Gianluca Cuozzo:
Docente di Filosofia Teoretica presso l’Università di Torino.
Presentazione:
E’
una passeggiata davvero singolare, quella che l’autore ci invita a compiere con
alcuni inediti “angeli delle obsolescenze” - dal robottino Wall-E a Walter Benjamin, da Italo Calvino ai
personaggi che animano le storie di Ted Botha e di Michel Tournier.
Sarà
con essi che entreremo, con Gianluca Cuozzo in funzione di novello Virgilio, in
luoghi sicuramente “reali” (le discariche urbane in cui giacciono gli scarti
della nostra società dei consumi, vera controparte immobile, oscura, notturna
della produzione giornaliera senza sosta delle merci) che assumono peraltro in
questo testo tanto rapido quanto appassionato un valore potentemente allegorico
e potenzialmente salvifico.
Sta
infatti nel residuale, secondo l’interpretazione dell’autore, la sola speranza
di una trasformazione profonda e redentrice dell’esistente. Solo volgendo lo
sguardo tanto a ciò che abbiamo lasciato indietro nella vita personale, in nome
della coerenza e della continuità dei vissuti, quanto a quello che abbiamo
sacrificato come civiltà in obbedienza al mito di un progresso inesauribile,
solo cercando fra le pieghe della memoria e dell’immaginazione potremo scorgere
quelle alternative respinte, e pur tuttavia ancora attualizzabili, che ci
permetterebbero di modificare profondamente i nostri vissuti e le nostre scelte
di vita, fermando il piano inclinato su cui la nostra civiltà sta scivolando
verso la propria autodistruzione.
Cap. 1 -
DALL’ ANGOSCIA PARALIZZANTE DA SPREAD
ALLA SPERANZA NEL RESIDUALE
Cap. 2 -
DELL’ ALTRO ME STESSO, O
DEL MIO “DOPPIO
PATTUMIERA”
elogio
della “melancolia” come risvolto interno di un’utopia realizzabile
Può
sembrare a prima vista sconcertante, che un testo intitolato “A spasso tra i
rifiuti” inizi con un elogio della malinconia (anzi, della “melancolia”, perché
Cuozzo usa questo termine più desueto).
Se
peraltro seguiamo con attenzione le argomentazioni poste con appassionata
abilità discorsiva e con riferimenti che spaziano in molte direzioni, questo
accostamento verrà ad apparirci come perfettamente coerente con la tesi di
fondo dell’autore, che considera il residuale come la sola speranza di una
trasformazione positiva dell’esistente.
La
sua riflessione parte da alcune considerazioni sulla società dei consumi, che
nel momento del suo apogeo esibiva, come motivo conduttore, una sorta di variante capitalistica del discorso del
Grande Inquisitore dostoevskiano in cui si celebra l’indulgenza verso ogni
debolezza umana come strumento di potere: essa aveva infatti come scopo
dichiarato quello di suscitare i desideri, garantendone la soddisfazione indefinita – o almeno, illudendoci rispetto a
questa possibilità.
Non era certo vista di buon occhio, allora, la
riflessione ponderata e critica da parte di chi, dice Cuozzo, “si rifiuta di
considerare necessario ciò che esiste solo per il fatto che esiste”, per
sbagliato o ingannevole che possa sembrargli, e sicuramente la melancolia non
trovava posto fra gli atteggiamenti considerati consoni allo spirito del
tempo. Nondimeno, la crisi economica di
questi ultimi anni ha drammaticamente interrotto questa specie d’incantamento,
ridando spazio a quella “insofferenza melancolica” che nell’interpretazione
dell’autore non si configura come una rassegnazione fatale, destinata ad
inibire l’azione e a rendere sterile ogni progetto, ma piuttosto come uno
sguardo rivolto all’indietro, verso ciò che pur essendo possibile non è stato realizzato
(uno sguardo dunque simile a quello di
Baudelaire, per cui la melancolia assume la forma di un “radioso
rimpianto”, di un “anelito
all’inversione del tempo” da cui emerge
il ricordo dell’inadempiuto).
Sottolineiamo
quest’ultima parola, che nella riflessione dell’autore assume un’importanza
centrale, perché a suo giudizio è solo a
partire dall’inadempiuto che si può
configurare un’utopia concreta, non disgiunta dalla realtà, in quanto basata su
di un residuo di realtà da portare all’esistenza; solo facendo dell’inadempiuto
una chance, dice, noi potremo pensare alle alternative possibili di un mondo in
cui l’economia sembra essere diventata un’entità mitica su cui si fonda
l’intero ordine dell’universo, e in cui le uniche speranze di futuro vengono
riposte in una crescita orientata all’infinito.
Ora
capiamo dunque perché l’autore abbia dato così importanza all’atteggiamento
melancolico: la melancolia si configura appunto in questa accezione come una
specie di risvolto interno del nastro dell’utopia, volto a cogliere i punti di
svolta, i luoghi dove altre scelte erano possibili.
Sappiamo
bene infatti come ogni percorso umano sia fatto di scelte: scelte compiute per
continuità con l’esistente, per non variare quello che ci sembrava assicurare
l’ordine del mondo, scelte scartate perché considerate non coerenti col nostro
generale sistema di senso e che spesso tendiamo a dimenticare, ma di cui invece
dobbiamo tenere conto dal momento che ogni progetto umano lascia sempre dietro
a se un reietto, un residuo, uno scarto.
il
residuale come “perturbante” che apre
alla possibilità del cambiamento
Soffermiamoci
pertanto su quest’ultima parola, che assume nella riflessione dell’autore una
duplice valenza, fisica e metaforica. Sono estremamente fisici e concreti,
infatti, gli scarti della società dei consumi, che riempiono ormai le nostre
discariche fino a saturarle testimoniando l’incapacità di scelte consapevoli e
responsabili (scarti che non possiamo non
osservare con la stessa malincolia di Wall-E, il robottino spazzino ideato
dalla Pixar Animation, testimone della tragica insipienza umana che ha
devastato il pianeta riducendolo ad un cumulo di rifiuti. Lo sguardo
compassionevole che esso sembra posare su alcuni oggetti che affiorano qua e là
ci fa pensare, dice Cuozzo, all’Angelo
della storia di Beniamin, che guarda un mondo ridotto a mero “deserto senza
grazia” dello stato creaturale…). 1*
Ma
sono anche scarti, pur appartenendo
alla sfera psicologica dell’umano, le alternative di vita che abbiamo lasciato
via via cadere, ripudiando le possibilità di cui avrebbero potuto essere
portatrici in nome della coerenza e della continuità dei vissuti. E come a
volte dalle nostre discariche deborda e fuoriesce un liquame scuro, denso e
maleodorante, che ci pone di fronte drammaticamente ed angosciosamente alle nostre responsabilità
inevase di fronte al pianeta in quanto casa comune, così ciò che abbiamo
scartato e rimosso nella nostra vita personale, e che pur tuttavia non ci ha
abbandonati - rimanendo affiancato a noi come un’Ombra o un temibile Doppio -
può riemergere all’improvviso come il perturbante freudiano, determinando una
sensazione angosciosa e spiazzante, ma potenzialmente liberatoria.
Il
rimosso ci ricorda infatti quello che avremmo potuto essere, ci costringe a
scavare nelle pieghe della memoria e dell’immaginazione, l’unico luogo da cui
può emergere, secondo Cuozzo, una visione emancipatrice che peraltro non
comporta necessariamente un cambiamento plateale.
Così
come nella vita di un individuo basta a volte un piccolo aggiustamento, perché
la realtà interna si riassesti, così portare all’esistenza una virtualità
finora inoperante può pregiudicare, secondo Cuozzo, il mondo intero,
riconfigurandolo senza bisogno di una trasformazione violenta (come farà il Messia ipotizzato da Benjamin,
che ritornerà nel mondo non per operarvi un’ immane apocatastasi ma soltanto
“per aggiustarlo di pochissimo”…).
Se
diamo spazio a questo sguardo sul residuale, prosegue Cuozzo, sarà come entrare
nel Palazzo dei Destini immaginato da Leibniz: in esso si raccolgono tutte le
virtualità dell’esistenza, così che ciascuno di noi vi può contemplare le trame
di vita che avrebbe potuto imbastire in un mondo del tutto simile al nostro, da
cui ci separa solo un lievissimo scarto - sufficiente peraltro per renderlo
totalmente Altro – e da cui possiamo attingere la forza per ripensare alla
nostra vita e trasformarla.
Una
simile visione naturalmente ha senso solo se intendiamo, come Leibniz, che le
possibilità siano qualcosa che attiene al reale, pensabile dunque senza
contraddizione (mentre per Hegel nel
percorso dello Spirito razionale ogni ulteriorità, anche solo virtuale, resta
esclusa dalla storia e dall’ irrevocabilità del destino). Saremo infatti
pronti a fare spazio ad un’alternativa già respinta ma ancora pronta a
rivendicare i suoi diritti solo se ipotizziamo che nel mondo possano esistere
il caso, la possibilità, la contingenza, i resti di senso, solo se consideriamo
lecito ripensarli nella direzione di un cambiamento praticabile nel momento in
cui il sistema globale, chiuso in una logica asfittica, si avvicina al punto di
non ritorno, solo se non pensiamo al
presente come ad una struttura mitica da accettare così com’è, nonostante le
sue ingiustizie (con un atteggiamento,
dice Cuozzo, simile a quello di Esther, la ragazza amata dal protagonista del
bel romanzo distopico di Michel Houellebecq “La possibilità di un’isola”, che vive il presente con innocenza animale,
badando solo ad estrarne il massimo del piacere possibile).
fra
Michelangelo e Leonardo: il gesto che dà forma separando, il pennello che
rivela lo scarto
Se
assumiamo lo scarto nel significato di separare, togliere, rifiutare, possiamo
identificarlo nel gesto emblematico di Michelangelo, che presagendo con
l’audacia dell’immaginazione la figura che verrà, toglie con il suo scalpello
quello che ad essa è estraneo, superfluo, inservibile, facendo affiorare dal
marmo grezzo la forma (venendo così a ripetere col suo gesto secolarizzato,
osserva Cuozzo, il “Fiat” divino, che separa la luce dalle tenebre, la terra
dalle acque…).
Solo
in Dio peraltro questo gesto non contempla alcun pentimento che modifichi il
progetto originale di senso: non così per l’uomo, in cui ogni togliere e
scartare vuol dire lasciare da parte un’ alternativa che resta sempre operante,
anche se respinta, anche se apparentemente dimenticata. In ogni vita riuscita
accade infatti quello che possiamo vedere nei dipinti di Leonardo, che
osservati al microscopio lasciano ancora scorgere i pentimenti e le trasformazioni
del progetto originario….
la costruzione dell’identità attraverso la separazione:
In
questo capitolo Cuozzo, facendo intervenire due “testimonial” d’eccezione,
approfondisce il tema della costruzione dell’identità attraverso un processo di
separazione. Riprende pertanto la metafora dello scultore, ritenendola quanto
mai adatta a rappresentare quel processo che l’esistere, l’uscire
dall’indifferenziato (esisto = ex- sisto)
impone all’uomo, obbligandolo a definirsi attraverso un instancabile togliere
da sé quello che non gli sembra coerente con l’immagine che vuole presentare al
mondo.
Un
processo in cui gli scarti, le spoglie di ciò che non abbiamo voluto essere
vengono gettate, come il marmo in eccesso, in una sorta di pattumiera - la
“poubelle agréée”, come la chiama Calvino in un suo scritto originale, sottilmente ironico e pur tuttavia
profondo 2* - che rappresenta a suo
giudizio “ la parte del nostro essere e avere che devo quotidianamente
sprofondare nel buio perché un’altra parte del nostro essere e avere resti a
godere la luce del sole” : del resto è solo grazie alle tenebre, aggiunge, che
la luce della conoscenza illumina. Soltanto buttando via noi possiamo infatti
erigere un confine fra ciò che siamo e ciò che percepiamo come estraneità
irriducibile, e lo compiamo infatti senza stancarci mai, affidando pezzi della
nostra vita al sacrificio domestico e municipale della spazzatura…
Lo
stesso processo avviene per la creazione letteraria: anche la scrittura, come
la vita - è sempre Calvino a parlare - è fatta di scelte “selettive e
luttuose”, di parole e di pagine cancellate, di storie che non abbiamo scritto
per far posto ad altre, e che talvolta escono dal mondo infero dove le abbiamo
confinate a reclamare il loro diritto ad esistere...
Parimenti
accade, dice Beniamin, con le pagine bianche di un diario, in cui c’è il
silenzio di una vita mai vissuta, di un tempo che non abbiamo consumato, anche
se resta ancora a disposizione della memoria. Ed è proprio lì, commenta Cuozzo,
fra le pieghe del mai scritto, del mai pronunciato, del mai vissuto, in quelle
possibilità esistenziali che abbiamo giudicato improprie al fine di dire “Io
Sono”, che sta la nostra immagine controfattuale: un Alter-Resto che può uscire
dai recessi tenebrosi della psiche e fare breccia fra le sedimentazioni di ciò
che siamo diventati, dandoci la possibilità di una autentica metamorfosi.
Ma
perché questo accada, perché la chance rappresentata dall’incompiuto possa
realizzarsi, trasformandosi da virtualità in realtà e producendo un tempo
altro, un tempo redento che nasca da quel “non ancora”, occorre essere disposti
a pagare lo scotto per ciò che abbiamo sacrificato, ponendosi nell’ottica di
una vera e propria conversione, di un “reversement créateur”– che ridesti le
promesse mancate, trasformandole in altra cosa (come quello che accade non già negli inceneritori, dove ogni memoria
delle scorie viene perduta, ma nel riciclaggio intelligente che riutilizza,
trasformandoli, i materiali affidati alla discarica). In altre parole
dobbiamo diventare, secondo Cuozzo,
rigattieri di noi stessi, ad imitazione del Dio del salmo 88, che rovista nelle
pieghe di ogni anima alla ricerca di ciò che manca alla salvezza.
E’
davvero un viaggio, quello che l’autore ci invita a compiere per raggiungere un
luogo che definisce, utilizzando una felice immagine di L.B. Alberti, “la
discarica del dimenticato” (il luogo,
posto sulla faccia nascosta della Luna, dove le anime giungono nel sogno e in
cui giacciono tutte le cose rimosse e perdute, da cui si irradia la promessa di
una felicità mai data ma che rappresenta la variante salvifica del nostro
esistere nel tempo) 3*. Un viaggio
certamente non facile, ma che dobbiamo compiere, dice Cuozzo, perché come noi
abbiamo lasciato in nome della nostra coerenza interna infiniti atti mancati
che ci hanno impoverito, così in nome della stessa coerenza senz’anima anche il
nostro mondo sta scivolando verso l’apocalisse, appiattito com’è su di una
visione del progresso che si è imposta come razionale ed efficiente, ma che in
realtà si affida sempre più ai tratti di irrazionalità di una visione mitica.
Potremo
peraltro approfittare dell’aiuto di coloro che Cuozzo presenta come degli
inediti “angeli delle obsolescenze”:
oltre a Walter Benjamin – già più volte citato, il cui pensiero è teso a
demistificare la struttura mitica della nostra visione storica, Michel Tournier
e Ted Botha, che in modi diversi hanno rivolto la loro attenzione alla
possibilità di cercare la salvezza fra i detriti del tempo. A questi due autori
sono pertanto dedicati gli ultimi due capitoli del testo.
Cap. 5
- LE AVVENTURE
DELL’IMMONDIZIA: AURA E
SALVEZZA NELLA SPAZZATURA
Allo
sguardo compassionevole del robottino Wall-E e dell’angelo di Benjamin, che
scorge nelle spirali di macerie alte fino al cielo i cascami di una storia
dell’uomo cui solo per un errore
prospettico, dice Cuozzo, noi diamo il
nome di “progresso”, si aggiungono ora
altri sguardi, decisamente originali, che offrono nuova linfa alla tesi del
libro facendo un più preciso riferimento al titolo. Veniamo infatti invitati ad
andare letteralmente “a spasso fra i rifiuti” con Alexandre, il protagonista di
un libro del 1975 di Michel Tournier (Les
metéores), che girovagando con l’andamento languido ma con la vista acuta di una sorta di dandy esteta e filosofo fra le
discariche urbane – ricevute inopinatamente in eredità per via della morte del
fratello - riesce a cogliere l’ oscura e pur tuttavia molto espressiva trama rovesciata della nostra società dei consumi. Al suo
sguardo attento si offre infatti, come in uno specchio, l’immagine distorta di
un mondo votato allo spreco, e pertanto
sul punto di essere sopraffatto dai propri scarti, che rivela nell’ombra
la sua vera essenza.
Come
per Alexandre, anche per Cuozzo le discariche rappresentano un luogo
privilegiato in cui possiamo leggere, ancora più che nel mondo diurno e solare
della produzione, un’idea di benessere che sta mettendo a repentaglio la vita
stessa del nostro pianeta. Nondimeno, a suo giudizio, c’è negli scarti un
potere salvifico che potrebbe attualizzarsi, se facciamo tesoro di questo
sguardo approfittando dell’immobilità in cui stanno le cose quando escono dal
ciclo frenetico della produzione e del consumo, se facciamo nostra l’attitudine
di certi personaggi che Alexandre incontra via via e che popolano anche un
libro di Ted Botha (Mongo) 4*:
cenciaioli, rigattieri, antiquari, collezionisti, che dalle discariche non
distolgono il volto come noi tendiamo a fare, ma anzi in esse lo fissano alla
ricerca dei loro tesori, comportandosi come veri e propri “redentori delle
obsolescenze”.
I
collezionisti descritti da Botha raccolgono infatti gli oggetti più disparati,
cogliendo in essi una storia di cui portano ancora le impronte e da cui emana
una sorta di richiamo a cui sono sensibili. Può sembrare in molti casi un po’
folle, questa loro ricerca: e però, osserva Botha, nella loro ossessione, assai
più della possibilità di prendere qualcosa che non costa nulla, forse è
presente l’idea che si possa dare un
assetto diverso al mondo, soprattutto quando con questi oggetti riciclati si
costruiscono nuove e originali cose - nella critica in controluce al consumismo
imperante c’è indubbiamente un potenziale sovversivo - e c’è anche una sorta di
tensione alla permanenza dell’essere che può avere un afflato quasi religioso.
Può
sembrare eccessivo, parlare di tensione religiosa in un discorso sulle
discariche: eppure, dice Cuozzo facendo suo un pensiero di Philip K. Dick (Valis),
è possibile che il divino abiti anche lì,
che lì si mimetizzi “come un seme
nascosto in una massa irrazionale”, aggredendoci e ferendoci nel suo ruolo di
antidoto contro l’illusione tecnocratica di una società che corre verso la propria distruzione.
Note:
1* = Nel
testo “ Sul concetto di storia” Benjamin fa riferimento ad un acquerello di
Paul Klee, “Angelus novus”. Benjamin scrive che l’angelo di Klee dà le spalle
al futuro, mentre il suo sguardo triste e malinconico è volto alle macerie
della storia poste davanti ai suoi occhi: vorrebbe forse redimerle, riconnettendone gli sparsi frantumi, ma viene
impedito da un forte vento che lo spinge lontano, verso un futuro che non
conosce.
2* = La
novella “La poubelle agrééé” è contenuta
nella raccolta “ La strada di San Giovanni”
3* = Il
testo cui si fa riferimento è “Le intercenali” (IV 1 Somnium)
4* =
“Mongo” è un termine tipicamente newyorkese che viene usato per definire gli
oggetti che dopo essere stati buttati via vengono raccolti, ritrovati, salvati