sabato 15 settembre 2018

Il "Saggio del mese"- Settembre 2018


Il “saggio” del mese  
 SETTEMBRE 2018

Nota per i lettori
Il libro che presentiamo questo mese è sicuramente inconsueto rispetto ai precedenti: riteniamo peraltro che esso possa portare qualche contributo al percorso di lavoro di CircolarMente, affidandoci al giudizio di chi vorrà leggere questa relazione che senza essere esaustiva cerca di delinearne almeno i contorni:


Franco Pezzini
FUOCO E CARNE DI PROMETEO
Incubi, galvanisti e Paradisi Perduti
nel FRANKENSTEIN  di Mary Shelley



Londra,
marzo 1818:
Frankenstein si presenta al mondo

Immaginiamo, seguendo le suggestioni del testo che stiamo per presentare, un ipotetico lettore intento ad osservare sul bancone di una libreria londinese un’opera fresca di stampa, ripartita come d’uso in tre volumetti, il cui titolo - “Frankenstein; ovvero, Il Moderno Prometeo” - è destinato ad incuriosirlo.
Da un lato c’è infatti quel cognome tedesco che pare promettere un che di tenebroso e occulto (dal momento che la terra germanica viene allora considerata la patria del fantastico), mentre il sottotitolo rimanda invece al mondo classico, con il riferimento al titano che ha rubato il fuoco agli dei per consegnarlo agli uomini e che secondo un’altra versione del mito ha plasmato con l’argilla il primo essere umano. Potrà dunque pensare, il nostro ipotetico lettore, di non trovarsi di fronte all’ennesima variante del romanzo gotico, abitato da svenevoli fanciulle e da fantasmi che si aggirano in castelli tenebrosi: una sensazione che potrà avere conferma se proseguirà poi nell’esame del libro, trovandosi di fronte ad un potente incipit tratto dal “Paradiso perduto” di Milton

“Ti ho chiesto io, Artefice
di modellarmi uomo dalla creta?
Ti ho sollecitato io
a liberarmi dall’oscurità?”

Nulla di gotico, dunque? Manca, è vero, il nome dell’autore, il che sarebbe tipico proprio di quel genere di romanzo, quindi il nostro curioso lettore, che ci piace immaginare desideroso di qualcosa di nuovo e di sorprendente, dovrà affidarsi per avere un ulteriore elemento di giudizio alla dedica, che peraltro appare un po’ incongrua per un romanzo con quel titolo, riferendosi essa a William Godwin, filosofo politico e scrittore di idee radicali molto noto soprattutto fra gli intellettuali progressisti del tempo. Che cosa si cela, dunque, dietro quel titolo intrigante che presumiamo abbia colpito la sua fantasia?  Qualcosa di  particolare, non c’è dubbio, il che sarà confermato dalla breve prefazione in cui l’anonimo autore dichiara di aver scritto un’opera di immaginazione su di un evento mai accaduto ma che alcuni fisiologi tedeschi potrebbero ritenere non del tutto impossibile, e in cui ha cercato comunque di mantenere “la verità dei principi elementari della natura umana”, aggiungendo poi, sia pure in modo molto scarno, alcuni dettagli sulle circostanze  in cui l’opera è venuta alla luce: un’estate senza sole, un piccolo gruppo di amici che in una villa nei pressi del lago di Ginevra si radunano la sera leggendo storie di fantasmi, una scommessa che accende un gioioso spirito di emulazione per cui ognuno dei partecipanti al cenacolo si impegna a scrivere una storia basata su di un fatto soprannaturale. L’opera presente, così conclude l’autore, rappresenta l’unico risultato compiuto di una così curiosa scommessa. A questo punto il nostro lettore avrà già deciso se acquistare o no il libro: lo lasciamo dunque da parte, precisando però che saranno in molti a leggerlo, perché esso colpisce, provoca, divide sia i lettori che la critica, aprendo nel contempo il gioco delle attribuzioni. Il candidato più probabile pare essere un giovane discepolo di Godwin, il poeta Percy Bysshe Shelley, le cui liriche richiamano spesso temi goticheggianti e mitologici. Nessuno ipotizza, allora, che l’autore sia invece una giovanissima donna, Mary, moglie di Shelley e figlia di Godwin e di Mary Wollostonecraft, brillante intellettuale e scrittrice “protofemminista” che la figlia peraltro non conoscerà se non attraverso i suoi testi, perché muore di febbre puerperale poco dopo la sua nascita. Sarà la stessa Mary a dichiararsi pubblicamente in occasione della seconda edizione del testo, che viene in parte rivisto e pubblicato nel 31, e in cui l’autrice darà  questa volta di suo pugno (la prefazione precedente in effetti era scritta da Shelley) più ampi dettagli sulla genesi dell’opera, sempre partendo da quel famoso “anno senza estate”, il 1816, in cui, per la concatenazione di grandi eruzioni vulcaniche e di un periodo di raffreddamento planetario, il cielo è risultato spesso grigio di pioggia e cenere. Sarà appunto sotto questo cielo non troppo favorevole che Mary si troverà a soggiornare con Percy, il figlioletto William e la sorella Claire in un villino nei pressi di Bellerive, sul lago di Ginevra.

Bellerive,
estate 1816:
la storia ha inizio

Ha appena diciannove anni, la futura autrice, ma ha già alle spalle una storia travagliata: il rapporto difficile con la matrigna, il contrasto col padre che ha cercato in tutti i modi di impedire la passione nascente della figlia non ancora diciassettenne col fascinoso Shelley, a sua volta giovanissimo ma già sposato e padre,  la fuga romantica  dei due innamorati in  Francia e in Svizzera, con nobili progetti di militanza letteraria ma con ben scarsi mezzi finanziari; un ritorno a casa necessitato a cui segue il matrimonio e il perdono del padre ma che viene  funestato dalla morte della prima figlia della coppia a poche settimane di vita, e in aggiunta, le infedeltà di Percy, che pur amandola applica con una certa frequenza il principio del libero amore che fa parte della cultura libertaria di entrambi. Ora la giovane donna si aspetta finalmente un po’ di serenità da quell’estate sul lago, che non le sarà negata nonostante il tempo inclemente perché nascerà una bella amicizia con un vicino di casa d’eccezione, lord Byron, che ha preso in affitto Villa Belle Rive (cambiandone il nome in Villa Diodati, come omaggio agli antichi proprietari).  Le conversazioni fra i due poeti, alle quali Mary assiste, per usare le sue stesse parole, “come devota ma quasi muta ascoltatrice”, sono molto animate perché sono entrambi curiosi di ogni ramo del sapere ed estremamente interessati alle dottrine filosofiche e scientifiche più all’avanguardia; sovente discutono sulla natura del principio della vita e sulla possibilità di scoprirla e di divulgarla, e sarà infatti da loro che Mary  verrà a conoscere gli esperimenti di Erasmus Darwin, convinto della  possibilità degli organismi di autorigenerarsi, oltre agli  studi sul galvanismo che avevano in qualche modo dato adito all’idea della possibilità di rianimare corpi morti. Poi, dopo giornate di pioggia intensa che costringono i nuovi amici a restare in villa, la famosa sera in cui si leggono insieme storie di fantasmi e in cui Byron propone ai membri del piccolo cenacolo (oltre a Mary e a Percy è presente anche John William Polidori, il medico personale di Byron che lo accompagna nei suoi soggiorni all’estero), di scrivere ognuno per suo conto una storia su di un tema soprannaturale. Tutti accettano la sfida, anche se Shelley si ritirerà quasi subito dal cimento, essendo, come dice Mary  nella prefazione con parole in cui l’amore e l’ammirazione si fondono col rimpianto (ha già perso in quel tempo il marito, che per una tragica fatalità è annegato  nel mare che costeggia Lerici) “molto più incline a dare corpo a sentimenti e idee avvolgendoli nello splendore di un’immaginazione luminosa, e nella musica dei versi più melodiosi che adornino la nostra lingua, piuttosto che dare vita al meccanismo di una storia”. Dal canto suo Byron inizia un racconto di cui  pubblicherà un frammento alla fine del suo poema “Mazeppa”, e Polidori, anzi “il povero Polidori”, come lo definisce Mary che certamente aveva notato come Byron non si peritasse di umiliarlo frequentemente, imbastisce a sua volta un racconto terrificante  su di una dama con un teschio al posto della testa, abbandonando poi  la partita  (scriverà peraltro, qualche anno più tardi, una storia su di un vampiro  in cui molti  leggeranno una sottile vendetta contro Byron, che lo ha messo da parte e che del resto era davvero un  maliardo, accentratore e  divoratore). Quanto a Mary, pur non essendo del tutto nuova alla scrittura - un suo piccolo racconto per bambini, scritto a undici anni, ha già meritato l’onore di una pubblicazione nella casa editrice paterna, e altri ne ha abbozzati in seguito benché affanni e lutti e gravidanze le abbiano finora impedito di portarli fino in fondo - è inizialmente propensa a considerare “fastidiosa e sfortunata” la storia che si è impegnata a produrre, dal momento che sperimenta per giorni e giorni una totale assenza d’inventiva. Poi, una notte, dopo aver ascoltato i due amici impegnati in una delle loro appassionanti discussioni sul principio della vita, si formano nella sua mente delle visioni destinate ad imprimersi in modo indelebile, e in cui i lettori del “Frankenstein” potranno agevolmente riconoscere quella che sarà la scena madre del libro:
“Vidi, con gli occhi chiusi ma grazie ad una acuta vista interiore, il pallido studioso di arti scellerate inginocchiato accanto alla cosa che aveva creato. Vidi l’orribile fantasma di un uomo disteso che poi, sotto l’azione di un potente motore di qualche tipo, mostrava segni di vita e cominciava a muoversi, con movimenti faticosi, semianimati. Doveva essere spaventoso, perché assolutamente spaventoso sarebbe l’effetto provocato da qualsiasi tentativo umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo. L’artefice era terrorizzato dal suo stesso successo; fuggiva, pieno d’orrore, dalla sua ripugnante opera...”
Da qui, la storia. Mary pensa inizialmente a poche pagine, a un racconto breve, ma Shelley la spinge a svilupparla, incitandola e aiutandola in tal modo a farla venire al mondo così come la conosciamo. Un vero “parto letterario”, interamente suo, come Mary ribadisce nella prefazione con l’orgoglio dell’autrice misconosciuta che fa andare nel mondo, finalmente a suo nome,  questa  progenie a cui  va tutto il suo affetto perché in essa - così dice con tenerezza - c’è il ricordo di giorni felici, non ancora segnati dalla morte e dal dolore (nel momento in cui scrive queste righe, Mary ha già perduto, oltre al marito,  l’amatissimo  William, stroncato  a tre anni dalla malaria, oltre a due figliolette morte entrambe neonate; rimarrà in vita solo l’ultimo figlio, Percy, nato dopo la morte del padre).

2017/18:
un anniversario da celebrare?
Franco Pezzini e il Frankenstein di Mary Shelley visto come una “macchina per pensare”                                           

Da quel momento, la storia di Victor Frankenstein e della sua Creatura prende il volo, intrigando intere generazioni di lettori e configurandosi nell’immaginario collettivo con la forza di un mito, soprattutto da quando il cinema la fa sua assicurandole una portata davvero planetaria. La figura dell’autrice peraltro ne viene sopraffatta fin quasi a scomparire: solo in anni recenti infatti l’attenzione della critica e dei lettori ha cominciato a rivolgersi a questa donna che dopo essere “esplosa” letterariamente quando era poco più che adolescente, continuerà a dedicarsi alla scrittura sempre in un’ottica di riformismo radicale, collaborando a giornali e riviste, rivedendo i manoscritti del marito, pubblicando libri di viaggi e svariati romanzi, dallo storico “Valpurga” all’apocalittico “L’ultimo uomo” (anche il cinema  sta rivolgendole ora una pur tardiva attenzione: è infatti in uscita, nelle sale italiane, un biopic  su Mary Shelley firmato dalla  regista saudita Haifaa al-Mansour e interpretato da Elle Fanning).
Pur tuttavia, possiamo legittimamente chiederci se le circostanze che abbiamo indicato (l’anniversario della prima pubblicazione del “Frankenstein”, la rivalutazione di una scrittrice a lungo ritenuta, in quanto donna, improbabile come autrice di un’opera complessa e il cui valore è stato oscurato dallo stesso duraturo successo della stessa, un testo i cui personaggi hanno assunto un valore simbolico che lo trascende) costituiscano di per sé un buon motivo per leggere, oggi, questo libro, o se invece esso possa trovarsi altrove, in luoghi più vicini all’interesse che CircolarMente pone ai nodi problematici del mondo contemporaneo, e in particolare al tema scelto per il prossimo ciclo di incontri ( “FUTURI”). In questa prospettiva, alcune indicazioni davvero preziose ci sono venute dal testo che abbiamo scelto di presentare, opera di un appassionato studioso torinese del rapporto fra letteratura, cinema e antropologia, particolarmente interessato agli aspetti mitico-religiosi e al fantastico. Nel suo “FUOCO E SANGUE DI PROMETEO”, che ha come sottotitolo “INCUBI, GALVANISTI E PARADISI PERDUTI NEL FRANKENSTEIN DI MARY SHELLEY” Franco Pezzini ci consente infatti di entrare in questa storia – che viene in parte narrata, in parte presentata direttamente attraverso i passaggi più salienti – schiudendoci tutto un orizzonte di suggestioni filosofiche, artistiche, letterarie e scientifiche, oltre a quelle che appartengono alla dimensione interiore della scrittrice, facendone  (come leggiamo nel risvolto di copertina) una vera “cartina al tornasole del travaglio di un’epoca” e, insieme, la testimonianza di una  intensa ma difficile storia d’amore. Nella sua ricostruzione, tanto erudita quanto coinvolgente ed accessibile ad una lettura distesa, questo studioso riesce in effetti a dimostrare che il “Frankenstein”, più che un’opera a tema (una sfida al cielo con relativa catarsi finale, come in genere viene interpretata), è una vera e propria “macchina per pensare”. In effetti è proprio questo che succede, o perlomeno che è successo a chi lo ha letto per CircolarMente, perché procedendo dal testo di Mary Shelley a quello di Franco Pezzini vediamo allargarsi via via la dimensione della storia che è davvero segnata, senza esserne appesantita,  da tutto ciò che poteva conoscere una donna educata con liberalità nell’Inghilterra di inizio ottocento, e che per di più aveva avuto accesso attraverso Percy e la cerchia di amici a saperi tanto esoterici che essoterici.
C’è davvero molto, nel Frankenstein, secondo l’analisi di questo studioso. Da un lato, l’entusiasmo e insieme l’inquietudine per una scienza che sembrava schiudere orizzonti inesplorati, soprattutto nel settore della filosofia naturale, negli studi sulle proprietà dei corpi e sul loro rapporto con le leggi di natura: nell’ultimo decennio del 700 gli esperimenti di Luigi Galvani avevano infatti  ipotizzato l’esistenza di un fluido vitale elettrico inducendo, anche per effetto degli esperimenti condotti dal suo allievo e nipote  Giovanni Aldini, l’idea  che i corpi potessero  essere ridestati dalla morte attraverso stimoli elettrici. Dall’altro, la tensione intellettuale ed etica che la presenza   incombente dell’orizzonte macchinale e alienante della rivoluzione industriale, messo in luce dalla rivolta luddista, poteva provocare nella cerchia degli intellettuali progressisti a cui  la giovane Mary apparteneva, creando una sorta di scissione di non facile composizione fra gli ideali illuministi  che molti di loro condividevano e l’egoismo proprietario (alcune  idee di Rousseau  trovano infatti eco nel testo, ma si percepisce anche l’orrore di Mary per quella che lei sentiva  come  la ferocia regicida della rivoluzione francese). Su questo sfondo sociale e politico in cui si snoda il travagliato inizio dell’ ottocento  si colgono poi  i primi fermenti romantici, sia nei personaggi principali che sono tutti giovani e ugualmente appassionati di cose  nobili e “grandi” che  nei paesaggi  in cui  si muovono, e che richiamano  quel gusto del “sublime “ che trova nei quadri del grande pittore tedesco Caspar David Friedrich la sua massima espressione, mentre altre scene drammatiche del testo sembrano invece ispirate dalle figure visionarie del pittore svizzero Johan Heinrich Fussli.  Ma se è la “Ballata del Vecchio Marinaio,” che Mary aveva sentito declamare nella casa paterna dallo stesso Coleridge e a cui rende un esplicito omaggio a segnare quella tensione verso il misterioso e lo sconosciuto che informa tutto il racconto, è sicuramente il “Paradiso Perduto” di Milton a portare nel Frankenstein il tema dell’angelo caduto e della rivolta della Creatura verso il Creatore…  
Tutto questo, e molto altro ancora, filtrato dalla sensibilità di una giovane donna che aveva già sperimentato la perdita  prematura della madre e si trovava a vivere un amore non facile per un uomo dalla personalità duplice – come duplice sarà il Victor Frankenstein della storia, geniale e ossessivo, nobile e irresoluto, amabile e irresponsabile - e che riuscirà a trasfondere tutto questo orizzonte culturale e sentimentale  in una  storia in cui molti temi si intrecciano ma che si presenta al lettore come unitaria,  trovando la sua centratura e il suo portato simbolico nella duplice figura del  Creatore e della Creatura senza nome, avvinti da un nodo mortale come l’uomo e il suo Doppio, la sua Ombra personificata (così infatti la legge Pezzini, e  in un certo senso così  è stata  se pur non consapevolmente interpretata, se pensiamo che il nome Frankenstein viene attribuito  nell’immaginario collettivo al cosiddetto “mostro”  piuttosto che allo scienziato che gli ha dato vita).

Settembre 2018
Frankenstein futuri?
Una riflessione per CircolarMente

Veniamo ora a noi.
E’ giusto chiederci, intanto, se può ancora interessarci questa storia che sicuramente ci è ben nota, vista la notorietà che una molteplicità davvero impressionante di trasposizioni teatrali e cinematografiche più o meno fedeli al testo originario le hanno assicurato e di cui Pezzini dà ampia documentazione, e ancora se la nostra lontananza dal mondo psicologico e culturale che l’ha prodotta non ci impedisca ormai di trarne occasione di riflessione. Presentarla ora, abbinata al testo di Pezzini, rappresenta dunque una scommessa, che poggia però sulla convinzione che sia possibile trarne qualche indicazione preziosa proprio rispetto al percorso di lavoro che CircolarMente propone quest’anno, partendo dall’analisi delle trasformazioni tecnologiche in atto che ci pongono  di fronte ad ipotesi di futuro controverse e in qualche misura inquietanti (anche se  il nostro intento rimane saldamente  quello di promuovere una distanza critica rispetto agli eccessi  vuoi di entusiasmo, vuoi di timore facendo leva sul concetto di “responsabilità”). Ed è proprio qui, in effetti, che il nostro proposito può forse trovare nel libro una corrispondenza.

Qual è infatti l’assunto fondamentale della storia, perlomeno secondo il giudizio di Pezzini, condiviso da quanti di noi hanno voluto rivisitarla in occasione dell’anniversario? Non tanto, e non solo la sfida faustiana ai limiti della scienza (che l’autrice interpreta biblicamente come blasfema, ma che ci richiama anche al monito greco della tracotanza, della hybris), quanto “la tragedia del non saper comprendere, del non saper essere responsabili delle proprie azioni, del non saper prendersi cura di ciò che si consegna al mondo”.  Perché è proprio questo che il geniale, ossessivo e folle Victor Frankenstein non sa fare. Non sa comprendere, intanto, il vero motivo delle sue azioni, non è capace di “leggere” al di sotto dell’ aspirazione apparentemente nobile e alta di dare vita ad un essere umano senziente che possa migliorare la specie, renderla più forte e meno vulnerabile alla fatica e alle malattie ottenendo con ciò l’universale gratitudine, il desiderio nascosto di coprire le sue ferite, la sua vulnerabilità di fronte alla vita stessa che si riveleranno  appieno nella  relazione con la Creatura e con le persone che lo amano. Non sa vedere, se non quando sarà troppo tardi, come i mezzi terribili di cui si serve, gli orrori del suo lavoro segreto in cui insegue la natura nei suoi recessi più nascosti corromperanno fatalmente il risultato. Non sa, infine, porre attenzione agli affetti e ai sentimenti concreti delle persone che lo amano e che pure ama, tutto sacrificando ad un orizzonte di astrazione, ad un sapere che diventa divoratore e che proprio per questo non può produrre nessuna vera “nascita”. E’ dunque per le sue mancanze di uomo che Victor Frankenstein si rivela impari al compito che si è dato di essere un “moderno Prometeo”: come il titano del mito, che ha forgiato il primo essere umano con la creta strappando il fuoco agli dei per donarlo agli uomini, anche lui ha strappato il fuoco dalla vita creando un nuovo e improbabile Adamo, ma lo ha poi respinto, disgustato dalla sua vista, nel non luogo di una relazione mancata, di una responsabilità disattesa. Certo, è ben probabile che nel protagonista del romanzo Mary abbia proiettato considerazioni molto personali, afferenti all’uomo che ama ma in cui coglie una disattenzione verso ciò che è davvero importante per lei – l’analisi di Pezzini è molto attenta agli elementi psicologici del testo - ma non è questo, alla fine, ciò che ci importa cogliere nel Frankenstein, piuttosto qualcosa di più ampio che può riguardare ciascuno di noi. Se infatti prescindiamo dagli aspetti della storia meno affini alla sensibilità contemporanea e da quell’eccesso di enfasi che la caratterizza (anche se la scrittura è molto più “sorvegliata” di quanto l’immaginario che ne è derivato lasci supporre), è una lezione civile e in un certo senso politica quella che possiamo derivare da un romanzo che a questo punto sarebbe davvero limitante racchiudere nel generico contenitore del “gotico”. Esso ci porta infatti, se vogliamo accogliere questa ipotesi di lettura, a considerare il rapporto dell’uomo con le cose che inventa, che costruisce, che manda nel mondo; a riflettere su quella discrepanza, quella sproporzione - che già autori come Gunther Anders segnalavano negli anni cinquanta del novecento – fra l’eccezionale abilità tecnica della nostra specie, l’impulso prometeico che la anima,  e il limite della sua statura morale ed etica; a riconsiderare come  fondamentale quel “principio responsabilità” che Hans Jonas metteva a fondamento dell’agire umano nel mondo. Tutte cose che dunque possono stare bene all’interno di quest’altra “storia” che assieme ai nostri soci e sostenitori cerchiamo anche noi di CircolarMente, in qualche modo, di scrivere…

N.B. = questi temi saranno in modo particolare oggetto di uno degli incontri programmati per l’anno che sta per iniziare, centrato sull’importanza della consapevolezza di fronte ad una tecnologia che è insieme “meraviglia e smarrimento” (per utilizzare la bella dicitura che il relatore Gianni Colombo ha scelto per il suo intervento)   



Per CircolarMente,

Enrica Gallo

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