martedì 1 marzo 2016

La parola del mese - Marzo 2016


LA PAROLA DEL MESE

A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili
ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni
Marzo 2016
 
Weltanschauung

Termine tedesco («visione, intuizione =Anschauung + del mondo  =Welt) = Non è letteralmente traducibile in lingua italiana perché non esiste una parola che le corrisponda appieno, può essere restrittivamente tradotto con "visione del mondo", "immagine del mondo" o "concezione del mondo", ossia il modo in cui singoli individui o gruppi sociali considerano l’esistenza e i fini del mondo e la posizione dell’uomo in esso.

 La ragione del successo del termine anche in Italia è da ricercarsi nella possibilità di esprimere con una sola parola un concetto complesso. Si ritiene infatti che la frase "visione del mondo" sia troppo semplificatrice se usata in contesti complessi. Carl Gustav Jung ha fatto molto uso di questo termine per descrivere la profonda trasformazione degli individui allorché in essi cambia la Weltanschauung, e come, al contrario, senza cambiare la Weltanschauung diventi spesso impossibile ottenere una reale soluzione alla personale sofferenza psicologica, con ciò significando che spesso per l'individuo è salvifico riunirsi alla parte di sé che ha radici collettive di appartenenza, di specie, di razza e religione e al contempo prendere le distanze dall'ego ristretto e confinato al qui ed ora.

2 commenti:

  1. La parola weltanschauung, proposta come parola del mese, mi ha immediatamente ricordato il tempo dell’università, in cui andavo scoprendo parole nuove e in particolare il corso di Pietro Rossi sullo storicismo tedesco e nello specifico su Dilthey. Questo filosofo, lavorando alla questione della legittimazione del metodo storico, definisce la weltanschauung come l’interazione di tre elementi: pensiero, sentimento e volontà che danno rispettivamente luogo ad un corpo di conoscenze che attengono al mondo, a un insieme di giudizi di valore condivisi, fondati sul sentimento e infine un sistema di ideali che ispirano le scelte del singolo nel contesto sociale.
    Agli studenti la parola piaceva molto, usciva dalle aule e dai testi e veniva usata tranquillamente per indicare una qualsiasi visione globale del mondo, in cui tutto si tiene, dove la complessità trova una spiegazione univoca o comunque forte.
    L’esperienza del mondo attuale spesso, per reazione alla frantumazione o per risposta ai nuovi fanatismi, fa riemergere il desiderio della welthanschauung, ma penso che sia, nel senso precedentemente usato, una parola della nostalgia.
    La morte di Dio non è solo per la cultura occidentale il farsi del processo complesso e talvolta contradditorio di secolarizzazione, ma anche la necessità di fare i conti con la fine di una verità, così incontrovertibile, da essere l’elemento fondativo della welthanschauung. Ho visto ieri sera il geniale film di Moretti “Habemus papam” in cui ogni sapere, sia esso antico, come la religione, o contemporaneo, come la psicanalisi, sembra perdere il proprio centro, liberando comunque una nuova, tenerissima umanità.
    Forse dovremmo pensare la verità, capace di sostenere una nuova visione del mondo, come semplice ideale regolativo, come impegno costante a riparare una zattera sgangherata con la quale navighiamo in mare aperto senza poter prendere terra, senza poter cancellare tutto per fondare il mondo nuovo e con esso la nuova visione.
    Progetto modesto? Forse, ma non ne vedo altri.
    Massima

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  2. Nell’intervento di Massima sulla parola del mese ho particolarmente apprezzato e condiviso l’immagine di un sapere privo di centro, in cui la verità riesce a trarre da questa apparente diminuzione la capacità di liberare una nuova versione di sé, più compatibile col mondo dell’uomo: più lieve, e certo più amichevole, ma non per questo necessariamente priva di forza orientatrice.
    Per quanto Massima riferisca questa immagine al film di Moretti, essa mi pare davvero adatta a rappresentare metaforicamente un percorso culturale e umano che molti di noi hanno compiuto, mettendo negli anni alla prova, spesso con dolorosa fatica, certi giovanili empiti verso Verità più maiuscole che pur essendo rispondenti ad esigenze di giustizia e bellezza correvano sovente il rischio di trasformarsi in sistemi di pensiero totalizzanti e assoluti.
    Ci è accaduto così - parlo per me, certo, ma credo che questa riflessione possa da altri essere condivisa - di imparare a considerare davvero costitutivo dell’umano un percorso di crescita in cui occorra misurarsi con l’imperfezione del mondo attraverso verità meno arroganti, che pur tuttavia possano costituire indicatori di percorso, fili da usare come guida per orientarsi nei labirinti della vita, o fiaccole capaci di rendere il buio meno pervasivo (i “non inferni” di Calvino, già citati altre volte da Nives…).
    Nondimeno, dobbiamo pure prendere atto che questo modello evolutivo non soltanto può andare soggetto, nelle nostre vite personali come nella nostra cultura, ad improvvisi irrigidimenti e a regressioni, ma che esso non riesce a raggiungere, coinvolgendoli, quanti non vi trovano alimento vitale, per cause diverse che possono andare dalla marginalità sociale alla fragilità psicologica, contemplando in molti casi anche un malinteso senso di giustizia unito ad un’aspirazione spasmodica verso l’assoluto. E’ ad essi che il mercato delle concezioni totalizzanti del mondo offre oggi nuove e potenti suggestioni, fra le quali quella dell’islamismo radicale rappresenta davvero “l’ultima utopia”.
    Così la definisce infatti Renzo Guolo (docente di Sociologia dell’Islam all’Università di Bologna) in un suo libro recente in cui analizza le cause politiche, culturali, religiose che spingono molti giovani europei – spesso, ma non solo, immigrati di origine musulmana di seconda e terza generazione – ad abbracciare l’ideologia dello jihadismo, aiutandoci a capire quanto fascino può esercitare un islam radicale che si propone come una sorta di bussola, liberando l’individuo dalla difficoltà di orientarsi da solo in questo nostro fluttuante e confuso mondo occidentale e offrendo certezze tanto granitiche quanto rassicuranti dove il Bene e il Male, il Lecito e l’Illecito, l’Amico e il Nemico hanno un posto ben definito e chiaro.
    Utopia regressiva, certo, che i nostri occhi leggono come distopia spaventosa e perversa, e che pure è molto efficace nel mobilitare e nel motivare quanti vivono l’esclusione sociale, reale o percepita come tale, passando dal rifiuto al rancore e all’odio verso l’occidente e i suoi modelli culturali. Sicuramente questo libro ci aiuta ad entrare in un mondo che poco conosciamo ma che ci sta al fianco, costituendo un buon punto di partenza per indurci a far splendere di più quelle fiaccole che forse, per stanchezza o per abitudine, abbiamo troppo frettolosamente riposto nei nostri solai, e a controllare che i fili delle nostre verità fatte di buchi e di toppe non siano diventati davvero troppo slabbrati…

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