(a
cura di Gieffe)
Prende avvio, con questa prima segnalazione, una nuova “rubrica”
in questo blog di CircolarMente. L’idea è quella di affiancare, ma non necessariamente
in stretto collegamento fra di loro, alla ormai consolidata “Parola del mese”
il “Saggio del mese”. Ossia
una pubblicazione di saggistica che sembra, a giudizio di chi la proporrà,
offrire interessanti spunti di riflessione, collegabili alle tematiche affrontate
da CircolarMente, nell’ambito delle conferenze e dei seminari, ed in questo
stesso blog, o comunque in linea con la nostra ambizione di contribuire a
quella “cittadinanza attiva," in senso lato, obiettivo principale della nostra
associazione.
Quali potrebbero quindi essere nel mare infinito della
saggistica i saggi proponibili? L’ormai consolidata esperienza di CircolarMente
dimostra che in tutti questi anni sono stati affrontati argomenti ad ampio
raggio, legati fra di loro, anno per anno, da alcune parole chiave con una
impostazione che voleva coniugare il miglior approfondimento con il maggior
coinvolgimento possibili. E questa dovrebbe essere la bussola che guiderà le
future scelte di saggi: nessuna particolare limitazione per quanto concerne le
tematiche puntando quindi su testi non eccessivamente “specialistici” in grado comunque
di “arricchire” il nostro dibattito aperto ed inclusivo.
Le segnalazioni cercheranno di non essere una semplice
indicazione di titolo ed autore ma avranno l’ambizione di essere già ,di per sé
stesse, una prima occasione di riflessione.
Alla quale sarebbe bello se l’invito alla lettura fosse,
con i tempi ed i modi che ci sono consentiti dal vivere quotidiano, da qualcuno
recepito ed ancora più bello sarebbe se questa lettura producesse un commento,
un parere, una sintesi.
Ricadute belle ma non indispensabili, e soprattutto non necessariamente
immediate, ci piace infatti pensare che, sui tempi lunghi, si riesca a creare
una sorta di “catalogo” dal quale attingere per eventuali future esigenze di
approfondimento, individuali e collettive.
Alcune proposte potranno essere quelle stesse
consigliate dai relatori delle nostre conferenze e seminari, altre nasceranno
da sollecitazioni legate a futuri contesti, altre ancora, ci piace pensarlo,
arriveranno da iscritti e simpatizzanti che vorranno, con questa modesta
rubrica, condividere loro personali scoperte e letture.
Tutto ciò detto iniziamo con………
Il saggio del mese
Maggio
2018
Lo spunto per segnalare
questo testo, scoperto nel sito on-line “DoppioZero” in un articolo a firma di
Moreno Montanari (analista e filosofo autore di diversi saggi tra i quali Il Tao di Nietzsche (Mimesis, 2005,); Hadot e Foucault
nello specchio dei greci. La filosofia antica come esercizio di trasformazione (Mimesis, 2010); La filosofia come
cura (Mursia, 2012); Vivere la filosofia (Mursia, 2013); Gli equivoci
dell’amore (Mursia,
2015). Collabora stabilmente alla Rivista di psicologia
analitica e alle
pagine culturali di la Repubblica e di Doppiozero) nasce in particolare da alcune riflessioni sorte a margine di recenti conferenze (“Il futuro della
procreazione” e “Digital Twins” ad esempio) che avevano a loro volta indotto a
scegliere il prefisso “post”, nelle sue specifiche versioni “post-moderno” - “post-umano”
– "post-industriale", per meglio capire la discutibile, per quanto diffusa, convinzione
che molti dei nuovi scenari all’ordine del giorno possano essere affrontati
solo ricorrendo a categorie interpretative altrettanto innovative (e quindi
post). Ma è proprio così? Sicuri che il pensiero “antico” (si fa per dire) sia
ormai inutilizzabile per leggere il presente? Il saggio che proponiamo, oltre
che per interessanti osservazioni più “politiche”, si muove esattamente in
questo quadro….
Sconfitta e utopia. Identità
e feticismo attraverso Marx e Nietzsche (Mimesis, Milano_Udine,
2018, pp 236, euro 20),
Leggere
Marx
come sottotesto del nostro
tempo
articolo
di Moreno Montanari
Romano
Màdera riprende un discorso iniziato nel 1977, prima data di uscita del cuore
di questo testo rivisto e ampliato in questa nuova edizione. All’epoca l’autore
usciva con le ossa rotte dalla lotta politica, ma non aveva rinunciato “al
sogno di una cosa”, all’utopia di una condizione umana maggiormente consapevole
e realizzata in una società più giusta e solidale. Non si trattava, né si
tratta, dunque di abbandonare Marx, almeno non in toto, ma di restare
fedeli alle istanze che avevano dato forma a un desiderio capace di incendiare
gli animi, rivedendone la forma. Secondo Màdera, quella di Marx fu “una
perfetta diagnosi, una mediocre prognosi e una terapia inconsistente”. Se
la prima va rilanciata perché è tuttora assolutamente attuale, la seconda va
corretta e la terza, la rivoluzione comunista condotta dalla classe proletaria
e da quanti si schiereranno con essa, decisamente abbandonata. L’idea
dell’unione di tutti proletari in vista della rivoluzione comunista, osserva
Màdera, risulta del resto del tutto slegata dall’impianto teoretico dell’opera
marxiana e quasi giustapposta ad essa. La sua necessità scientifica, potremmo
dire, appare piuttosto una necessità morale, nel senso kantiano del
termine.
Secondo
l’autore, la straordinaria fama de Il manifesto del partito comunista ha
posto l’attenzione sul Marx politico finendo per sottostimare l’importanza “del
filosofo-sociologo-antropologo critico che bisogna saper leggere nel suo
lessico hegeliano riformato”. Al centro della proposta marxiana Màdera
scorge il tentativo di educare alla formazione di una “coscienza enorme” che
sia consapevole dell’interdipendenza di tutto da tutti e di ciascuno da tutto,
e che diventi per questo capace di denaturalizzare i fenomeni sociali avvertiti
come inevitabili e validi in sé, siano essi il capitalismo, la famiglia, la
morale o i rapporti di produzione, perché “il capitale fabbrica, tra gli
altri suoi prodotti, anche il prodotto umano”, con la formidabile capacità di
“rendere perfettamente omogeneo a se stesso ogni preteso avversario”. La
questione è dunque la produzione sociale, di merci e di identità, “senza
coscienza e senza controllo, le qualità assenti che costituiscono il
Feticcio-Golem, automa collettivo guidato da una sistematica del caos”. Al Marx
strutturalista, che leggeva la storia come esito inevitabile di forze che ne
determinano il corso, Màdera affianca, per integrarne la prospettiva, la
dimensione biografica e individuale al centro dei lavori di Nietzsche e di
Freud. Nessuno dei due possedeva la visione d’insieme delle determinazioni
storiche propria di Marx, né la sua “spinta ideale e amorosa verso il
prossimo”, ma entrambi avevano il merito di evidenziare l’irriducibilità del
singolo alle forze che certo lo innervano e lo condizionano ma che, tuttavia,
non lo determinano. Uniti e integrati, i “tre filosofi del sospetto”, come li
definì Ricoeur, potevano offrire una sintesi capace di facilitare una diversa
percezione della realtà, dunque di sé e del mondo, coniugando la dimensione
individuale alla dimensione collettiva che li innerva sin nel midollo, senza
tuttavia annullarne la particolarità biografico-esistenziale. Si scorgono qui i
primi segni della proposta etico-terapeutico-esistenziale che Màdera ha
chiamato “analisi biografica a orientamento filosofico" e che considera il suo “personale modo di continuare a fare politica
con altri mezzi”. Ad animarlo è l’idea è che “l’analisi”, critica o
analitica, “non basta, ci vuole un esercizio per trasformarsi e autotrasformarsi,
una sorta di disciplina personale e di gruppo, tailor-made, adatta alla
biografia di ogni individuo e insieme capace di convivere e cooperare in un
collettivo”. In questa prospettiva le speranze che animavano Marx non
vengono meno ma cessano di essere mete che si vorrebbe concretizzare per
rivelarsi principi e valori per i quali vale la pena vivere, nella
consapevolezza che: “non si lavora per vedere la costruzione del Tempio, ma per
partecipare, portandoli proprio mattone, alla speranza che un Tempio, dedicato
a un’umanità redenta da se stessa, e dal suo retaggio di orrori, ci possa mai
essere”. La sconfitta, insomma, non annulla l’utopia; insegna a viverla
diversamente. Ma torniamo al Marx filosofo e critico della società:
secondo Màdera il cuore della sua proposta critica sta nell’aver colto con
straordinario acume che “il feticismo costituisce il codice genetico della
società dell’accumulazione” sul quale si fondano “non solo la teoria del valore
e la sua forma, ma anche la teoria generale dei rapporti di produzione e di
scambio, nonché la critica dell’economia politica”. È su di esso che poggia
quella che Màdera definisce «La religione consacrata del consumo mantiene
della religione l’inattingibilità delle sue origini e l’ordine sacrificale
della sua scala di valori: proprio perché “incarnato” nell’uso, il valore di
scambio che in esso si realizza diventa “naturale”, innervato dentro le
dinamiche del bisogno organico e psichico, qualcosa la cui rinuncia risulta innaturale
e disapprovata dalla coscienza collettiva». Appare dunque chiaro come la
reificazione denunciata da Marx non si limiti a far scadere le persone a
funzioni, mere cose tra le cose, proprio mentre infonde personalità alle merci
elevandole a feticci dotati di quel magico valore spirituale, che gli
antropologi chiamano mana; essa “struttura i rapporti di potere, le
relazioni tra persone, la psicologia collettiva, i valori, gli ideali, i
simboli,” operando una vera e propria rivoluzione antropologica che chiama
l’individuo ad una coscienza non più, o non soltanto, di classe ma, più
ampiamente, esistenziale. La coscienza enorme auspicata da Marx dovrà essere
olistica e portare il soggetto a riconoscere “nella sua corporea individualità,
l’universalità che è, dissolvendo l’identificazione feticistica” che lo porta a
scambiare la parte per il tutto (questo è appunto un feticcio), per
riconoscere, sulla scia di Nietzsche, la propria identità come irriducibilmente
molteplice, in divenire e in permanente coabitazione con un Altro che le
ricorda, freudianamente, che “l’io non è il padrone di casa”. Permettendo di
comprendere come anche la stessa identità sia un feticcio di cui si dimentica
la natura intrinsecamente dialettica che non va confusa con una sterile ipseità,
Freud e Nietzsche offrono all’indagine marxiana la considerazione della
dimensione irriducibilmente biografica di ogni vicenda umana; da parte sua Marx
ricorda alla psicoanalisi che “l’assoluta incongruenza delle nostre vite non
dipende affatto da una qualche psicopatologia, anzi fa spesso parte della loro
eziologia, poiché favorisce uno stato permanente di dissociazione”. Il
filosofo tedesco Marx cercava compagni di viaggio che si lamentava di non aver
trovato, tanto da sostenere che avrebbe potuto fondare un partito con lui e
l’amico Friedrich Engels come unici iscritti; Nietzsche e Freud l’hanno
volutamente ignorato e si sono pensati enormemente distanti dal suo pensiero,
solo perché lontani dalla sua proposta strettamente politica. Chissà se ora che
quella proposta ha palesato tutti i suoi limiti, questi tre spiriti non possano
agitarsi insieme per il mondo.
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