L'argomento
trattato dal Prof. Croce ha suscitato grande interesse e i concetti chiave sono
emersi chiaramente dalla relazione. Il presupposto fondamentale è che ognuno di
noi ha un'Ombra, che resiste alla coscienza ma di cui avvertiamo la presenza,
costituita da funzioni non sviluppate, da elementi infantili, da aspetti
irrazionali, moralmente discutibili.
Se non
riconosciamo queste pulsioni come parte di noi, esse si fondono in una
“personalità” dotata talvolta di altissima autonomia. I sogni, i miti e le
fiabe ben rappresentano questa fusione di elementi negativi e la loro
“personificazione”, l'inconfondibile sentimento dell'”altro” in noi. Ed è
sull'altro che proiettiamo la nostra Ombra: cogliamo nell'altro comportamenti
che ci infastidiscono, ma che in realtà sono aspetti non consciamente vissuti
della nostra psiche. E' sufficiente cogliere una minima deviazione dallo
standard medio per individuare il capro espiatorio ideale per proiettare le
nostre pulsioni. E' quindi importante imparare ad ascoltare ciò che la nostra
psiche cerca di indicarci. Secondo Jung infatti se non ci poniamo in relazione
con l'Ombra, essa agirà in maniera autonoma provocando delle psicosi. A livello
collettivo l'”altro” diventa il perturbatore, colui che divide. La comunità si costituisce
sull'esclusione: l'espunzione di un elemento corrisponde all'identificazione
del sé e alla creazione di un gruppo, numerosi gli esempi di utilizzo di questo
meccanismo al fine di detenere il controllo sociale. Avviene una sorta di
tecnicizzazione del mito affinchè le persone abbraccino l'ideologia dominante,
cosa non difficile di fronte a personalità deboli, che temono la differenza,
che riducono la propria coscienza e la propria ricchezza esperienziale. Una
visione del mondo totalmente improntata ai valori della coscienza provoca un
ingigantimento dell'Io. Oggi l'esistente è riconosciuto per tale se è
quantificabile, addirittura si arriva a sostituire la realtà “certificando”
l'assenza della presenza delle cose. Occorre non dimenticare però che ciò che
non è “certificabile” non scompare ma continua ad esistere, o meglio a
resistere. Chiarificatrice la metafora epistemologica portata dal Prof. Croce:
la coscienza è come un fascio di luce, nitido ma sempre più ristretto, che
illumina una zona microscopica alla ricerca di costituenti minimi essenziali.
Questa tendenza a ridurre sempre più la zona illuminata rischia di farci
perdere di vista il disegno ampio che rimane in ombra, esplorando il quale
potremmo avere una visione globale sulle connessioni che regolano il mondo.
Dilaganti in ogni campo sono la smania di ricerca dei particolari e la tendenza
alla codificazione. Controllo analogo viene effettuato sui corpi, senza
consapevolezza del fatto che inevitabilmente il “controllore” diventa il
“controllato”. Qualsiasi cosa sfugga al controllo viene vista come fonte di
pericolo ma, ovviamente, l'irriducibilità dei fenomeni del mondo è
indiscutibile. Per superare tali meccanismi occorre ripensare la propria
identità, identificare il mondo come “non altro” rispetto a me: il soggetto
viene identificato perchè incapsulato in un corpo, mentre in un contesto di
unità evolutiva esso deve essere considerato in relazione con tutto il sistema,
che per sua natura, come afferma Bateson, funziona come una mente, è un sistema
fluido di scambio costante. Se l'”altro” sono io, ecco che scompaiono le
dinamiche in ombra. La coscienza sistemica è qualcosa che possiamo sperimentare
quotidianamente nelle azioni più semplici, la differenziazione dei rifiuti ne è
un esempio. Quando l'essere umano non mette in contatto la propria coscienza e
la propria Ombra, esso si sente orfano della propria identità e si convince di
poterla trovare accumulando beni: possiedo quindi esisto. E' invece importante
giungere a riconoscere il ruolo della coscienza come parte attiva nella
costruzione della realtà: siamo noi a produrre il mondo che abbiamo di fronte.
Nessun commento:
Posta un commento