un ristrettissimo ceto di “ricchi”. Non a caso il sottotiolo del suo saggio cita: “L’ascesa dei nuovi super-ricchi globali e la caduta di tutti gli altri”  E d’altronde Il termine “plutocrazia” significa esattamente questo: la combinazione di plùtos, ricchezza e, krateìn, potere, indica il predominio di individui o gruppi che, grazie alla disponibilità di enormi capitali, sono in grado d'influenzare in maniera determinante gli indirizzi politici ed economici. Non è un termine nuovo, anzi si può sicuramente dire che lo ricopre, o meglio lo ricopriva, una patina di muffa essendo entrato nell’uso politico come termine dispregiativo a cavallo tra Ottocento e Novecento, per essere poi molto usato nella ipocrita retorica propagandistica fascista contro le nazioni forti dell’Occidente di allora. Tanto da restare a lungo confinato alle classiche immagini del “capitalista”, figura peraltro strettamente connessa ad una ricchezza che ancora teneva insieme finanza e produzione, banca e fabbrica

Oggi i vari Salvadori, Chomsky e Freeland usano il termine “plutocrazia” per riferirsi ad un nuovo ceto di ricchi

e a livelli di ricchezza mai raggiunti nella storia: Marco Crasso, il più facoltoso dell’antica Roma, aveva una rendita annua pari al reddito di 32 mila cittadini romani. John D. Rockefeller, simbolo dell’opulenza americana degli anni Cinquanta, guadagnava quanto 116mila concittadini, oggi i vari Jeff Bezos, Bill Gates, Mark Zucherberg, Elon Musk, Carlos Slim, tanto per citarne alcuni, detengono la stessa ricchezza di decine di milioni di persone. E, aspetto tutt’altro che secondario, non possiedono fabbriche, non fanno più “produzione”. Generalmente non sono “figli di papà”, non hanno ereditato ricchezze già create, sono quasi tutti persone che i soldi li hanno fatti da sé. Uomini (le donne sono pochissime, e quasi sempre mogli o figlie) che generalmente provengono dalle migliori università. Valgono in termini numerici una fascia della popolazione ristrettissima: mediamente lo 0,1%, che ad esempio negli USA consiste in 16 mila famiglie le quali, dall’1% del PIL statunitense posseduto nel 1980 sono passate a possederne il 5%. Questa élite internazionale, che accomuna i super-ricchi americani, medio-orientali, europei, ma anche russi e cinesi, ha costruito impressionanti ricchezze sfruttando fondamentalmente i due fattori caratterizzanti questi ultimi decenni: il mondo globalizzato e l’innovazione tecnologica. Peraltro il loro numero è così ridotto da giustificare l’utilizzo parallelo di un altro termine che non modifica la base del loro potere, sempre legata alla ricchezza posseduta, al “plutos”, ma accentua questo dato numerico: “oligarchia”, vale a dire il “potere di pochi”. Ma, indipendentemente dal loro numero e dalle modalità di accumulazione delle loro ricchezze, è indubbio che il peso di plutocrati, o oligarchi che dir si voglia, si faccia ampiamente sentire in tutti gli ambiti ed in tutti i processi di decisione politica ed economica. Questo nuovo significato di plutocrazia”, perfettamente adattato ai nostri tempi, deve però già misurarsi con una nuova significativa variante specificativa: “info-plutocrazia”.   Per oltre diecimila anni il mondo ha vissuto cambiamenti non meno drastici di quelli attuali ma sicuramente molto più lenti, tanto da richiedere più generazioni per completarsi dando così tempo per meglio comprenderli e definirli. L’attuale processo di digitalizzazione delle relazioni socio-economiche, ossia il ‘Capitalismo immateriale’, ha tempi rapidissimi. Le regole base di comportamento della dimensione immateriale, sono assai diverse da quelle della dimensione materiale ed i suoi protagonisti di vertice hanno imparato altrettanto in fretta a gestire al meglio, per loro, questa nuova regolamentazione. Facendo diventare prevalente il possesso ed il controllo delle “reti” rispetto a tutte le altre modalità di creazione di ricchezza. Tutte le attività economiche realizzate da produttori – capitale e lavoro – devono ormai appoggiarsi per lo sbocco finale sul mercato a pochi intermediari monopolisti/oligopolisti che estraggono la maggior parte del valore dal controllo della intermediazione e della informazione informatiche. Siamo nell’ambito della più generale “plutocrazia”, ma ci sono le condizioni oggettive per evidenziare al suo interno un predominio che potremmo chiamare a buon titoloinfo-plutocrazia” sicuramente destinato ad accentuarsi nel prossimo futuro.  Completiamo questa panoramica semantica, che non ha certo la pretesa di addentrarsi nel merito delle questioni di fondo che investono ben altre sfere che quella terminologica, con un termine che ci viene suggerito da Fabio Armao, (docente di Scienze Politiche all’Università di Torino e nostro gradito relatore nel 2018 per una conferenza dal titolo “Nuove forme di criminalità organizzata e delinquenza giovanile”)


che ha recentemente pubblicato un saggio con titolo:

Armao concentra la sua attenzione su un aspetto tutt’altro che secondario dell’attuale temperie. E’ indubbio che uno degli aspetti dell’attuale sistema di potere globale consista nel superamento della dimensione dello “Stato nazionale” e nella correlata difficoltà di istituzionalizzare nuovi organismi adeguato al contesto globalizzato, e questo tratto implica una sorta di caos planetario, al cui interno si confrontano/scontrano le opposte visioni del mercato occidentale ed orientale, che non appare al momenti avere un sicuro vincitore. E’ la situazione ideale per una componente del sistema di potere mondiale tanto potente quanto trascurata: la criminalità organizzata di alto livello. Usando le parole di Armao si può sostenere che questo ……. restringersi del ruolo delle istituzioni statali non determina un vuoto di potere. Semmai dà origine a nuove forme di aggregazione sociale, e a un vero e proprio nuovo tipo di regime politico che abbiamo chiamato “oikocrazia(letteralmente oikos significa “casa”, ma per estensione può indicare la “famiglia”, il “clan”) , basato sul ritorno del clan al centro del contesto sociale …….  Una sorta di ritorno a vincoli precedenti all’appartenenza nazionale e statale che, per Armao, può accompagnarsi alla stessa “plutocrazia” in un ridisegno delle strutture di potere in cui i possessori di ricchezze, lecite ed illecite, agiscono, e vieppiù  si arricchiscono, sulla base di logiche da “clan”. E’ una presa d’atto che anche il “lato oscuro” della società ha titoli per proporsi come modello di gestione del potere su scala globale. Non sarebbe una brutta idea immaginare, non appena la pandemia lascerà spazio alle nostre iniziative “normali”  di avere nuovamente Armao come relatore per farci meglio illustrare la sua idea di “oikocrazia





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