Ancora
qualche appunto attorno all’idea di “PROGRESSO”
“Progresso” è stata la nostra “parola del mese” di Luglio 2020.
Guidati dal breve saggio dello storico Aldo Schiavone
abbiamo avviato una riflessione su un concetto,
un’idea guida, che da tempo, dopo avere a lungo ispirato la moderna civiltà
occidentale, sembra essere seriamente messa in discussione. Due sono i fattori
più recenti che, in aggiunta a quelli di più lungo periodo, spiegano la sfiducia,
lo scetticismo, che ormai aleggiano attorno alla sua presunta inarrestabilità:
alla ormai consolidata consapevolezza che la direzione assunta dal “progresso”,
in primo luogo economico e produttivo e soprattutto nelle forme assunte con la
globalizzazione, sia la causa principale delle sempre più drammatiche emergenze
ambientale e climatica si è infatti aggiunto lo shock pandemico che da più di un
anno ha seriamente incrinato la presunzione umana di avere ormai “sotto
controllo” l’intera gamma degli elementi, natura compresa, che concorrono al
progredire umano. Ma più in generale l’intero Occidente, con il nostro paese in
prima fila, da alcuni decenni convive con la sensazione che la freccia del
tempo, che dal secondo dopoguerra sembrava puntare costantemente in avanti, in
alto, abbia invertito la sua direzione. Il saggio di Schiavone, pur
riconoscendo il peso dei tanti problemi e delle tante contraddizioni, però ancora
sostiene una fiducia incrollabile nell’idea di “progresso” che giudica essere
il vero motore dell’intera storia umana. A suo avviso l’inarrestabile corsa in
avanti di scienza e tecnica sempre più consentono all’uomo, dotandolo di
potenzialità straordinarie, di immaginare una sua definitiva uscita dal
“naturale” creando così, a condizione di una “politica” all’altezza del suo
ruolo di governo dei processi umani, le condizioni per una umanità socialmente
più giusta e più rispettosa dell’equilibrio ecologico del pianeta. Una visione,
quella di Schiavone, decisamente ottimistica ed incoraggiante. Alla quale fanno
da contraltare opinioni di tutt’altro segno, molto meno convinte che l’idea di
“progresso”, così come si è fin qui manifestata e cresciuta, possa avere ancora
identico valore e futuro. Fra le tante, all’interno di una riflessione
destinata, anche per noi di CircolarMente, a restare centrale, presentiamo
quella di un altro storico: Massimo Salvadori
che, con la sua abituale straordinaria dote di
sintesi, ci guida in modo critico a ripercorrere, fino ai dubbi e alle
lacerazioni attuali, l’intera storia dell’idea di progresso
seguendola nelle sue diverse declinazioni da parte
delle varie correnti di pensiero, filosofico e politico, che hanno segnato la
modernità occidentale. Ci limitiamo, in questo post, a riassumere per “appunti”
la ricostruzione storica di Massimo Salvadori ritenendola una traccia utile per
l’indispensabile preliminare conoscenza di come è storicamente evoluta un’idea
che deve essere sicuramente ridefinita e adattata agli attuali contesti globali.
A lungo
l’idea di “progresso”, e questo stesso termine, non ha avuto riconoscimento nella
cultura occidentale, essendo stata inizialmente un concetto totalmente estraneo
alla classicità greco-romana e successivamente intesa come un possibile
miglioramento di carattere spirituale pienamente assorbito nella visione
salvifica del cristianesimo
Alcuni
germogli di una visione del futuro orientata verso un certo progredire si
affacciano in Europa all’indomani della peste nera del Trecento e crescono, ma
in modo ancora incerto, sotterraneo, indefinito, nei due secoli successivi così
funestati da continue guerre e dai conflitti religiosi
Bisogna
attendere la rivoluzione scientifica del Seicento per trovare alcuni meno timidi
accenni alla possibilità che l’umanità orienti l’insieme delle sue azioni verso
un complessivo progredire assunto come guida e finalità ultima
Ma è solo con
il settecentesco Illuminismo che si afferma con più pienezza la convinzione che
sia data all’umanità la facoltà di evolvere ad uno stadio di vita
qualitativamente superiore, di realizzare un perfezionamento continuo ed
indefinito delle sue realizzazioni grazie all’armonico sviluppo del pensiero,
della ricerca scientifica, della crescita economica, del rafforzamento delle
istituzioni politiche e sociali, e dell’etica pubblica e privata
Fin da subito
questa convinzione è stata però percepita in due modi diversi e persino
conflittuali: da una parte come un ideale a cui aspirare superando i tanti
ostacoli e le tante difficoltà al suo procedere, dall’altra invece come una
tendenza naturale talmente insita nella stessa natura umana da essere solo
temporaneamente contrastata da impedimenti e rallentamenti
La prima, al
meglio rappresentata dalle opere di Voltaire (1694-1778) e Diderot (1713-1784),
vede nel progresso un obiettivo a cui tendere raggiungibile, uscendo dal buio
della condizione precedente, solo con una convinta soggettività delle scelte
politiche e morali, e caratterizza l’intera parabola dell’Illuminismo per cedere,
solo al suo culmine, spazio alla seconda convinzione, ben espressa dal pensiero
di Condorcet (1743-1794), che il
progresso sia ormai divenuto un insopprimibile tensione umana garantita dalla stessa
necessità storica
Queste
duplici e contrapposte visioni, che accompagneranno, seppure in forme diverse,
l’intera evoluzione storica del concetto di progresso, trovano un primo più
organicamente definito completamento nel positivismo ottocentesco che, erede
dell’Illuminismo, ne rappresenta però un evidente superamento accentuando la sua
seconda interpretazione
Se
l’Illuminismo settecentesco, figlio di una società preindustriale che deve
ancora liberarsi dal giogo dei secoli bui, individua il motore del progresso
nella razionalità intellettuale tesa a mostrare la via di percorsi riformisti
ovvero rivoluzionari, l’ottocentesco positivismo (maggior esponente Auguste
Comte 1798-1857), nato sulla spinta della crescente industrializzazione,
consegna alle scienze sociali il compito di far comprendere l’opportunità di
non frapporre ostacoli al libero manifestarsi di leggi oggettive incorporate
nella stessa macchina dello sviluppo
E’ già
propria del positivismo la convinzione, che ritroveremo a lungo nella storia
dell’idea di progresso, che il connubio fra scienze sociali – ricerca
scientifica – tecnologia – industria – ingegneria istituzionale sia in grado di
sprigionare una potenza tale da garantire una costante evoluzione verso ere
migliori, che sia ormai possibile pianificare scientificamente il futuro
dell’intera società umana
Questa
convinzione, comune all’intero pensiero positivista, permea l’ottocentesca
concezione dell’idea di progresso ma, a sua volta, si divide in due opposte
linee di pensiero in relazione al crescente evidenziarsi delle fratture sociali
connesse alla stessa industrializzazione
Se da una
parte infatti si pone il liberalismo borghese che ideologicamente colloca il
progresso nel quadro dei meccanismi di mercato e del libero manifestarsi
dell’individualismo, all’opposto l’“organicismo” (corrente
di pensiero che fonda su basi biologiche la teoria sociologica e studia
la società sul modello di un organismo vivente). al cui interno ha peso importante
il primo socialismo utopico (Saint Simon 1760-1825 e Charles Fourier 1772-1837),
punta su una organizzazione collettivista della società
Una divisione
che nel corso dell’Ottocento si accentua con il perfezionarsi del pensiero
economico capitalista e con il correlato sviluppo teorico dell’idea di
socialismo. La profonda fede in un inarrestabile procedere in avanti di tutta
umanità, la certezza che la freccia del tempo punta verso un futuro migliore
resta comunque patrimonio comune fortemente condiviso
Non
diversamente si pone lo stesso pensiero marxista che, in modo più evidente in
Engels (1820-1895) che in Marx (1818-1883) , ha un qualche legame con il
positivismo e con la correlata certezza in un costante progredire umano reso
possibile da scienza e tecnologia, ma soprattutto con la profonda convinzione
che dalla scienza potessero derivare anche le leggi di tutti i processi
sociali, economici e politici. Non a caso il marxismo si auto-definisce
socialismo scientifico.
Va da sé però
che il nucleo filosofico idealistico di Marx è per moltissimi aspetti cruciali del
tutto diverso e persino opposto a quello del positivismo. La base scientifica
del materialismo non pregiudica, ma al contrario sollecita, in un visione
rivoluzionaria del procedere storico, il ruolo del proletariato come soggetto storico
chiamato a realizzare l’idea di progresso socialista
I decenni di
fine Ottocento e inizio Novecento vedono, sulla sfondo un crescente conflitto
di classe, stabilizzarsi un quadro che vede l’originaria comune idea di
progresso essere interpretata e vissuta in modo apertamente conflittuale dalla sua
declinazione borghese e capitalistica e dal campo vasto del socialismo
all’interno del quale emerge sempre più una grande diversità di accenti
Non mancano
però in questo quadro ed in questo stesso periodo correnti di pensiero e
importanti voci di intellettuali, Nietzsche (1844-1900) in primis, che,
nell’ambito di un rifiuto dell’intero percorso della modernità, sempre più
sviluppano profonde critiche verso le illusioni salvifiche dell’idea di
progresso, facendo emergere, seppure ancora in ristretti ambiti intellettuali, un
primo radicale dubbio sul suo ruolo come motore della storia umana
Ben altre e
tragicamente ben più concrete saranno da lì a breve le vicende storiche che nella
prima metà del Novecento porranno radicalmente in crisi quello che sembrava
l’inarrestabile corsa in avanti dell’umanità all’insegna del costante
progredire. I due conflitti mondiali, ed il tormentatissimo breve periodo che
li separa, rappresentano una cesura irreversibile sia per le certezze del
progresso capitalistico sia per la contrapposta visione del movimento
socialista
Le tragedie
storiche della prima metà del Novecento sono una evidente controprova della
fragilità dell’idea sette-ottocentesca di progresso che nel campo
liberal-borghese si è ormai in gran misura appiattita nella visione
economico-tecnicistica capitalistica. Rare, e in gran parte inascoltate, sono
le voci, come quella di Max Weber (1864-1920), che ancora tentano di mantenere
alti gli ideali progressisti del primo liberalismo classico
L’idea di
progresso come afflato ideale e universalistico resta invece ferma e salda nel
campo vasto del socialismo internazionale, ma con due sue declinazioni che
sempre più si divaricano fino a divenire così irrimediabilmente antagoniste da
lacerare i movimenti popolari che la sostengono: da una parte l’idea riformista
di un progresso “possibile” e dall’altra quella rivoluzionaria di un progresso
“necessario”
Ambedue
inizialmente accomunate da quell’idea del progredire umano che lega
strettamente la scienza, quella del materialismo marxista ormai divenuto
l’ideologia dominante del movimento operaio internazionale, ad un sentire
salvifico nell’avvento di un “regno dell’uguaglianza” ovvero, per usare la
formula di Saint-Simon, in una sorta di “nuovo cristianesimo”, devono però
misurarsi con l’evidenza della incredibile vitalità del capitalismo di
risorgere dalle proprie crisi
La soluzione che
si consolida nelle fila dei sostenitori del “progresso possibile” è quella di
una netta scissione fra teoria e pratica. Da una parte non si abbandonano,
perlomeno nelle dichiarazioni d’intenti, le certezze nell’avvento di una nuova
umanità dall’altra ci si concentra sempre più su conquiste magari parziali ma capaci
di consolidare l’avanzata
Una
componente importante del movimento internazionale si definisce esattamente su
questa possibile uscita dal capitalismo attraverso un percorso di riforme
sempre più importanti, fino a considerare, nella concreta pratica politica, il
socialismo come una possibilità, non dissimile dall’originaria idea
illuministica di un progresso, da realizzare gradualmente
A questa
visione “riformista” si contrappone quella “rivoluzionaria” che, continuando a
ritenere inevitabile il formarsi di una crisi irreversibile del capitalismo, ritiene,
non diversamente dalla concezione del secondo illuminismo dell’ineluttabilità
del progresso, che il movimento socialista internazionale debba rafforzarsi per
puntare alla definitiva “spallata” che spalancherà le porte alla nuova società
e al pieno realizzarsi di un progresso reso “necessario” dal naturale evolversi
storico
La prima
guerra mondiale rappresenta per entrambe un momento di svolta vissuto in modo
così contrapposto da sancire la definitiva rottura tra queste due anime del
progresso socialista e l’avvio di due distinti percorsi che a lungo resteranno
inconciliabili
Il primo
conflitto, con il collegato dilemma dell’interventismo, sancisce infatti da una
parte la crisi del fragile internazionalismo riformista che, appiattendosi su
logiche nazionalistiche, avrà a lungo un peso rilevante sulle relazioni tra i
singoli partiti socialisti e più in generale sulle distinte articolazioni
nazionali dell’idea di progresso. Dall’altra, con l’imprevisto realizzarsi
della rivoluzione russa, consegna ad una componente del movimento
rivoluzionario, fin lì tutto sommato marginale, in particolare rispetto a
quella tedesca, un ruolo di paese guida che influenzerà, fino al termine della
sua parabola, l’intero movimento comunista internazionale
La
particolarità della vicenda sovietica consiste infatti nel realizzarsi di un
inaspettata occasione rivoluzionaria, con un esito vincente in buona misura spiegabile
proprio con il contesto bellico che
mette a nudo l’inconsistenza del regime zarista, preparata da un partito,
quello bolscevico di Lenin (1870-1924), che coniuga strettamente un’idea di
progresso, entro la quale coesistono idealità utopiche, il recupero del ritardo
russo sulla via dell’industrializzazione e risposte concrete al dramma sociale
zarista, con il ruolo di guida affidato alla lucida regia rivoluzionaria delle
avanguardie comuniste
L’esperienza
storica attesta però che questa idea di progresso, inglobata in un sistema di
comando di tipo piramidale con al suo vertice una sorta di inedita figura di
inamovibile pontefice, non poteva non confluire in un regime totalitario venendo
così ridotta ad una sorta di mito ideologico tanto irrealizzato quanto
oppressivo
Negli stessi
decenni, fra le due tragiche guerre, in cui si compiono queste distinte parabole
negative delle due idee di progresso socialista e comunista, si manifesta, in
forte loro contrapposizione, quella del fascismo e del nazionalsocialismo
nazista che, sulla base di un comune sentire ideologico, puntano ad invertire
la freccia del tempo: è il ritorno un passato mitizzato l’orizzonte a cui deve puntare
il progredire umano
Il rifiuto
della modernità progressista si lega, in nazismo e fascismo, ad una idea di
futuro, quello del Reich millenario piuttosto che del nuovo Impero romano,
basato sul recupero delle presunte radici di una civiltà originaria legata a
una forte identità razziale ed alla guerra totale a tutti gli altrettanto presunti
nemici contaminanti la purezza del popolo. Una visione quindi del futuro tanto
statica quanto basata sulla rigida separazione delle razze e sul dominio di
quella giudicata pura ed eletta. Un tentativo, tanto folle quanto spietato, di
riportare indietro le lancette della storia costato carissimo all’intera
umanità
Nei decenni
fra le due guerre, che vedono il consolidamento totalitario del comunismo
sovietico, con al centro la sua idea di un progresso ineluttabile e
“necessario” ma conquistabile solo grazie al ruolo egemonico del Partito, e la
contrapposta follia nazista e fascista di invertire la freccia del tempo,
appare evidente che per entrambi l’idea di progresso ha comunque i caratteri di
quello che è stato definito un “assalto al cielo” piegato però alle ragioni
superiori della nazione, della razza piuttosto che della classe, del partito
In questi
stessi decenni nel resto dell’Europa proseguono alcune esperienze che restano invece
coerenti con l’opposta idea di un progresso reso “possibile” dalla costante
introduzione di riforme economiche e sociali. E’ lo spirito che anima il
sorgere delle più compiute socialdemocrazie e che trova sponde importanti nelle
strategie di riforma del capitalismo portate avanti da alcune componenti del
liberalismo borghese, a partire dal pensiero economico di John Keynes
(1883-1946). In netto rifiuto del comunismo totalitario e delle dittature
fascista e nazista punta a coniugare giustizia sociale e libertà individuali in
una sintesi rappresentata dall’espressione corrente di “progresso dell’umanità”
All’indomani
della sconfitta di nazismo e fascismo restano sul campo a fronteggiarsi due
contrapposte idee di progresso: quella “comunista”, sempre fortemente
condizionata dal ruolo egemone dell’Unione Sovietica, e quella del mondo
occidentale, per molti versi variegata, ma strettamente legata, e non
diversamente condizionata dal ruolo del “mercato”
Sono gli anni
della “guerra fredda” durante i quali progressivamente emerge, per svariate
ragioni interne ed esterne, per il modello sovietico l’impossibilità,
l’incapacità, di reggere il confronto. L’inevitabile vittoria del modello di
progresso occidentale si accompagna però con il crescente manifestarsi di
contraddizioni e degenerazioni che, a campo di battaglia ormai libero, non
tardano ad esplodere apertamente
In
particolare appare sempre più chiara, oltre al peso delle spietate logiche di
profitto, la mancanza di orizzonti ideali non appiattiti su visioni economiche
e produttive. Quell’idea di “progresso dell’umanità”, di un progresso unico ed
unificante, al “singolare” viene così inesorabilmente sostituita da una
pluralità di “progressi”, fra gli altri quello delle scienze e della tecnica,
con al loro interno un lungo elenco di singoli campi: medicina, genetica,
piuttosto che informatica e telecomunicazioni, che perseguono specifici
percorsi sempre meno unificati da una comune visione d’insieme
Alcuni
indubbi successi delle esperienze socialdemocratiche costituiscono per alcuni
decenni un certo freno all’egemonia del mercato, ma l’avvento della
globalizzazione neo-liberista, sorta proprio come netto rifiuto di questo
“freno”, si impone, anche grazie all’arrendevolezza delle stesse
socialdemocrazie, come l’unica ideologia in grado di orientare tutti i vari
progressi ma, coerentemente con il proprio spirito, puntando esclusivamente
verso individualismo, crescita economica e profitto fini a sé stessi, consumismo
sfrenato, aumento delle disuguaglianze, assoggettamento totale e distruttivo di
natura e ambiente
Paradossalmente
la globalizzazione neoliberista rappresenta da un certo punto di vista
l’indubbia dissoluzione dell’idea di un progresso ideale ma al tempo stesso,
più ancora di Illuminismo, positivismo, socialismo, sembra essere l’idea che di
più ha realizzato, pur stravolgendole, alcune delle loro stesse finalità: il
cosmopolitismo del sapere, dei saperi, il predominio di scienza e tecnica,
l’internazionalizzazione dell’economia e della politica
Un altro
valore che ha accompagnato, seppure in modo contraddittorio, l’intero percorso
dell’idea di progresso fino a questa sua ultima controversa declinazione
globalizzata è quello della “democrazia”.
Il rapporto
tra progresso e democrazia non è mai stato scontato e lineare: l’illuminismo
propugnava convintamente il progredire ma non altrettanto l’allargamento dei
diritti affidando al sovrano illuminato il compito di guidare lo sviluppo. Ben
poco contavano sulle masse considerate culturalmente troppo arretrate. Rousseau
(1712-1778) è rimasto solo nel suo ideale democratico.
Non
diversamente il positivismo affidava la missione dell’avanzamento
principalmente al ruolo delle coscienti avanguardie.
Bisogna
attendere la cesura del 1848 per vedere innestata l’idea di democrazia sul
tronco del progresso. Ed ancora con diversità non indifferenti: da una parte
l’idea interclassista liberale di un suo allargamento controllato verso un
suffragio universale, dall’altra l’ideale rivoluzionario di un progressivo
superamento delle istituzioni democratiche borghesi. Da un lato Mazzini (1805-1872)
dall’altro Marx ed Engels. In posizione ancor più estrema e defilata
l’anarchismo senza Stato di Proudhon (1809-1865) e Bakunin (1814-1876)
Era però
forte la comune convinzione che il Progresso, comunque inteso, non potesse non
poggiare sulla partecipazione attiva delle masse, ed è su questa profonda convinzione
che si concretizza il loro attivo coinvolgimento nelle istituzioni sotto le
diverse e distinte bandiere di partito
Partecipazione
democratica e riformismo sociale sono così diventati, e lo sono rimasti a lungo
in quasi tutto l’Occidente, la concreta attuazione della stessa idea di
Progresso
La fine del
secondo conflitto sancisce il superamento della tragica notte della democrazia
che torna ad essere, molto di più e molto meglio di prima, la dimensione “naturale”
del confronto politico affidato alla “democrazia dei partiti” nel ben definito
ambito dello “Stato Nazionale” all’interno del quale sono rimaste strettamente
intrecciate tutte le componenti e tutti i poteri che concorrono alla
realizzazione del progresso
La
globalizzazione neoliberista cancella e azzera questo intreccio alla base del
rapporto fra democrazia e progresso ridimensionando prima ancora dello “Stato
democratico” ma lo “Stato tout court”
La
democrazia, il sistema dei partiti, lo stato nazionale dimostrano ormai di non
essere più in grado di controllare, di incidere sui centri globalizzati del
potere che dominano la direzione dello sviluppo
La
globalizzazione neoliberista procede, al momento senza adeguate opposizioni, con
un avanzamento che non sembra quindi conoscere ostacoli e limiti, tanto si
dimostra capace di egemonizzare, sino al punto di svuotarne valore e
significato, le idee di progresso e di democrazia, da rendere legittime alcune
domande: la globalizzazione neoliberista ha dissolto, assieme agli strumenti
democratici, solo l’idea di progresso sin qui conosciuta o ha cancellato l’idea
stessa di un progresso? Dobbiamo allora rinunciare a questa idea e che mondo
può essere quello che fa a meno del progresso?
Queste domande
implicano che per ridare all’idea di progresso il ruolo di ideale regolativo
dell’agire umano, quello che per più di tre secoli ha avuto attraverso
interpretazioni diverse, contraddizioni ed errori, sia necessario che l’umanità
ridefinisca il suo modo di concepire il rapporto tra presente e futuro
La
grandissima maggioranza degli uomini è certamente mossa dall’aspirazione a
migliorare le proprie condizioni materiali e spirituali, ma deve comprendere
che questo suo legittimo istinto ha in questi secoli implicato un modello di
sviluppo che, coniugato con la correlata impressionante crescita demografica,
appare oggi non più sostenibile
L’accrescimento
delle forze produttive avente come suo unico limite quello delle sue
possibilità intrinseche in un pianeta dalle risorse finite si è trasformato in
una trappola micidiale. L’attuale presente dell’umanità, se mantiene questa
filosofia dello sviluppo, questa specifica idea di progresso, rischia
seriamente di non avere futuro
Il percorso
storico dell’idea di progresso può essere valutato con giudizi differenti,
sembra però possibile azzardare una valutazione di merito sulle due diverse
opzioni già presenti nella sua originaria concezione illuministica: l’attuale
presente ha definitivamente svuotato di senso l’idea del “progresso necessario”
ed impone di ridefinire quella di “progresso possibile” essendo consapevoli che
i troppi modi impropri
di usare la scienza, la tecnologia, e le risorse materiali, incanagliscono i
rapporti tra gli uomini e scatenano squilibri all’interno del mondo naturale
Questa
consapevolezza deve quantomeno indurre da subito a rimediare alla svolta
negativa evidenziata in precedenza: è tempo di recuperare una rinnovata idea di
“progresso” che inglobi e dia senso e direzione ai pur esaltanti settoriali
“progressi”
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