Il
“saggio” del mese
SETTEMBRE 2018
Nota per i lettori
Il
libro che presentiamo questo mese è sicuramente inconsueto rispetto ai
precedenti: riteniamo peraltro che esso possa portare qualche contributo al
percorso di lavoro di CircolarMente, affidandoci al giudizio di chi vorrà
leggere questa relazione che senza essere esaustiva cerca di delinearne almeno
i contorni:
Franco Pezzini
FUOCO E CARNE DI PROMETEO
Incubi, galvanisti e Paradisi Perduti
nel FRANKENSTEIN
di Mary Shelley
Londra,
marzo 1818:Frankenstein si presenta al mondo
Immaginiamo, seguendo le suggestioni del
testo che stiamo per presentare, un ipotetico lettore intento ad osservare sul
bancone di una libreria londinese un’opera fresca di stampa, ripartita come
d’uso in tre volumetti, il cui titolo - “Frankenstein;
ovvero, Il Moderno Prometeo” - è destinato ad incuriosirlo.
Da un lato c’è infatti quel cognome tedesco
che pare promettere un che di tenebroso e occulto (dal momento che la terra
germanica viene allora considerata la patria del fantastico), mentre il
sottotitolo rimanda invece al mondo classico, con il riferimento al titano che
ha rubato il fuoco agli dei per consegnarlo agli uomini e che secondo un’altra
versione del mito ha plasmato con l’argilla il primo essere umano. Potrà dunque
pensare, il nostro ipotetico lettore, di non trovarsi di fronte all’ennesima
variante del romanzo gotico, abitato da svenevoli fanciulle e da fantasmi che
si aggirano in castelli tenebrosi: una sensazione che potrà avere conferma se
proseguirà poi nell’esame del libro, trovandosi di fronte ad un potente incipit
tratto dal “Paradiso perduto” di
Milton
“Ti ho
chiesto io, Artefice
di
modellarmi uomo dalla creta?
Ti ho
sollecitato io
a
liberarmi dall’oscurità?”
Nulla di gotico, dunque? Manca, è vero, il
nome dell’autore, il che sarebbe tipico proprio di quel genere di romanzo,
quindi il nostro curioso lettore, che ci piace immaginare desideroso di
qualcosa di nuovo e di sorprendente, dovrà affidarsi per avere un ulteriore
elemento di giudizio alla dedica, che peraltro appare un po’ incongrua per un
romanzo con quel titolo, riferendosi essa a William Godwin, filosofo politico e
scrittore di idee radicali molto noto soprattutto fra gli intellettuali
progressisti del tempo. Che cosa si cela, dunque, dietro quel titolo intrigante
che presumiamo abbia colpito la sua fantasia? Qualcosa di
particolare, non c’è dubbio, il che sarà confermato dalla breve
prefazione in cui l’anonimo autore dichiara di aver scritto un’opera di
immaginazione su di un evento mai accaduto ma che alcuni fisiologi tedeschi
potrebbero ritenere non del tutto impossibile, e in cui ha cercato comunque di
mantenere “la verità dei principi
elementari della natura umana”, aggiungendo poi, sia pure in modo molto
scarno, alcuni dettagli sulle circostanze
in cui l’opera è venuta alla luce: un’estate senza sole, un piccolo
gruppo di amici che in una villa nei pressi del lago di Ginevra si radunano la
sera leggendo storie di fantasmi, una scommessa che accende un gioioso spirito
di emulazione per cui ognuno dei partecipanti al cenacolo si impegna a scrivere
una storia basata su di un fatto soprannaturale. L’opera presente, così
conclude l’autore, rappresenta l’unico risultato compiuto di una così curiosa
scommessa. A questo punto il nostro lettore avrà già deciso se acquistare o no
il libro: lo lasciamo dunque da parte, precisando però che saranno in molti a
leggerlo, perché esso colpisce, provoca, divide sia i lettori che la critica,
aprendo nel contempo il gioco delle attribuzioni. Il candidato più probabile
pare essere un giovane discepolo di Godwin, il poeta Percy Bysshe Shelley, le
cui liriche richiamano spesso temi goticheggianti e mitologici. Nessuno
ipotizza, allora, che l’autore sia invece una giovanissima donna, Mary, moglie di
Shelley e figlia di Godwin e di Mary Wollostonecraft, brillante intellettuale e
scrittrice “protofemminista” che la figlia peraltro non conoscerà se non
attraverso i suoi testi, perché muore di febbre puerperale poco dopo la sua
nascita. Sarà la stessa Mary a dichiararsi pubblicamente in occasione della
seconda edizione del testo, che viene in parte rivisto e pubblicato nel 31, e
in cui l’autrice darà questa volta di
suo pugno (la prefazione precedente in effetti era scritta da Shelley) più
ampi dettagli sulla genesi dell’opera, sempre partendo da quel famoso “anno senza estate”, il 1816, in cui, per
la concatenazione di grandi eruzioni vulcaniche e di un periodo di
raffreddamento planetario, il cielo è risultato spesso grigio di pioggia e
cenere. Sarà appunto sotto questo cielo non troppo favorevole che Mary si
troverà a soggiornare con Percy, il figlioletto William e la sorella Claire in
un villino nei pressi di Bellerive, sul lago di Ginevra.
Bellerive,
estate
1816:
la
storia ha inizio
Ha appena diciannove anni, la futura
autrice, ma ha già alle spalle una storia travagliata: il rapporto difficile
con la matrigna, il contrasto col padre che ha cercato in tutti i modi di
impedire la passione nascente della figlia non ancora diciassettenne col
fascinoso Shelley, a sua volta giovanissimo ma già sposato e padre, la fuga romantica dei due innamorati in Francia e in Svizzera, con nobili progetti di
militanza letteraria ma con ben scarsi mezzi finanziari; un ritorno a casa necessitato
a cui segue il matrimonio e il perdono del padre ma che viene funestato dalla morte della prima figlia
della coppia a poche settimane di vita, e in aggiunta, le infedeltà di Percy,
che pur amandola applica con una certa frequenza il principio del libero amore
che fa parte della cultura libertaria di entrambi. Ora la giovane donna si
aspetta finalmente un po’ di serenità da quell’estate sul lago, che non le sarà
negata nonostante il tempo inclemente perché nascerà una bella amicizia con un
vicino di casa d’eccezione, lord Byron, che ha preso in affitto Villa Belle Rive
(cambiandone il nome in Villa Diodati, come omaggio agli antichi proprietari). Le conversazioni fra i due poeti, alle quali Mary
assiste, per usare le sue stesse parole, “come
devota ma quasi muta ascoltatrice”,
sono molto animate perché sono entrambi curiosi di ogni ramo del sapere ed
estremamente interessati alle dottrine filosofiche e scientifiche più
all’avanguardia; sovente discutono sulla natura del principio della vita e
sulla possibilità di scoprirla e di divulgarla, e sarà infatti da loro che Mary verrà a conoscere gli esperimenti di Erasmus
Darwin, convinto della possibilità degli
organismi di autorigenerarsi, oltre agli studi sul galvanismo che avevano in qualche
modo dato adito all’idea della possibilità di rianimare corpi morti. Poi, dopo
giornate di pioggia intensa che costringono i nuovi amici a restare in villa, la
famosa sera in cui si leggono insieme storie di fantasmi e in cui Byron propone
ai membri del piccolo cenacolo (oltre a Mary e a Percy è presente anche John
William Polidori, il medico personale di Byron che lo accompagna nei suoi
soggiorni all’estero), di scrivere ognuno per suo conto una storia su di un
tema soprannaturale. Tutti accettano la sfida, anche se Shelley si ritirerà
quasi subito dal cimento, essendo, come dice Mary nella prefazione con parole in cui l’amore e
l’ammirazione si fondono col rimpianto (ha già perso in quel tempo il marito,
che per una tragica fatalità è annegato
nel mare che costeggia Lerici)
“molto più incline a dare corpo a sentimenti e idee avvolgendoli nello
splendore di un’immaginazione luminosa, e nella musica dei versi più melodiosi
che adornino la nostra lingua, piuttosto che dare vita al meccanismo di una
storia”. Dal canto suo Byron inizia un racconto di cui pubblicherà un frammento alla fine del suo
poema “Mazeppa”, e Polidori, anzi “il povero Polidori”, come lo definisce
Mary che certamente aveva notato come Byron non si peritasse di umiliarlo
frequentemente, imbastisce a sua volta un racconto terrificante su di una dama con un teschio al posto della
testa, abbandonando poi la partita (scriverà
peraltro, qualche anno più tardi, una storia su di un vampiro in cui molti
leggeranno una sottile vendetta contro Byron, che lo ha messo da parte e
che del resto era davvero un maliardo,
accentratore e divoratore). Quanto a
Mary, pur non essendo del tutto nuova alla scrittura - un suo piccolo racconto
per bambini, scritto a undici anni, ha già meritato l’onore di una
pubblicazione nella casa editrice paterna, e altri ne ha abbozzati in seguito
benché affanni e lutti e gravidanze le abbiano finora impedito di portarli fino
in fondo - è inizialmente propensa a considerare “fastidiosa e sfortunata” la storia che si è impegnata a produrre, dal
momento che sperimenta per giorni e giorni una totale assenza d’inventiva. Poi,
una notte, dopo aver ascoltato i due amici impegnati in una delle loro
appassionanti discussioni sul principio della vita, si formano nella sua mente
delle visioni destinate ad imprimersi in modo indelebile, e in cui i lettori
del “Frankenstein” potranno agevolmente riconoscere quella che sarà la scena
madre del libro:
“Vidi,
con gli occhi chiusi ma grazie ad una acuta vista interiore, il pallido
studioso di arti scellerate inginocchiato accanto alla cosa che aveva creato.
Vidi l’orribile fantasma di un uomo disteso che poi, sotto l’azione di un
potente motore di qualche tipo, mostrava segni di vita e cominciava a muoversi,
con movimenti faticosi, semianimati. Doveva essere spaventoso, perché
assolutamente spaventoso sarebbe l’effetto provocato da qualsiasi tentativo
umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo. L’artefice era
terrorizzato dal suo stesso successo; fuggiva, pieno d’orrore, dalla sua
ripugnante opera...”
Da qui, la storia. Mary pensa inizialmente a
poche pagine, a un racconto breve, ma Shelley la spinge a svilupparla,
incitandola e aiutandola in tal modo a farla venire al mondo così come la
conosciamo. Un vero “parto letterario”, interamente suo, come Mary ribadisce
nella prefazione con l’orgoglio dell’autrice misconosciuta che fa andare nel
mondo, finalmente a suo nome,
questa progenie a cui va tutto il suo affetto perché in essa - così
dice con tenerezza - c’è il ricordo di giorni felici, non ancora segnati dalla
morte e dal dolore (nel momento in cui
scrive queste righe, Mary ha già perduto, oltre al marito, l’amatissimo William, stroncato a tre anni dalla malaria, oltre a due
figliolette morte entrambe neonate; rimarrà in vita solo l’ultimo figlio,
Percy, nato dopo la morte del padre).
2017/18:
un
anniversario da celebrare?
Franco
Pezzini e il Frankenstein di Mary Shelley visto come
una “macchina per pensare”
Da quel momento, la storia di Victor
Frankenstein e della sua Creatura prende il volo, intrigando intere generazioni
di lettori e configurandosi nell’immaginario collettivo con la forza di un
mito, soprattutto da quando il cinema la fa sua assicurandole una portata davvero
planetaria. La figura dell’autrice peraltro ne viene sopraffatta fin quasi a
scomparire: solo in anni recenti infatti l’attenzione della critica e dei
lettori ha cominciato a rivolgersi a questa donna che dopo essere “esplosa”
letterariamente quando era poco più che adolescente, continuerà a dedicarsi
alla scrittura sempre in un’ottica di riformismo radicale, collaborando a
giornali e riviste, rivedendo i manoscritti del marito, pubblicando libri di
viaggi e svariati romanzi, dallo storico “Valpurga” all’apocalittico “L’ultimo
uomo” (anche il cinema sta rivolgendole ora una pur tardiva
attenzione: è infatti in uscita, nelle sale italiane, un biopic su Mary Shelley firmato dalla regista saudita Haifaa al-Mansour e
interpretato da Elle Fanning).
Pur tuttavia, possiamo legittimamente
chiederci se le circostanze che abbiamo indicato (l’anniversario della prima pubblicazione
del “Frankenstein”, la rivalutazione di una scrittrice a lungo ritenuta, in
quanto donna, improbabile come autrice di un’opera complessa e il cui valore è
stato oscurato dallo stesso duraturo successo della stessa, un testo i cui
personaggi hanno assunto un valore simbolico che lo trascende) costituiscano di
per sé un buon motivo per leggere, oggi, questo libro, o se invece esso possa
trovarsi altrove, in luoghi più vicini all’interesse che CircolarMente pone ai
nodi problematici del mondo contemporaneo, e in particolare al tema scelto per il
prossimo ciclo di incontri ( “FUTURI”). In questa prospettiva, alcune
indicazioni davvero preziose ci sono venute dal testo che abbiamo scelto di
presentare, opera di un appassionato studioso torinese del rapporto fra
letteratura, cinema e antropologia, particolarmente interessato agli aspetti
mitico-religiosi e al fantastico. Nel suo “FUOCO
E SANGUE DI PROMETEO”, che ha come sottotitolo “INCUBI, GALVANISTI E PARADISI PERDUTI NEL FRANKENSTEIN DI MARY SHELLEY” Franco Pezzini ci consente
infatti di entrare in questa storia – che viene in parte narrata, in parte
presentata direttamente attraverso i passaggi più salienti – schiudendoci tutto
un orizzonte di suggestioni filosofiche, artistiche, letterarie e scientifiche,
oltre a quelle che appartengono alla dimensione interiore della scrittrice,
facendone (come leggiamo nel risvolto di
copertina) una vera “cartina al tornasole del travaglio di un’epoca”
e, insieme, la testimonianza di una
intensa ma difficile storia d’amore. Nella sua ricostruzione, tanto
erudita quanto coinvolgente ed accessibile ad una lettura distesa, questo
studioso riesce in effetti a dimostrare che il “Frankenstein”, più che un’opera
a tema (una sfida al cielo con relativa catarsi finale, come in genere viene
interpretata), è una vera e propria “macchina
per pensare”. In effetti è proprio questo che succede, o perlomeno che è
successo a chi lo ha letto per CircolarMente, perché procedendo dal testo di
Mary Shelley a quello di Franco Pezzini vediamo allargarsi via via la
dimensione della storia che è davvero segnata, senza esserne appesantita, da tutto ciò che poteva conoscere una donna
educata con liberalità nell’Inghilterra di inizio ottocento, e che per di più aveva
avuto accesso attraverso Percy e la cerchia di amici a saperi tanto esoterici
che essoterici.
C’è
davvero molto, nel Frankenstein, secondo l’analisi di questo studioso. Da un
lato, l’entusiasmo e insieme l’inquietudine per una scienza che sembrava
schiudere orizzonti inesplorati, soprattutto nel settore della filosofia
naturale, negli studi sulle proprietà dei corpi e sul loro rapporto con le
leggi di natura: nell’ultimo decennio del 700 gli esperimenti di Luigi Galvani
avevano infatti ipotizzato l’esistenza
di un fluido vitale elettrico inducendo, anche per effetto degli esperimenti
condotti dal suo allievo e nipote
Giovanni Aldini, l’idea che i
corpi potessero essere ridestati dalla
morte attraverso stimoli elettrici. Dall’altro, la tensione intellettuale ed
etica che la presenza incombente dell’orizzonte
macchinale e alienante della rivoluzione industriale, messo in luce dalla
rivolta luddista, poteva provocare nella cerchia degli intellettuali
progressisti a cui la giovane Mary
apparteneva, creando una sorta di scissione di non facile composizione fra gli
ideali illuministi che molti di loro
condividevano e l’egoismo proprietario (alcune idee di Rousseau trovano infatti eco nel testo, ma si percepisce
anche l’orrore di Mary per quella che lei sentiva come
la ferocia regicida della rivoluzione francese). Su questo sfondo
sociale e politico in cui si snoda il travagliato inizio dell’ ottocento si colgono poi
i primi fermenti romantici, sia nei personaggi principali che sono tutti
giovani e ugualmente appassionati di cose
nobili e “grandi” che nei
paesaggi in cui si muovono, e che richiamano quel gusto del “sublime “ che trova nei quadri
del grande pittore tedesco Caspar David Friedrich la sua massima espressione, mentre
altre scene drammatiche del testo sembrano invece ispirate dalle figure
visionarie del pittore svizzero Johan Heinrich Fussli. Ma se è la “Ballata del Vecchio Marinaio,”
che Mary aveva sentito declamare nella casa paterna dallo stesso Coleridge e a
cui rende un esplicito omaggio a segnare quella tensione verso il misterioso e
lo sconosciuto che informa tutto il racconto, è sicuramente il “Paradiso
Perduto” di Milton a portare nel Frankenstein il tema dell’angelo caduto e
della rivolta della Creatura verso il Creatore…
Tutto questo, e molto altro ancora, filtrato
dalla sensibilità di una giovane donna che aveva già sperimentato la
perdita prematura della madre e si
trovava a vivere un amore non facile per un uomo dalla personalità duplice –
come duplice sarà il Victor Frankenstein della storia, geniale e ossessivo,
nobile e irresoluto, amabile e irresponsabile - e che riuscirà a trasfondere
tutto questo orizzonte culturale e sentimentale
in una storia in cui molti temi
si intrecciano ma che si presenta al lettore come unitaria, trovando la sua centratura e il suo portato
simbolico nella duplice figura del Creatore e della Creatura senza nome, avvinti
da un nodo mortale come l’uomo e il suo Doppio, la sua Ombra personificata (così infatti la legge Pezzini, e in un certo senso così è stata
se pur non consapevolmente interpretata, se pensiamo che il nome
Frankenstein viene attribuito
nell’immaginario collettivo al cosiddetto “mostro” piuttosto che allo scienziato che gli ha dato
vita).
Settembre
2018
Frankenstein
futuri?
Una
riflessione per CircolarMente
Veniamo ora a noi.
E’ giusto chiederci, intanto, se può ancora
interessarci questa storia che sicuramente ci è ben nota, vista la notorietà
che una molteplicità davvero impressionante di trasposizioni teatrali e
cinematografiche più o meno fedeli al testo originario le hanno assicurato e di
cui Pezzini dà ampia documentazione, e ancora se la nostra lontananza dal mondo
psicologico e culturale che l’ha prodotta non ci impedisca ormai di trarne
occasione di riflessione. Presentarla ora, abbinata al testo di Pezzini,
rappresenta dunque una scommessa, che poggia però sulla convinzione che sia
possibile trarne qualche indicazione preziosa proprio rispetto al percorso di
lavoro che CircolarMente propone quest’anno, partendo dall’analisi delle
trasformazioni tecnologiche in atto che ci pongono di fronte ad ipotesi di futuro controverse e
in qualche misura inquietanti (anche se
il nostro intento rimane saldamente
quello di promuovere una distanza critica rispetto agli eccessi vuoi di entusiasmo, vuoi di timore facendo
leva sul concetto di “responsabilità”). Ed è proprio qui, in effetti, che il
nostro proposito può forse trovare nel libro una corrispondenza.
Qual è infatti l’assunto fondamentale della
storia, perlomeno secondo il giudizio di Pezzini, condiviso da quanti di noi
hanno voluto rivisitarla in occasione dell’anniversario? Non tanto, e non solo
la sfida faustiana ai limiti della scienza (che l’autrice interpreta
biblicamente come blasfema, ma che ci richiama anche al monito greco della
tracotanza, della hybris), quanto “la
tragedia del non saper comprendere, del non saper essere responsabili delle
proprie azioni, del non saper prendersi cura di ciò che si consegna al mondo”. Perché è proprio questo che il geniale,
ossessivo e folle Victor Frankenstein non sa fare. Non sa comprendere, intanto,
il vero motivo delle sue azioni, non è capace di “leggere” al di sotto dell’
aspirazione apparentemente nobile e alta di dare vita ad un essere umano senziente
che possa migliorare la specie, renderla più forte e meno vulnerabile alla
fatica e alle malattie ottenendo con ciò l’universale gratitudine, il desiderio
nascosto di coprire le sue ferite, la sua vulnerabilità di fronte alla vita
stessa che si riveleranno appieno
nella relazione con la Creatura e con le
persone che lo amano. Non sa vedere, se non quando sarà troppo tardi, come i
mezzi terribili di cui si serve, gli orrori del suo lavoro segreto in cui
insegue la natura nei suoi recessi più nascosti corromperanno fatalmente il
risultato. Non sa, infine, porre attenzione agli affetti e ai sentimenti
concreti delle persone che lo amano e che pure ama, tutto sacrificando ad un
orizzonte di astrazione, ad un sapere che diventa divoratore e che proprio per
questo non può produrre nessuna vera “nascita”. E’ dunque per le sue mancanze
di uomo che Victor Frankenstein si rivela impari al compito che si è dato di
essere un “moderno Prometeo”: come il titano del mito, che ha forgiato il primo
essere umano con la creta strappando il fuoco agli dei per donarlo agli uomini,
anche lui ha strappato il fuoco dalla vita creando un nuovo e improbabile
Adamo, ma lo ha poi respinto, disgustato dalla sua vista, nel non luogo di una
relazione mancata, di una responsabilità disattesa. Certo, è ben probabile che nel
protagonista del romanzo Mary abbia proiettato considerazioni molto personali,
afferenti all’uomo che ama ma in cui coglie una disattenzione verso ciò che è
davvero importante per lei – l’analisi di Pezzini è molto attenta agli elementi
psicologici del testo - ma non è questo, alla fine, ciò che ci importa cogliere
nel Frankenstein, piuttosto qualcosa di più ampio che può riguardare ciascuno
di noi. Se infatti prescindiamo dagli aspetti della storia meno affini alla
sensibilità contemporanea e da quell’eccesso di enfasi che la caratterizza (anche se la scrittura è molto più
“sorvegliata” di quanto l’immaginario che ne è derivato lasci supporre), è una lezione civile e in un certo senso
politica quella che possiamo derivare da un romanzo che a questo punto sarebbe
davvero limitante racchiudere nel generico contenitore del “gotico”. Esso ci
porta infatti, se vogliamo accogliere questa ipotesi di lettura, a considerare
il rapporto dell’uomo con le cose che inventa, che costruisce, che manda nel
mondo; a riflettere su quella discrepanza, quella sproporzione - che già autori
come Gunther Anders segnalavano negli anni cinquanta del novecento – fra
l’eccezionale abilità tecnica della nostra specie, l’impulso prometeico che la
anima, e il limite della sua statura
morale ed etica; a riconsiderare come fondamentale quel “principio responsabilità” che Hans Jonas metteva a fondamento
dell’agire umano nel mondo. Tutte cose che dunque possono stare bene all’interno
di quest’altra “storia” che assieme ai nostri soci e sostenitori cerchiamo
anche noi di CircolarMente, in qualche modo, di scrivere…
N.B. =
questi temi saranno in modo particolare oggetto di uno degli incontri
programmati per l’anno che sta per iniziare, centrato sull’importanza della
consapevolezza di fronte ad una tecnologia che è insieme “meraviglia e
smarrimento” (per utilizzare la bella dicitura che il relatore Gianni Colombo
ha scelto per il suo intervento)
Per CircolarMente,
Enrica Gallo
Nessun commento:
Posta un commento