martedì 14 marzo 2017

Relazione sulla conferenza della Prof.ssa Valentina Pazè "La democrazia alla sfida del multiculturalismo" - Acura di Enrica Gallo


Relazione sulla conferenza

 della prof.ssa Valentina Pazè:



La democrazia alla sfida

del multiculturalismo





Alla professoressa Valentina Pazè, ricercatrice e docente di Filosofia politica presso l’Università di Torino, studiosa del pensiero di Norberto Bobbio e particolarmente interessata alle questioni relative al comunitarismo e al multiculturalismo, Circolarmente ha affidato il compito di affrontare il tema delle sfide cui sono sottoposte le nostre democrazie di fronte all’impatto con culture “altre”: una situazione che crea un’indubbia tensione fra il valore dato ai diritti individuali, come si sono configurati nella nostra modernità occidentale, e le richieste di riconoscimento e di diritti particolari e collettivi che possono venire da settori della popolazione che si percepiscono come comunità distinte.

Alla serata partecipa anche come gradito ospite l’assessore alle politiche sociali Enrico Tavan, al quale l‘associazione ha chiesto di illustrare le linee guida dell’accoglienza ai richiedenti asilo e ai titolari di protezione internazionale che sono state adottate nel comune di Avigliana e negli altri comuni della bassa Valle, nel desiderio di dare maggiore concretezza alle riflessioni  che  Circolarmente ha promosso su questi temi.  



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1 - Un tema che viene da lontano:

l’incontro con lo straniero



Nella speranza di dare un buon contributo alla riflessione, la prof.ssa Pazè ha riportato alla nostra memoria alcune immagini che di recente hanno occupato con clamore la scena mediatica (quelle, per intenderci, delle bagnanti di fede musulmana coperte dal “burkini” a cui è stato inibito l’accesso su alcune spiagge francesi, quando non sono state letteralmente obbligate a scoprirsi, a seguito delle ordinanze di alcuni sindaci che si sono sentiti autorizzati a farlo in ottemperanza alle leggi impostate sul divieto di indossare il velo o altri simboli religiosi nelle scuole e il burka in qualsiasi spazio pubblico). Ordinanze che sono state successivamente invalidate da una sentenza della Corte costituzionale, in quanto considerate incompatibili con il principio di uguaglianza, e che però ci interrogano non solo su di una concezione alquanto paternalistica dell’emancipazione delle donne che diventa costrittiva nei confronti delle donne stesse, ma più in generale sulla difficoltà che tutti i paesi occidentali rivelano nel gestire le diversità culturali.

Un problema che può sembrare di stretta attualità ma che in effetti attraversa tutta la storia, a partire da quella democrazia ateniese da cui facciamo discendere il lungo filo che porta alle nostre moderne democrazie, e in cui già risultava evidente  una modalità di rapporto con gli stranieri che andava dalla paura degli elementi corruttivi che essi potevano portare con sé (il brano che la professoressa ha scelto, tratto dall’ultimo scritto platonico,  “Le leggi” ,  è risultato in questo senso molto eloquente…) al desiderio e al coraggio sereno del confronto, come si configurano invece nel discorso del Pericle  tucidideo, o ancora alla curiosità dell’Altro, dei suoi diversi costumi e saperi, che trova in Erodoto e nelle sue storie uno dei suoi  maggiori interpreti.

E’ dunque una sfida non del tutto nuova, quella che affrontiamo oggi e che è andata declinandosi secondo due opposti modelli: quello che viene definito “assimilazionista”, per cui si richiede a chi è straniero in mezzo a noi di uniformarsi totalmente alle nostre leggi e ai nostri costumi  – il modello francese, per intenderci - e quello che viene definito “multiculturale”, adottato prevalentemente nei paesi anglosassoni, in cui si cerca invece di lasciare spazio, entro alcuni limiti, agli aspetti culturali che ne costituiscono il retaggio.

Nella sua riflessione la professoressa Pazè, più che entrare nel dettaglio sulle modalità proprie di ciascuno di questi modelli, ha preferito fare alcuni chiarimenti sul termine–concetto di multiculturalismo, che è entrato nel dibattito giuridico e filosofico e nel discorso pubblico intorno agli anni sessanta negli Stati Uniti in opposizione alla filosofia del cosiddetto “melting pot” (l’idea assimilazionista  di un grande crogiuolo in cui tutte le culture che entravano nel paese potessero fondersi)); un indirizzo di pensiero in cui autori come Charles Taylor, Will Kymlicka e  altri a cui si può conferire genericamente l’etichetta di “comunitaristi”, pur con posizioni diverse, rivendicavano il diritto delle varie comunità di conservare il proprio patrimonio culturale,  richiedendo l’integrazione nel sistema giuridico dei cosiddetti diritti collettivi o particolaristici.



2 -  I tre “passi” del multiculturalismo:

elementi caratterizzanti e  contraddizioni interne



La prof. Pazè prende dunque in esame, osservandoli per così dire controluce, alcuni passaggi concettuali del multiculturalismo, che parte in generale col sottolineare un dato di realtà  in apparenza  meramente descrittivo - la presa d’atto che il mondo così come lo conosciamo da sempre è suddiviso in gruppi e comunità distinte, ciascuna delle quali ha elaborato nel tempo dei particolari codici culturali - per arrivare con un secondo passaggio argomentativo ad un esplicito giudizio di valore, in quanto si afferma che questa diversità culturale va tutelata e conservata, essendo funzionale all’ecologia del mondo stesso. Da qui alla richiesta politica di riconoscimento il passo è breve e porta alla richiesta di affiancare, ai diritti già previsti dagli attuali codici giuridici, dei nuovi diritti culturali collettivi per i gruppi minoritari.

Tre “passi” che naturalmente sono stati espressi in modi più o meno radicali e che richiedono, secondo la prof.ssa Pazè, un’analisi attenta, per renderne evidenti alcune contraddizioni interne.

 * Iniziamo dalla constatazione, apparentemente “pacifica”, delle differenze che i gruppi umani presentano. Essa costituisce sicuramente un dato di realtà, ma può essere declinata in due accezioni profondamente diverse: una di impronta essenzialista, che immagina il mondo come un mosaico composto da tasselli  ognuno con la sua forma e il suo colore definibili e immodificabili (una visione, osserva la relatrice, che gli stessi antropologi non condividono più e che in effetti reifica le culture, rappresentandole come omogenee al loro interno, così che i loro esponenti vengono ad essere facilmente appiattibili su degli stereotipi), e una più flessibile, in cui le varie culture umane sono pensate come una sorta di affresco in cui i colori possono stemperarsi e incrociarsi, perché esse non sono statiche ma si evolvono e sono soggette a contaminazioni, rendendo chi le abita più simili ad interpreti, piuttosto che a meri esemplari.

* Quanto al secondo punto, l’idea che tutte le culture in quanto tali vadano protette perché possano conservarsi e sopravvivere, al pari delle varie forme di biodiversità ritenute essenziali all’ecologia del pianeta (accolta, fra varie Carte dei diritti, anche in una Dichiarazione dell’Unesco del 2001), necessita parimenti, secondo la relatrice, di una particolare valutazione critica. Se pure si ritiene che le differenze siano un valore, è evidente che non sempre tutti gli elementi di una cultura meritano di essere salvaguardati, anzi spesso sarebbe bene abbandonarli (com’è stato fatto, per esempio, con  pratiche aberranti come la fasciatura a scopo estetico dei piedi delle bambine cinesi e come ci auguriamo avverrà con pratiche altrettanto disumane come l’infibulazione). Perché ad un certo punto, osserva la prof.ssa Pazè,  occorre pure chiedersi se sono le culture che vanno difese, o le persone: non possiamo fingere di ignorare come certe tradizioni culturali siano in realtà legate a situazioni di potere che non garantiscono affatto i diritti di coloro che vi sono soggetti. Come spesso ricorda il giurista Luigi Ferraioli, la difesa delle culture non deve avvenire a scapito della difesa dalle culture...

* La considerazione di cui sopra viene dunque a costituire una sorta di bussola per orientarci rispetto all’ultima questione posta dai multiculturalisti, e cioè se la nostra civiltà giuridica debba contemplare dei nuovi diritti collettivi e particolari accanto a quelli individuali, che nelle nostre democrazie liberali ne costituiscono il perno. Ora, tenendo presente intanto che quando parliamo di diritti individuali il nostro orizzonte non è un mondo solipsistico, di individui racchiusi in se stessi - in essi rientra infatti ampiamente la libertà di associazione – occorre pragmaticamente riconoscere, secondo la relatrice, che su alcune deroghe o richieste particolari una democrazia laica può convenire senza affatto tradire se stessa, perché esse possono agevolmente rientrare nei principio fondamentale di uguaglianza (così, ad esempio, non dovrebbe costituire materia di controversia che alle mense scolastiche gli allievi musulmani possano disporre di una dieta  diversificata, né che le studentesse possano indossare il velo in classe....).

Dobbiamo infatti sempre ricordare che la stella polare del liberalismo, qual è stato espresso già nel 1800 da John Stuart Mill, è il principio del danno, per cui vanno sanzionati solo i comportamenti che sono lesivi per altri. Il diritto non deve mai occuparsi dei modi di essere e di pensare, come ancora ci ricorda Ferraioli: la laicità è soprattutto inclusione, e lo spirito della democrazia, per la prof. Pazé, sta in una buona attitudine al compromesso “alto”, in cui si resta aperti alla relazione, senza irrigidirsi in quella “stasis” generatrice di conflitti di cui parla Tucidide nella sua ricostruzione della guerra del Peloponneso. Questo non implica, naturalmente, l’assenza di confini, ed è in effetti su questo punto che si apre il dibattito in cui vengono messi in discussione  due temi  importanti:



quali confini nell’incontro con l’Altro?

come difendersi dagli eccessi di identità?



Rispetto al primo punto, uno degli interlocutori, pur esprimendo grande apprezzamento per la chiarezza concettuale dell’esposizione della prof.ssa Pazè, richiama la sua attenzione sul fatto che l’apertura richiede un elemento centrale forte, un perno capace di tenere la rotta: nell’attuale condizione di compresenza nel nostro mondo occidentale di culture e  fedi diverse, se mancano regole chiare l’idea di confine diventa assai vaga, e l’apertura può tradursi in un piano inclinato alquanto  scivoloso…

Secondo la relatrice peraltro nella nostra Costituzione ci sono già tutti gli strumenti utili per evitare  fraintendimenti e per fissare i necessari “paletti”, benché essa sia (anzi, proprio  grazie a questo, a suo giudizio) una costituzione che non eccede nella regolamentazione, che ha deciso cioè di non proteggersi troppo, scegliendo di  limitarsi a sanzionare quei comportamenti che vanno contro ai suoi principi generali senza  irrigidirsi in un sistema di regole troppo cogenti, che finirebbero per soffocare la nostra stessa libertà.

Quanto all’idea che occorrerebbe cominciare a difendersi dagli eccessi di culture - un tema sollevato da un altro interlocutore, che sottolinea la natura giudicante, assertiva e divisiva delle culture stesse, proponendo una  sorta di  “aculturalismo”, la prof.ssa Pazè  ritiene che bisogna pur riconoscere che esse rappresentano sistemi di significato con i quali non possiamo evitare di entrare in relazione – ognuno di noi viene al mondo in una particolare cultura umana - : possiamo bensì farlo criticamente, guardandole al loro interno con spirito aperto. Cita a questo proposito un bel libro dell’antropologo  Francesco Remotti – Contro l’identità - in cui  si sostiene che non è tanto dell’identità culturale che bisogna liberarsi, ma di un’idea essenzialista della cultura e di una concezione dell’identità come di una sorta di roccia, statica e immutabile, mentre essa è piuttosto identificabile come movimento e flusso... (ricordiamo, per inciso, che Remotti è stato più volte ospite di Circolarmente per discutere in modo specifico su questi temi, che sono davvero di grande rilevanza).    



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N.B. =  Segnaliamo a chi desidera approfondire questi  argomenti un agile libretto della prof.ssa Pazè, intitolato “Il comunitarismo” (ed. Laterza), mentre per sua gentile concessione verranno postati sul blog due articoli che riprendono, ampliandoli, i temi della conferenza stessa.



Si darà inoltre riscontro a parte, dato l’interesse che merita, al Protocollo d’intesa siglato tra enti locali e Prefettura di Torino per l’accoglienza diffusa di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale presenti in Italia, che vede coinvolti diversi comuni della bassa Valle con il comune di Avigliana come capofila e che è stato presentato nelle sue linee generali, nel corso della serata,  dall’assessore Enrico Tavan.  

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