Ritorno a
l’Avana - Regia: Laurent Cantet
Trama:
In una terrazza che domina i tetti dell’Avana si ritrovano, dopo
tanto tempo, cinque amici per festeggiare il ritorno a casa di uno di
loro che da 16 anni vive in Spagna. Dal tramonto all’alba il gruppo
si abbandona ai ricordi, rievocando un passato che è anche la
storia del paese stesso. L’incontro tra loro sarà anche
l’occasione per portare a galla rancori mai sopiti e svelare verità
nascoste.
In un’intera giornata il regista francese
costringe i suoi protagonisti a guardarsi, nel presente, alla luce –
impietosa – del passato che li ha portati fin lì, su quel
terrazzo a guardare – dall’alto e da una prospettiva inedita –
se stessi e gli altri. Insieme tracciano la linea frastagliata della
storia dell’isola e ciascuno a suo modo ne “interpreta” un
personaggio. Essi si muovono in un confine delineato: i ricordi della
giovinezza, la scuola campestre e le sue regole, il “periodo
speciale” (decretato da Castro dal 1992) e le sue privazioni, le
decisioni estreme, come quella di Amadeo partito per la Spagna, o di
Tania che ha visto andar via i suoi figli. Tutto è raccontato,
parlato, sussurrato e urlato perché la parola – intesa anche
come scrigno di memoria storica- è tutto. Amadeo, Tania, Rafa,
Aldo ed Eddy si affrontano, si scontrano, si commuovono e si
sfidano rivelandosi, man mano, in ogni frase. La macchina da
presa di Cantet si muove tra i protagonisti come un sesto elemento:
li osserva da vicino, li riprende di spalle, si siede accanto a loro,
è uno sguardo che si conficca dentro. L’incontro dei cinque
ha il sapore della nostalgia ma anche della rabbia della resa dei
conti, per giungere ad una verità che finirà per
svelarsi con un impeto irreparabile.
Un film commovente, cinque attori straordinari, cinque personaggi che raccontano cinque vite che fanno i conti con delusioni, sconfitte, paure. Tutto si svolge su una terrazza dell’Avana, sullo sfondo il mare che circonda Cuba. I dialoghi, splendidi, e quel mare mi hanno suggerito tante riflessioni, due su tutte: i muri e la paura. Quel mare è come un muro che avvolge la Cuba di Fidel ed i cubani; e sono venticinque anni dalla caduta del Muro di Berlino, e sono tempi che in tante parti del mondo, Israele, sul confine Usa-Messico, Corea, per dirne alcuni, si alzano nuovi muri. Per dividere, per tenere fuori o dentro, per non far entrare o non far uscire. Quelle cinque vite cubane fanno riflettere, più ancora che sulle ragioni politiche di queste barriere che pure meritano attenzioni, sul senso di una vita vissuta con davanti un muro. I muri e la paura che fanno crescere: di non farcela a passarlo, di ciò che, sconosciuto, si trova di là, di ciò che, fin troppo conosciuto, sta nella prigione di qua. E non ci sono solo i muri che altri erigono attorno a noi, ci sono quelli che costruiamo noi stessi, verso gli altri, verso il mondo, verso domande e rendiconti esistenziali. Questi muri li costruiscono le nostre paure: della diversità, dello scomodo, del fare i conti con il senso del nostro vivere. Su quella terrazza, se ci lascia andare, sembra proprio di esserci anche noi, a fare i conti, assieme a quei cinque personaggi, emblematici ed universali, non solo con la fine delle loro illusioni, ma con i muri e le paure che stanno ovunque.
RispondiEliminaAl di là della ben resa ambientazione cubana, fisica e storica, quella narrata nel film attraverso il progressivo svelamento delle vite e degli intrecci profondi, del peso delle scelte, dei sensi di colpa e dei rimorsi dei cinque protagonisti, è una storia universale che potrebbe svolgersi ovunque e in ogni tempo. E' sufficiente che ognuno di noi pensi alla propria giovinezza, fremente di sogni e di ideali, ai quali ci si é adattati e per i quali si sono spesso sacrificate parti di sé. Per poi accorgersi a un certo punto, con un senso di amarezza, che forse tutto avrebbe potuto essere diverso. Rendono bene l'idea i muri evocati da Giancarlo, muri che spesso, condizionati da valori morali o che reputiamo tali, innalziamo per frenare la parte di noi che forse quei valori non condividerebbe, o, al contrario, per tenere fuori e non vedere qualcosa che non ci piace. Gestire la propria libertà nel rispetto degli altri risulta a volte difficoltoso rispetto alla nostra vera essenza, ma direi che esserne consapevoli é già una gran cosa, quindi ben vengano film come questo che portano, si spera, a riflettere.
RispondiEliminaMi avete fatto venire voglia di andare a vederlo
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