Relazione
sulla conferenza
della prof.ssa Valentina Pazè:
“La
democrazia alla sfida
del
multiculturalismo”
Alla professoressa
Valentina Pazè, ricercatrice e docente di Filosofia politica presso
l’Università di Torino, studiosa del pensiero di Norberto Bobbio e
particolarmente interessata alle questioni relative al comunitarismo e al
multiculturalismo, Circolarmente ha affidato il compito di affrontare il tema
delle sfide cui sono sottoposte le nostre democrazie di fronte all’impatto con
culture “altre”: una situazione che crea un’indubbia tensione fra il valore
dato ai diritti individuali, come si sono configurati nella nostra modernità
occidentale, e le richieste di riconoscimento e di diritti particolari e
collettivi che possono venire da settori della popolazione che si percepiscono
come comunità distinte.
Alla serata partecipa
anche come gradito ospite l’assessore alle politiche sociali Enrico Tavan, al
quale l‘associazione ha chiesto di illustrare le linee guida dell’accoglienza
ai richiedenti asilo e ai titolari di protezione internazionale che sono state
adottate nel comune di Avigliana e negli altri comuni della bassa Valle, nel
desiderio di dare maggiore concretezza alle riflessioni che
Circolarmente ha promosso su questi temi.
…………………………………………
1 - Un tema che
viene da lontano:
l’incontro con lo
straniero
Nella
speranza di dare un buon contributo alla riflessione, la prof.ssa Pazè ha
riportato alla nostra memoria alcune immagini che di recente hanno occupato con
clamore la scena mediatica (quelle, per intenderci, delle bagnanti di fede
musulmana coperte dal “burkini” a cui è stato inibito l’accesso su alcune
spiagge francesi, quando non sono state letteralmente obbligate a scoprirsi, a
seguito delle ordinanze di alcuni sindaci che si sono sentiti autorizzati a
farlo in ottemperanza alle leggi impostate sul divieto di indossare il velo o
altri simboli religiosi nelle scuole e il burka in qualsiasi spazio pubblico). Ordinanze
che sono state successivamente invalidate da una sentenza della Corte
costituzionale, in quanto considerate incompatibili con il principio di
uguaglianza, e che però ci interrogano non solo su di una concezione alquanto
paternalistica dell’emancipazione delle donne che diventa costrittiva nei
confronti delle donne stesse, ma più in generale sulla difficoltà che tutti i
paesi occidentali rivelano nel gestire le diversità culturali.
Un
problema che può sembrare di stretta attualità ma che in effetti attraversa
tutta la storia, a partire da quella democrazia ateniese da cui facciamo discendere
il lungo filo che porta alle nostre moderne democrazie, e in cui già risultava
evidente una modalità di rapporto con
gli stranieri che andava dalla paura degli elementi corruttivi che essi
potevano portare con sé (il brano che la professoressa ha scelto, tratto
dall’ultimo scritto platonico, “Le
leggi” , è risultato in questo senso
molto eloquente…) al desiderio e al coraggio sereno del confronto, come si
configurano invece nel discorso del Pericle
tucidideo, o ancora alla curiosità dell’Altro, dei suoi diversi costumi
e saperi, che trova in Erodoto e nelle sue storie uno dei suoi maggiori interpreti.
E’
dunque una sfida non del tutto nuova, quella che affrontiamo oggi e che è
andata declinandosi secondo due opposti modelli: quello che viene definito
“assimilazionista”, per cui si richiede a chi è straniero in mezzo a noi di
uniformarsi totalmente alle nostre leggi e ai nostri costumi – il modello francese, per intenderci - e
quello che viene definito “multiculturale”, adottato prevalentemente nei paesi
anglosassoni, in cui si cerca invece di lasciare spazio, entro alcuni limiti,
agli aspetti culturali che ne costituiscono il retaggio.
Nella
sua riflessione la professoressa Pazè, più che entrare nel dettaglio sulle
modalità proprie di ciascuno di questi modelli, ha preferito fare alcuni
chiarimenti sul termine–concetto di multiculturalismo, che è entrato nel
dibattito giuridico e filosofico e nel discorso pubblico intorno agli anni
sessanta negli Stati Uniti in opposizione alla filosofia del cosiddetto
“melting pot” (l’idea assimilazionista
di un grande crogiuolo in cui tutte le culture che entravano nel paese
potessero fondersi)); un indirizzo di pensiero in cui autori come Charles
Taylor, Will Kymlicka e altri a cui si
può conferire genericamente l’etichetta di “comunitaristi”, pur con posizioni diverse,
rivendicavano il diritto delle varie comunità di conservare il proprio
patrimonio culturale, richiedendo l’integrazione
nel sistema giuridico dei cosiddetti diritti collettivi o particolaristici.
2 - I tre “passi” del multiculturalismo:
elementi
caratterizzanti e contraddizioni interne
La
prof. Pazè prende dunque in esame, osservandoli per così dire controluce,
alcuni passaggi concettuali del multiculturalismo, che parte in generale col
sottolineare un dato di realtà in
apparenza meramente descrittivo - la
presa d’atto che il mondo così come lo conosciamo da sempre è suddiviso in gruppi
e comunità distinte, ciascuna delle quali ha elaborato nel tempo dei
particolari codici culturali - per arrivare con un secondo passaggio argomentativo
ad un esplicito giudizio di valore, in quanto si afferma che questa diversità
culturale va tutelata e conservata, essendo funzionale all’ecologia del mondo
stesso. Da qui alla richiesta politica di riconoscimento il passo è breve e
porta alla richiesta di affiancare, ai diritti già previsti dagli attuali
codici giuridici, dei nuovi diritti culturali collettivi per i gruppi
minoritari.
Tre
“passi” che naturalmente sono stati espressi in modi più o meno radicali e che
richiedono, secondo la prof.ssa Pazè, un’analisi attenta, per renderne evidenti
alcune contraddizioni interne.
* Iniziamo dalla constatazione, apparentemente
“pacifica”, delle differenze che i gruppi umani presentano. Essa costituisce
sicuramente un dato di realtà, ma può essere declinata in due accezioni
profondamente diverse: una di impronta essenzialista, che immagina il mondo
come un mosaico composto da tasselli
ognuno con la sua forma e il suo colore definibili e immodificabili (una
visione, osserva la relatrice, che gli stessi antropologi non condividono più e
che in effetti reifica le culture, rappresentandole come omogenee al loro interno,
così che i loro esponenti vengono ad essere facilmente appiattibili su degli
stereotipi), e una più flessibile, in cui le varie culture umane sono pensate
come una sorta di affresco in cui i colori possono stemperarsi e incrociarsi, perché
esse non sono statiche ma si evolvono e sono soggette a contaminazioni, rendendo
chi le abita più simili ad interpreti, piuttosto che a meri esemplari.
*
Quanto al secondo punto, l’idea che tutte le culture in quanto tali vadano
protette perché possano conservarsi e sopravvivere, al pari delle varie forme
di biodiversità ritenute essenziali all’ecologia del pianeta (accolta, fra
varie Carte dei diritti, anche in una Dichiarazione dell’Unesco del 2001),
necessita parimenti, secondo la relatrice, di una particolare valutazione
critica. Se pure si ritiene che le differenze siano un valore, è evidente che
non sempre tutti gli elementi di una cultura meritano di essere salvaguardati,
anzi spesso sarebbe bene abbandonarli (com’è stato fatto, per esempio, con pratiche aberranti come la fasciatura a scopo
estetico dei piedi delle bambine cinesi e come ci auguriamo avverrà con
pratiche altrettanto disumane come l’infibulazione). Perché ad un certo punto,
osserva la prof.ssa Pazè, occorre pure
chiedersi se sono le culture che vanno difese, o le persone: non possiamo
fingere di ignorare come certe tradizioni culturali siano in realtà legate a
situazioni di potere che non garantiscono affatto i diritti di coloro che vi
sono soggetti. Come spesso ricorda il giurista Luigi Ferraioli, la difesa delle
culture non deve avvenire a scapito della difesa dalle culture...
*
La considerazione di cui sopra viene dunque a costituire una sorta di bussola
per orientarci rispetto all’ultima questione posta dai multiculturalisti, e
cioè se la nostra civiltà giuridica debba contemplare dei nuovi diritti
collettivi e particolari accanto a quelli individuali, che nelle nostre
democrazie liberali ne costituiscono il perno. Ora, tenendo presente intanto
che quando parliamo di diritti individuali il nostro orizzonte non è un mondo
solipsistico, di individui racchiusi in se stessi - in essi rientra infatti
ampiamente la libertà di associazione – occorre pragmaticamente riconoscere,
secondo la relatrice, che su alcune deroghe o richieste particolari una
democrazia laica può convenire senza affatto tradire se stessa, perché esse
possono agevolmente rientrare nei principio fondamentale di uguaglianza (così,
ad esempio, non dovrebbe costituire materia di controversia che alle mense
scolastiche gli allievi musulmani possano disporre di una dieta diversificata, né che le studentesse possano
indossare il velo in classe....).
Dobbiamo
infatti sempre ricordare che la stella polare del liberalismo, qual è stato
espresso già nel 1800 da John Stuart Mill, è il principio del danno, per cui vanno
sanzionati solo i comportamenti che sono lesivi per altri. Il diritto non deve
mai occuparsi dei modi di essere e di pensare, come ancora ci ricorda
Ferraioli: la laicità è soprattutto inclusione, e lo spirito della democrazia,
per la prof. Pazé, sta in una buona attitudine al compromesso “alto”, in cui si
resta aperti alla relazione, senza irrigidirsi in quella “stasis” generatrice di
conflitti di cui parla Tucidide nella sua ricostruzione della guerra del
Peloponneso. Questo non implica, naturalmente, l’assenza di confini, ed è in
effetti su questo punto che si apre il dibattito in cui vengono messi in
discussione due temi importanti:
quali confini
nell’incontro con l’Altro?
come difendersi
dagli eccessi di identità?
Rispetto
al primo punto, uno degli interlocutori, pur esprimendo grande apprezzamento
per la chiarezza concettuale dell’esposizione della prof.ssa Pazè, richiama la
sua attenzione sul fatto che l’apertura richiede un elemento centrale forte, un
perno capace di tenere la rotta: nell’attuale condizione di compresenza nel
nostro mondo occidentale di culture e
fedi diverse, se mancano regole chiare l’idea di confine diventa assai
vaga, e l’apertura può tradursi in un piano inclinato alquanto scivoloso…
Secondo
la relatrice peraltro nella nostra Costituzione ci sono già tutti gli strumenti
utili per evitare fraintendimenti e per
fissare i necessari “paletti”, benché essa sia (anzi, proprio grazie a questo, a suo giudizio) una
costituzione che non eccede nella regolamentazione, che ha deciso cioè di non
proteggersi troppo, scegliendo di limitarsi a sanzionare quei comportamenti che
vanno contro ai suoi principi generali senza
irrigidirsi in un sistema di regole troppo cogenti, che finirebbero per
soffocare la nostra stessa libertà.
Quanto
all’idea che occorrerebbe cominciare a difendersi dagli eccessi di culture - un
tema sollevato da un altro interlocutore, che sottolinea la natura giudicante,
assertiva e divisiva delle culture stesse, proponendo una sorta di
“aculturalismo”, la prof.ssa Pazè
ritiene che bisogna pur riconoscere che esse rappresentano sistemi di
significato con i quali non possiamo evitare di entrare in relazione – ognuno
di noi viene al mondo in una particolare cultura umana - : possiamo bensì farlo
criticamente, guardandole al loro interno con spirito aperto. Cita a questo
proposito un bel libro dell’antropologo Francesco Remotti – Contro l’identità - in
cui si sostiene che non è tanto
dell’identità culturale che bisogna liberarsi, ma di un’idea essenzialista
della cultura e di una concezione dell’identità come di una sorta di roccia,
statica e immutabile, mentre essa è piuttosto identificabile come movimento e
flusso... (ricordiamo, per inciso, che Remotti è stato più volte ospite di
Circolarmente per discutere in modo specifico su questi temi, che sono davvero di
grande rilevanza).
……………………………………….
N.B.
= Segnaliamo a chi desidera approfondire
questi argomenti un agile libretto della
prof.ssa Pazè, intitolato “Il comunitarismo” (ed. Laterza), mentre per sua gentile concessione
verranno postati sul blog due articoli che riprendono, ampliandoli, i temi
della conferenza stessa.
Si darà inoltre riscontro a parte, dato l’interesse che merita, al
Protocollo d’intesa siglato tra enti locali e Prefettura di Torino per
l’accoglienza diffusa di richiedenti asilo e titolari di protezione
internazionale presenti in Italia, che vede coinvolti diversi comuni della
bassa Valle con il comune di Avigliana come capofila e che è stato presentato
nelle sue linee generali, nel corso della serata, dall’assessore Enrico Tavan.
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