domenica 1 gennaio 2017

La parola del mese - Gennaio 2017


LA PAROLA DEL MESE 

A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni


GENNAIO 2017  


Si presta a declinazioni diverse, quando non apertamente contrapposte, questa parola del mese. Un verbo. Spesso invocato, ma altrettanto spesso malamente applicato. viene giudicato, all’apparenza in modo unanime, un “modus pensandi”, uno schema logico, indispensabile, se non doveroso, per meglio affrontare e comprendere argomenti e questioni. Ma non mancano al suo riguardo perplessità e diffidenze, per il rischio di un suo utilizzo esasperato. Alcuni in particolare ne diffidano ritenendolo una sorta di scorciatoia verso il  relativismo (una posizione che nega l'esistenza di verità assolute, o mette criticamente in discussione la possibilità di giungere a una loro definizione definitiva)



Contestualizzare

contestualizzare = considerare un’affermazione, un concetto, un fenomeno, un comportamento, una teoria, riferendola al contesto nel quale è maturata e si è manifestata



Esempio (provocatoriamente) “universale” = Contestualizzare l’intera vicenda umana nell’ambito spaziale e temporale nel quale “……..è maturata e si è manifestata……”  vuol dire fare i conti con dimensioni che da sole potrebbero rendere, ad un qualsiasi osservatore esterno,  tutti i nostri storici affanni materia insignificante (ovviamente e comprensibilmente non è la nostra prospettiva di osservazione).

-      La Terra è un piccolo pianeta orbitante attorno ad una stella, il Sole, di medio/piccole dimensioni collocata, con il sistema di pianeti che la circondano, in una posizione decentrata in una galassia, la Via Lattea, composta da circa trecento miliardi di altre stelle. A sua volta la nostra galassia concorre con cento miliardi di altre galassie, composte da cento a quattrocento miliardi di stelle l’una, a comporre l’Universo così come ci è stato finora possibile conoscere

-      Tutte le galassie, le stelle, gli ammassi gassosi ed i pianeti compongono il cinque per cento dell’Universo, il restante  novantacinque per cento è formato da materia a noi finora sconosciuta, la materia oscura

-      Questo Universo ha iniziato a formarsi, trecento-ottantamila anni dopo il Big Bang, ed ha tredici miliardi e settecento milioni di anni di vita

-      La nostra stella, il Sole, con i suoi pianeti, Terra compresa, ha circa quattro miliardi e seicento milioni di anni

-      L’Homo Sapiens, cioè noi, è comparso nel percorso evoluzionistico della vita sulla Terra circa duecentomila  anni fa e le vicende umane definite “storia” hanno poco più di diecimila anni

Ritorniamo pure a volgere lo sguardo sulla Terra e su di noi ma è davvero difficile restare indifferenti di fronte a questo “contesto” e non percepirne il peso “ontologico” (l’oggetto in sé).  Al punto da rendere legittima una visione complessivamente “relativista”?  E sarà magari per questo che la teoria principale di Einstein si chiama “relatività generale”?

3 commenti:

  1. Riflettendo sulla parola/concetto mensilmente proposta dal blog di circolarmente, dirigerei l’attenzione sull’accezione metodologica implicita, che già Galileo aveva analizzato e che Kurt Lewin aveva posto come principio basilare per qualsiasi studio scientifico.
    In breve cito K. Lewin :”… il tipo e la direzione dei vettori fisici nella dinamica aristotelica sono completamente determinati in anticipo dalla natura dell’oggetto considerato. Nella fisica moderna, per contro, l’esistenza di un vettore fisico dipende sempre dalle mutue relazioni fra diversi fattori fisici, e in particolare dalle relazioni fra l’oggetto e l’ambiente in cui esso si trova. Naturalmente questo vale anche nel caso di cause interne, che implicano mutue relazioni fra le diverse parti di un sistema fisico.”( K. Lewin “Teoria dinamica della personalità” Giunti- Barbéra pag.36 ).
    Spero di aver sufficientemente esplicitato il mio commento, dato che ho dovuto necessariamente sintetizzarlo.

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  2. Dato che toccava a me scegliere la “Parola del Mese” avevo immaginato di trovarne una che riprendesse quella del mese precedente “bufala”, ossia la parola-chiave per ragionare sull’era della “post-verità”, e la collegasse all’altra grande questione “post” di questi ultimi tempi: quella della “post-democrazia”. Inizialmente avevo pensato potesse essere “oclocrazia” (dal gr. “oclo = folla, moltitudine, massa e “crazia” = potere, letteralmente = Governo della plebe, predominio politico della massa; il termine greco è attestato per la prima volta in Polibio, dove indica una forma degenerata di democrazia). Non pensate male, non frequento abitualmente termini così, semplicemente l’avevo trovata in un articolo che rifletteva proprio su post-verità e post-democrazia. Poi, un po’ intimorito dall’eccesso intellettualoide del termine, ho puntato su “contestualizzare” sulla base di una personalissima convinzione. Ritengo infatti che applicare il prefisso “post” a parole/valori come “verità” e “democrazia” (ma vale ovviamente per ogni termine da tempo presente nella vita e nella cultura umana) rischia, quasi automaticamente non meno che inconsapevolmente, di attribuire ad essi un significato assoluto, a-temporale, slegato cioè dal contesto in cui si manifestano e prendono corpo. Infatti si può ad esempio parlare in modo indistinto di “verità” in un ambito scientifico piuttosto che filosofico, ovvero di “democrazia” nelle società borghesi europee del XIX secolo piuttosto che in quelle di alcuni paesi africani del secolo attuale. Ma non appena sorge, e sempre deve sorgere, l’obbligo di precisare cosa si intende in quella specifica accezione per il termine “verità”, si deve ricorrere all’aggancio in un caso ad evidenze riscontrabili e nell’altro ad opinioni più o meno bene articolate, piuttosto che a sistemi storicamente consolidati basati sul pluralismo partitico in un caso e a sistemi ancora non definiti e articolati su base etnica. Se è immaginabile un consenso di massima all’opportunità metodologica della “contestualizzazione” non è assolutamente detto, anzi, che questo consenso si traduca in prassi consolidata. Mi sembrava quindi opportuno, ed utile, una riflessione in questo senso. Specie su questioni “chiave” al centro del nostro dibattito collettivo ed in tempi complicati come quelli che stiamo vivendo. E sulle quali, e nei quali, troppo spesso ci si confronta in termini e modi “assoluti”. Già questa constatazione è, a modo suo, un esempio piccino di “contestualizzare”.

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  3. Questa parola che di per sé sembra abbastanza neutra, quando non esprime qualcosa di indubitabilmente doveroso (non giudicare una singola frase al di fuori del contesto, un'azione indipendentemente dal quadro di riferimento in cui è stata compiuta) si presta bene, a mio giudizio, ad evidenziare che cosa succede di fuorviante ogni qual volta tendiamo ad eccedere con le buone intenzioni, come accade nel linguaggio "politicamente corretto". Così, ad esempio, le scienze umane del novecento (psicologia e sociologia in primis), che ci hanno giustamente spinto a tenere sempre presente il contesto in cui le azioni degli individui si dispiegano, hanno finito con l'oscurare il concetto di responsabilità individuale, spostando dall'individuo all'ambiente familiare e sociale la genesi delle azioni, considerandole dunque come prevalentemente reattive. Un modo di pensare da cui sono stata in qualche modo "plasmata" e che non rinnego, ma di cui scorgo anche la china scivolosa...

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