venerdì 17 giugno 2016

In una parola / Che fare? (noi maschi)
 di Alberto Leiss

Pubblicato sul manifesto il 14 giugno 2016


Come molti sanno Che fare è il titolo di un celebre scritto di Lenin, a sua volta citazione dell’omonimo e forse meno celebre (ma molto più bello) romanzo di Černyševskij. Un libro-manifesto determinante per la vittoria del bolscevichi nella rivoluzione d’Ottobre. Ma anche – mi sento di dire – per i tragici disastri che una certa concezione del potere rivoluzionario ha prodotto in seguito. Tempo fa un illuminato dirigente del vecchio Pci ci esortava a concentrarci piuttosto sul che pensare, prima di agire perseverando in antichi errori…
L’interrogativo di quel titolo, con la coorte di dubbi che si porta dietro, mi è tornato in mente leggendo i numerosi interventi maschili che si sono schierati contro la violenza sulle donne, spesso adottando per certi versi, e più o meno consapevolmente, quel “partire da sé” teorizzato e praticato dal femminismo. Dall’appello pubblicato l’11 giugno dal Manifesto, agli interventi di Christian Raimo, Nicola Lagioia, Michele Serra, Paolo Di Stefano, per citare solo gli ultimi che ho letto su alcuni siti e quotidiani nazionali (una raccolta si sta formando sul sito “maschileplurale.it”): in genere mi ha colpito l’opinione, diffusa, che il problema riguardi il persistere di una cultura maschilista del possesso e della forza dalla quale è difficile dirsi completamente immuni.
Ascoltando e leggendo poi altre notizie di questi giorni mi rimbalzava l’idea che un filo rosso, o per meglio dire nero, e sessuato, leghi in qualche modo l’omofobia omicida e terrorista di Orlando ai tumulti degli hooligans di varie nazionalità “europee”, ai femminicidi di cui si discute nel bel paese. Ovvio che dire così espone al rischio di azzerare le enormi differenze che connotano comportamenti violenti tanto distanti nelle modalità, nelle conseguenze, nei contesti, nelle stesse “motivazioni”.
Eppure l’ipotesi che qualcosa sia da ricondurre a una incapacità di vivere il proprio corpo e la relazione con l’altro/a radicata nella sessualità maschile così come è codificata in tante culture pur molto diverse, non mi sentirei di escluderla completamente. C’è chi mette poi in relazione la violenza personale e sociale con gli effetti della crisi economica, e del malessere che crea, esasperato da un sistema “neoliberista” che accentua il narcisismo e l’edonismo solitario.
Un mix deleterio soprattutto per un più fragile equilibrio dell’ex “sesso forte”? Un esito che francamente eviterei è quello di definirsi “vittime” di un sistema di potere di cui riconosciamo la matrice patriarcale. Prima vediamone le connivenze.
Dopo le molte e più o meno discutibili parole di uomini di buona volontà, è difficile non porsi il problema del che fare (senza rimuovere l’essenziale che pensare). La prima cosa che mi viene in mente è una proposta molto modesta: incontrarsi, mettere a confronto le proprie idee e le proprie esperienze. Non accontentarsi di firmare accorati interventi e appelli. Un secondo passo può essere interrogarsi – pubblicamente? – su come si agisce e interagisce in ogni contesto, su che cosa e come si desidera: la famiglia e le proprie relazioni affettive, il proprio essere padri (o non esserlo), i luoghi di lavoro, la politica, il sindacato, e il rapporto che viviamo con quel tanto o poco di potere reale che siamo pronti a ammettere di gestire solo perché uomini.
Fatti e non parole? Ma i fatti possono essere anche nuove parole, se nascono da una diversa pratica di scambio consapevole e condivisa. Tra maschi. E con le donne che desiderassero interloquire.



2 commenti:

  1. Devo dire che condivido in gran parte le riflessioni dei testi pubblicati in questi giorni sul tema del femminicidio e ritengo che la prospettiva indicata da Leiss nel suo articolo ci interroghi tutti: maschi e femmine.
    Ragionando sul " che fare?" penso che oltre a richiedere la partecipazione dei maschi, che spesso non sono estranei all'esperienza del dolore nella coppia, quando questo sfocia nell'atto criminale, dovremmo anche interrogarci, in quanto donne, sul l'orientamento da perseguire.
    Io ritengo, guardando alla storia, che le donne non abbiano nulla da guadagnare da un ritorno al passato, in cui non possiamo far altro che costatare, salvo qualche caso sporadico e spesso poco documentato, una condizione di sottomissione.
    Nonostante ciò talvolta assisto anche tra le nuove generazione ad una sorta di nostalgia del tempo perduto, declinata nella forma di un ritorno alla natura, come se questa non fosse un fenomeno potente e complesso, ma solo luogo di giustizia e delizie.
    Dovremmo essere più consapevoli del fatto che lo stato di natura non mai stato particolarmente generoso con noi donne.
    Abbiamo minore forza fisica e la maternità impone dei limiti oggettivi su cui nel tempo sono state legittimate teorie del l'esclusione o, al meglio, della complementarietà.
    La nostra alleata non è la natura, ma la storia.
    I diritti delle donne si sono affermati con il progresso materiale e con la battaglia per l'accesso alla cultura.
    CHE FARE?
    Penso che non dobbiamo abbandonare la strada intrapresa.

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  2. In seguito al commento di Massima vorrei cercare di chiarire alcune cose da femminista della prima ora. Certamente le donne hanno, a suo tempo, commesso alcuni errori, dovuti alla foga di rivendicare un ruolo di persona che si distaccasse da quello canonico di moglie e di madre ed hanno trascurato di coinvolgere pienamente i maschi nelle loro discussioni per cui solo alcuni di loro hanno condiviso il percorso che dagli anni '70 del secolo scorso ad oggi insieme hanno compiuto. Io sono molto soddisfatta che negli ultimi tempi, in seguito a fatti molto dolorosi, anche gli uomini abbiano sentito il dovere di intervenire direttamente sui giornali portando il loro punto di vista e individuando alcuni comportamenti che sono tipici dell'uomo. Il Che Fare per me inizia da qui. Dal confronto intellettuale tra perone diverse che hanno comportamenti, istinti e culture differenti che debbono essere messe sul tavolo della discussione sinceramente e in modo civile senza prevaricazione da nessuno dei due. Non siamo nemici ma componenti diverse di questa società nella quale viviamo, ci amiamo, litighiamo ma nel rispetto reciproco. Solo conoscendoci nel profondo riusciremo, noi donne a comprendere meglio noi stesse, e gli uomini ad aprirsi e a farsi conoscere pienamente da noi. Il processo sarà lungo, non mi aspetto miracoli, ma intravvedo una disponibilità che ci aiuterà a superare ostacoli ed incomprensioni. Speriamo in bene!!!

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