Il “Saggio” del mese
FEBBRAIO
2021
L’idea iniziale era quella di pubblicare l’intera sintesi della Parte Quarta, quella conclusiva di questo saggio quanto mai voluminoso e complesso, in un unico post, ma strada facendo è subentrata la decisione di sdoppiarlo in due pubblicazioni. Per una buona ragione: in questa “Parte Quarta” Piketty analizza l’evoluzione del quadro politico delle democrazie occidentali avvenuta a partire dalla seconda metà del XX secolo e fino ai nostri giorni. Dedica particolare attenzione ai mutamenti intervenuti nell’elettorato, e conseguentemente nelle stesse proposte politiche, dei partiti della “sinistra” intesa in senso lato. Il dato che sembra emergere è quello di una progressiva trasformazione che ha allentato di molto la classica “rappresentanza di classe” dei ceti popolari, quelli che ancora nell’immediato secondo dopoguerra rappresentavano la solida base elettorale della sinistra. I quali sono stati via via, accompagnando la generale evoluzione della società, sostituiti da un elettorato più composito, e mediamente più istruito e più benestante. Contemporaneamente le generali motivazioni al voto sono passate dall’essere prevalentemente basate sulla condizione sociale ad essere fortemente condizionate da fattori etnici e religiosi. Creando così un quadro di insieme che, se da una parte evidenzia ancora di più lo stretto legame fra “capitale” ed “ideologia”, dall’altra complica il percorso di costruzione di una ideologia, e di collegate concrete politiche, più mirate a contenere il livello delle disuguaglianze. Questa analisi, articolata su tre ponderosi capitoli, è così ricca di dati e relative considerazione da implicare, nonostante gli sforzi profusi, una sintesi decisamente corposa. Il post, già quindi così lungo (è pur vero che buona parte è composta da grafici che già visivamente offrono indicazioni precise accompagnati da brevi commenti che, si spera, dovrebbero consentire ai volenterosi lettori un buon scorrimento) non si prestava però a contenere anche la sintesi dell’ultimo capitolo, quello che contiene le considerazioni finali di Piketty e le sue proposte per attive politiche finalizzate alla giustizia sociale. Consiste in questo "sovraccarico" la ragione ci ha indotto a suddividere la sintesi della Parte Quarta in due puntate. Questa, dedicata come si è detto, ai tre capitoli di analisi politica, e quella, a chiudere questo nostro lavoro, che presenterà la parte propositiva.
Parte Quarta
Rivedere le dimensioni
del conflitto politico
Capitolo 14
La costruzione dell’uguaglianza
(In cui P. dopo aver analizzato le
trasformazioni storiche dei regimi delle disuguaglianze inizia a delineare
quelle che ritiene possano essere le linee guida per la costruzione
dell’uguaglianza iniziando a valutare le mutazioni intervenute nel quadro
politico a cavallo del cambio di secolo
Decostruire
sinistra e destra: le dimensioni del conflitto sociopolitico
L’onda lunga, per quanto complessa e tormentata, dell’affermazione della democrazia impone un passaggio preliminare per qualsiasi ipotizzabile strategia di “costruzione dell’uguaglianza”. Il consenso forte, radicato e diffuso, che questa richiede deve calarsi nel modo più efficace possibile nel reale contesto dell’attuale confronto elettorale. Si deve cioè fare fino in fondo i conti con la complessità delle attuali divisioni elettorali e politiche, la quale sembra aver smesso le vesti del conflitto monodimensionale tra “poveri” e “ricchi” per assumere, in una molteplicità di varianti, quelle del conflitto ideologico fra diverse visioni del mondo e di una “società giusta”. P. ritiene utile in questo senso ripercorrere la recente evoluzione del rapporto tra consenso elettorale e stratificazione sociale, iniziando dal percorso storico della sinistra elettorale dal 1945 ad oggi in Europa e negli USA riepilogato nel seguente grafico 67 che evidenzia la differenza in percentuale del voto espresso ai partiti di sinistra dal 10% dei più istruiti ed dal restante 90% dei meno istruiti
Grafico 67
Si coglie
bene l’evoluzione comune delle tre curve il cui andamento è, come si vedrà, estendibile ad altri paesi occidentali: negli
USA il Partito Democratico, in Francia quelli raggruppati a sinistra, nel Regno
Unito quello laburista, che avevano inizialmente un consenso elettorale
maggiormente radicato negli elettori con basso livello di istruzione,
definibili come “ceti popolari”, vedono progressivamente crescere l’incidenza
del loro voto fra gli elettori più istruiti, quelli definibili come “middle
class”, “ceti medi”, fino a raggiungere nel 2015 un dato esattamente capovolto
rispetto a quello di partenza. Sembra pertanto possibile sostenere che, se
nell’immediato dopoguerra la sinistra parlamentare era un “partito dei
lavoratori”, ad inizio XXI secolo viene percentualmente premiata di più dai
laureati e quindi da dirigenti e da professionisti di buon livello. E’ un
aspetto centrale, qui presentato per ora come dato di massima ma
successivamente dettagliato con più precisione, per comprendere come
concretizzare processi di costruzione di maggiore uguaglianza. Questo primo dato, e gli altri che
seguiranno, sono stati raccolti, precisa P., grazie ad un articolato e complesso lavoro di
analisi dei risultati elettorali e dei sondaggi post-voto mirati a fotografare
l’identikit degli elettori. L’analisi su di essi costruita ha, come
vedremo, evidenziato per il voto dal
1945 in poi, e quindi con la definitiva piena affermazione del diritto di voto
universale, un preciso trend di cambiamento: da un orientamento elettorale
determinato in gran prevalenza dalla appartenenza socio-economica, “di classe”,
ad uno molto più complesso di natura politico-ideologica correlabile a quattro
categorie di stratificazione sociale in buona misura interclassiste:
l’istruzione, esaminata in una prima lettura nel precedente grafico 67, il reddito, il patrimonio, ed infine le
appartenenze religiose e etnico-razziali. Le considerazioni analitiche che
concorrono a determinare questo trend prendono in esame il voto suddividendolo
tra “destra” e “sinistra”, con una separazione schematica più facilmente applicabile
in paesi come gli USA ed il Regno Unito che da sempre vedono una sostanziale
bi-polarizzazione del voto, mentre per paesi come la Francia, in cui è presente
un accentuato multi-partitismo, si sono gioco forza assemblate nei due
contenitori partiti molto variegati e persino in contrapposizione politica.
Prima di valutare la relazione con il voto delle quattro categorie di
stratificazione sociale è però opportuno analizzare l’incidenza della
partecipazione elettorale. Il seguente grafico la
evidenzia per il periodo 1945 – 2015 nei tre paesi in esame: USA (dato delle elezioni
presidenziali) Francia e Regno Unito (dato delle elezioni politiche)
Grafico 68
Interessa per
intanto cogliere la linea di tendenza comune fra i tre paesi in esame: al di là
di alcuni specifici picchi, determinati da elezioni particolarmente sentite, si
coglie una evidente e costante disaffezione elettorale, più accentuata negli
ultimi decenni del secolo per Francia e Regno Unito a fronte di un andamento abbastanza costante su alte
percentuali fino agli anni Ottanta, mentre la curva USA presenta una flessione
più contenuta ma a fronte di percentuali da sempre di non poco inferiori a quelle
europee. Queste curve devono però, per meglio cogliere le logiche di
disaffezione elettorale, essere messe a confronto con le rispettive
ripartizioni dei votanti in base al loro reddito. Il
seguente grafico, che evidenzia l’incidenza del voto del 50% più ricco dei
votanti rispetto al 50% più povero, consente quindi di visualizzare un rapporto con l’andamento
delle curve del precedente grafico 68
Grafico 69
Il raffronto
fra i due grafici mette in mostra una relazione importante fra la disaffezione elettorale
ed il livello di reddito dei votanti. Negli USA, fatti sempre salvi alcuni
specifici picchi, l’andamento delle due curve è sostanzialmente simile, ma la
percentuale dei votanti del 50% più ricco, pur scendendo in misura contenuta e
parallela al calo dei voti, è sempre significativamente alta, restando
mediamente attorno al 15%, vale a dire che in America sono i più ricchi che da
sempre votano di più. In Francia e nel Regno Unito al contrario l’andamento
delle curve dei grafici 68 e 69 presenta una
similitudine solo per il periodo 1945 – 1980, mentre diventa opposto ad
iniziare dal 1990: da una parte, grafico 68, la
partecipazione al voto diminuisce bruscamente, dall’altra, grafico 69, la percentuale dei votanti del 50% più
ricco cresce altrettanto significativamente. La disaffezione del voto è quindi
ascrivibile in gran misura ai ceti più poveri. Un dato quanto mai importante
per le finalità analitiche di questa Parte Quarta.
Il peso
elettorale dell’istruzione
L’analisi
dell’incidenza sul voto da parte delle quattro categorie individuate in
precedenza viene svolta da P. prendendo in esame in prima battuta la situazione francese,
quella per la quale è disponibile una maggior quantità di dati. L’attenzione
sarà concentrata sul voto “a sinistra”, ossia sulla componente politica che di
più ha storicamente sostenuto la finalità di una maggiore uguaglianza. Nei
Capitoli successivi, entrando maggiormente nel dettaglio, sarà quindi valutata
la validità delle indicazioni in questo primo modo ottenute anche per altri
paesi occidentali. La prima categoria presa in esame è il rapporto tra votanti
e livello di istruzione dettagliando quindi
le linee di tendenza già rilevate nel precedente grafico 67. Quello seguente evidenzia
pertanto il voto a sinistra in Francia nel periodo 1956-2012 (elezioni
presidenziali) ripartendolo in relazione
al livello di istruzione posseduto (licenza scuola primaria – diploma – laurea)
Grafico 70
Si coglie
bene la relazione tra due tendenze strettamente correlate: quella della
partecipazione al voto e quella della sua differenziazione per livelli di
istruzione. Per il primo aspetto (dati in % alla base
delle colonne) si assiste alla seguente progressione:
elettori con
licenza scuola primaria = 72% - 42% - 30% - 18% che votano
elettori con
diploma = 23% -
47% - 48% - 56% “ “
elettori con
laurea = 5% - 11% - 22% - 26% “ "
La costante
discesa dell’affluenza alle urne degli elettori con licenza di scuola primaria
ed il correlato aumento di quelli con livelli di istruzione più alti non si
spiegano solo con l’aumento del livello medio di istruzione, che pure ha una
incidenza significativa, ma confermano che il fenomeno della disaffezione
elettorale, che sta incidendo in misura preoccupante sulla tenuta delle
democrazie rappresentative, è in buona misura attribuibile agli elettori meno
istruiti. Questa tendenza comporta poi (dati in % in
cima alle colonne) una diversa incidenza dei tre gruppi sul voto a
sinistra:
elettori con
licenza scuola primaria = 57% - 48% - 44% - 47%
elettori con
diploma = 49% -
47% - 48% - 50%
elettori con
laurea = 37% - 44% - 49% - 58%
Nel periodo preso in considerazione non solo gli elettori meno istruiti partecipano di meno alle votazioni ma ormai meno della metà dei loro voti premia la sinistra mentre, al contrario, con il dato di quelli intermedi costante, ben più della metà degli elettori con laurea dimostra una progressione significativa di voto a sinistra. Una tendenza che non sembra essere influenzata da differenze di fasce d’età e da caratteristiche sociodemografiche. Il dato francese evidenzia ad esempio che il voto giovanile si mantiene costantemente più orientato a sinistra confermando le linee di tendenza del grafico 70. Una considerazione valida anche per il voto femminile che, in generale fatte salve alcune situazioni contingenti, si è anch’esso progressivamente spostato a sinistra confermando, se non accentuando, l’incidenza del livello di istruzione che emerge da questi dati. La fotografia di dettaglio delle categorie professionali, meno istruite, che di più si sono “allontanate” dalla sinistra: vede in prima fila proprio i lavoratori dell’industria, gli “operai”, la base forte del voto a sinistra dei primi decenni del secondo dopoguerra, e subito dopo i dipendenti poco qualificati del settore dei servizi. Come spiegare che dal decennio 1990-2000 i partiti di sinistra abbiano quindi smesso di essere i partiti dei lavoratori e dei dipendenti socialmente più svantaggiati? Concorrono sicuramente un insieme di fattori, ma come tendenza generale incidono, secondo P., due spiegazioni: un’ipotesi sociale ed un’ipotesi nativista. La prima consta nel sentimento diffuso di delusione delle categorie popolari che si sono sentite progressivamente “abbandonate” dalle politiche della sinistra sempre più orientate ad un visione generale interclassista, la seconda si basa su una disaffezione degli stessi strati sociali, quelli più esposti alla “concorrenza sul lavoro dal basso”, legata all’incapacità della sinistra di fronteggiare adeguatamente le sirene razziste e anti-immigrazione. Sono due ipotesi, fra di loro intrecciate, che richiedono adeguati approfondimenti che saranno sviluppati nei Capitoli successivi. Restando all’incidenza specifica del livello di istruzione appare però evidente che la sinistra, le socialdemocrazie occidentali, hanno pagato anche in termini elettorali i gravi specifici limiti delle loro politiche dell’educazione analizzati nel precedente Capitolo 11 della Parte terza. Resta comunque ferma la sensazione di un processo graduale, costante e non adeguatamente contrastato, che ha portato le “sinistre” occidentali a trasformarsi, dati elettorali alla mano, da “partiti dei lavoratori e delle classi popolari” a quella che P. sinteticamente definisce la “sinistra intellettuale benestante”.
Il
patrimonio, la sinistra e la destra.
Sempre
prendendo in esame la situazione francese, quella più ricca di dati
disponibili, P. passa
quindi ad analizzare la seconda categoria: il rapporto tra tendenze elettorali
e livelli dei redditi e dei patrimoni dei votanti. Il
seguente grafico evidenzia la sua evoluzione esaminando il voto a sinistra
relazionando la percentuale di voti ottenuti nelle stesse tornate elettorali
presidenziali del grafico 70 e suddividendo gli elettori fra i vari decili di
reddito
Grafico 71
Le prime tre
tornate elettorali hanno una curva relativamente simile: il voto raccolto dal
candidato di sinistra raccoglie consensi intorno al 40-45% da parte del decile
più povero, cresce con identica progressione fino a toccare livelli pari al
50-55% nei decili medio-bassi, per poi iniziare a scendere nei decili
medio-alti attestandosi a non più del 35-40% ed infine a crollare a percentuali
inferiori al 25% nel 5% ed 1% più ricchi. Le ultime elezioni del 2012
presentano una curva decisamente anomala rispetto alle altre: in costante
discesa dall’iniziale 60% di voti raccolti nel decile più povero, ma con una
progressione verso il basso più contenuta, chiude poi con un dato del decile
più ricco che ancora si assesta attorno ad un buon 45% e a percentuali
relativamente alte anche nel voto del 5% ed 1% più ricchi. Le indicazioni
ricavabili di questo primo grafico relativo al reddito posseduto devono essere
integrate con quelle suggerite passando ad esaminare il rapporto con la
ricchezza da proprietà posseduta. Il seguente grafico
evidenzia quindi il rapporto fra il voto a sinistra nelle stesse elezioni con
il livello di ricchezza patrimoniale posseduta dagli elettori
Grafico 72
E’ subito
evidente la differenza delle curve con quelle del precedente grafico 71: quando si passa a relazionare la
propensione del voto a sinistra con la ricchezza patrimoniale posseduta dai
votanti tutte le curve in esame evidenziano un omogeneo netto calo:
dall’iniziale 60-70% espresso dal decile più povero si scende, passando con un
ancora contenuto rallentamento nei decili medio-alti, al di sotto del 30% per
il decile più ricco ed ancora più in basso per il 5% ed 1% più ricchi. Anche in
questo caso, a conferma di un mutamento non casuale, la curva del voto del
2012, seppure in linea con quelle precedenti, ha un andamento meno accentuato
chiudendo con un voto delle fasce più ricche ancora sopra al 30%. Sono in
ambedue i casi, reddito e proprietà, dati che richiedono specifici
approfondimenti, anche per comprendere la possibile validità per altri paesi,
una prima ipotesi è per P. comunque possibile: la generale crescita del reddito posseduto non
sembra aver frenato di per sé stessa la propensione del voto a sinistra, anzi
si rileva un suo incremento nei decili di reddito che costituiscono in buona
misura quella “sinistra intellettuale benestante” già più orientata a sinistra
in base al livello di istruzione. Un’area politicamente indistinta che, dato
del voto del 2012, sembra essersi spinta ancora più in alto fino a coinvolgere
una quota non trascurabile degli strati più ricchi. Nei quali, a partire dai
decili medio-alti, accanto alle figure sociali tradizionalmente più ricche –
imprenditori, dirigenti e funzionari di alto livello, ha buon peso la
cosiddetta “destra mercantile” – più diffuse
figure sociali in grado di ricavare livelli significativi di reddito ad esempio
dal possesso di piccole imprese e attività di vario genere, dalla titolarità di
beni, licenze, concessioni, rappresentanze in esclusiva - la quale, conseguentemente, fa di più sentire
la sua voce quando si passa a considerare la ricchezza patrimoniale. La discesa
costante di tutte le curve del grafico 72 bene
evidenzia questo aspetto già per i decili intermedi. E’ quindi ipotizzabile che
là dove una crescente ricchezza da reddito resta più collegata al livello di
istruzione raggiunto resiste la propensione al voto a sinistra esaminata nei
precedenti grafici 69 – 70, là dove invece la
ricchezza è più collegata ai patrimoni posseduti questa propensione si
raffredda notevolmente e sostiene un voto tradizionalmente di destra. Si sta
ancora procedendo per categorie molto estensive, la stessa divisione fra
“sinistra intellettuale benestante” e “destra commerciale” richiede maggiori
dettagli anche in relazione al fatto che importanti strati sociali non
rientrano automaticamente in questi due campi. E’ ad esempio storicamente
accertata la diffidenza di contadini proprietari, di commercianti al dettaglio,
di artigiani, e più recentemente di lavoratori autonomi “obtorto collo”, verso
la sinistra, per ragioni di natura ideologica ma anche a causa di politiche di
tassazione che non sempre hanno tenuto in debita considerazione le loro
specificità. Si è vista nei grafici 71 -72 l’anomalia
del dato elettorale del 2012, quello che, non a caso, ha di più registrato i
mutamenti intervenuti nel quadro mondiale con la fine del comunismo sovietico e
con l’avvento della globalizzazione neoliberista. La tendenza che sembra emergere da questo
dato rilevabile, come si vedrà, in quasi tutto l’Occidente, è quella della
sostituzione della classica divisione per classi fra “ricchi” e “poveri” da una
parte con una più articolata su una grande molteplicità di figure sociale e
dall’altra da una linea di frattura che per certi versi rende complementari le
stesse “sinistra intellettuale benestante” e “destra mercantile”. Entrambe
infatti manifestano una certa dose di conservatorismo di fronte all’evoluzione
in atto del regime delle disuguaglianze: la prima crede nel merito dello studio
e delle competenze professionali, la seconda privilegia la propensione “agli
affari”. Se da queste diverse propensioni discendono ovvie differenze e
contrasti anche forti, entrambe però “di fatto” aderiscono, essendone a loro
volta alimentate, all’attuale sistema economico. Non a caso sono la parte del
corpo elettorale che di più mantiene l’attitudine al voto. Quella che, sempre
non a caso, non manifesta più quella parte della popolazione che si sente
esclusa, penalizzata dall’economia globalizzata.
Il ritorno
delle divisioni identitarie e religiose
La Francia
ancora appare agli occhi del mondo, a distanza di più di due secoli dalla
Rivoluzione del 1789, come la patria del laicismo. Una lettura più attenta, che
si sovrappone a quella delle due categorie precedenti, evidenzia però un quadro
più complesso che, coerentemente con la scelta di P. di iniziare dalla Francia come
caso emblematico per sviluppare successive riflessioni generali, merita di
essere conosciuto. Il seguente grafico è relativo
all’appartenenza religiosa dell’elettorato francese nel periodo 1967-2017
Grafico 73
Lo spaccato
offerto è utile come dato base per valutare l’eventuale incidenza delle
divisioni religiose sulla partecipazione e sulla propensione al voto. Nell’arco
dei cinquant’anni presi in esame le appartenenze religiose dell’elettorato
francese hanno visto un significativo cambiamento: il campo cattolico che al
1967 valeva complessivamente il 91% è progressivamente sceso al 55%, con un
calo molto più marcato per i praticanti passati dal 25 % al 6% rispetto a
quello dei non praticanti scesi dal 66% al 49%. Sono rimasti stabili attorno al
3-4% gli elettori appartenenti alle altre religioni (ebrei, protestanti,
buddisti) mentre i mussulmani sono saliti da iniziali percentuali irrilevanti
al 5%. In relazione a queste consistenze percentuali merita valutare la loro
incidenza sul voto a sinistra prendendo in esame i tre gruppi più significativi
che complessivamente contano mediamente per una percentuale superiore al 90%. Il seguente grafico evidenzia il loro voto a sinistra lungo
lo stesso arco temporale del precedente grafico 73
Grafico 74
Si coglie
bene la propensione dei cattolici praticanti verso un voto a destra compensata,
con quelli non praticanti in una posizione a metà fra destra e sinistra, dalla
tendenza opposta degli elettori senza religione. Ma emerge anche una tendenza,
a partire dal 2002, ad un voto più omogeno, meno drasticamente differenziato.
Questa possibile propensione va però inserita in un quadro più generale
comprensivo degli altri due gruppi
Grafico 75
E’ bene
precisare che si tratta di dichiarazioni di appartenenza espresse da elettori,
e quindi da cittadini con cittadinanza francese, il che significa, ad esempio,
che la consistenza della popolazione mussulmana in Francia è leggermente
superiore al 5% individuato nel grafico 73.
L’incrocio dei due grafici 74 – 75 con quelli
precedenti relativi al rapporto fra propensione al voto a sinistra e istruzione
e reddito/patrimonio posseduti non sembra evidenziare una correlazione
immediata, sia per il voto a destra che sembra comunque essere più motivato
dalle appartenenze religiose che da altri fattori, sia per il voto a sinistra,
che vede ad esempio i suoi elettori mussulmani in buona misura motivati
dall’atteggiamento ostile nei loro confronti dei partiti di destra. L’insieme
dei due grafici 74 – 75 evidenzia in sintesi un
arco elettorale che, partendo da destra e chiudendo a sinistra, vede: cattolici
praticanti, cattolici non praticanti, altre religioni, senza religione ed
infine mussulmani. Ma l’incrocio con le rispettive sensibilità su alcuni temi,
famiglia-sesso-genere, per i quali è molto rilevante l’appartenenza religiosa,
al punto da vedere allineati su posizioni tradizionaliste i cattolici
praticanti e le altre religioni, mussulmani in primis - fa capire che la
caratteristica dell’appartenenza etnica prevale su quella religiosa che
peraltro a sua volta fa aggio su livello di istruzione e di reddito. Ed è
quindi su di essa, definita come “nativismo” che P. concentra
l’attenzione. Il seguente grafico la esamina, prendendo
in esame i primi decenni del nuovo secolo, quelli che di più hanno visto
crescere l’immigrazione straniera, fotografando la propensione del voto a
sinistra relazionata alla origine etnica
A fronte di
limitate variazioni di consistenza demografica fra i tre gruppi, dato alla base
delle colonne, che vede comunque crescere la presenza straniera, si può
cogliere un sostanziale allineamento tra i “locali” e gli stranieri di origine
europea che esprimono una leggera propensione per il voto a destra, mentre
invece gli elettori di origine straniera extraeuropea, in gran misura
mussulmani, sono decisamente orientati per un voto a sinistra sicuramente
determinato dalla ostilità nei loro confronti da parte della destra. La sintesi
delle interconnessioni fra queste quattro categorie esaminate: istruzione,
reddito/patrimonio, religione, etnia, induce P. a ritenere possibile una
divisione dell’elettorato, in questo caso francese, in quattro macro blocchi. Va
da sé che al loro interno sono rilevabili diverse linee di separazione e
distinzione ma, in relazione alla necessità di individuare sulla base delle
attuali tendenze di voto una maggiore o minore propensione ideologica al
contrasto delle disuguaglianze, queste quattro aree, determinate sia dal loro
rapporto con la globalizzazione sia dalle quattro categorie esaminate in
precedenza, sembrano offrire uno spaccato attendibile. Per P. questi quattro macroblocchi sono:
Internazionalisti egualitari = pro immigrati e pro poveri
Internazionalisti non egualitari = pro immigrati e pro ricchi
Nativisti non egualitari = anti immigrati e pro ricchi
Nativisti egualitari = anti immigrati e pro poveri
Il
seguente grafico le segue nella loro evoluzione elettorale nei primi due
decenni del nuovo secolo
Grafico 77
Le dinamiche
contingenti hanno determinato curve abbastanza mosse con picchi, positivi e
negativi, anche rilevanti, con la sola eccezione della curva dei “nativisti non
egualitari”, quindi anti immigrazione e pro ricchi, che sembrano poter contare
su una sorta di zoccolo duro di elettori. Il dato che sembra essere quello più
significativo è dato però dal sostanziale allineamento dei quattro blocchi al
termine del periodo in esame: nel 2018 sono infatti compresi in una forbice che
va dal 22% al 30%, determinando pertanto un quadro politico di difficile
gestione. Sul quale inoltre incide un quinto decisivo macro blocco, non
contemplato nel grafico 77: quello degli astensionisti
che vale mediamente un 20% degli aventi diritto al voto. Potrebbe teoricamente
essere l’ago della bilancia nel caso in cui venisse coinvolto, ma le sua
caratteristiche storicamente consolidate parlano di un gruppo non politicizzato
e soprattutto non politicizzabile. La partita sembra quindi che si giochi
all’interno di un elettorato diviso in quattro blocchi da linee di separazione
non facilmente superabili e componibili.
Se questo quadro dovesse mantenersi in qualche modo valido per l’intero
Occidente, pur con le ovvie specificità nazionali e con possibili limitate
evoluzioni, si confermerebbe in via definitiva il lungo processo di
destrutturazione del sistema di divisione in classi tipico di tutto il secolo
XX durato quantomeno fino agli anni Ottanta già analizzato nella Parte Terza.
Un’ultima variabile merita di essere considerata: l’incidenza sull’elettorato
francese del rapporto con il processo di costruzione dell’Europa Unita. Sul merito del quale si sono tenuti in
Francia due referendum: uno nel 1992 sul Trattato di Maastrich, con la vittoria
del SI confermativo con il 51%, ed uno nel 2005 sulla Costituzione Europea, con
il SI confermativo sconfitto con il 45%. Il seguente
grafico evidenzia l’evoluzione del voto per il SI da un referendum all’altra in
relazione ai livelli di istruzione, reddito e patrimonio suddivisi per decili
di ricchezza
Grafico 78
Emerge che in
ambedue i referendum, seppure con esito opposto, solo a partire dal sesto
decile si inizia a superare la soglia del 50% dei consensi. Nel primo
referendum il SI vinse grazie alla rilevante astensione al voto degli strati
più poveri, al contrario nel secondo, quando invece il SI perse, per la loro
notevole partecipazione. Sono comunque espressioni di un voto che esprime una
diffidenza verso il progetto europeo molto classista, essendo una evidente
espressione degli strati medio bassi della società, ma slegata dalla classica
loro classificazione in “destra” e “sinistra”. A sostegno del SI si sono
infatti mosse sia la sinistra intellettuale benestante che la destra
mercantile. Sembra comunque evidente che il progetto di una Europa più Unita
debba, per risultare vincente, guardare con maggiore attenzione alle
aspettative della parte meno ricca della popolazione. Francese in questo caso,
ma come si avrà modo di vedere europea in generale.
Capitolo 15
La sinistra intellettuale
benestante:
i nuovi divari euro – americani
(In cui P., analizzata l’evoluzione francese del sistema dei partiti e dei
loro consensi elettorali, esamina le altre democrazie occidentali per
verificare analogie e differenze
La
trasformazione del sistema dei partiti negli Stati Uniti
L’esperienza
francese, analizzata nel precedente Capitolo 14, è sintetizzabile in alcuni
punti essenziali:
Ø
con una svolta avvenuta a cavallo degli anni Ottanta la
propensione di voto è passata
dall’essere determinata dall’appartenenza di classe, con i ceti popolari più orientati a votare a
sinistra, ad una più influenzata da motivazioni di ordine ideologico/politico,
dal livello di istruzione, di reddito/patrimonio, piuttosto che da
considerazioni di ordine etnico/religioso
Ø
si è in tal modo formata una sovrapposizione di gruppi elettorali
che, con una accettabile dose di approssimazione, vedono ai due estremi una “sinistra intellettuale benestante”,
caratterizzata da buon livello di istruzione e reddito, ed una “destra commerciale”,
più legata al livello di patrimonio e da considerazioni etnico/razziali.
Ø
le classi popolari e buona parte del ceto medio si muovono, a
seconda delle contingenze, fra questi due estremi.
Per capire se
il dato francese ha valore generale P. passa ad analizzare le situazioni del Regno Unito e degli USA,
partendo da questi ultimi valutando, come già fatto per la Francia, il rapporto
tra voto “a sinistra”, qui rappresentata dal Partito Democratico, e livello di
istruzione dei suoi elettori, preceduta da una panoramica elettorale generale. Il seguente grafico la riassume sintetizzando l’andamento
delle elezioni presidenziali dal 1948 al 2016.
Grafico 79
Come è noto
la scena elettorale americana, a differenza di quella pluripartitica francese, è
caratterizzata da un netto bipolarismo, i candidati non democratici o
repubblicani hanno, con scarse eccezioni, sempre raccolto insignificanti
consensi in un sistema di designazione del Presidente che, va ricordato, non
necessariamente premia il candidato che ha raccolto più voti a livello generale
(come ad esempio nel 2016 con Trump e Hilary Clinton). Sulla
base di questo andamento il grafico successivo evidenzia il livello di
istruzione degli elettori democratici riferito alla percentuale totale di voti
raccolti in quattro significative elezioni
Grafico 80
Il dato delle
elezioni del 1948 è chiaro: più gli elettori erano istruiti e meno votavano
democratico, la situazione tende a livellarsi nel 1960 quantomeno fra elettori
con istruzione primaria e secondaria che però ormai votano in maggioranza
repubblicano, ma già nel 1992 quelli con istruzione primaria crollano a meno
del 20% compensati dal balzo in alto di quelli con istruzione secondaria e
dalla buona salita di quelli con laurea e da una prima importante adesione di
quelli con master. Nel 2016 il voto ai democratici degli elettori con
istruzione primaria è ormai sotto il 10%, restano stabili quelli con istruzione
secondaria, ed i laureati divisi nei tre gradi contano ormai per il 32%.
Considerato il basso livello di partecipazione al voto (pari al 55% sia nel
1992 che nel 2016) la vittoria di Bill Clinton nel 1992 ed il maggior numero di
voti ottenuti da Hilary Clinton, seppur sconfitta, nel 2016 ci dicono anche che
gli elettori con buon livello di istruzione hanno votato di più e hanno votato
democratico, mentre quelli con istruzione primaria hanno sempre più premiato il
candidato repubblicano. Una tendenza che è confermata e dettagliata dal seguente grafico che evidenzia la curva di crescita della
differenza % del voto democratico del 10% degli elettori più istruiti e del 90%
meno istruiti (DATO A), dato che viene poi corretto da altre due curve che
rapportano tale percentuale la prima a età, sesso, situazione familiare (DATO
B), la seconda anche a reddito, patrimonio, razza, (DATO C)
Grafico 81
Le tre curve
hanno andamento parallelo a dimostrazione che la tendenza della crescente
incidenza percentuale del voto del 10% degli elettori più istruiti che hanno
votato per il Partito Democratico, costantemente salita con limitate variazioni
dal -20% del 1948 all’esatto opposto di più del 20% nel 2016, non subisce
influenza significativa considerando le altre variabili. Più gli elettori sono
istruiti più votano democratico, meno lo sono e meno lo votano. E’ questa una
prima importante corrispondenza con la situazione francese. Proseguendo con la
comparazione P. passa quindi a valutare la relazione del voto democratico con il
livello di reddito dei suoi elettori. Come evidenziato in precedenza nella
Parte Terza sulla possibilità che un migliore livello di istruzione offra un
corrispondente miglior inserimento lavorativo, e quindi un maggiore livello di
reddito, sarebbe lecito, sulla base dei dati dei precedenti grafici, attendersi
un comportamento analogo. Il seguente grafico mette in
relazione per otto tornate elettorali presidenziali la percentuale del voto
democratico ripartita per i decili di reddito con l’aggiunta, come per la
Francia, degli elettori con reddito Top 5% e Top 1%
Grafico 82
Va ovviamente
colta una linea di tendenza, rappresentando ogni elezione un appuntamento molto
condizionato dalla personalità pubblica dei candidati, la quale sembra
evidenziare un calo lento e progressivo in tutte le elezioni man mano che si
salgono i decili di reddito. Colpisce però l’andamento del 2016: il voto
democratico è appena sopra il 50% nel decile più povero, scende ma in misura
contenuta fino al decile mediano per poi risalire ed in modo consistente
proprio nei decili più ricchi e persino nella fascia TOP 5% e TOP 1%. Aiuta a
meglio capire il seguente grafico che riprende il dato
del precedente grafico 81, quello che evidenzia la curva di crescita della
differenza % del voto democratico del 10% degli elettori più istruiti e del 90%
meno istruiti (DATO A), e lo mette confronto con quello analogo ma riferito al solo
livello di reddito (DATO B)
Grafico 83
L’orientamento
a votare democratico appare molto più marcato nella curva (DATO A) che segnala
la crescita del livello di istruzione, meno accentuata è infatti quella (DATO
B) relativa al livello di patrimonio posseduto che resta costantemente negativa
a sancire una preferenza per il voto repubblicano. Ma ad iniziare dagli anni
novanta la curva inizia a salire avvicinandosi ad un possibile sostanziale
pareggio (quota 0%), evidenziando una possibile spiegazione: gli elettori più
istruiti che a partire dagli anni Ottanta premiano costantemente il Partito
Democratico, sono lo strato sociale che, proprio grazie all’alta istruzione,
accede a buoni redditi, consentendo una conseguente progressiva patrimonializzazione,
la quale da sola non induce ad un mutamento di propensione elettorale. Sembra
pertanto possibile sostenere anche per gli USA l’esistenza di una “sinistra
intellettuale benestante”, la quale deve fronteggiare non soltanto una “destra
mercantile”, che mantiene ferma la propensione al voto repubblicano, ma anche
le divisioni interne al campo della sinistra statunitense. L’allineamento della
“sinistra intellettuale benestante” con l’élite dei “vincenti della
globalizzazione” si sta infatti progressivamente scontrando con il crescente
affermarsi di una sinistra più radicale, ideologicamente più vicina ai
“perdenti della globalizzazione, ceti popolari ed immigrati. Ogni valutazione
sul quadro politico elettorale americano non può però prescindere
dall’incidenza del fattore razziale. Il seguente
grafico analizza il voto democratico dal 1948 al 2016 suddiviso per identità
etniche evidenziando la percentuale di adesioni ottenuta dagli elettori bianchi
– neri – ispanici ed altre etnie
Grafico 84
E bene tenere
sempre presente due dati fondamentali nel valutare i trend elettorali
americani: l’incidenza del personale prestigio elettorale dei candidati alla
presidenza, e la percentuale di votanti. Nel caso specifico della
partecipazione al voto per appartenenza etnica si registrano abitualmente
notevoli variazioni spiegabili proprio con l’incidenza di questi due fattori.
Ciò fermo restando è comunque possibile individuare delle linee di tendenza. Il
voto bianco si è mantenuto in tutto il periodo esaminato su adesioni
minoritarie, quello nero al contrario ha costantemente premiato il Partito
Democratico con percentuali costantemente superiori all’80%, il voto ispanico,
e di altre etnie, appare più variabile attestandosi su posizioni democratiche,
ma solo con una leggera maggioranza. Un altro dato fondamentale per meglio
comprendere queste linee di tendenza è quello della consistenza numerica degli
aventi diritto al voto delle varie etnie: la composizione razziale americana è
in costante mutamento: se nel 1948 il 90% dei votanti era bianco e il 10% nero,
con voto ispanico/altre etnie irrilevante, nel 2016 i votanti bianchi sono
scesi al 70%, quelli neri sono rimasti costanti attorno al 10%, gli ispanici/altri
sono saliti a ben il 20% degli aventi diritto al voto. L’incrocio fra questi
dati consente di dire che il voto bianco, quello maggioritario anche se in
costante e inarrestabile discesa, ha sempre premiato la destra, le vittorie
democratiche sono state possibili grazie al voto delle altre etnie ed alla
forte correlata astensione del voto bianco. Il grafico
che segue, analogamente ai precedenti grafici 81 livello di istruzione, e 83,
livello di reddito, analizza questo trend evidenziando il rapporto percentuale
fra “voto bianco” e “voto altre etnie” per il Partito Democratico, DATO A, e poi
rapportandolo ad età, sesso, istruzione, reddito, patrimonio, DATO B
Grafico 85
Se nel 1948
gli elettori democratici neri valevano circa il 10% in più rispetto a quelli
bianchi, DATO A, il peso di questi ultimi è continuamente diminuito, in modo
ancora più accentuato a partire dagli anni Sessanta con l’aggiunta al voto nero
di quello ispanico/altri, per poi assestarsi attorno ad un dato medio che va
dal 30% al 40% in meno (un elettore democratico bianco vale 3-4 elettori di
altre etnie). La curva del DATO B presenta lo stesso andamento con solo un
leggero scarto in difetto rispetto a quella del DATO A a dimostrare che gli
altri fattori, in particolare quelli socio-economici, non incidono sulla
propensione al voto democratico delle etnie non bianche. La spiegazione
principale non può che consistere nell’atteggiamento fortemente ostile mei loro
confronti da parte del Partito Repubblicano, il quale peraltro raccoglie anche
grazie a questo il consenso maggioritario nell’elettorato bianco. Sembra
pertanto possibile stabilire anche in questo caso una forte analogia fra la
situazione francese e quella statunitense: l’elettorato di etnia diversa premia
i partiti di sinistra perché, indipendentemente dalla sua condizione sociale,
percepisce la forte ostilità della destra. E’ un dato che, con la crescita dei
connotati multietnici, può avere una forte incidenza sull’andamento elettorale
equilibrando in misura consistente la perdita da parte delle sinistre del voto
popolare, tradizionale loro bacino fino ai primi decenni del secondo
dopoguerra, ma modificando conseguentemente la sua stessa proposta politica. In
sintesi infatti, con tutte le cautele del caso, sembra possibile uno schema che
vede il voto a sinistra basato su due componenti principali: la sinistra
intellettuale benestante e gli elettori di altre etnie, e quello di destra a
sua volta basato su altre due componenti: la destra economica e l’elettorato
popolare bianco/locale, quello che in precedenza rappresentava il blocco di
base della sinistra. Il seguente grafico fotografa
questa conformazione elettorale evidenziando l’analogia della composizione
etnica del voto a sinistra in Francia e negli USA
Grafico 86
Si coglie
bene questa analogia: meno della metà dell’elettorato di origine francese, che
vale il 72% dei votanti, vota a sinistra, allo stesso modo negli USA solo il
37% del 70% bianco vota democratico, gli altre raggruppamenti etnici, per la
Francia gli immigrati di origine europea ed extraeuropea che insieme valgono il
28% dei votanti (19%+9%) votano a sinistra rispettivamente per il 49% e ben
77%, negli USA votano democratico il 64% degli ispanici/altre etnie e ben l’89%
dei neri che valgono insieme il 30% dei votanti (19%+11%). Alcuni indicatori
lasciano supporre una maggiore fluidità nelle divisioni etno-religiose
francesi, grazie ad esempio ad un numero crescente di matrimoni misti, mentre
negli USA questa appartenenza sembra molto più rigida. E’ difficile
quantificare l’incidenza sul voto bianco o di origine francese delle politiche
più aperte verso le minoranze etniche da parte della sinistra francese e
democratica statunitense, un qualche peso è sicuramente presente, ma secondo P.
va inserito nel processo più generale di mutamento dell’elettorato di sinistra
in rapporto al livello di istruzione e di reddito/patrimonio. Vale a dire che
il fattore razziale ha una sua specifica incidenza ma è anche possibile che
l’elettorato popolare tradizionalmente orientato a sinistra abbia già
percepito, sia in Francia che negli USA, una minore attenzione nei suoi
confronti innescando così un malumore di base sul quale ha poi avuto gioco, con
la crescita dei fenomeni immigratori, anche una reazione di tipo razzista.
La
trasformazione del sistema dei partiti nel Regno Unito
Per
completare il raffronto della situazione francese, analizzata nel precedente
Capitolo 14, con i paesi di matrice anglosassone P. passa quindi ad analizzare il
sistema dei partiti nel Regno Unito, Un sistema a lungo caratterizzato da un
forte bipolarismo, laboristi a sinistra e conservatori a destra, e quindi più
correttamente assimilabile alla situazione USA, ma che a partire dagli anni
Settanta/Ottanta ha visto una consistente affermazione di altri partiti in
grado di condizionare le maggioranze governative inglesi. Il seguente grafico che riassume i risultati elettorali nel Regno Unito
1945 – 2017, elezioni politiche, attesta questo processo con i riscontri
elettorali ottenuti, in aggiunta a quelli tradizionale dei Laburisti e
Conservatori, dal Partito Liberale, Lib-Dem, dal Partito Nazionalista Scozzese,
SNP, e dal Partito Indipendentista inglese, UKIP:
Grafico 87
Il sistema bipartitico
inglese si è mantenuto predominate fino agli anni Settanta quando la
progressiva affermazione del Partito Liberale ha per alcuni decenni creato un
gioco a tre nella formazione dei governi. A cavallo del nuovo secolo la
situazione si è ulteriormente articolata con l’ingresso sulla scena sia del
Partito Nazionalista scozzese che, se nel complessivo quadro elettorale inglese
non è mai andato oltre il 5%, in ambito locale scozzese dal 1994 si afferma
come primo partito sia, e soprattutto, dell’UKIP, il partito nazionalista
inglese, ovvero il maggior sostenitore della Brexit. In questo quadro generale
il raffronto con le situazioni francesi e americane prende ovviamente in
considerazione lo storico Partito del Labour. E come
per le due situazioni precedenti il seguente grafico mette in relazione i suoi
elettori con il livello di studio posseduto analizzando il rapporto percentuale
fra il 10% più istruito ed il 90% meno istruito (DATO A) poi rapportato (DATO
B) a età, sesso, reddito, patrimonio
Grafico 88
Anche in
questo caso è evidente che l’aumento del livello medio di istruzione implica
una corrispondente crescita percentuale del livello di istruzione degli
elettori laburisti, ma, come già rilevato per Francia e USA, è significativa la
costante crescita della curva, DATO A, che evidenzia il voto del 10% più
istruito, laureati magari anche con master e dottorato, con un risultato finale
nel 2017 che vede un voto laburista del 13% più alto in questo 10% rispetto al
restante 90%. Un dato che non appare condizionato dagli altri fattori presi in
considerazione (DATO B), le due curve hanno infatti uno sviluppo parallelo fino
ad avere nel 2017 un dato perfettamente
coincidente. Risulta però evidente, raffrontando le curve inglesi con quelle
francesi ed americane, che lo sposamento del voto del 10% più istruito è
avvenuto qui più tardi, solo nel nuovo
secolo. Un dato che potrebbe testimoniare un rapporto più stretto e prolungato
fra classi popolari e Labour. Acquista quindi ancor più valore analizzare, come
fa il seguente grafico, il rapporto fra voto laburista
e livello di reddito dei suoi elettori prendendo in esame alcune significative
elezioni
Grafico 89
Anche il rapporto con il livello di reddito dei suoi elettori sembra confermare un legame più persistente del Labour con le classi popolari: in quasi tutte le elezioni l’andamento delle curve evidenzia una leggera discesa dalle percentuali molto alte, comprese fra il 50% ed il 70%, dei decili più poveri, ma che ancora si mantiene fra il 40% ed il 50% nei decili medi per poi scendere sotto il 20%. Spiccano però alcune significative eccezioni, rappresentate dalle elezioni del 1997-2005-2017, nelle quali la percentuale di votanti laburisti dei decili più alti si mantiene attorno ad un rilevante 40%. Un cambiamento che è temporalmente allineato a quello registrato nel precedente Grafico 88 relativo al livello di istruzione. Va subito detto però che il voto inglese in questi anni è stato molto condizionato dalla vicenda Brexit nella quale il Labour ha mantenuto un atteggiamento oscillante ed ambiguo, formalmente schierato per il Remain, ma con evidente scarso entusiasmo. Come nelle precedenti valutazioni della situazione francese e statunitense il seguente grafico aiuta a meglio visualizzare il rapporto fra trend elettorali in base al rapporto con il livello di istruzione (DATO A = differenza in % fra 10% più istruito e restante 90%), il livello di reddito (DATO B= differenza % fra 10% con reddito più elevato e restante 90%) ed il livello di patrimonio (DATO C= differenza % fra 10% con patrimonio più alto e restante 90%)
Grafico 90
Vale sempre
l’avvertenza che i picchi presenti nelle curve in esame riflettono contingenti
incidenze di passaggi politici, quindi ciò che merita considerare è l’andamento
della curva nel lungo periodo. In questo senso sembra confermata l’impressione
che nel Regno Unito la propensione al voto laburista si è progressivamente
spostata verso l’alto in maggior misura nel rapporto con il livello di
istruzione, fino ad acquisire percentuali positive a partire dagli anni
Novanta, mentre l’incidenza del rapporto con il livello di reddito e con quello
patrimoniale sono rimasti sostanzialmente stabili e sempre con segno negativo. P.
passa quindi ad esaminare anche per il Regno Unito l’incidenza del fattore
etno-religioso. I seguenti grafici lo evidenziano
esaminando la percentuale di elettori laburisti ripartita prima per
appartenenza religioso e poi per quella etnica, in un paese che ha visto, negli
ultimi decenni del XX secolo, crescere in modo esponenziale una forte
multietnicità
Grafico 91
Grafico 92
Il raffronto
più corretto è con la situazione francese (Grafici 74 e
75) e presenta una evidente analogia, l’elettorato cristiano (cattolici
e anglicani) tendenzialmente vota a destra, mentre mussulmani e senza religione
premiano decisamente il Labour, con in una posizione intermedia gli
appartenenti ad altre religioni. Analogamente guardando alle etnie il voto
bianco si allinea a quello cristiano mentre tutte le altre componenti
sostengono con percentuali molto vicine a quelle francesi il partito laburista.
Anche nel Regno Unito l’orientamento elettorale a sinistra di tutte le
componenti religiose ed etniche non “locali” è ampiamente spiegato
dall’atteggiamento ostile della destra nei loro confronti, e non
necessariamente coincide con le specifiche politiche laburiste. L’insieme delle
considerazioni sin qui sviluppate sui trend elettorali inglesi già consentono
di individuare una evoluzione del voto a sinistra in linea con quelle francesi
e americane, in particolare incide anche nel Regno Unito un aumento dei voti
degli elettori più istruiti tale da giustificare l’idea di una “sinistra
intellettuale benestante”. L’apparente migliore persistente adesione, se si
guarda al rapporto del voto laburista con reddito e patrimonio, delle classi
popolari deve essere valutata tenendo conto che nel Regno Unito la disaffezione
elettorale (vedi precedenti Grafici 68 e 69 del
Capitolo 14) è quasi totalmente in capo alle classi più povere. Vale a dire che
il Labour paga, non diversamente dalla Francia e dagli USA, il distacco dalle
classi popolari, il bacino storicamente di riferimento anche nel Regno Unito,
ma soprattutto in termini di astensione elettorale. Un fenomeno cresciuto,
anche qui, soprattutto negli ultimi decenni del XX secolo e che, per essere
meglio compreso, come già anticipato, deve essere collegato alla questione
divenuta dirimente nel Regno Unito, ossia la Brexit. Il divario fra sinistre e
classi popolari, al centro dell’analisi di P., si misura qui nell’adesione alla
proposta dell’Exit portata avanti in primo luogo dal nuovo Partito Nazionalista
inglese, UKIP, decisamente collocabile nel campo della destra estrema. Il grafico che segue documenta il comportamento elettorale
dei votanti per il Remain e quindi anti Brexit, a fronte di indicazioni
contraddittorie ed incerte date al riguardo dal Labour, molto timidamente
schierato per il Remain, suddivisi per istruzione, reddito e patrimonio
Grafico 93
Per
intercettare percentuali di adesione al Remain superiori al 50% occorre
risalire la scala dei decili di reddito fino al decile ottavo, tutte tre le
curve fino al decile 7 compreso, quelle cioè che individuano l’elettorato meno
istruito e meno ricco, si sono schierate per la Brexit, in particolare quelle
dei primi decili. Un’analisi specifica di questo voto richiederebbe ben altri
approfondimenti, per P., nell’ambito della valutazione
storica del rapporto fra classi popolari, quelle più colpite dalla ripresa
delle disuguaglianze, ed i partiti delle sinistre che dovrebbero
rappresentarli, interessa però evidenziare l’esistenza di un solco che fra
questi due soggetti si è venuto a creare, in tutte tre le situazioni, finora
esaminate a partire dagli anni Ottanta.
Capitolo 16
Social-nativismo: la trappola identitaria
post-coloniale
(In cui P., estende ad altri paesi le considerazione sviluppate
analizzando i trend politico- elettorali di Francia, USA, e Regno Unito per
individuare comuni considerazioni generali
Dal partito
dei lavoratori al partito dei laureati
Impossibile
sviluppare, per ragioni di spazio e di disponibilità di dati analoghi, per ogni
paese una analisi dei trend elettorali così come fatto nei Capitoli precedenti
per Francia, USA e Regno Unito, individuati da P. come
situazioni però in qualche modo esemplari. Dal raffronto fra queste tre
situazioni sono emerse, e in precedenza evidenziate, alcune evidenti analogie
che, al fine di comprendere in un quadro il più ampio possibile quali risorse
politiche possono mettere in campo comuni strategie mirate a combattere le
disuguaglianze, è bene comprendere, allargando lo sguardo, se sono un tratto
comune nella situazione storica attuale. Le analogie principali consistono
nella crescita importante del livello di istruzione degli elettori “di
sinistra”, il collegato aumento del loro livello di reddito, e l’incidenza dei
fattori etno-religiosi. P. inizia da quello che definisce
“ribaltamento dell’effetto istruzione” mettendo a confronto, nel seguente
grafico, la sua evoluzione dal secondo dopoguerra ad oggi nei tre paesi già
analizzati con l’aggiunta del trend avvenuto in Germania, Svezia e Norvegia, le
cui rispettive curve evidenziano come in precedenza la crescita del rapporto
percentuale fra il 10% più istruito ed il restante 90% fra i rispettivi
elettori di sinistra
Grafico 94
Le curve
presentano una evidente comune evoluzione che attesta la crescita
dell’incidenza del livello di studio, ai suoi livelli più alti, nell’elettorato
di sinistra: se nel 1950 erano molto di più gli elettori di sinistra poco
istruiti nel 2019 in tutti i paesi in esame la situazione si è ribaltata,
percentualmente votano a sinistra di più gli elettori molto istruiti. Con
alcune significative differenze: la Svezia e la Norvegia, mentre la Germania ha
un andamento coincidente con quello francese e americano, evidenziano una
crescita molto più lenta che ancora nel 2019 si assesta a percentuali più basse
rispetto alla media degli altri paesi, rendendo legittima l’ipotesi che il
consenso dei partiti socialdemocratici per eccellenza si è basato più a lungo
sui ceti popolari. P. esamina altri paesi per i quali però la disponibilità
di dati certi è più limitata, il seguente grafico li evidenzia iniziando però
solo dal 1960
Grafico 95
Coerentemente
con quanto precisato in precedenza è impossibile entrare nel dettaglio di
situazioni molto differenziate per percorsi storici, sistemi elettorali ed
istituzionali, condizioni socio-economiche, quello che P. ritiene interessante rilevare è il dato, comune a tutte le
situazioni prese in esame, di un progressivo aumento dell’incidenze del livello
di istruzione sulla propensione al voto a sinistra. Si può sicuramente
affermare che le considerazioni analitiche più dettagliate svolte nei Capitoli
precedenti per Francia, Germania e Regno Unito, fatta la tara ad alcune
specifiche differenziazioni, temporali e quantitative, possono essere
sicuramente estese a tutte le democrazie rappresentative in cui il confronto politico
si è articolato attorno a due poli sintetizzabili fra “sinistra” e “destra”.
Una sola significativa eccezione può essere rappresentata dal Giappone nel
quale, nel periodo in esame, il quadro politico è stato molto più condizionato
da divisioni legate ai temi del nazionalismo e dei valori tradizionali che
dall’insieme dei fattori fin qui presi in esame. Per tutti gli altri è quindi
sostenibile la tesi di una evoluzione politico-ideologica della “sinistra”
verso posizioni più rappresentative di un elettorato di buon livello di
istruzione, e di correlato adeguato livello di reddito, a scapito della
capacità di attrazione e rappresentatività dei ceti popolari, quelli
tradizionali di loro sostegno e quelli sui quali si sono scaricate forti
tensioni e disuguaglianze
Ripensare il
crollo del sistema sinistra-destra avvenuto nel dopoguerra
Secondo P. diventa pertanto necessaria una riflessione specifica sull’evoluzione incrociata di due processi storici: da una parte il passaggio dal minimo storico dei livelli di disuguaglianza che si è realizzato, come si è visto nella Parte Terza, negli anni 1950-1980 alla loro preoccupante ripresa avvenuta a partire dagli ultimi due decenni del XX secolo, e dall’altra l’evoluzione dei consensi elettorali della sinistra, oggettivamente e meritatamente, l’artefice di tale inziale contenimento delle disuguaglianze. Ne consegue che la struttura del conflitto politico nelle democrazie elettorali tra il 1980 e il 2020 non sia più confrontabile con quello del periodo 1950-1980. La classica dialettica sinistra-destra che ha caratterizzato questo periodo ha infatti visto una profonda trasformazione legata in buona misura alla incapacità della sinistra di mantenere la propria storica identità politico-ideologica adeguandola alle trasformazioni sociali riconducibili in buona misura non solo al processo di globalizzazione economica quanto piuttosto proprio alla diffusione dell’istruzione avvenuta grazie alle sue politiche sociali. Ha quindi senso, estremizzandolo solo in parte, immaginare che attualmente la struttura del confronto politico vede da un lato quella che P. definisce una “sinistra intellettuale benestante” e dall’altro lato la “destra economica”, la quale ha mantenuto il suo ruolo di rappresentante dei redditi alti, anche se meno forte di quello storico, ma al tempo stesso è riuscita ad intercettare lo scontento elettorale dei ceti popolari che si sono sentiti “trascurati” dalla sinistra, loro tradizionale riferimento politico. Una tendenza che si è poi ulteriormente accentuata per la crescente incidenza di fenomeni epocali in buona misura prodotti dalla globalizzazione e dal cambiamento climatico, in primo luogo le impattanti ondate immigratorie di massa, e di paralleli profondi mutamenti politici fra i quali spicca sicuramente il crollo del comunismo e del blocco sovietico. In questo quadro alcune situazioni specifiche possono fornire indicazioni importanti in quanto mettono in più evidente relazione la rispettiva incidenza di questi due decisivi fenomeni. La Polonia è in questo senso un caso emblematico. Il seguente grafico visualizza l’evoluzione del conflitto politico polacco avvenuto nel periodo 2001-2015, evidenziando la curva dei consensi elettorali raccolti dai tre partiti più rappresentativi: il PO, liberal-conservatore, l’SLS, socialdemocratico, e il PiS (Diritto e Giustizia), nazionalista conservatore, in relazione, come per i grafici precedenti, al rapporto percentuale fra il 10% più ricco ed il restante 90% e fra il 10% più istruito e con l’analogo restante 90%
Grafico 96
Grafico 97
Le curve
evidenziano la netta separazione tra due fasi con caratteristiche molto
diverse: nella prima, che termina all’inizio degli anni Novanta, la democrazia
indiana ha visto prevalere con ampi scarti il Partito del Congresso (famiglia
Gandhi), sostanzialmente centrista, interclassista, induista ma non
eccessivamente ostile alla minoranza mussulmana e, aspetto non secondario,
appoggiato dalla casta sacerdotale bramina. Nella seconda, dal 1992 in poi, il
crollo del Partito del Congresso, dovuto ai mutamenti socio-economici
intervenuti ed al venire meno di alcuni decisivi consensi, a partire da quello
dei bramini, ha aperto la strada alla forte avanzata del BJP (leader Modi),
nazionalista indù, duro verso la minoranza mussulmana, molto sostenuto dalle
casta alte e dai Bramini, con posizioni sulle questioni socio-economiche
strumentalmente non ben definite, ed alla interessante ripresa di consensi da
parte di una coalizione di
sinistra/centro sinistra, prevalente fra i mussulmani ma capace di raccogliere
molti consensi anche nelle caste basse indù.
Dal 1990 si è quindi venuta a determinare una situazione elettorale che,
superato l’interclassismo iniziale, ha progressivamente acquisito marcate caratteristiche
di divisione classista, ma restando al tempo stesso fortemente condizionata
dall’appartenenza religiosa. Il BJP (Modi) gioca infatti moltissimo sulla
contrapposizione dura nei confronti della minoranza mussulmana (che vale il 15%
della popolazione, mentre la maggioranza indù è divisa in un 25% delle caste
basse, in un 45% di quelle intermedie, e nel 15% delle caste alte) agitando il
richiamo etnico-religioso proprio per evitare una più netta saldatura del voto
mussulmano, in gran misura composto da ceti popolari, con quello delle caste
basse indù allo stesso modo colpite dalle fortissime diseguaglianze prodotte da
una crescita economica di chiaro stampo neoliberista. Il futuro indiano, e con
lui le eventuali possibili indicazioni valide in senso globale, si gioca quindi
sul prevalere, nella maggioranza del popolo, delle motivazioni classiste e di
condizione sociale rispetto a quelle legate all’aspetto ideologico etnico e
religioso. E’ in fondo, in senso lato, la situazione che sintetizza, seppure con
percorso inverso, la stessa opposta parabola occidentale.
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