venerdì 1 marzo 2019

La parola del mese - Marzo 2019


La parola del mese

 A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni


MARZO 2019


Non di rado in politica prendono piede termini di nuovo conio. Spesso nascono in un preciso contesto, per definire una situazione specifica, per poi diffondersi anche molto ampiamente vista la loro riscontrata “capacità” di rappresentare un fenomeno altrettanto esteso. Inevitabilmente però la loro adozione su larga scala non sempre corrisponde ad una loro esatta conoscenza e ad un loro corretto ed opportuno utilizzo, vista la genericità di definizione che il loro estendersi automaticamente comporta. E’ il caso della parola scelta come quella del mese per questo Marzo 2019. Nasce nel Canada francese, nel Quebec, negli anni Settanta come nome del movimento indipendentista francofono contrapposto al  Governo centrale canadese. Passa poi in Francia dove, a partire dagli anni Novanta, è stata utilizzata, ma solo in ristretti ambienti accademici, per descrivere il crescente euroscetticismo di numerosi partiti e leader politici francesi, resi in quegli anni particolarmente agguerriti dalla creazione dell’euro e dai progetti di ulteriore integrazione politica nell’Unione Europea. Nel nuovo millennio inizia ad essere utilizzata sempre più frequentemente e diffusamente in tutta Europa (ma ufficialmente entra nel lessico politico solo nel 2012 quando Marine Le Pen pubblicamente la usa per annunciare la nascita di una coalizione che in essa vedeva la sua ragione d’essere) per battezzare un modo di relazionarsi alla costruzione dell’unità europea, per altro non poco differenziato da paese e paese, ma che sicuramente, qualunque idea si abbia al riguardo, avrà un ruolo centrale nelle prossime elezioni europee. Parliamo di…………



Sovranismo



Termine entrato nell’uso corrente qui in Italia solo molto recentemente tant’è che la Treccani l’ha incluso nel suo dizionario solo nel 2017 così definendolo……..

Sovranismo = s. m. Posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione. Derivato dall'aggettivo sovrano con l'aggiunta del suffisso -ismo, sul modello del francese souverainisme.

La definizione da dizionario sembra essere tecnicamente precisa ma al tempo stesso così includente da consentire di essere utilizzata, soprattutto dai media qui in Italia, per etichettare partiti e leader politici non sempre così omogenei e riconducibili all’essenza della definizione: dalla Lega di Matteo Salvini ai partiti al governo in Ungheria e Polonia, dal Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia,  allo UKIP britannico, alla nuova destra spagnola, al partito xenofobo olandese, a movimenti e partiti dei paesi del Nord Europa euroscettici, passando per lo stesso presidente statunitense Donald Trump e persino per quello brasiliano Jair Bolsonaro. L’eccesso del suo utilizzo è un vezzo molto nostrano, basti pensare che nel mondo anglosassone la parola “sovranismo” è praticamente sconosciuta e per riferirsi a questi leader e movimenti si usano termini come “nazionalisti”, “populisti”, “ultra conservatori” o, più semplicemente, “estrema destra”. Nel contesto italiano più strettamente partitico il termine “sovranismo” entra ufficialmente in scena nell’ambito della destra sociale: CasaPound crea nel 2015 un movimento, “Sovranità”, che si presenta alleato alla Lega di Matteo Salvini alle elezioni regionali di quell’anno, due anni dopo nel 2017 Francesco Storace e Gianni Alemanno fondano  il “Movimento nazionale per la sovranità”. Quello che è oggi identificato come il “sovranista” per eccellenza, Matteo Salvini, ha avuto in realtà un rapporto controverso con questo termine. Diventato segretario della Lega alla fine del 2013, Salvini radicalizzò la linea del partito, puntando tutto sull’uscita dall’euro, il tema “sovranista” per eccellenza, e sull’alleanza con i piccoli partiti dell’estrema destra. In quei mesi i giornali iniziarono a parlare della trasformazione “sovranista” della Lega (un termine che sui giornali sarebbe stato scritto tra virgolette ancora molto a lungo), ma Salvini si guardò bene dall’utilizzare pubblicamente quell’etichetta che per molti dirigenti e militanti era inevitabilmente associata alla difesa del potere assoluto dello Stato centrale, posizione non proprio in cima al loro gradimento. Solo nel maggio del 2017, poco dopo aver stravinto il congresso della Lega, Salvini può finalmente annunciare che la Lega è diventata un vero e proprio “partito sovranista e lepenista”. Tornando al contesto europeo, a conferma della eccessiva elasticità con la quale questo termine viene utilizzato, va detto ad esempio che i leader polacchi del partito Diritto e Giustizia sembrano molto poco “sovranisti” nel loro sostegno alla NATO (e d’altronde al confine c’è la Russia, questa sì tradizionalmente sovranista, anche se di un sovranismo d’antan) e nella loro volontà di continuare a ricevere ampi sussidi dall’Unione Europea, al punto da bloccare una controversa riforma della giustizia che avrebbe rischiato di produrre sanzioni economiche. Sembra inoltre una definizione riduttiva per leader come l’ungherese Viktor Orbàn, la cui visione di democrazia illiberale” è molto più ampia e radicale della semplice difesa delle prerogative dello stato nazionale. E’ però vero che, nel racconto fatto dai media, soprattutto italiani, le prossime elezioni vedranno fronteggiarsi due Europe: quella dei partiti più o meno “classici” e quella variamente sovranista. Ma ancora una volta con una certa forzatura; non esiste infatti un unico programma politico condiviso tra i partiti delle diversi nazioni che, all’apparenza, si richiamano ad un solo sovranismo. Anzi, quando il governo italiano ha tentato di portare al Consiglio dell’Unione Europea le sue istanze “sovraniste” sulla legge di bilancio, i suoi “alleati sovranisti” sono stati tra i primi a richiamarlo al rispetto delle regole comuni. E’ pur sempre possibile che ragioni di opportunità post elezioni facciano convergere voti “diversamente” sovranisti in una eventuale maggioranza al Parlamento europeo, o quanto meno in una forte minoranza, al fine di decidere, o quantomeno pesantemente influire, sulla composizione della prossima Commissione Europea. Ma se anche ciò dovesse avvenire è difficile immaginare che a tenerli uniti possa essere solo una vaga ideologia sul cui esatto significato, loro per primi, non sembrano essere molto d’accordo. L’illustrazione sin qui fatta della parola del mese comporta, in termini di collocazione politica, una sua connotazione sostanzialmente “di destra”, ma esiste un “sovranismo” di sinistra che riprende, anche se per ragioni e finalità completamente diverse, l’idea di un ritorno al ruolo “sovrano della Stato. Si tratta per ora di un movimento più di opinione portato avanti soprattutto in ambito intellettuale. Ma è pur vero che riprende posizioni di insofferenza verso il dogmatismo economico ed istituzionale europeo che hanno una indubbia consistenza in diversi settori della sinistra italiana. E’ quanto è possibile cogliere dalla seguente intervista, di cui riportiamo alcuni stralci, al giornalista Thomas Fazi che, con l’economista William Mitchell, ha recentemente pubblicato, per i titoli di Meltemi Editore, il saggio “Sovranità o barbarie”………


Sovranità, sovranismo (secondo il Censis addirittura «psichico»), anti-europeismo: sono i termini correnti del dibattito politico, ai tempi del governo gialloverde e dello scontento verso questa Europa. Un fenomeno non solo italiano, ma ormai diffuso in tutto il continente: basti pensare alla Brexit inglese o alla rivolta dei gilet gialli in Francia. Sul significato di “popolo sovrano”, tuttavia, non c’é condivisione……Due studiosi appartenenti al campo di sinistra, il giornalista e saggista Thomas Fazi e l’economista Bill Mitchell, uno dei principali esponenti della teoria monetaria moderna, hanno voluto far chiarezza sul tema, sfornando un libro denso e rigoroso, prendendo una posizione ben precisa svelata fin dal titolo: “Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale” (Meltemi, 2018), che riecheggia il motto della rivoluzionaria comunista Rosa Luxemburg, “socialismo o barbarie”.

Eppure, Fazi, la sovranità è oggi la bandiera dei sovranismi che, forse un po’ spicciativamente, vengono definiti di destra, anzi né più né meno che la riedizione dei vecchi nazionalismi. La sovranità è anche di sinistra? In che rapporto è con l’idea, da sempre democratica, dell’autodeterminazione dei popoli?

Il sovranismo altro non è che un’impostazione analitica che pone al centro la necessità, nel contesto europeo attuale, di recuperare maggiori spazi di sovranità democratico-popolare e dunque di sovranità nazionale. Se per sovranità popolare intendiamo il diritto dei cittadini di determinare l’indirizzo politico ed economico di un paese tramite il processo elettorale, questo presuppone che i partiti eletti dai cittadini, una volta andati al potere, abbiano gli strumenti di politica economica per realizzare i programmi elettorali per i quali sono stati votati. In altre parole, la sovranità nello Stato, cioè nostra, dei cittadini, richiede la sovranità dello Stato. Il problema è che oggi questo nesso, in Europa, è stato reciso. Il risultato è che oggi continuiamo a far finta di vivere in democrazia, in cui i partiti politici si contendono le elezioni sulla base di programmi elettorali alternativi, quando in realtà sta diventando sempre più evidente che si tratta di una pantomima, giacché i partiti che escono vittoriosi dalle elezioni si ritrovano poi privi degli strumenti, finanziari in primis, per realizzare il loro programma elettorale e anzi sono costretti ad andare ad elemosinare le necessarie risorse finanziarie ai mercati finanziari o alla Bce. Da questa breve disamina si capisce quanto sia assurda l’idea che il “sovranismo” sia un’ideologia di destra. È a ben vedere il contrario del nativismo di partiti come la Lega che sono ben felici di rimanere all’interno dell’architettura della UE e della moneta unica, che gli permette di capitalizzare sull’euroscetticismo dilagante, dirottandolo verso categorie deboli come gli immigrati, senza però mettere in discussione le fondamenta del sistema……………..

…………….Perché contestare l’euro e l’Ue è un tabù, sia nella destra liberale ma soprattutto a sinistra, compresa la sinistra cosiddetta radicale, fino all’evocazione dello spettro fascista?
La sinistra si convertì all’europeismo e al sovranazionalismo nel corso degli anni Settanta in quanto introiettò l’idea (in verità fallace) secondo cui la crescente internazionalizzazione economica e finanziaria di quegli anni, ciò che oggi chiamiamo globalizzazione, fosse un aspetto ineluttabile della “modernità”, piuttosto che essere il risultato di una precisa volontà politica, destinato inevitabilmente a erodere la sovranità economica dei singoli Stati e dunque la loro capacità di decidere in autonomia, ossia a prescindere dalla volontà dei mercati, le loro politiche economiche e sociali, costringendoli dunque ad abbandonare le politiche “keynesiane” che avevano caratterizzato il secondo dopoguerra fino a quel momento e che, tra mille contraddizioni, avevano permesso alle classi subalterne di ottenere un grado di rappresentanza politica ed economica senza precedenti nella storia. Così facendo la sinistra finì per legittimare ideologicamente e politicamente il neoliberismo come unica alternativa praticabile e, cosa ancor più grave in termini delle sue ricadute politiche, per avallare l’idea, soprattutto nel contesto europeo, secondo cui le nazioni non avessero altra scelta che abbandonare qualunque strategia economica nazionale e qualsiasi strumento tradizionale di intervento nell’economia a favore di forme di governance internazionale e/o sovranazionale. Ancora oggi l’orizzonte europeo viene considerato imprescindibile da buona parte della sinistra. La verità è che qualunque ipotesi di riformabilità in senso progressivo e democratizzabilità dell’Unione europea e dell’unione monetaria è del tutto illogica e irrealistica, oltre che inauspicabile: non si può democratizzare uno spazio che nasce e si sviluppa proprio all’insegna della desovranizzazione, della de-democratizzazione e della depoliticizzazione. Il livello europeo è strutturalmente postdemocratico e per questo irriformabile………………………

……………….È realistico pensare ad una riappropriazione di sovranità, non solo per l’Italia ma anche per gli altri Stati, nel breve-medio periodo? ………………….

Io non ho particolare simpatia per questo governo ma accetto che questo è un governo democraticamente legittimato e dunque ho difeso la manovra dalle ingerenze dell’Europa, come credo non possa esimersi dal fare chiunque abbia a cuore la democrazia. Allo stesso tempo, però, c’è un elemento che mi preoccupa molto: cioè che ogni giorno passa cresce sempre di più l’impressione che il governo sia andato allo scontro con l’Europa senza avere un vero piano B, sulla base dell’illusione che “l’Italia non è la Grecia”, una frase che abbiamo sentito spesso in questi anni, cioè dell’idea che l’Italia in virtù del suo peso economico avrebbe avuto un margine di manovra più ampio di quello concesso alla Grecia. Gli eventi stanno dimostrando che le cose non stanno affatto così e anzi che proprio perché l’Italia è un paese così importante non gli si può permettere di sfidare esplicitamente le regole europee, perlomeno dal punto di vista retorico se non nella pratica. L’errore di fondo a mio avviso è pensare che l’alternativa sia tra tenere un paese nell’euro o cacciarlo dall’unione monetaria. Se così fosse effettivamente il margine di manovra dell’Italia sarebbe molto ampio, perché è condivisibile l’idea che gli altri paesi non abbiano interesse a precipitare una crisi così profonda che avrebbe ripercussioni pesanti su tutta l’Europa. ………….Tutto questo per dire che se veramente il governo ci ha portato allo scontro senza avere un piano B questo sarebbe molto grave, perché rischia realmente di spianare la strada alla troika.

…………….per restare nel campo (ampio e generico) di sinistra non mancano certo critiche alle posizioni di Fazi e degli altri sostenitori del sovranismo, ed in particolare all’idea della necessità di tornare ad una dimensione più forte di Stato. Ne sono un esempio quelle che Salvatore Cannavò, giornalista e Vicedirettore del Fatto Quotidiano e Direttore della nuova rivista Jacobin Italia, muove nel suo commento al libro di Alessandro Somma “Sovranismi, del quale riportiamo alcuni stralci………….


L’illusione sovranista


Il tentativo di costruire una nuova sovranità democratica e popolare affascina parte della sinistra. Ma la nazione come terreno dell’azione politica offre troppe ambiguità. Invece di rivendicare confini serve parlare di autogoverno e democrazia


Con il suo ultimo libro, Sovranismi Alessandro Somma, docente del diritto comparato all’università di Ferrara, autore di diversi libri sul tema (da Rottamare Maastricht alla Dittatura dello spread, tutti per Derive Approdi), continua il percorso che aveva intrapreso in lavori precedenti: costruire una teorizzazione democratica e di sinistra del sovranismo. Compito impegnativo, che gli vale l’attenzione di una parte della sinistra italiana come dimostra la presentazione del libro alla Camera organizzata da Patria e Costituzione, la formazione creata dal deputato Stefano Fassina, già Pd ed eletto con Liberi e Uguali, in cui si immagina di costruire una risposta più efficace ai diktat europeisti. E di sfidare con migliori argomenti la forza populista e nazionalista rappresentata da Lega e M5S. Scopo del libro, come evidenziato già nelle prime pagine, è quello di disegnare «una via democratica al recupero della sovranità nazionale» evitando di «lasciare alle destre la riflessione su questi aspetti»…………………..Secondo Somma la «sovranità nello Stato» presuppone anche la «sovranità dello Stato». Quest’ultima è attualmente vincolata, limitata e condizionata da una sovranità superiore, quella europea, che nel modo in cui è stata costruita travalica il diritto internazionale così come è stato costruito in ambito Onu, dove la partecipazione a organismi internazionali trova il suo fondamento e il limite nella sovranità degli stati. Con l’Unione europea questi limiti sono oltrepassati e divelti in una costruzione che Somma giudica «irriformabile». Occorre dunque un sovranismo «democratico» e «sociale» con il ritorno ai confini nazionali per «ripristinare i controlli sulla circolazione dei fattori produttivi»: capitali innanzitutto, ma anche merci e, aggiunge l’autore, persone definendo «insidiosa» la loro libera circolazione……………..Se è vero, dunque, che questa Ue non è riformabile e che il gioco dello strappare risultati al tavolo del Consiglio europeo non possa essere perseguibile da una politica di sinistra, in una opzione europeista di tipo nuovo, bisognerebbe pretendere l’azzeramento dei trattati e ridiscutere da capo l’intera costruzione europea. Per questa ragione non fa scandalo neppure l’ipotesi di non essere più nell’euro. Solo, appunto, “non essere più”  è un po’ diverso da dichiarare di voler “uscire”  perché indica un posizionamento diverso. ………………………Veniamo alle divergenze con il testo. La proposta, abbiamo visto, è la dimensione nazionale come terreno per recuperare sovranità democratica, anzi una sovranità sociale, e luogo di azione per una politicizzazione del mercato. Ma la dimensione nazionale non può essere banalizzata, la sinistra non può non vedere che su questo terreno si è giocata anche una partita a perdere. Può essere facile richiamare gli anni Venti del Novecento, il fascismo e il nazismo. È l’argomento più utilizzato dalla sinistra targata Pd per contrastare il populismo leghista e, in parte, quello del M5S. Sarebbe facile attestarsi a questa critica, ma la discussione è più complessa. Per molti la nazione è naturalmente progressista, nasce con la Rivoluzione francese che ne fa un concetto costituente. Eppure quanta amarezza si riscontra nel Lucien Fevre della Storia d’Europa quando constata che proprio quella categoria di “nazione” si incaricherà, nella sua realizzazione ottocentesca, di distruggere il sogno europeista incubato dal Settecento. Il punto è che la nazione diventa un concetto di cui si appropria la borghesia capitalista in rapida ascesa nell’Ottocento e sulla cui base vengono fondate le imprese coloniali e poi l’imperialismo, come coglie con grande nettezza Lenin nel suo Imperialismo. Le rivoluzioni progressiste, e comuniste, si sono certamente svolte attorno e dentro la nazione ma, citiamo ancora Lenin, quanta ansia riponevano i rivoluzionari russi nell’imminente scoppio rivoluzionario in Germania (che poi non avvenne)? L’obiettivo della conquista del potere statale, in un contesto di isolamento ha portato ripetutamente a sovrapporre il tema della statualità con quello della nazionalità cercando nella seconda dimensione un involucro protettivo delle difficoltà della prima. Le scommesse nazionali anche hanno incubato e alimentato una soluzione progressista e rivoluzionaria, ma sono state deficitarie sul fronte della partecipazione democratica e, infine, su quello dello scontro con un capitalismo che, Impero o no, resta comunque globale e multinazionale. L’intuizione più significativa e pregnante di Marx é stata proprio quella sulla dimensione internazionale del capitale………..La nazione, come luogo di azione politica, come campo di gioco, è un terreno scivoloso per una ragione di fondo: rappresenta una dimensione che cementa una identità omogenea e “liscia” in cui le increspature e le differenze, soprattutto quelle di classe, passano in second’ordine. Il popolo e il territorio prevalgono su tutto il resto, soprattutto in fase di crisi. Una identità in cui il tutto non prevede un “fuori” e tutto quello che si pone “fuori” rischia di scivolare rapidamente nelle categorie del traditore o del diverso: anomalie che al massimo vanno circoscritte e guardate a vista, certo non comprese nel discorso nazionale. Il termine sovranismo si sposa con le visioni nazionaliste di destra e distorce la categoria ben più ricca e dirimente della sovranità. Per questo quella sovranista diventa una narrazione difficile da maneggiare. Ecco perché la distinzione tra “uscire dall’euro” e “non essere più nell’euro”, dove la prima indica una strategia nazionalista e protezionista e la seconda esprime una sfida e di uno scontro che si è disposti ad accettare. Una questione di narrazione per costruire una identità diversa e aggregare un diverso popolo. La nazione ha costituito alla lunga un ostacolo al movimento della lotta di classe e si è invece sintonizzata più facilmente sul movimento del capitale.

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