domenica 29 novembre 2015

A spasso tra i rifiuti - Libro di Gianluca Cuozzo (sintesi di Enrica Gallo)


Gianluca Cuozzo:
Docente   di Filosofia Teoretica  presso   l’Università di Torino.

 “A spasso fra i rifiuti”
                                                                                                                                                        
                                

Presentazione:
E’ una passeggiata davvero singolare, quella che l’autore ci invita a compiere con alcuni inediti “angeli delle obsolescenze” - dal robottino Wall-E  a Walter Benjamin, da Italo Calvino ai personaggi che animano le storie di Ted Botha e di Michel Tournier.
Sarà con essi che entreremo, con Gianluca Cuozzo in funzione di novello Virgilio, in luoghi sicuramente “reali” (le discariche urbane in cui giacciono gli scarti della nostra società dei consumi, vera controparte immobile, oscura, notturna della produzione giornaliera senza sosta delle merci) che assumono peraltro in questo testo tanto rapido quanto appassionato un valore potentemente allegorico e potenzialmente salvifico.
Sta infatti nel residuale, secondo l’interpretazione dell’autore, la sola speranza di una trasformazione profonda e redentrice dell’esistente. Solo volgendo lo sguardo tanto a ciò che abbiamo lasciato indietro nella vita personale, in nome della coerenza e della continuità dei vissuti, quanto a quello che abbiamo sacrificato come civiltà in obbedienza al mito di un progresso inesauribile, solo cercando fra le pieghe della memoria e dell’immaginazione potremo scorgere quelle alternative respinte, e pur tuttavia ancora attualizzabili, che ci permetterebbero di modificare profondamente i nostri vissuti e le nostre scelte di vita, fermando il piano inclinato su cui la nostra civiltà sta scivolando verso la propria  autodistruzione.
Cap. 1 -  DALL’ ANGOSCIA PARALIZZANTE DA SPREAD  ALLA SPERANZA NEL RESIDUALE
Cap. 2 -  DELL’ ALTRO  ME  STESSO, O  DEL  MIO  “DOPPIO  PATTUMIERA”
elogio della “melancolia” come risvolto interno di un’utopia realizzabile
Può sembrare a prima vista sconcertante, che un testo intitolato “A spasso tra i rifiuti” inizi con un elogio della malinconia (anzi, della “melancolia”, perché Cuozzo usa questo termine più desueto).
Se peraltro seguiamo con attenzione le argomentazioni poste con appassionata abilità discorsiva e con riferimenti che spaziano in molte direzioni, questo accostamento verrà ad apparirci come perfettamente coerente con la tesi di fondo dell’autore, che considera il residuale come la sola speranza di una trasformazione positiva dell’esistente.
La sua riflessione parte da alcune considerazioni sulla società dei consumi, che nel momento del suo apogeo esibiva, come motivo conduttore, una sorta di  variante capitalistica del discorso del Grande Inquisitore dostoevskiano in cui si celebra l’indulgenza verso ogni debolezza umana come strumento di potere: essa aveva infatti come scopo dichiarato quello di suscitare i desideri, garantendone la soddisfazione  indefinita – o almeno, illudendoci rispetto a questa possibilità.
 Non era certo vista di buon occhio, allora, la riflessione ponderata e critica da parte di chi, dice Cuozzo, “si rifiuta di considerare necessario ciò che esiste solo per il fatto che esiste”, per sbagliato o ingannevole che possa sembrargli, e sicuramente la melancolia non trovava posto fra gli atteggiamenti considerati consoni allo spirito del tempo.  Nondimeno, la crisi economica di questi ultimi anni ha drammaticamente interrotto questa specie d’incantamento, ridando spazio a quella “insofferenza melancolica” che nell’interpretazione dell’autore non si configura come una rassegnazione fatale, destinata ad inibire l’azione e a rendere sterile ogni progetto, ma piuttosto come uno sguardo rivolto all’indietro, verso ciò che pur essendo possibile non è stato realizzato (uno sguardo dunque simile a quello di Baudelaire, per cui la melancolia assume la forma di un “radioso rimpianto”,  di un “anelito all’inversione del tempo” da cui  emerge il ricordo dell’inadempiuto).
Sottolineiamo quest’ultima parola, che nella riflessione dell’autore assume un’importanza centrale, perché  a suo giudizio è solo a partire dall’inadempiuto  che si può configurare un’utopia concreta, non disgiunta dalla realtà, in quanto basata su di un residuo di realtà da portare all’esistenza; solo facendo dell’inadempiuto una chance, dice, noi potremo pensare alle alternative possibili di un mondo in cui l’economia sembra essere diventata un’entità mitica su cui si fonda l’intero ordine dell’universo, e in cui le uniche speranze di futuro vengono riposte in una crescita orientata all’infinito.
Ora capiamo dunque perché l’autore abbia dato così importanza all’atteggiamento melancolico: la melancolia si configura appunto in questa accezione come una specie di risvolto interno del nastro dell’utopia, volto a cogliere i punti di svolta,  i luoghi  dove altre scelte erano possibili.
Sappiamo bene infatti come ogni percorso umano sia fatto di scelte: scelte compiute per continuità con l’esistente, per non variare quello che ci sembrava assicurare l’ordine del mondo, scelte scartate perché considerate non coerenti col nostro generale sistema di senso e che spesso tendiamo a dimenticare, ma di cui invece dobbiamo tenere conto dal momento che ogni progetto umano lascia sempre dietro a se un reietto, un residuo, uno scarto.
il residuale come “perturbante”  che apre alla possibilità del cambiamento
Soffermiamoci pertanto su quest’ultima parola, che assume nella riflessione dell’autore una duplice valenza, fisica e metaforica. Sono estremamente fisici e concreti, infatti, gli scarti della società dei consumi, che riempiono ormai le nostre discariche fino a saturarle testimoniando l’incapacità di scelte consapevoli e responsabili (scarti che non possiamo non osservare con la stessa malincolia di Wall-E, il robottino spazzino ideato dalla Pixar Animation, testimone della tragica insipienza umana che ha devastato il pianeta riducendolo ad un cumulo di rifiuti. Lo sguardo compassionevole che esso sembra posare su alcuni oggetti che affiorano qua e là ci fa  pensare, dice Cuozzo, all’Angelo della storia di Beniamin, che guarda un mondo ridotto a mero “deserto senza grazia” dello stato creaturale…). 1*
Ma sono anche scarti, pur appartenendo alla sfera psicologica dell’umano, le alternative di vita che abbiamo lasciato via via cadere, ripudiando le possibilità di cui avrebbero potuto essere portatrici in nome della coerenza e della continuità dei vissuti. E come a volte dalle nostre discariche deborda e fuoriesce un liquame scuro, denso e maleodorante, che ci pone di fronte drammaticamente ed   angosciosamente alle nostre responsabilità inevase di fronte al pianeta in quanto casa comune, così ciò che abbiamo scartato e rimosso nella nostra vita personale, e che pur tuttavia non ci ha abbandonati - rimanendo affiancato a noi come un’Ombra o un temibile Doppio - può riemergere all’improvviso come il perturbante freudiano, determinando una sensazione angosciosa e spiazzante, ma potenzialmente liberatoria.
Il rimosso ci ricorda infatti quello che avremmo potuto essere, ci costringe a scavare nelle pieghe della memoria e dell’immaginazione, l’unico luogo da cui può emergere, secondo Cuozzo, una visione emancipatrice che peraltro non comporta necessariamente un cambiamento plateale.
Così come nella vita di un individuo basta a volte un piccolo aggiustamento, perché la realtà interna si riassesti, così portare all’esistenza una virtualità finora inoperante può pregiudicare, secondo Cuozzo, il mondo intero, riconfigurandolo senza bisogno di una trasformazione violenta (come farà il Messia ipotizzato da Benjamin, che ritornerà nel mondo non per operarvi un’ immane apocatastasi ma soltanto “per aggiustarlo di pochissimo”…).
Se diamo spazio a questo sguardo sul residuale, prosegue Cuozzo, sarà come entrare nel Palazzo dei Destini immaginato da Leibniz: in esso si raccolgono tutte le virtualità dell’esistenza, così che ciascuno di noi vi può contemplare le trame di vita che avrebbe potuto imbastire in un mondo del tutto simile al nostro, da cui ci separa solo un lievissimo scarto - sufficiente peraltro per renderlo totalmente Altro – e da cui possiamo attingere la forza per ripensare alla nostra vita e trasformarla.
Una simile visione naturalmente ha senso solo se intendiamo, come Leibniz, che le possibilità siano qualcosa che attiene al reale, pensabile dunque senza contraddizione (mentre per Hegel nel percorso dello Spirito razionale ogni ulteriorità, anche solo virtuale, resta esclusa dalla storia e dall’ irrevocabilità del destino). Saremo infatti pronti a fare spazio ad un’alternativa già respinta ma ancora pronta a rivendicare i suoi diritti solo se ipotizziamo che nel mondo possano esistere il caso, la possibilità, la contingenza, i resti di senso, solo se consideriamo lecito ripensarli nella direzione di un cambiamento praticabile nel momento in cui il sistema globale, chiuso in una logica asfittica, si avvicina al punto di non ritorno, solo  se non pensiamo al presente come ad una struttura mitica da accettare così com’è, nonostante le sue ingiustizie (con un atteggiamento, dice Cuozzo, simile a quello di Esther, la ragazza amata dal protagonista del bel romanzo distopico di Michel Houellebecq “La possibilità di un’isola”,  che vive il presente con innocenza animale, badando solo ad estrarne il massimo del piacere possibile).
fra Michelangelo e Leonardo: il gesto che dà forma separando, il pennello che rivela lo scarto
Se assumiamo lo scarto nel significato di separare, togliere, rifiutare, possiamo identificarlo nel gesto emblematico di Michelangelo, che presagendo con l’audacia dell’immaginazione la figura che verrà, toglie con il suo scalpello quello che ad essa è estraneo, superfluo, inservibile, facendo affiorare dal marmo grezzo la forma (venendo così a ripetere col suo gesto secolarizzato, osserva Cuozzo, il “Fiat” divino, che separa la luce dalle tenebre, la terra dalle acque…).
Solo in Dio peraltro questo gesto non contempla alcun pentimento che modifichi il progetto originale di senso: non così per l’uomo, in cui ogni togliere e scartare vuol dire lasciare da parte un’ alternativa che resta sempre operante, anche se respinta, anche se apparentemente dimenticata. In ogni vita riuscita accade infatti quello che possiamo vedere nei dipinti di Leonardo, che osservati al microscopio lasciano ancora scorgere i pentimenti e le trasformazioni del progetto originario….
 Cap. 3  - ITALO CALVINO E  WALTER  BENJAMIN:  IL VALORE PROFETICO DELLE PAROLE MAI SCRITTE, DELLE PAGINE MAI PUBBLICATE
la costruzione  dell’identità attraverso la separazione:
In questo capitolo Cuozzo, facendo intervenire due “testimonial” d’eccezione, approfondisce il tema della costruzione dell’identità attraverso un processo di separazione. Riprende pertanto la metafora dello scultore, ritenendola quanto mai adatta a rappresentare quel processo che l’esistere, l’uscire dall’indifferenziato (esisto = ex- sisto) impone all’uomo, obbligandolo a definirsi attraverso un instancabile togliere da sé quello che non gli sembra coerente con l’immagine che vuole presentare al mondo.
Un processo in cui gli scarti, le spoglie di ciò che non abbiamo voluto essere vengono gettate, come il marmo in eccesso, in una sorta di pattumiera  - la “poubelle agréée”, come la chiama Calvino in un suo scritto  originale, sottilmente ironico e pur tuttavia profondo 2* - che  rappresenta a suo giudizio “ la parte del nostro essere e avere che devo quotidianamente sprofondare nel buio perché un’altra parte del nostro essere e avere resti a godere la luce del sole” : del resto è solo grazie alle tenebre, aggiunge, che la luce della conoscenza illumina. Soltanto buttando via noi possiamo infatti erigere un confine fra ciò che siamo e ciò che percepiamo come estraneità irriducibile, e lo compiamo infatti senza stancarci mai, affidando pezzi della nostra vita al sacrificio domestico e municipale della spazzatura…
Lo stesso processo avviene per la creazione letteraria: anche la scrittura, come la vita - è sempre Calvino a parlare - è fatta di scelte “selettive e luttuose”, di parole e di pagine cancellate, di storie che non abbiamo scritto per far posto ad altre, e che talvolta escono dal mondo infero dove le abbiamo confinate a reclamare il loro diritto ad esistere...
Parimenti accade, dice Beniamin, con le pagine bianche di un diario, in cui c’è il silenzio di una vita mai vissuta, di un tempo che non abbiamo consumato, anche se resta ancora a disposizione della memoria. Ed è proprio lì, commenta Cuozzo, fra le pieghe del mai scritto, del mai pronunciato, del mai vissuto, in quelle possibilità esistenziali che abbiamo giudicato improprie al fine di dire “Io Sono”, che sta la nostra immagine controfattuale: un Alter-Resto che può uscire dai recessi tenebrosi della psiche e fare breccia fra le sedimentazioni di ciò che siamo diventati, dandoci la possibilità di una autentica metamorfosi.
 un viaggio salvifico nella  “discarica del dimenticato”:
Ma perché questo accada, perché la chance rappresentata dall’incompiuto possa realizzarsi, trasformandosi da virtualità in realtà e producendo un tempo altro, un tempo redento che nasca da quel “non ancora”, occorre essere disposti a pagare lo scotto per ciò che abbiamo sacrificato, ponendosi nell’ottica di una vera e propria conversione, di un “reversement créateur”– che ridesti le promesse mancate, trasformandole in altra cosa (come quello che accade non già negli inceneritori, dove ogni memoria delle scorie viene perduta, ma nel riciclaggio intelligente che riutilizza, trasformandoli, i materiali affidati alla discarica). In altre parole dobbiamo diventare, secondo  Cuozzo, rigattieri di noi stessi, ad imitazione del Dio del salmo 88, che rovista nelle pieghe di ogni anima alla ricerca di ciò che manca alla salvezza.
E’ davvero un viaggio, quello che l’autore ci invita a compiere per raggiungere un luogo che definisce, utilizzando una felice immagine di L.B. Alberti, “la discarica del dimenticato” (il luogo, posto sulla faccia nascosta della Luna, dove le anime giungono nel sogno e in cui giacciono tutte le cose rimosse e perdute, da cui si irradia la promessa di una felicità mai data ma che rappresenta la variante salvifica del nostro esistere nel tempo) 3*.  Un viaggio certamente non facile, ma che dobbiamo compiere, dice Cuozzo, perché come noi abbiamo lasciato in nome della nostra coerenza interna infiniti atti mancati che ci hanno impoverito, così in nome della stessa coerenza senz’anima anche il nostro mondo sta scivolando verso l’apocalisse, appiattito com’è su di una visione del progresso che si è imposta come razionale ed efficiente, ma che in realtà si affida sempre più ai tratti di irrazionalità di una visione mitica.
Potremo peraltro approfittare dell’aiuto di coloro che Cuozzo presenta come degli inediti  “angeli delle obsolescenze”: oltre a Walter Benjamin – già più volte citato, il cui pensiero è teso a demistificare la struttura mitica della nostra visione storica, Michel Tournier e Ted Botha, che in modi diversi hanno rivolto la loro attenzione alla possibilità di cercare la salvezza fra i detriti del tempo. A questi due autori sono pertanto dedicati gli ultimi due capitoli del testo.
 Cap. 4  -  IL DANDY  DEL  PATTUME: COME  VIVERE  IN  UN  MONDO  ALLA  ROVESCIA
Cap. 5  -  LE  AVVENTURE  DELL’IMMONDIZIA:  AURA  E  SALVEZZA  NELLA  SPAZZATURA
Allo sguardo compassionevole del robottino Wall-E e dell’angelo di Benjamin, che scorge nelle spirali di macerie alte fino al cielo i cascami di una storia dell’uomo cui  solo per un errore prospettico, dice Cuozzo,  noi diamo il nome di “progresso”,  si aggiungono ora altri sguardi, decisamente originali, che offrono nuova linfa alla tesi del libro facendo un più preciso riferimento al titolo. Veniamo infatti invitati ad andare letteralmente “a spasso fra i rifiuti” con Alexandre, il protagonista di un libro del 1975 di Michel Tournier (Les metéores), che girovagando con l’andamento languido ma con la vista acuta  di una sorta di dandy esteta e filosofo fra le discariche urbane – ricevute inopinatamente in eredità per via della morte del fratello - riesce a cogliere l’ oscura e pur tuttavia molto espressiva  trama rovesciata  della nostra società dei consumi. Al suo sguardo attento si offre infatti, come in uno specchio, l’immagine distorta di un mondo votato allo spreco, e pertanto  sul punto di essere sopraffatto dai propri scarti, che rivela nell’ombra la sua vera essenza.
Come per Alexandre, anche per Cuozzo le discariche rappresentano un luogo privilegiato in cui possiamo leggere, ancora più che nel mondo diurno e solare della produzione, un’idea di benessere che sta mettendo a repentaglio la vita stessa del nostro pianeta. Nondimeno, a suo giudizio, c’è negli scarti un potere salvifico che potrebbe attualizzarsi, se facciamo tesoro di questo sguardo approfittando dell’immobilità in cui stanno le cose quando escono dal ciclo frenetico della produzione e del consumo, se facciamo nostra l’attitudine di certi personaggi che Alexandre incontra via via e che popolano anche un libro di Ted Botha (Mongo) 4*: cenciaioli, rigattieri, antiquari, collezionisti, che dalle discariche non distolgono il volto come noi tendiamo a fare, ma anzi in esse lo fissano alla ricerca dei loro tesori, comportandosi come veri e propri “redentori delle obsolescenze”. 
I collezionisti descritti da Botha raccolgono infatti gli oggetti più disparati, cogliendo in essi una storia di cui portano ancora le impronte e da cui emana una sorta di richiamo a cui sono sensibili. Può sembrare in molti casi un po’ folle, questa loro ricerca: e però, osserva Botha, nella loro ossessione, assai più della possibilità di prendere qualcosa che non costa nulla, forse è presente  l’idea che si possa dare un assetto diverso al mondo, soprattutto quando con questi oggetti riciclati si costruiscono nuove e originali cose - nella critica in controluce al consumismo imperante c’è indubbiamente un potenziale sovversivo - e c’è anche una sorta di tensione alla permanenza dell’essere che può avere un afflato quasi religioso.
Può sembrare eccessivo, parlare di tensione religiosa in un discorso sulle discariche: eppure, dice Cuozzo facendo suo un pensiero di Philip K. Dick  (Valis), è possibile che il divino abiti anche lì,  che  lì si mimetizzi “come un seme nascosto in una massa irrazionale”, aggredendoci e ferendoci nel suo ruolo di antidoto contro l’illusione tecnocratica di una società che corre  verso la propria distruzione.
Note:
1* = Nel testo “ Sul concetto di storia” Benjamin fa riferimento ad un acquerello di Paul Klee, “Angelus novus”. Benjamin scrive che l’angelo di Klee dà le spalle al futuro, mentre il suo sguardo triste e malinconico è volto alle macerie della storia poste davanti ai suoi occhi: vorrebbe forse redimerle,  riconnettendone gli sparsi frantumi, ma viene impedito da un forte vento che lo spinge lontano, verso un futuro che non conosce.
2* = La novella “La poubelle agrééé”  è contenuta nella raccolta “ La strada di San Giovanni”
3* = Il testo cui si fa riferimento  è  “Le intercenali”  (IV 1 Somnium)
4* = “Mongo” è un termine tipicamente newyorkese che viene usato per definire gli oggetti che dopo essere stati buttati via vengono raccolti, ritrovati, salvati

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