La
parola del mese
A turno si propone una parola, evocativa di pensieri
collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni
MARZO
2019
Non di rado in politica prendono piede termini di nuovo conio. Spesso
nascono in un preciso contesto, per definire una situazione specifica, per poi
diffondersi anche molto ampiamente vista la loro riscontrata “capacità” di
rappresentare un fenomeno altrettanto esteso. Inevitabilmente però la loro
adozione su larga scala non sempre corrisponde ad una loro esatta conoscenza e
ad un loro corretto ed opportuno utilizzo, vista la genericità di definizione
che il loro estendersi automaticamente comporta. E’ il caso della parola scelta
come quella del mese per questo Marzo 2019. Nasce nel Canada francese, nel
Quebec, negli anni Settanta come nome del movimento indipendentista francofono contrapposto
al Governo centrale canadese. Passa poi in
Francia dove, a partire dagli anni Novanta, è stata utilizzata, ma solo in
ristretti ambienti accademici, per descrivere il crescente
euroscetticismo di numerosi partiti e leader politici francesi, resi in quegli
anni particolarmente agguerriti dalla creazione dell’euro e dai progetti di
ulteriore integrazione politica nell’Unione Europea. Nel nuovo millennio inizia
ad essere utilizzata sempre più frequentemente e diffusamente in tutta Europa (ma
ufficialmente entra nel lessico politico solo nel 2012 quando Marine Le Pen pubblicamente
la usa per annunciare la nascita di una coalizione che in essa vedeva la sua
ragione d’essere) per battezzare un modo di relazionarsi alla
costruzione dell’unità europea, per altro non poco differenziato da paese e
paese, ma che sicuramente, qualunque idea si abbia al riguardo, avrà un ruolo
centrale nelle prossime elezioni europee. Parliamo di…………
Sovranismo
Termine entrato
nell’uso corrente qui in Italia solo molto recentemente tant’è che la Treccani
l’ha incluso nel suo dizionario solo nel 2017 così definendolo……..
Sovranismo = s. m. Posizione politica che propugna la difesa
o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno
Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione
alle politiche sovrannazionali di concertazione. Derivato dall'aggettivo sovrano con l'aggiunta del suffisso -ismo, sul modello del francese souverainisme.
La
definizione da dizionario sembra essere tecnicamente precisa ma al tempo stesso
così includente da consentire di essere utilizzata, soprattutto dai media qui
in Italia, per etichettare partiti e leader politici non sempre così
omogenei e riconducibili all’essenza della definizione: dalla Lega di Matteo
Salvini ai partiti al governo in Ungheria e Polonia, dal Rassemblement National
di Marine Le Pen in Francia, allo UKIP
britannico, alla nuova destra spagnola, al partito xenofobo olandese, a
movimenti e partiti dei paesi del Nord Europa euroscettici, passando per lo
stesso presidente statunitense Donald Trump e persino per quello brasiliano
Jair Bolsonaro. L’eccesso del suo utilizzo è un vezzo molto nostrano, basti
pensare che nel mondo anglosassone la parola “sovranismo” è praticamente
sconosciuta e per riferirsi a questi leader e movimenti si usano termini come
“nazionalisti”, “populisti”, “ultra conservatori” o, più semplicemente,
“estrema destra”. Nel contesto italiano più strettamente partitico il termine
“sovranismo” entra ufficialmente in scena nell’ambito della destra sociale: CasaPound
crea nel 2015 un movimento, “Sovranità”, che si presenta alleato alla Lega di
Matteo Salvini alle elezioni regionali di quell’anno, due anni dopo nel 2017 Francesco
Storace e Gianni Alemanno fondano il
“Movimento nazionale per la sovranità”. Quello che è oggi identificato come il
“sovranista” per eccellenza, Matteo Salvini, ha avuto in realtà un rapporto
controverso con questo termine. Diventato segretario della Lega alla fine del
2013, Salvini radicalizzò la linea del partito, puntando tutto sull’uscita
dall’euro, il tema “sovranista” per eccellenza, e sull’alleanza con i piccoli
partiti dell’estrema destra. In quei mesi i giornali iniziarono a parlare della
trasformazione “sovranista” della Lega (un termine che sui giornali sarebbe
stato scritto tra virgolette ancora molto a lungo), ma Salvini si guardò bene
dall’utilizzare pubblicamente quell’etichetta che per molti dirigenti e
militanti era inevitabilmente associata alla difesa del potere assoluto dello
Stato centrale, posizione non proprio in cima al loro gradimento. Solo nel
maggio del 2017, poco dopo aver stravinto il congresso della Lega, Salvini può
finalmente annunciare che la Lega è diventata un vero e proprio “partito
sovranista e lepenista”. Tornando al contesto europeo, a conferma della
eccessiva elasticità con la quale questo termine viene utilizzato, va detto ad
esempio che i leader polacchi del partito Diritto e Giustizia sembrano molto
poco “sovranisti” nel loro sostegno alla NATO (e d’altronde al confine c’è la
Russia, questa sì tradizionalmente sovranista, anche se di un sovranismo
d’antan) e nella loro volontà di continuare a ricevere ampi sussidi dall’Unione
Europea, al punto da bloccare
una controversa riforma della giustizia che avrebbe rischiato di
produrre sanzioni economiche. Sembra inoltre una definizione riduttiva per
leader come l’ungherese Viktor Orbàn, la cui visione di “democrazia
illiberale” è molto più ampia e radicale della semplice difesa delle prerogative
dello stato nazionale. E’ però vero che, nel racconto fatto dai media, soprattutto
italiani, le prossime elezioni vedranno fronteggiarsi due Europe: quella dei
partiti più o meno “classici” e quella variamente sovranista. Ma ancora una
volta con una certa forzatura; non esiste infatti un unico programma politico
condiviso tra i partiti delle diversi nazioni che, all’apparenza, si richiamano
ad un solo sovranismo. Anzi, quando il governo italiano ha tentato di portare
al Consiglio dell’Unione Europea le sue istanze “sovraniste” sulla legge di
bilancio, i suoi “alleati sovranisti” sono stati tra i primi a richiamarlo al
rispetto delle regole comuni. E’ pur sempre possibile che ragioni di
opportunità post elezioni facciano convergere voti “diversamente” sovranisti in
una eventuale maggioranza al Parlamento europeo, o quanto meno in una forte
minoranza, al fine di decidere, o quantomeno pesantemente influire, sulla
composizione della prossima Commissione Europea. Ma se anche ciò dovesse
avvenire è difficile immaginare che a tenerli uniti possa essere solo una vaga
ideologia sul cui esatto significato, loro per primi, non sembrano essere molto
d’accordo. L’illustrazione
sin qui fatta della parola del mese comporta, in termini di collocazione
politica, una sua connotazione sostanzialmente “di destra”, ma esiste un
“sovranismo” di sinistra che riprende, anche se per ragioni e finalità
completamente diverse, l’idea di un ritorno al ruolo “sovrano della Stato. Si
tratta per ora di un movimento più di opinione portato avanti soprattutto in
ambito intellettuale. Ma è pur vero che riprende posizioni di insofferenza
verso il dogmatismo economico ed istituzionale europeo che hanno una indubbia
consistenza in diversi settori della sinistra italiana. E’ quanto è possibile
cogliere dalla seguente intervista, di cui riportiamo alcuni stralci, al
giornalista Thomas Fazi che, con l’economista William Mitchell, ha recentemente
pubblicato, per i titoli di Meltemi Editore, il saggio “Sovranità o
barbarie”………
Dal sito VVWOX Articolo “Il sovranismo può essere
democratico e progressista. Ma la sinistra non lo capisce»
Sovranità, sovranismo (secondo il Censis addirittura «psichico»),
anti-europeismo: sono i termini correnti del dibattito politico, ai
tempi del governo gialloverde e dello scontento verso questa Europa. Un
fenomeno non solo italiano, ma ormai diffuso in tutto il continente: basti
pensare alla Brexit inglese o alla rivolta dei gilet gialli in Francia. Sul
significato di “popolo sovrano”, tuttavia, non c’é condivisione……Due studiosi
appartenenti al campo di sinistra, il giornalista e saggista Thomas Fazi e l’economista Bill Mitchell, uno dei principali
esponenti della teoria monetaria moderna, hanno voluto far chiarezza sul tema,
sfornando un libro denso e rigoroso, prendendo una posizione ben precisa
svelata fin dal titolo: “Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione
nazionale” (Meltemi, 2018), che riecheggia il motto della rivoluzionaria
comunista Rosa Luxemburg, “socialismo o barbarie”.
Eppure, Fazi, la
sovranità è oggi la bandiera dei sovranismi che, forse un po’ spicciativamente,
vengono definiti di destra, anzi né più né meno che la riedizione dei vecchi
nazionalismi. La sovranità è anche di sinistra? In che rapporto è con l’idea,
da sempre democratica, dell’autodeterminazione dei popoli?
Il sovranismo altro non è che un’impostazione analitica che pone al centro
la necessità, nel contesto europeo attuale, di recuperare maggiori spazi di
sovranità democratico-popolare e dunque di sovranità nazionale. Se per
sovranità popolare intendiamo il diritto dei cittadini di determinare
l’indirizzo politico ed economico di un paese tramite il processo elettorale,
questo presuppone che i partiti eletti dai cittadini, una volta andati al
potere, abbiano gli strumenti di politica economica per realizzare i programmi
elettorali per i quali sono stati votati. In altre parole, la sovranità nello
Stato, cioè nostra, dei cittadini, richiede la sovranità dello Stato. Il
problema è che oggi questo nesso, in Europa, è stato reciso. Il risultato è che
oggi continuiamo a far finta di vivere in democrazia, in cui i partiti politici
si contendono le elezioni sulla base di programmi elettorali alternativi, quando
in realtà sta diventando sempre più evidente che si tratta di una pantomima,
giacché i partiti che escono vittoriosi dalle elezioni si ritrovano poi privi
degli strumenti, finanziari in primis, per realizzare il loro programma
elettorale e anzi sono costretti ad andare ad elemosinare le necessarie risorse
finanziarie ai mercati finanziari o alla Bce. Da questa breve disamina si
capisce quanto sia assurda l’idea che il “sovranismo” sia un’ideologia di
destra. È a ben vedere il contrario del nativismo di partiti come la Lega che
sono ben felici di rimanere all’interno dell’architettura della UE e della
moneta unica, che gli permette di capitalizzare sull’euroscetticismo dilagante,
dirottandolo verso categorie deboli come gli immigrati, senza però mettere in
discussione le fondamenta del sistema……………..
…………….Perché
contestare l’euro e l’Ue è un tabù, sia nella destra liberale ma soprattutto a
sinistra, compresa la sinistra cosiddetta radicale, fino all’evocazione dello
spettro fascista?
La sinistra si convertì all’europeismo e al sovranazionalismo nel corso degli anni Settanta in quanto introiettò l’idea (in verità fallace) secondo cui la crescente internazionalizzazione economica e finanziaria di quegli anni, ciò che oggi chiamiamo globalizzazione, fosse un aspetto ineluttabile della “modernità”, piuttosto che essere il risultato di una precisa volontà politica, destinato inevitabilmente a erodere la sovranità economica dei singoli Stati e dunque la loro capacità di decidere in autonomia, ossia a prescindere dalla volontà dei mercati, le loro politiche economiche e sociali, costringendoli dunque ad abbandonare le politiche “keynesiane” che avevano caratterizzato il secondo dopoguerra fino a quel momento e che, tra mille contraddizioni, avevano permesso alle classi subalterne di ottenere un grado di rappresentanza politica ed economica senza precedenti nella storia. Così facendo la sinistra finì per legittimare ideologicamente e politicamente il neoliberismo come unica alternativa praticabile e, cosa ancor più grave in termini delle sue ricadute politiche, per avallare l’idea, soprattutto nel contesto europeo, secondo cui le nazioni non avessero altra scelta che abbandonare qualunque strategia economica nazionale e qualsiasi strumento tradizionale di intervento nell’economia a favore di forme di governance internazionale e/o sovranazionale. Ancora oggi l’orizzonte europeo viene considerato imprescindibile da buona parte della sinistra. La verità è che qualunque ipotesi di riformabilità in senso progressivo e democratizzabilità dell’Unione europea e dell’unione monetaria è del tutto illogica e irrealistica, oltre che inauspicabile: non si può democratizzare uno spazio che nasce e si sviluppa proprio all’insegna della desovranizzazione, della de-democratizzazione e della depoliticizzazione. Il livello europeo è strutturalmente postdemocratico e per questo irriformabile………………………
La sinistra si convertì all’europeismo e al sovranazionalismo nel corso degli anni Settanta in quanto introiettò l’idea (in verità fallace) secondo cui la crescente internazionalizzazione economica e finanziaria di quegli anni, ciò che oggi chiamiamo globalizzazione, fosse un aspetto ineluttabile della “modernità”, piuttosto che essere il risultato di una precisa volontà politica, destinato inevitabilmente a erodere la sovranità economica dei singoli Stati e dunque la loro capacità di decidere in autonomia, ossia a prescindere dalla volontà dei mercati, le loro politiche economiche e sociali, costringendoli dunque ad abbandonare le politiche “keynesiane” che avevano caratterizzato il secondo dopoguerra fino a quel momento e che, tra mille contraddizioni, avevano permesso alle classi subalterne di ottenere un grado di rappresentanza politica ed economica senza precedenti nella storia. Così facendo la sinistra finì per legittimare ideologicamente e politicamente il neoliberismo come unica alternativa praticabile e, cosa ancor più grave in termini delle sue ricadute politiche, per avallare l’idea, soprattutto nel contesto europeo, secondo cui le nazioni non avessero altra scelta che abbandonare qualunque strategia economica nazionale e qualsiasi strumento tradizionale di intervento nell’economia a favore di forme di governance internazionale e/o sovranazionale. Ancora oggi l’orizzonte europeo viene considerato imprescindibile da buona parte della sinistra. La verità è che qualunque ipotesi di riformabilità in senso progressivo e democratizzabilità dell’Unione europea e dell’unione monetaria è del tutto illogica e irrealistica, oltre che inauspicabile: non si può democratizzare uno spazio che nasce e si sviluppa proprio all’insegna della desovranizzazione, della de-democratizzazione e della depoliticizzazione. Il livello europeo è strutturalmente postdemocratico e per questo irriformabile………………………
……………….È
realistico pensare ad una riappropriazione di sovranità, non solo per l’Italia
ma anche per gli altri Stati, nel breve-medio periodo? ………………….
Io non ho particolare simpatia per questo governo ma accetto che questo è
un governo democraticamente legittimato e dunque ho difeso la manovra dalle
ingerenze dell’Europa, come credo non possa esimersi dal fare chiunque abbia a
cuore la democrazia. Allo stesso tempo, però, c’è un elemento che mi preoccupa
molto: cioè che ogni giorno passa cresce sempre di più l’impressione che il
governo sia andato allo scontro con l’Europa senza avere un vero piano B, sulla
base dell’illusione che “l’Italia non è la Grecia”, una frase che abbiamo
sentito spesso in questi anni, cioè dell’idea che l’Italia in virtù del suo
peso economico avrebbe avuto un margine di manovra più ampio di quello concesso
alla Grecia. Gli eventi stanno dimostrando che le cose non stanno affatto così
e anzi che proprio perché l’Italia è un paese così importante non gli si può
permettere di sfidare esplicitamente le regole europee, perlomeno dal punto di
vista retorico se non nella pratica. L’errore di fondo a mio avviso è pensare che
l’alternativa sia tra tenere un paese nell’euro o cacciarlo dall’unione
monetaria. Se così fosse effettivamente il margine di manovra dell’Italia
sarebbe molto ampio, perché è condivisibile l’idea che gli altri paesi non
abbiano interesse a precipitare una crisi così profonda che avrebbe
ripercussioni pesanti su tutta l’Europa. ………….Tutto questo per dire che se
veramente il governo ci ha portato allo scontro senza avere un piano B questo
sarebbe molto grave, perché rischia realmente di spianare la strada alla
troika.
…………….per restare nel campo (ampio e generico) di sinistra non mancano certo critiche alle posizioni di Fazi e degli altri sostenitori del sovranismo, ed in particolare all’idea della necessità di tornare ad una dimensione più forte di Stato. Ne sono un esempio quelle che Salvatore Cannavò, giornalista e Vicedirettore del Fatto Quotidiano e Direttore della nuova rivista Jacobin Italia, muove nel suo commento al libro di Alessandro Somma “Sovranismi, del quale riportiamo alcuni stralci………….
L’illusione sovranista
Il tentativo di costruire una nuova sovranità democratica e popolare affascina parte della sinistra. Ma la nazione come terreno dell’azione politica offre troppe ambiguità. Invece di rivendicare confini serve parlare di autogoverno e democrazia
Con
il suo ultimo libro, Sovranismi Alessandro Somma,
docente del diritto comparato all’università di Ferrara, autore di diversi
libri sul tema (da Rottamare
Maastricht alla Dittatura
dello spread, tutti per Derive Approdi), continua il percorso che
aveva intrapreso in lavori precedenti: costruire una teorizzazione democratica e di sinistra del
sovranismo. Compito impegnativo, che gli vale l’attenzione di una parte della
sinistra italiana come dimostra la presentazione del libro alla Camera
organizzata da Patria e Costituzione, la formazione creata dal deputato Stefano
Fassina, già Pd ed eletto con Liberi e Uguali, in cui si immagina di costruire
una risposta più efficace ai diktat europeisti. E di sfidare con migliori
argomenti la forza populista e nazionalista rappresentata da Lega e M5S. Scopo
del libro, come evidenziato già nelle prime pagine, è quello di disegnare «una
via democratica al recupero della sovranità nazionale» evitando di «lasciare
alle destre la riflessione su questi aspetti»…………………..Secondo Somma la
«sovranità nello Stato» presuppone anche la «sovranità dello Stato».
Quest’ultima è attualmente vincolata, limitata e condizionata da una sovranità
superiore, quella europea, che nel modo in cui è stata costruita travalica il
diritto internazionale così come è stato costruito in ambito Onu, dove la
partecipazione a organismi internazionali trova il suo fondamento e il limite
nella sovranità degli stati. Con l’Unione europea questi limiti sono
oltrepassati e divelti in una costruzione che Somma giudica «irriformabile».
Occorre dunque un sovranismo «democratico» e «sociale» con il ritorno ai
confini nazionali per «ripristinare i controlli sulla circolazione dei fattori
produttivi»: capitali innanzitutto, ma anche merci e, aggiunge l’autore,
persone definendo «insidiosa» la loro libera circolazione……………..Se è vero,
dunque, che questa Ue non è riformabile e che il gioco dello strappare
risultati al tavolo del Consiglio europeo non possa essere perseguibile da una
politica di sinistra, in una opzione europeista di tipo nuovo, bisognerebbe
pretendere l’azzeramento dei trattati e ridiscutere da capo l’intera
costruzione europea. Per questa ragione non fa scandalo neppure l’ipotesi
di non essere più nell’euro. Solo,
appunto, “non essere più”
è un po’ diverso da dichiarare di voler “uscire”
perché indica un posizionamento diverso. ………………………Veniamo alle divergenze con
il testo. La proposta, abbiamo visto, è la dimensione nazionale come
terreno per recuperare sovranità democratica, anzi una sovranità sociale,
e luogo di azione per una politicizzazione del mercato. Ma la dimensione
nazionale non può essere banalizzata, la sinistra non può non vedere che su
questo terreno si è giocata anche una partita a perdere. Può essere facile
richiamare gli anni Venti del Novecento, il fascismo e il nazismo. È
l’argomento più utilizzato dalla sinistra targata Pd per contrastare il
populismo leghista e, in parte, quello del M5S. Sarebbe facile attestarsi a
questa critica, ma la discussione è più complessa. Per molti la nazione è
naturalmente progressista, nasce con la Rivoluzione francese che ne fa un
concetto costituente. Eppure quanta amarezza si riscontra nel Lucien Fevre
della Storia d’Europa
quando constata che proprio quella categoria di “nazione” si incaricherà, nella
sua realizzazione ottocentesca, di distruggere il sogno europeista incubato dal
Settecento. Il punto è che la nazione diventa un concetto di cui si appropria
la borghesia capitalista in rapida ascesa nell’Ottocento e sulla cui base
vengono fondate le imprese coloniali e poi l’imperialismo, come coglie con
grande nettezza Lenin nel suo Imperialismo.
Le rivoluzioni progressiste, e comuniste, si sono certamente svolte attorno e
dentro la nazione ma, citiamo ancora Lenin, quanta ansia riponevano i
rivoluzionari russi nell’imminente scoppio rivoluzionario in Germania (che poi
non avvenne)? L’obiettivo della conquista del potere statale, in un contesto di
isolamento ha portato ripetutamente a sovrapporre il tema della statualità con
quello della nazionalità cercando nella seconda dimensione un involucro
protettivo delle difficoltà della prima. Le scommesse nazionali anche hanno
incubato e alimentato una soluzione progressista e rivoluzionaria, ma sono
state deficitarie sul fronte della partecipazione democratica e,
infine, su quello dello scontro con un capitalismo che, Impero o no, resta
comunque globale e multinazionale. L’intuizione più significativa e pregnante
di Marx é stata proprio quella sulla dimensione internazionale del
capitale………..La nazione, come luogo di azione politica, come campo di gioco, è
un terreno scivoloso per una ragione di fondo: rappresenta una dimensione
che cementa una identità omogenea e “liscia” in cui le increspature e le
differenze, soprattutto quelle di classe, passano in second’ordine. Il popolo e il territorio prevalgono su
tutto il resto, soprattutto in fase di crisi. Una identità in cui il tutto non
prevede un “fuori” e tutto quello che si pone “fuori” rischia di scivolare
rapidamente nelle categorie del traditore o del diverso: anomalie che al
massimo vanno circoscritte e guardate a vista, certo non comprese nel discorso
nazionale. Il termine sovranismo si
sposa con le visioni nazionaliste di destra e distorce la categoria ben più
ricca e dirimente della sovranità.
Per questo quella sovranista diventa una narrazione difficile da
maneggiare. Ecco perché la distinzione tra “uscire dall’euro” e “non
essere più nell’euro”, dove la prima indica una strategia nazionalista e
protezionista e la seconda esprime una sfida e di uno scontro che si è disposti
ad accettare. Una questione di narrazione per costruire una identità diversa e
aggregare un diverso popolo.
La nazione ha costituito alla lunga un ostacolo al movimento della lotta di
classe e si è invece sintonizzata più facilmente sul movimento del capitale.
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