Il
“saggio” del mese
GENNAIO 2019
N.B. = nel testo che segue la parti in corsivo blu sono frasi
estratte dal libro in esame
Lettura consigliata quella di questo
saggio, di recente uscita, non solo a coloro (la grande maggioranza di tutti
noi, chi scrive compreso) che poco o nulla sanno di “neuroscienze”, ma a
chiunque sia interessato a meglio capire, essendo disponibile ad affrontarli da
un’ottica diversa, i grandi ed eterni temi della natura umana, della
“coscienza”, del progresso culturale. Eric
Kandel (Vienna, 7 novembre 1929 è un neurologo, psichiatra e neuroscienziato statunitense. Professore di biofisica e biochimica presso la Columbia University dal 1974, è uno dei maggiori neuroscienziati del XX secolo. È il primo psichiatra statunitense ad
aver vinto il premio Nobel per la medicina, conseguito nel 2000 per gli studi effettuati sulle basi fisiologiche della conservazione
della memoria nei neuroni) è riuscito a condensare in questo suo libro la sintesi
del suo pluridecennale lavoro sul campo offrendoci una avvincente divulgazione
(solo in alcuni passaggi “tecnici” di difficile comprensione per noi profani
totali) degli incredibili progressi degli studi su mente/cervello e al tempo
stesso una attenta panoramica delle molteplici ricadute e correlazioni, che
investono il sapere umano in generale, consentite da questi progressi.
L’assunto di partenza del saggio è subito di forte impatto:…………uno dei grandi
passi avanti dell’era contemporanea è stata la consapevolezza che il “cogito
ergo sum”, penso dunque sono, di Descartes andava capovolto. In realtà “sum
ergo cogito”, sono dunque penso……questo è avvenuto alla fine del secolo scorso quando una
scuola di filosofia della mente (John Searle e Patricia Churchland) si è fusa
con la psicologia cognitiva, la scienza della mente, ed entrambe si sono fuse
con le neuroscienze, la scienza del cervello…….sulla base del principio che la nostra
mente è un insieme di processi effettuati dal cervello, un dispositivo
complesso che costruisce la nostra percezione del mondo esterno, genera la
nostra esperienza interna e controlla le nostre azioni…………..Questa
evoluzione, radicale e rivoluzionaria rispetto a tutte le precedenti scuole di
pensiero, filosofiche e mediche, mantiene uno stretto legame con la concezione
evoluzionistica riprendendo, e confermandola sperimentalmente, l’intuizione
darwiniana che anche i nostri processi mentali si sono evoluti dagli antenati animali
allo stesso modo delle nostre caratteristiche morfologiche. A spiegare la
scelta del titolo del saggio Kandel illustra le ragioni che hanno portato a
studiare il “normale” rapporto funzionale mente/cervello partendo dalle, fra di
loro correlate, “anomalie” di funzionamento di entrambi..…..un approccio per
tentare di risolverli (i tanti aspetti del
rapporto mente/cervello, e della coscienza di sé in particolare) è quello di riformulare la domanda: che cosa succede al
nostro senso del sé quando il cervello non funziona correttamente, quando è
afflitto da traumi e malattie?……i disturbi del cervello forniscono una finestra sul
tipico cervello sano. Più gli scienziati e i clinici approfondiscono le
conoscenze sui disturbi cerebrali più comprendono come funziona la mente quando
tutti i circuiti cerebrali funzionano correttamente………..A questa
prospettiva innovativa si è faticosamente pervenuti al termine di un percorso
lungo e complesso. Un primo contributo fondamentale è inizialmente venuto dal seppur
lento, perché contrastato dalle convinzioni “classiche”, sviluppo della
psichiatria che, a partire da fine Settecento, ha sempre più messo a fuoco la
connessione fra alcuni “comportamenti anormali” e le evidenti lesioni cerebrali
riscontrate in sede di autopsia. Un passaggio decisivo è poi avvenuto alla fine
dell’Ottocento grazie alla straordinaria scoperta, da parte di un medico
italiano Camillo Golgi, della struttura delle cellule cerebrali, i neuroni, della
loro forma e della loro fitta rete di connessioni sinaptiche. In successione si
è potuta comprendere la natura elettrochimica dei messaggi che incessantemente
vengono scambiati fra i neuroni che compongono le varie aree del cervello, messaggi
che viaggiano senza sosta proprio grazie al “lavoro” dei neurotrasmettitori
elettrochimici. Le anomalie psichiatriche, la “mente alterata”, non erano
correlabili soltanto a evidenti lesioni cerebrali riscontrabili in sede di
autopsia, ma potevano di conseguenza essere spiegate anche con eventuali malfunzionamenti
della rete neurale, delle cellule cerebrali, delle loro sinapsi, e dei
neurotrasmettitori. Ma è soltanto a partire dalla seconda metà del secolo
scorso, con i fenomenali progressi della genetica, e con la messa a punto di
“tecniche di osservazione” del cervello in attività (brain imaging), che si è
potuti giungere ad un buon livello di conoscenza del rapporto mente-cervello, costruendo
una mappa, tuttora di molto perfettibile, delle aree cerebrali che si attivano
nello svolgimento di specifiche attività motorie e mentali. Sempre più questi progressi della ricerca evidenziano una
profonda relazione fra malattie neurologiche e malattie psichiatriche e, ancor
più, consentono di capire che tutte le nostre esperienze, fisiche e mentali, ed
i nostri comportamenti hanno origine in “quell’interazione fra ambiente e geni che plasma il
nostro cervello”.…..i sensi non presentano al cervello una realtà oggettiva,
ma gli forniscono le informazioni di cui ha bisogno per costruire la
realtà. Questa realtà auto-generata, in parte inconscia e in parte
cosciente, guida i nostri pensieri ed il nostro comportamento………………E’
bene precisare subito che Kandel non propone una visione esclusivamente biologista,
la sua convinta sottolineatura della crescente evidenza del ruolo della base
neurologica della mente non lo porta a sottovalutare il contributo che può
venire dalle discipline più legate alla mente, dalla psicologia alla
psicanalisi alla stessa filosofia. In ciò si colloca sulla stessa lunghezza
d’onda di altri neuro-scienziati, ad esempio Antonio Damasio (vedi il post dedicato ad una sua intervista
di Luglio 2018), che riconoscono ai sentimenti, alle emozioni, ossia a
costrutti strettamente connessi alla mente, un ruolo decisivo nello stimolo
delle reazioni neurologiche cerebrali e quindi, in ultima sintesi, nella
“formazione” della cultura umana. Nessun estremismo materialistico e neurologico
pertanto, ma un costante richiamo, nello scorrere della trattazione, alla
consapevolezza della fragilità e della provvisorietà della nostra mente, del
mondo dei nostri pensieri. Fragilità e provvisorietà che derivano proprio dall’incidenza
del legame con il supporto neurologico e con la sua strutturale deteriorabilità.
Correlato a questo richiamo merita
evidenziare un altro aspetto del lavoro di Kandel: il Nobel per la medicina del
2000 gli fu assegnato per le sue ricerche sui meccanismi biochimici che portano
alla formazione della “memoria” nelle cellule nervose. Riprendendo la
precedente citazione sulla relazione fra ambiente, sensi, cervello e mente, la
sua scoperta dei meccanismi attraverso i quali le cellule nervose, i neuroni, e
a cascata i geni, consolidano la “memoria” degli stimoli esterni è un
formidabile riconoscimento del meccanismo evoluzionistico e del processo
adattativo di costruzione delle strutture mentali. In questi aspetti sta, a
nostro avviso, lo stimolante valore d’insieme del saggio di Kandel. Altrettanto
avvincenti sono poi le considerazioni che Kandel porta avanti sulle specifiche “alterazioni
mentali” e sul loro collegamento con le sottostanti anomalie di funzionamento
neurologico. In successione si trovano nel saggio precise indicazioni sul corretto
funzionamento di un cervello sano, e sul ruolo giocato in questo senso da geni,
neuroni, sinapsi, neurotrasmettitori, ricavabili dallo studio di malattie
mentali quali: l’autismo, la depressione, il disturbo bipolare, la demenza
senile, la schizofrenia, il Parkinson. Impossibile in questa presentazione
addentraci nel merito di un racconto così analitico e approfondito; ci limitiamo ad
alcune “pillole" in grado di evidenziare “sorprendenti” relazioni fra mente e
cervello:
-
i
circuiti neuronali preposti all’espressione del linguaggio si trovano in una
certa area del cervello, mentre quelli preposti alla comprensione del
linguaggio si trovano in un’altra area. Se per qualche ragione una di queste
due aree non si sviluppa normalmente o viene danneggiata, da un trauma o da una
malattia, può succedere che un individuo mantenga la capacità di esprimersi
correttamente, persino in modo forbito, ma che sia in gran misura incapace di
comprendere quanto gli viene detto, o viceversa che un altro individuo
comprenda perfettamente ma sia colpito da afasia più o meno grave. L’unitarietà
della proprietà del linguaggio, la più importante delle capacità umane, non ha
quindi più basi molto salde
-
gli
studi del cervello stanno sempre più evidenziando la correlazione, genetica e
sinaptica, (in molti casi conseguenza di alterazioni cellulari negli
spermatozoi di genitori maschi “anziani”) dell’autismo, ridimensionando di
conseguenza precedenti ipotesi e teorie di natura puramente psicanalitica. Una di
queste, quella delle “madri frigorifero” (ossia incapaci di trasporto emotivo)
considerate responsabili di casi di autismo da parte di Bruno Bettelheim,
eminente psicanalista del Novecento, non solo non ha aiutato alla comprensione
e alla “cura” ma ha, per alcuni decenni, colpevolmente ingenerato in molte
madri sensi di colpa tanto spaventosi quanto inutili
-
l’intera
gamma delle emozioni è coordinata dalla “amigdala”, una struttura cerebrale
collegata, per questa specifica funzione, con l’ipotalamo e la corteccia
prefrontale, quest’ultima sede cerebrale interviene per regolare “l’intensità”
delle emozioni…..e
la loro influenza sul pensiero e sulla memoria….alterazioni in
queste tre aree cerebrali e nella rete neurale che le collega, rilevabili dal
brain imaging, è alla base di
alterazioni psichiche quali la depressione e il disturbo bipolare (alternanza
di euforia e depressione)
-
è
stato infatti rilevato che situazioni di stress prolungato possono provocare,
rilasciando dosi eccessive di cortisolo (un ormone che incide sul corretto
funzionamento della rete sinaptica), alterazioni nella relazione fra amigdala,
ipotalamo e corteccia cerebrale, innescando così i disturbi depressivi e
bipolari
- nell’ambito
di questa specifica relazione mente-cervello, e a dimostrazione dell’atteggiamento
“aperto” di Kandel, si evidenzia uno stretto rapporto fra psicoterapia, intesa
principalmente come “influenza dello scambio verbale” tra paziente e terapeuta
e come “apprendimento”, e la farmacologia.
Se inizialmente si riteneva che la prima agisse sulla mente e la seconda sul
cervello proprio le ricerche di Kandel, premiate dal Nobel, sulla memoria delle
cellule hanno dimostrato che l’apprendimento incide sulla anatomia delle
connessioni neurali. Psicoterapia e farmacologia quindi possono, su questa base
integrarsi per intervenire su depressione e disturbo bipolare
-
un
neurotrasmettitore, la dopamina, se prodotta in eccesso dal cervello è un
fattore importante nello sviluppo della schizofrenia, se prodotta invece in
misura insufficiente è concausa in quello del Parkinson, a testimonianza che
alcune aree cerebrali presiedono in contemporanea ad attività motorie e ad altre mentali
- una
specifica variazione genetica, le cui conseguenze si evolvono lentamente
manifestandosi in modo clinicamente significativo nei soggetti adolescenti, è
chiaramente collegata alla schizofrenia: le variazioni genetiche sono innescate
da diversi fattori, esterni ed interni, fra questi un “errore” (la cui genesi è
per ora del tutto sconosciuta) di scrittura del DNA
-
è
certamente convinzione diffusa che la
memoria sia la base ed il collante della nostra vita mentale, tutti noi
sappiamo che senza di essa la mente si spegne o si frantuma in frammenti fra di
loro slegati. Non altrettanto diffusa è la conoscenza dell’esistenza di due tipi
di memoria: una definita esplicita o dichiarativa, ed è quella che gestisce gli
aspetti più complessi della nostra esistenza e che richiede una presenza
“conscia”, ed una definita implicita o non dichiarativa, sostanzialmente inconscia, che il cervello usa per gestire le attività motorie
e percettive “automatiche. Queste due memorie che, insieme, compongono la
nostra “memoria” complessiva, seguono percorsi differenziati perché risiedono
in differenti aree cerebrali.
-
entrambi
questi tipi di memoria possono poi essere conservati dalla nostra mente per un
periodo breve, brevissimo, oppure per un periodo lungo, lunghissimo. Questa differenza nasce
dal fatto che la memoria a breve termine usa le connessioni sinaptiche già
esistenti, quella a lungo termine necessita invece della creazione di nuovi
collegamenti se non di nuove sinapsi, implicando quindi modificazioni
anatomiche. In parole povere, con linguaggio da profani, si potrebbe dire che
in questo caso è la mente che modifica il cervello
-
al
contrario alterazioni del supporto cerebrale possono incidere, anche
pesantemente, sulla mente e sulla sua capacità mnemonica. E’ il caso di
malattie tristemente diffuse come la demenza senile, l’Alzheimer e la demenza
fronto-temporale. Queste malattie colpiscono le aree del cervello che
presiedono alla memoria esplicita, quella implicita, risiedendo in altre aree,
è molto più facilmente conservabile anche in età molto avanzata
-
gli
studi su demenze ed Alzheimer stanno sempre più evidenziando l’incidenza di
alterazioni genetiche dovute al malfunzionamento di specifici tipi di ormoni e
proteine che formano placche e grovigli neuronali (a partire da dieci/quindici
anni prima dell’insorgenza della malattia). La frontiera della ricerca è quindi
quella di individuare ed intervenire sui meccanismi alla base di questo
malfunzionamento neuronale. Una indicazione importante in questo senso viene dalla
scoperta del ruolo della osteocalcina, un ormone prodotto dalle ossa, sulle
aree cerebrali preposte alla memoria; ciò significa che la costanza del
movimento fisico anche nell’età avanzata è fondamentale per la buona salute di
muscoli, ossa e, grazie per l’appunto all’osteocalcina, al cervello in generale
e alla memoria in particolare. Ringraziamo le neuroscienze per queste confortanti
scoperte, ma ringraziamo anche la saggezza romana, in fondo è pur sempre “mens
sana in corpore sano”
-
una
ulteriore specifica conferma della base neurologica nel rapporto mente/cervello
viene dai sintomi che si manifestano nei soggetti colpiti da demenza
fronto-temporale: le alterazioni neuronali in queste aree cerebrali modificano
i comportamenti sociali e morali. Quelle che, comprensibilmente, giudichiamo
essere conquiste esclusive della mente, della cultura, possono essere
completamente sconvolte e modificate, in modo ovviamente incolpevole, da cambiamenti peggiorativi della rete neurale coinvolta
-
nei
soggetti affetti dalle malattie mentali è stata spesso riscontrata una notevole
capacità creativa espressa in particolare nelle arti visive, pittura in primis.
La constatazione che le alterazioni cerebrali alla base di tali malattie
comportano, come effetto “collaterale”, anche una “anomala” osservanza dei modi
normali di vedere ed interpretare la realtà, a ben vedere il presupposto di
base della creatività in genere, offre interessanti spunti per tentare di
comprenderne i meccanismi cerebrali. Siamo lontani dalla scoperta piena dei
meccanismi biologici della creatività, ma un aspetto “precursore” è ormai
evidente: l’emisfero destro del cervello presiede alle attività collegabili al
processo creativo, ma è, di norma, “inibito” dall’emisfero sinistro preposto
alle attività più conformi alla logica razionale. Una “alterazione”, non
necessariamente patologica, di questo equilibrio può consentire all’emisfero
destro di superare questa “inibizione” dando così spazio a percorsi “creativi”
-
il
saggio di Kandel si chiude, e non poteva che essere così, con un capitolo
dedicato al mistero della “coscienza”, l’ultima e definitiva conquista, ben
lungi dall’essere raggiunta, della conoscenza sul rapporto “mente/cervello”.
Lentamente, spesso con molta fatica, tutti noi stiamo assimilando la
consapevolezza che debba essere superata l’idea cartesiana, peraltro non
dissimile dalla nostra quotidiana convinzione, della “mens cogitans”, ossia di
un “sé” autonomo dalla realtà circostante, dai sensi, dalla base biologica di
corpo e cervello. Ma ancora troppo poco sappiamo per definire in modo compiuto
cosa è, e come si forma, l’autoconsapevolezza del sé. Lo stesso Kandel non può
certo fornire risposte esaustive, ma offre anche per questo aspetto spunti
interessanti di conoscenza e riflessione:
·
la
coscienza non è una funzione unitaria della mente, ma è un insieme di stati
diversi che si sviluppano in contesti diversi
·
essa
è il complesso intreccio fra attività consce ed attività inconsce; un esempio
fra i tanti, riferito alla più qualificante capacità umana: il linguaggio. Noi
oggi sappiamo che il peso dell’inconscio nella gestione del linguaggio è
decisivo, di fatto….quando parliamo sappiamo (siamo consci del….) il senso di ciò
che stiamo per dire, ma non sappiamo (non siamo consci di…..) cosa
concretamente e specificamente diremo fino a quando non lo avremo detto……
·
l’attività
cerebrale, quindi, precede in generale qualsiasi azione intraprendiamo,
e più in dettaglio precede la decisione; spostandoci, come esempio, all’attività motoria è ormai
accertato che il movimento, innescato dalla reazione ad uno stimolo ambientale, avviene prima (ovviamente si parla di
frazioni di secondo) della decisione, cosciente, di farlo. Alcuni studiosi hanno codificato, su queste basi, due sistemi
generali di pensiero, uno in gran parte inconscio, veloce, automatico e
intuitivo, ed uno, basato sulla consapevolezza, lento, deliberato, analitico.
Come Cartesio siamo portati a identificarci con questo secondo sistema, mentre
in realtà le nostre vite (reali) molto spesso sono guidate dal primo
·
abbiamo,
in parole poverissime, due modi diversi di pensare e di muoverci nel contesto fisico reale, uno inconscio ed
istantaneo, determinato dalla percezione sensoriale, ed uno conscio e
articolato, preposto alla gestione dell’informazione percettiva. Questo connubio
fra conscio ed inconscio è incredibilmente complesso: stesse aree cerebrali
possono presiedere all’uno e all’altro. Un esempio, affascinante e
“sconvolgente”, è fornito dall’ipotalamo, un’area cerebrale preposta, assieme
all’amigdala, alla gestione delle emozioni, dei comportamenti istintivi: le
tecniche di brain imaging hanno individuato in esso un gruppo di neuroni,
addetti a questo compito, divisi fra alcuni che regolano l’aggressività ed
altri che gestiscono la sessualità; ebbene il 20% dell'insieme di questi neuroni viene
coinvolto in entrambi i casi e determina quindi, in ultima istanza, il prevalere dell’uno piuttosto che
dell’altro. Il connubio, celebrato fin dall’antichità classica, fra Eros e
Thanatos si gioca tutto su questo 20% di neuroni?
·
a
chiudere Kandel cita John Searle (filosofo
statunitense, della mente e del linguaggio, che per una serie di coincidenze è
stato più volte richiamato in nostre recenti iniziative) che ha così codificato le caratteristiche
costitutive la coscienza:
ü
è
qualitativa, riferendosi ad attività diverse e articolate
ü
è
soggettiva, sta in ognuno di noi
ü
è
una unità di esperienza: le esperienze
sono sempre individuali, possono essere condivise, capite da altri, ma restano
intimamente patrimonio individuale
Searle ritiene, se così è, che per
comprendere la coscienza dobbiamo superare due problemi: uno facile,
individuare i processi biologici del cervello correlabili alla coscienza
(quello che Kandel e gli altri stanno facendo) ed uno difficile, capire “perché”
questi processi biologici “causano” la coscienza, ossia perché l’esperienza
cosciente li richiede.
Completiamo la
presentazione del saggio di Kandel con questo interessante articolo, dedicato
alla sua opera complessiva,
estratto dalla “Rivista di psichiatria” – pagine
delle recensioni…………
Le sue ricerche hanno aperto la
strada alle neuroscienze moderne e segnato una svolta nel modo di concepire la
neurobiologia, la psichiatria e la psicoanalisi, riconducibile al concetto
centrale che la conoscenza dei meccanismi neurali mira a penetrare il mistero
della mente e della coscienza, compreso il mistero ultimo, il modo cioè in cui
il cervello di ogni persona crea la consapevolezza della nostra unicità e
individualità, e ne determina la libera volontà. Stiamo vivendo – scandisce
Kandel – “anni eccitanti per il progresso delle neuroscienze”. Stiamo entrando
in una nuova era scientifica caratterizzata dalla nascita di una “nuova scienza
della mente”, fondata sulle basi rigorose della neurobiologia, sul rapporto inscindibile
tra sistemi cerebrali e processi mentali, e sulle differenze intellettive fra
gli individui. La comprensione del cervello e della mente si configura come la
massima sfida delle neuroscienze del XXI secolo. Kandel ha fornito la prima
prova diretta che l’apprendimento avviene a livello delle sinapsi e produce
modificazioni nel nostro cervello, trasformando i circuiti neurali. La scoperta
della plasticità del cervello, ovvero la capacità dell’organismo di modificare
il suo comportamento in base all’esperienza, costituisce, per Kandel, la
proprietà più importante e affascinante del cervello, la forma più elevata
dell’uomo, poiché i processi mentali dell’apprendimento toccano una delle
qualità distintive dell’uomo: la sua attitudine ad acquisire nuove idee e nuove
conoscenze, e di custodirle nella sua memoria. Le sue scoperte lo portano a
delineare un modello teorico articolato su cinque principi:1) ogni processo
mentale è anche un processo neurale; 2) le connessioni neurali sono determinate
dai geni; 3) l’esperienza modifica l’espressione genica; 4) l’apprendimento
modifica le connessioni neurali;5) i farmaci, ma così anche la psicoterapia, modificano
l’espressione genica e i circuiti neurali. Da questi principi discende, in
sostanza, che la coscienza e la mente “derivano” dal cervello e dunque esse
sono “accessibili” all’analisi scientifica. Tutti i processi mentali, dal più
banale al più elevato, “scaturiscono” dal cervello e tutti i disturbi mentali,
indipendentemente dalla sintomatologia, vanno associati a “specifiche
alterazioni a livello cerebrale”. La ricerca sulle basi cellulari e sistemiche
del sistema nervoso, la mappa del genoma umano e le tecniche di analisi
genotipica stanno già iniziando a “rivoluzionare” il nostro approccio alla
genetica psichiatrica. Consentendoci di indagare sui geni associati ai disturbi
psichiatrici e scoprire la configurazione, per ciascuno di tali disturbi, che
più predispone al rischio. Analogamente, il profilo di espressione genica nella
schizofrenia e nel disturbo bipolare può essere studiato, interrogando migliaia
di geni in determinate aree del cervello. È possibile prevedere – dichiara
Kandel – che la psichiatria e la neurologia siano ridefinite come discipline
cliniche riconducibili alle neuroscienze. I pazienti con patologie mentali –
schizofrenia, disturbo bipolare, autismo, sindrome di Tourette – presentano
problemi a livello cerebrale. D’altra parte, i soggetti affetti da morbo di
Parkinson, morbo di Alzheimer e dalla maggior parte dei disturbi neurologici mostrano
sintomi mentali che hanno un ruolo centrale nella malattia. Ciò che ancora non
comprendiamo è il problema più complesso della coscienza, vale a dire il modo
misterioso in cui l’attività neurale dia origine all’esperienza soggettiva.
Oggi, siamo in grado di individuare i neuroni di una regione che si accendono
nel momento in cui il soggetto sta eseguendo un’azione, per esempio guardare
l’immagine rossa di una rosa. Abbiamo compiuto un primo passo nello studio
della coscienza. Abbiamo appurato ciò che Crick e Koch hanno chiamato
“correlato neurale della coscienza”, un concomitante materiale di una singola
percezione. Ma in che modo l’accensione di specifici neuroni produce
un’esperienza soggettiva, come il dolore o la gioia? Questo costituisce ancora
il mistero dell’esperienza soggettiva, cioè della coscienza. Come primo passo,
dobbiamo domandarci se l’unitarietà della coscienza sia localizzata in uno o
più punti. Per Edelman, la struttura neurale per l’unitarietà della coscienza
si trova diffusa in tutta la corteccia e il talamo. Di conseguenza, è
improbabile che saremo in grado di “individuare” la coscienza solo tramite una
serie di correlati neurali. Crick e Koch sostengono invece che l’unitarietà
della coscienza mostrerà di avere correlati neurali diretti, in quanto essi
coinvolgono solo un piccolo, specifico gruppo di neuroni con proprie
marchiature molecolari e neuroanatomiche. La prima cosa da fare è dunque
“localizzare” all’interno del cervello questi neuroni e “determinare” i
circuiti neurali a cui appartengono. In che modo possiamo trovare questa
piccola popolazione di cellule, che potrebbero mediare l’unitarietà della
coscienza? Nel suo ultimo lavoro, scritto poche ore prima di morire, Crick ha
affermato che il segreto della coscienza e della mente sta nel claustro, una
piccola struttura situata al di sotto della corteccia, che è in grado di legare
e coordinare le varie regioni del cervello, necessarie nel realizzare
“l’unitarietà della coscienza”. Oggi stiamo iniziando a studiare, con le
moderne tecniche di brain imaging, alcuni aspetti dei nostri pensieri più
intimi e dei nostri comportamenti: il modo in cui percepiamo, agiamo, proviamo
emozioni, impariamo e ricordiamo. Abbiamo scoperto che il cervello non si
limita a percepire il mondo esterno, riproducendolo come una sorta di
fotografia, ma “ricostruisce” la realtà dopo averla analizzata nelle sue parti.
Se il cervello è in grado di “generare” autocoscienza e compiere le sue
straordinarie imprese di elaborazione di eventi, idee e fatti, è perché i suoi
numerosi componenti, i neuroni, sono connessi tra loro – precisa Kandel – in
modo assai preciso. È probabile che le tecniche di neuroimaging riusciranno a
rivelare quelle differenze presenti nel cervello di ciascuno di noi. Potremo
allora ricondurre l’individualità della nostra vita mentale a un sicuro
fondamento biologico. Il che ci consentirebbe di disporre di uno strumento per
diagnosticare i disturbi psichiatrici e valutare l’esito di diverse forme di
trattamento, inclusa la psicoterapia. Già oggi per certi disturbi possiamo
visualizzare il cervello del paziente prima e dopo la terapia e osservare le
conseguenze dell’intervento psicoterapeutico. Il brain imaging applicato alla
depressione mostra in generale una diminuzione dell’attività della regione
dorsolaterale della corteccia prefrontale e un incremento dell’attività della
regione ventrolaterale. Siamo poi in grado di descrivere i cambiamenti
metabolici del cervello risultanti dalla terapia farmacologica e dalla
psicoterapia. La nuova scienza della mente, mentre opera un congiungimento di
cervello e mente, è tesa a orientare questioni cruciali che da oltre 2000 anni
hanno dominato il pensiero, sin dai tempi di Socrate e Platone, e ci offre una
nuova, fantastica prospettiva. Quella di realizzare il sogno degli scienziati e
degli studiosi di scrutare una nuova, fantastica prospettiva. Quella di
realizzare il sogno degli scienziati e degli studiosi di scrutare all’interno
del cervello umano e osservare e comprendere l’attività sia dei neuroni che
organizzano l’insieme delle informazioni sia delle regioni cerebrali mentre un
individuo svolge le più sofisticate funzioni mentali, come pensare, percepire
un’immagine o dare inizio a un’azione. L’esito complessivo – conclude Kandel,
premio Nobel per la medicina – “è fenomenale”.
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