giovedì 1 luglio 2021

La Parola del mese - Luglio 2021

 

La parola del mese

 A turno si propone una parola

 evocativa di pensieri fra di loro collegabili

 in grado di offrirci nuovi spunti di riflessione

LUGLIO 2021

Quella di questo mese a tutti gli effetti non è una “parola” vera e propria, anche se come tale ormai da tempo, e soprattutto in tempi recenti, viene usata nel dibattito sociale e politico. Dal punto di vista grammaticale è infatti un acronimo utilizzato per raccogliere insieme quattro “orientamenti sessuali” non riconducibili alla “normalità” eterosessuale. Come vedremo è in costante evoluzione, altre lettere si sono aggiunte a testimoniare di quanto ampia possa essere quella parte di umanità che paga, per le proprie propensioni sessuali, un prezzo assurdo in termini di discriminazione, ostracismo, negazione di diritti, vere e proprie persecuzioni e violenze, troppo spesso non solo verbali. La parola/acronimo è:

LGBT (Lesbica, Gay, Bisessuale, Transgender)

In uso fin dagli anni novanta, il termine è un adattamento dell'acronimo LGB, per indicare la comunità non classificabile come “etero” alla fine degli anni ottanta, in quanto molti trovavano che il termine comunità gay non rappresentasse accuratamente tutti coloro a cui il termine si riferiva. L'acronimo è diventato un'auto-designazione convenzionale ed è stato adottato dalla maggior parte di centri sociali e media basati su sessualità e identità di genere. L'acronimo LGBT ha lo scopo di enfatizzare la diversità delle culture basate su sessualità e identità di genere e a volte è utilizzato per riferirsi a chiunque non rientri nella canonica, se mai di canone ha senso parlare, eterosessuale, e quindi non solo a persone che sono esclusivamente lesbiche, gay, bisessuali o transgender. Per riconoscere questa inclusione, una popolare variante aggiunge la lettera Q per chi si identifica come queer ovvero chi si sta interrogando sulla propria identità, creando la sigla LGBTQ, registrata fin dal 1996. Alcune persone Intersessuali che vogliono essere incluse in gruppi LGBT suggeriscono un’altra estensione a formare l’acronimo LGBTI Altre ancora combinano i due acronimi e usano il termine LGBTQI. Più genericamente può utilizzarsi l'acronimo LGBT+, inglobando così più realtà in costante evoluzione


La scelta di questa “parola del mese” è ovviamente legata al tormentato percorso di approvazione di una legge, il citatissimo Ddl Zan (il cognome del parlamentare PD che ha depositato il testo base di inizio dibattito di una Legge che ha già ottenuto l’approvazione alla Camera dei Deputati e che in questi giorni sta vivendo un tormentato iter al Senato) che si propone di prevenire e punire comportamenti violentemente discriminatori per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità. Se è certamente scontato il fatto che questa problematica, come molte altre purtroppo esistenti nel campo vasto dei diritti civili, richiede in primo luogo un concreto e diffuso salto culturale e di sensibilità umana, è da tempo evidente la necessità di un intervento legislativo che si ponga l’obiettivo di meglio tutelare tutte le persone, e relativi orientamenti, che rientrano in quelle acronimamente definibili come LGBT ovvero LGBT+. Se su questa civile necessità crediamo non debbano esistere dubbi, il dibattito è legittimamente aperto sulla specifica validità, efficacia e correttezza di quanto previsto dal DDL Zan. Se quindi non sono accettabili i tentativi strumentali di bloccare ed insabbiare l’approvazione di questo indispensabile strumento di legge, è opportuno - anche per far emergere elementi utili per meglio avviare un confronto finalizzato a realizzare quel salto culturale di cui si è detto - valutare nel merito, senza pregiudizi di alcun genere, la validità di questa proposta che, al momento, è così articolata:

Ddl Zan contro l’omotransfobia

L’iter legislativo e i tempi

Già approvato dalla Camera il 4 novembre 2020 e ora all’esame del Senato è in sostanza l’accorpamento di più progetti di legge presentati da diversi parlamentari e integra la Legge Mancino del 1993, estendendo ad altre categorie oggetto di pregiudizio e discriminazioni le tutele già previste dal codice italiano per coloro che sono perseguitati per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. Non introduce dunque misure nuove ma si limita ad ampliare quelle già esistenti. La maggior parte dei Paesi europei ha da tempo leggi simili

L’articolo 1 e l’identità di genere

L’articolo 1 del Ddl Zan definisce i termini usati per descrivere le categorie che subiscono violenza e discriminazione in virtù di quello che sono (e non di quello che fanno) e che per questo devono essere protette

a)  per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico;

b)  per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso;

c)  per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi;

d)  per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione. (l’obiezione che l’identità di genere sia un concetto nuovo nell’ordinamento giuridico italiano, non sembra valere, il termine è esplicitamente citato in diversi pronunciamenti giuridici internazionali. Inoltre è già stato usato dalla Corte Costituzionale italiana sei anni addietro quando nella sentenza 221 del 2015  ha stabilito che l’identità di genere è un «elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona”)

L’articolo 2 e il codice penale

L’articolo 2 del Ddl Zan aggiorna l’articolo 604-bis del codice penale. Si tratta di uno degli articoli che regolano i «delitti contro l’eguaglianza» e prevede che sia «punito: chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». L’articolo 604-bis stabilisce inoltre che «è vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Punisce inoltre con pene aggiuntive se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale». Il Ddl Zan interviene su questo articolo già esistente del codice penale trasformando la formula «istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi» in «istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità».

Propaganda e istigazione

Come si può vedere questa modifica non vale per la propaganda ma solo per l’istigazione. È una distinzione fondamentale, che è al centro di tutto il ddl Zan. La propaganda è, secondo la definizione della Cassazione, qualsiasi «divulgazione di opinioni finalizzata a influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico ed a raccogliere adesioni». Mentre l’istigazione è — sempre secondo la definizione della Cassazione — un «reato di pericolo concreto» e richiede che le affermazioni sanzionate determinino un concreto pericolo di comportamenti discriminatori o violenti, e non si limitino ad esprimere una mera e generica antipatia o odio. Ciò comporta, ad esempio, che una stessa dichiarazione di ostilità e pregiudizio non sia perseguibile se pronunciata tra amici al bar ma lo diventi solo se a proferirla è un politico durante un comizio. Il Ddl Zan dunque non modifica la parte dell’articolo 604-bis del codice penale sulla propaganda (che rimarrebbe come adesso perseguibile solo quando riguarda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico), ma quella che riguarda l’istigazione a discriminare o compiere violenza sulle persone Lgbt+le donne o i disabili.

L’articolo 3 del Ddl Zan

L’articolo 3 del Ddl Zan introduce le stesse modifiche previste nell’articolo 2 all’articolo 604-ter de codice penale. Attualmente questo articolo prevede che: «Per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità la pena è aumentata fino alla metà». Con l’approvazione del Ddl Zan la formula dell’articolo 604-ter diventerebbe dunque «per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità» (il resto rimarrebbe uguale).

L’articolo 4 del Ddl Zan e la libertà di espressione

L’articolo 4 del Ddl Zan specifica che «ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». È la cosiddetta «clausola salva-idee».«In particolare grazie a questa formula non è in alcun modo perseguibile per esempio chi, per motivi religiosi o ideologici, manifesti idee contrarie al matrimonio tra persone dello stesso sesso, o all’adozione omogenitoriale o che affermi che l’omosessualità è un peccato»

L’articolo 5 del Ddl Zan e la legge Mancino

L’articolo 5 del Ddl Zan contiene una serie di disposizioni tecniche che servono a coordinare la legge contro l’omotransfobia con le norme già vigenti che perseguono i delitti contro l’eguaglianza (come appunto la legge Mancino).

L’articolo 6 del Ddl Zan e le cautele

L’articolo 6 del Ddl Zan prevede che si applichino anche alle persone discriminate i virtù del loro sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità le norme previste per le «vittime particolarmente vulnerabili» (come stabilisce l’articolo 90-quater del codice di procedura penale). Si tratta di quelle forme di cautela nella raccolta della denuncia, testimonianza e simili che servono a evitare traumi e violenze a chi ne ha già subiti (per esempio alle vittime di stupro).

L’articolo 7 del Ddl Zan e la giornata di riflessione contro l’omotransfobia

L’articolo 7 del Ddl Zan istituisce la «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia» specificando che non è una vacanza ma un’occasione di commemorazione, informazione e riflessione. Il Ddl Zan prevede che in questa occasione le scuole, «nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa» e le «altre amministrazioni pubbliche» organizzino «cerimonie, incontri» e altre iniziative di sensibilizzazione contro i pregiudizi omotransfobici «compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», cioè a costo zero. Si tratta di iniziative di commemorazione sul modello della Giornata della Memoria contro la persecuzione degli ebrei e delle altre vittime del nazionalsocialismo. Il Ddl Zan invece non contiene nessuna indicazione su identità «alias» per gli studenti transgender (cioè la possibilità di usare in classe un nome corrispondente al genere in cui si identificano) né contiene  indicazioni sull’organizzazione dei bagni nelle scuole.

L’articolo 8 del Ddl Zan e l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali

L’articolo 8 del Ddl Zan stabilisce che ai compiti dell’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, si aggiungono quelli relativi alla «prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere» e che questo deve essere fatto «compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (cioè senza costi aggiuntivi per l’erario).

L’articolo 9 del Ddl Zan e le case accoglienza

L’articolo 9 del Ddl Zan chiarisce meglio (in base all’articolo 604-bis del codice penale riformulato dal disegno di legge) chi può usufruire delle case accoglienza o dei centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere. Si tratta di centri già istituiti dal decreto legge 34 del 2020, poi convertito in legge, finalizzati a proteggere e sostenere le vittime lgbt+ di violenza, anche domestica.

L’articolo 10 del Ddl Zan e i dati

L’articolo 10 del Ddl Zan, infine, affida all’Istituto nazionale di statistica e all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori di raccogliere dati sulle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.

Il fronte delle perplessità e delle critiche a questi punti salienti del Ddl Zan è ampio e molto variegato: si va dal tentativo, pregiudizialmente messo in atto da una buona parte del centro-destra, di sabotarne la stessa messa in discussione e di affossarne quindi, attraverso passaggi cinicamente strumentali, l’approvazione ad alcune perplessità di merito avanzate da più parti dello schieramento politico, associativo, e istituzionale.  Non possono certo stupire le prese di posizione di netta condanna di alcuni specifici passaggi del Ddl Zan espresse dalla Chiesa Cattolica, alla quale va riconosciuto di condividere la necessità di un intervento legislativo. In questo senso è apparso del tutto fuori luogo, oltre che totalmente irricevibile sul piano delle relazioni istituzionali, un recente documento della Santa Sede che chiedeva al Governo italiano di intervenire sul Parlamento per correggere, se non cancellare, gli articoli incriminati. A dire il vero è sembrato a molti che questa assurda forzatura sia in buona misura riconducibile alle divisioni interne alla stessa Chiesa Cattolica fra l’ala “bergogliana”, più attenta alle modalità di espressione critica, e quella “conservatrice”, non immune da relazioni strumentali con il fronte politico che avversa la legge in quanto tale. Per meglio capire i termini del contrasto può essere utile il seguente articolo di Marcello Palmieri, apparso sul giornale “L’Avvenire” di Lunedì 3 Maggio 2021, che riassume le principali obiezioni di ispirazione cattolica……

Nel testo che introduce i reati di omofobia, transfobia e lesbofobia c'è il rischio di interpretazioni difformi, fuorvianti e addirittura liberticide. Ecco in quali articoli e perché. Il disegno di legge Zan deve il suo nome al deputato del Pd che l'ha presentato, Alessandro Zan. Il ddl è stato approvato nel novembre 2021 alla Camera e alla fine di aprile 2021 è stato calendarizzato al Senato, in commissione Giustizia. Prevede aggravanti specifiche per i crimini d'odio e le discriminazioni contro omosessuali, transessuali, donne e disabili. Ma nella sua attuale formulazione il testo contiene affermazioni tutt’altro che pacifiche. Se approvato così com’è, cioè, potrebbe aprire la strada a interpretazioni difformi, fuorvianti, e in certi casi addirittura liberticide. Tra i punti più problematici vi è il comma d) dell’articolo 1, secondo cui “per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”. Questa norma cancellerebbe dunque il dualismo uomo-donna a vantaggio di un’autopercezione individuale per la quale non verrebbe neppure richiesta una forma di stabilità. C’è poi il problema della sovrapposizione terminologica tra sesso e genere: è il primo, secondo la nostra Costituzione, a essere parametro per l’assegnazione dei diritti, non il secondo. Senza contare che, allo stato, la definizione di “genere” è tutt’altro che condivisa. Altro nodo da sciogliere, quello dell’articolo 1, comma a). Il disegno di legge, sul punto, vorrebbe punire con reclusione (fino a un anno e sei mesi) e multa (fino a 6mila euro) chi “istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi [...] fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”, senza però chiarire in che cosa debbano consistere (o non consistere) queste condotte antigiuridiche. Un esempio: gran parte del mondo Lgbti si batte per il matrimonio omosessuale, ritenendo discriminatori gli ordinamenti giuridici – come il nostro – che non lo prevedono. Da qui, uno dei tanti interrogativi: una volta divenuto legge, in nome del ddl Zan si potrebbe perseguire penalmente chi affermasse che presupposto delle nozze è la diversità di sesso tra coloro che vi convolano, battendosi perché ciò continui a essere? D’altronde, la bozza normativa sembrerebbe andare in questa direzione già nel titolo che descriverebbe il reato: “Propaganda di idee [...] e atti discriminatori [...] fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere [...]”. Sembrerebbe voler modificare questi scenari l’articolo 4 della norma (“Pluralismo delle idee e libertà delle scelte”), ma “la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte”, così si legge, “sono fatte salve [...] purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori”

Come già evidenziato è più ampio il fronte delle voci che hanno evidenziato alcune criticità dell’attuale testo del Ddl Zan. Perplessità di merito sono state infatti avanzate anche da settori e movimenti estranei alle sensibilità cattoliche, un esempio significativo sono le voci contrarie di una parte del movimento femminista. Il seguente articolo di Federica Fantozzi apparso su ‘ Huffington Post con titolo “Mappa delle femministe italiane sul Ddl Zan” ricostruisce, allargando lo sguardo in senso più ampio, alcune delle più significative opinioni discordanti:

Non soltanto la fronda Dem a Letta, le ambiguità centriste di Italia viva, l’opposizione del centrodestra, le perplessità di ambienti cattolici. A tenere viva e ben alta la polemica sul ddl Zan – il testo contro l’omotransfobia all’esame del Senato – è la diversità di vedute all’interno del mondo femminista, soprattutto storico ed extraparlamentare. Con la (riconoscente) cassa di risonanza della stampa di destra, a sinistra si litiga in modo feroce su “difetti e limiti” del ddl, scambiandosi accuse di “benaltrismo” contro “sottovalutazione delle discriminazioni”, “finalità repressive” versus “funzione pedagogica”. E’ “l’ultima trincea di guerra” (ideologica) scrive Michele Ainis su “Repubblica” di oggi: “La legge vuole introdurre una protezione speciale contro l’hate speech... le parole di odio basate sull’orientamento sessuale”. Quelle citate da Fedez al concertone del Primo Maggio, per capirci. Ce n’è bisogno? No, secondo il costituzionalista: il codice penale già punisce l’istigazione a delinquere, con l’aggravante dei motivi futili e abietti che alza la pena fino a un terzo. Il di più è che anziché dire “è vietato insultare” si sceglie di elencare gli insultati – neri, ebrei, gay, trans, disabili, donne – ma il “coltello del pedagogista” alla fine “danneggia gli allevi” perché “ogni misura di protezione speciale per una minoranza rischia di abbassarne l’autostima alimentandone il senso di inferiorità sociale”. L’intento pedagogico e “moralizzatore” del testo è sottolineato anche dal politologo Giovanni Orsina. Fatto sta che a scontrarsi con particolare clamore sono (parte dei) complessi mondi femministi e transessuali proprio sul rifermento del ddl all’ “identità di genere” percepita anche non in relazione al sesso. La cosiddetta “self-id”, l’identità auto-percepita, la libera autocertificazione del proprio genere sessuale che suscita le proteste di chi ha combattuto per decenni le battaglie del “genere femminile”. Scrive la filosofa Marina Terragni: “L’identità di genere è un concetto non definito, non si può inserire in una legge penale. Eliminerei questa espressione”. Le ribatte Caterina Soffici su “La Stampa”: “Ha sostenuto che il ddl Zan non va bene perché imbarca un concetto di genere sbagliato, la possibilità per un uomo di definirsi donna senza una certificazione ufficiale. Ma così si guarda il dito e non la luna”. Insomma, guai a lasciare nel cassetto “una legge che punisce chi vuole bruciare un figlio gay, però un trans non potrà entrare nel bagno delle donne”. Aspro scambio di vedute anche sul “Domani”, dove l’attivista trans Antonia Caruso denuncia “l’alleanza contro i trans delle femministe radicali con i movimenti di destra”. Accusa sferzante: “Quelle femministe dicono cose transfobiche”. Infondate, ritorce, perché nel ddl Zan non c’è “un attacco alle donne per sostituirle con donne con i peni usando l’identità di genere come grimaldello”. E’ il punto più incandescente del testo, ed è una formulazione – identità di genere al posto di quella sessuale - che lascia perplesse anche esponenti Dem storicamente impegnate per le battaglie delle donne come Valeria Fedeli, Valeria Valente, Titti Di Salvo. Replica, infatti, Cristina Gramolini di Arcilesbica, motivando la sua contrarietà agli obiettivi del Movimento Identità Transessuale: “Non si può ottenere il cambio di sesso anagraficamente, e dunque legalmente, solo con dichiarazione dell’interessato allo stato civile” perché così si va contro i diritti delle donne. In sintesi: i trans non possono ottenere le pari opportunità a spese delle donne. In concreto: un trans non operato (dunque, fisicamente uomo) non potrebbe “sottrarre” un posto in una casa famiglia o altrove a una donna. Un dissidio che si combatte anche a colpi di definizioni come “terf”, trans-exclusionary radical feminist, ovvero femministe trans-escludenti (usato in senso dispregiativo). Contrario a forzature anche Aurelio Mancuso di Equality: “Si irrigidisce una discussione ancora aperta dal punto di vista filosofico, scientifico, politico e simbolico”. Un dibattito meno plateale rispetto a quelli, avvenuti in passato, sulla fecondazione assistita e sulle unioni civili con annessa (e poi tralciata) stepchld adoption, ma che sottotraccia va avanti. Non a caso, Letta nel chiedere ai suoi senatori lo sforzo di approvare il ddl così com’è in assenza delle condizioni politiche per cambiarlo, ha annunciato una campagna di dialogo con il Paese per spiegarne contenuto e ragioni. Cautela motivata anche dall’appello di 161 intellettuali, docenti ed esponenti politici di area centrosinistra contro il testo – tra cui Silvia Costa e Cristina Comencini (mentre la sorella Francesca è favorevole) - perché “pasticciato” nonché suscettibile di introdurre “confusione ideologica”. Altro punto sgradito a molte femministe, la categorizzazione delle donne a fini di tutelarle. “Estendere il ddl ai reati di misoginia – argomenta Francesca Izzo – Fa regredire le donne nel passato, le considera una categoria, una minoranza quando siamo invece maggioranza nel Paese”. Mentre alcuni dubbi iniziali di Paola Concia sul ddl Zan come “migliorabile e divisivo” espressi in un’intervista ad “Avvenire”, erano stati ripresi da Libero con il sobrio titolo: “La lesbica rossa contro la legge anti-omofobia”. Poi però Concia si è detta completamente a favore del testo. Schierata senza esitazioni a favore del ddl è Cristiana Alicata, che in un lungo e approfondito articolo per Valigia Blu elenca “gli argomenti contro smontati pezzo per pezzo”. Dal timore americano e canadese che detenuti solo sedicenti trans chiedano il trasferimento in carceri femminili e stuprino le donne (Alicata ribatte che statisticamente i trans sono vittime di violenze sessuali e non aggressori) fino alla prospettiva di “maschi schiappe” che vogliano partecipare alle Olimpiadi gareggiando contro le donne. Con una conclusione per alleggerire la tenzone: perché non pensare allora a un aggravante se picchi un interista? Perché nessun programma di partito o libro di testo si propone di impedire a un interista di sposarsi o adottare figli.

Ribadendo, ancora una volta, che un sincero, e costruttivo, confronto nel merito è per diversi punti di vista sicuramente auspicabile, resta comunque fondamentale uscire, da subito, da una situazione, quella attuale, che comunque la si giudichi, si è dimostrata inadatta e insufficiente ad impedire comportamenti fortemente discriminatori quando non apertamente violenti. Il Ddl Zan ha l’indubbio merito storico di affrontarla con coraggio e con visione ampia. Non a caso, come ha ben sottolineato Chiara Saraceno in un recente articolo, gli articoli più dibattuti sono quelli che lo caratterizzano come un intervento che non si limita ad una, pur doverosa, “protezione” ma che pone alcune basi, sempre perfettibili, per una più profonda svolta culturale ed umana. Lo ribadisce il seguente articolo di Clarissa Persichini Costanzo – Il Fatto Quotidiano blog:  che smonta la pretestuosa obiezione di non considerare, nell’attuale contesto storico, urgente questa legge:

Era il 1945, l’Europa ancora impegnata nella Seconda guerra mondiale, l’Italia divisa, il nord occupato dai nazisti, in corso una guerra per la liberazione. Eppure, il 31 gennaio di quell’anno, nonostante la profonda crisi sociopolitica, il Consiglio dei ministri ritenne ugualmente necessario discutere di una questione ormai inevitabile, il diritto di voto per le donne, tema che fu trattato, votato ed emanato sotto forma di Decreto Legislativo (luogotenenziale n. 23) il 1° febbraio 1945. Neanche all’ora erano tutti favorevoli, ma questo era ormai diventato un argomento improrogabile, conseguenza dei tempi. Oggi come allora, ci troviamo di fronte a una questione di diritti, cioè di fronte a un disegno di legge per stabilire lillegalità della propaganda e dell’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità. Oggi, però, questo disegno di legge, già accettato alla Camera, è fermo ormai da più di sei mesi al Senato (calendarizzato in questi giorni), e una delle principali motivazioni addotte da coloro che vi si oppongono è che il provvedimento legislativo, in questa fase di crisi pandemica che da ormai più di un anno prevale su qualunque altro argomento politico e sociale, non rientra tra le “priorità di governo”. Ora, salvando le differenze, a cosa ci serve fare un paragone storico come quello che ho riportato qui sopra? È molto semplice: ci serve a capire che la civiltà e la necessità di avanzare nella difesa dei diritti sono sempre una priorità. Ci serve a capire che le esigenze, come quelle di far risorgere un paese in piena crisi dopo una guerra o una pandemia mondiale, non possono essere anche scuse per accantonare problemi reali, perché le persone omosessuali, transessuali e disabili, non possono aspettare un Recovery Plan o Piano Marshall di turno per essere tutelati legalmente dallo stato italiano. Ci serve a capire che non può essere prorogato nessun tema che entri in difesa di una comunità che è sempre stata ed è tutt’ora, anche con numeri sempre più preoccupanti, vittima di continue violenze e denigrazioni. Ci serve a capire che dire Sì al Ddl Zan non vuol dire No ai decreti per la ripartenza, così come nel 1945 aver detto Sì al diritto di voto alle donne, non ha ostacolato le politiche del momento per la ripresa del paese (anzi, a proposito di priorità, un anno dopo la prima chiamata alle urne per le donne italiane insieme a tutti gli uomini, si votò per far dell’Italia una Repubblica). A dimostrazione del fatto che una cosa non esclude l’altra e che oggi si può morire di Covid ma anche di botte e di abusi, ci sono anche le immagini degli operatori sanitari che, sebbene impegnati in prima linea nella lotta alla pandemia, si sono uniti al movimento per sbloccare il disegno di legge al Senato, scrivendo l’hashtag #ddlzan sul retro delle loro tute anti-contagio, alla faccia di tutti coloro che credono che questa non sia una priorità. Come vedete, anche la storia ci insegna a capire quando ci stanno prendendo in giro. Perché il paragone storico fra queste due vicende? Una ci dà la prova di come bisognerebbe affrontare l’altra. Una ci avverte sul perché sia così prioritario affrontare l’altra. Perché, che cosa sarebbe successo se l’allora governo Bonomi non avesse ritenuto una priorità intervenire su un argomento così fondamentale come il diritto delle donne di esprimere la loro posizione politica? Se non fosse stato in quel momento, quando sarebbe stato? Se non è adesso, quando sarà?


1 commento:

  1. Vaticano su ddl Zan
    Mentre stiamo chiudendo il numero, irrompe il caso della nota vaticana del 22 giugno sulla legge Zan in discussione. Su questo foglio abbiamo sempre rite¬nuto che la Chiesa non abbia alcuna utilità pastorale dal possedere uno stato, seppur piccolo, di cui il papa è sovrano, con relativi titoli internazionali. Preferiamo che la Chiesa abbia dappertutto la libertà di tutti, e siamo da sempre contrari al regime concordatario ita¬liano, anche quello del 1984. Costantino e lo Stato Pontificio sono residui di un potere del quale la Chiesa, per portare il vangelo, deve solo liberarsi nel¬lo spirito, nella cultura, nella sua presenza storica in mezzo ai popoli. Come Gesù, essa non ha altra tutela giuridica che i diritti umani universali, e dove incon¬tra persecuzione ha inoltre lo Spirito e la fede. Quanto alla sessualità umana, essa è oggi meglio co¬nosciuta come realtà non semplificabile, ed è giusto tutelare chiunque da offese ed esclusioni, per qualun¬que motivo relativo alla sessualità. È giusto anche ri-spettare profondamente ogni persona umana nella sua delicata intimità, e non lasciare che la riflessione pubblica e l'educazione affettiva dei giovani siano un campo di battaglia tra concezioni opposte. La propo¬sta di Flick di intendere nel termine “sesso”, dall'art. 3 Costituzione, ogni forma da tutelare e non discri¬minare, ci sembra giusta.

    mensile di alcuni cristiani torinesi
    anno LI, n. 6 - Torino, giugno-luglio 2021

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