La parola del mese
A turno si propone una parola, evocativa di pensieri
collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni
Ottobre 2020
Più volte abbiamo affrontato nelle nostre iniziative il tema del ruolo della tecnologia e delle sue sempre più complesse ricadute su tutti gli aspetti della vita privata e pubblica. Sono sempre emerse considerazioni che da una parte ne coglievano i risvolti positivi ed al tempo stesso ne mettevano, giustamente, in evidenza i possibili pericoli e negatività. La moderna tecnologia è sempre più articolata in molteplici strumenti, in molti casi ormai “impalpabili”, ma nel suo concreto evolversi in fondo si è sempre concretizzata nella “macchinazione”, ovvero nel primo dei suoi significati indicati nella definizione da vocabolario. Ma è indubbio che nel comune intendere la parola “macchinazione”” prevale la sua seconda accezione, ossia quella di qualcosa di poco chiaro, di losco, che nasconde secondi pericolosi fini. Come se in ogni “macchina”, per quanto utile ed efficacie, si celasse un aspetto oscuro di cui diffidare. La scelta di “macchinazione” come “Parola del mese” ci è stata suggerita dalla lettura di un articolo a firma di Roberto Esposito, importante filosofo italiano noto anche al gran pubblico in quanto seguito editorialista di giornali e riviste, che sinteticamente, ma in modo non meno coinvolgente, riflette proprio su questa strana dicotomia, per anticipare un suo intervento, con titolo per l’appunto “macchinazione”, in programma nel recente “Festival della filosofia 2020” che ha come tema centrale proprio le “macchine”, viste ed analizzate, in tutte le loro implicazioni, dal punto di vista filosofico. Questo che segue è il testo dell’articolo di Roberto Esposito apparso su “L’Espresso” del 10 Settembre 2020
Complotti e computer:
il fascino irresistibile della macchinazione
La
costruzione razionale che mescola realtà e menzogna è sempre stata un'ottima
strategia per controllare la natura. L’intelligenza artificiale ne amplia ora
le possibilità. Sfumando i confini tra l'uomo e la macchina
Da tempo viviamo nel regime della macchinazione. Cosa
deve intendersi con questa parola? Macchinazione è qualcosa che produce effetti
reali, nascondendosi. Un miscuglio occulto di realtà e menzogna. Una realtà
senza verità, falsificata e falsificante. Come nel film di David Grieco,
intitolato appunto “La macchinazione” Pasolini è ucciso davvero, ma i reali
motivi della sua uccisione vengono mascherati attraverso un montaggio che li
sottrae alla vista. Ma non si tratta solo di film. Tutta la recente storia
italiana è vista da alcuni come l’esito di continue macchinazioni che hanno
stravolto l’ordine delle cose attraverso stragi, manipolazioni, patti inconfessabili.
La categoria di macchinazione si espande a macchia d’olio fino a coprire
l’intera storia contemporanea. Dall’assassinio di Kennedy all’abbattimento
delle Torri Gemelle, si è sempre dubitato delle ricostruzioni ufficiali,
sospettando apparati corrotti, interessi stranieri, complicità nello stesso
governo americano. Nessun grande evento contemporaneo è riuscito a sottrarsi
all’ombra della macchinazione. Dallo sbarco sulla luna – secondo alcuni
costruito in uno studio televisivo, alla morte di Lady Diana, in cui si è
ipotizzato il coinvolgimento della stessa famiglia reale, in un succedersi
vertiginoso di ipotesi sempre più azzardate. Che, però, possono produrre
conseguenze reali. Si pensi al clamoroso falso dei “Protocolli di Sion” - forse
la più grande macchinazione dei tempi moderni. E anzi una macchinazione al
quadrato, in cui si è inventata una cospirazione falsa – quella degli ebrei
volti alla conquista del mondo – per legittimare una cospirazione vera, quella
dei capi nazisti contro gli stessi ebrei. In un inestricabile intreccio di
realtà e menzogna, si inventa una macchinazione inesistente per attivare una
macchinazione reale. C’è qualcosa, nelle macchinazioni, vere o false che siano,
che attrae irresistibilmente gli spettatori. Il clamoroso successo del romanzo
di Dan Brown “Il codice da Vinci” non nasce anch’esso dall’irresistibile
fascino per la macchinazione? In questo caso quella, millenaria, che avrebbe
perpetrato la Chiesa cattolica per nascondere che il Santo Graal è in realtà il
ventre di Maria Maddalena, sposa di Gesù e madre di suo figlio. Una
macchinazione, sempre secondo il romanzo, costellata di omicidi, che
coinvolgerebbe l’origine e il destino della civiltà occidentale. L’ultima
riprova del fascino perverso della macchinazione è di questi mesi. Non c’è chi,
davanti a quasi un milione di morti di Covid, si ostina a ritenere la pandemia
un trucco dei poteri forti per meglio controllare le nostre vite? Ma perché il
termine “macchinazione” ha assunto questo significato radicalmente negativo –
quasi diabolico? Non deriva dalla parola “macchina”, intesa come strumento
costruito dagli uomini per sopperire ai propri bisogni e potenziare le proprie
capacità? Una risposta a questa domanda la troviamo nel libro “Dominio e
sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza artificiale” di Remo
Bodei, alla cui memoria l’intero Festival di Filosofia quest’anno è dedicato:
il carattere “diabolico” della macchinazione è già in forma embrionale
contenuto nel concetto di macchina.Fin dalla sua origine greca, infatti, il
termine “mechane”, accanto al significato neutro di strumento operativo, ha
quello di artificio, o stratagemma, escogitato dall’uomo per aggirare la
natura. Ciò trova la propria radice nel contrasto originario tra natura e
macchina. Non solo la macchina si oppone alla natura come l’artificiale al
naturale, ma lo fa ingannando la natura stessa, prendendone il posto con
l’intento di sfruttarne le risorse a suo danno. La macchina si traveste da
natura per meglio sopraffarla. Da qui il carattere sinistro che ne connota il
concetto. Per un certo periodo gli uomini non riescono a spiegarsi il
funzionamento di ciò che pure essi hanno costruito – non si spiegano, per
esempio, come fa una leva a sollevare un enorme peso con un minimo sforzo o un
cuneo a penetrare in una superficie solida. E così immaginano che la macchina
incorpori una potenza magica, o più propriamente demoniaca, che finisce per
piegarne il significato in senso negativo. Da qui la condanna etica che pesa
fin dall’inizio sulle macchine e i loro derivati, come le arti meccaniche
rispetto a quelle liberali. La macchina è empia perché sfida la natura e gli
dei che la proteggono. Ciò spiega perché gli dei si vendichino su di essa, per
esempio distruggendo le ali di Icaro – la sua macchina per volare –, o punendo
Prometeo, che ha rubato loro il fuoco per portarlo agli uomini, dando inizio
all’età della tecnica. Nel passaggio moderno dalla macchina semplice a quella
automatica, questo significato di sfida alle leggi naturali si accresce ancora
di più. Chi ha insistito sul carattere perturbante degli automi è stato Freud.
Ma egli non fa che portare a teoria un’esperienza più antica, che nasce
originariamente dalla contaminazione tra macchina e uomo. I robot sono gli
eredi postmoderni di statue di cera, animali impagliati, marionette che hanno
sempre sottilmente inquietato chi li guarda, come tutto ciò che vitalizza le
macchine o meccanizza la vita. A inquietare è tale connubio di natura e
artificio, di uomo e macchina, che crea qualcosa che non rientra propriamente
né nel mondo meccanico né in quello umano. Il robot è l’espressione più moderna
della macchina vivente o della vita macchinica, prima che l’Intelligenza
Artificiale sposti ancora più avanti i confini della macchinazione. Come tutta
una letteratura, in particolare giapponese, ha messo in rilievo, l’inquietudine
che il robot suscita nasce dal fatto di essere allo stesso tempo stranamente
vicino e infinitamente lontano da noi. Nel robot l’elemento di estraneazione
riguarda sia il suo aspetto di uomo che la sua intelligenza, simile, se non
superiore, a quella umana. In verità il timore che presto i robot possano
prendere il nostro posto – per esempio rubandoci il lavoro – non è affatto
infondato. Eppure, come è stato detto, nel pericolo può celarsi ciò che salva.
O almeno che aiuta. Basta mutare prospettiva, immaginando che quel che appare
un avversario, o un pericoloso concorrente, sia invece un alleato. Se
riusciremo a guardare le cose in questo modo, potremo sottrarci anche alla sindrome
della macchinazione. Il mondo contemporaneo è una cosa complessa, che non è
possibile schiacciare su un’unica categoria. Più che l’esito di una
macchinazione, le cose che accadono sono spesso il frutto di contingenze
inaspettate, di molteplici fattori irriducibili a una sola causa e, tanto più,
a una sola volontà. Il nostro compito – il compito del pensiero – è quello di
distinguere ciò che appare indistinto, restituendo alla realtà le sue mille
sfumature.
P.S. = abbiamo sperato di inserire in questo post il link per visionare il video dell’intervento di Esposito al Festiva della Filosofia. Nel cercarlo in Rete abbiamo scoperto che, per cause di forza maggiore, Esposito non è potuto intervenire di persona e che il testo della sua relazione è stato letto da altri. Se sarà possibile recuperarlo potremmo inserirlo in un nostro futuro post per intanto chiunque fosse interessato a vedere alcuni video degli interventi (fra gli altri è compreso quello di Massimo Cacciari che presenta il suo recente libro “Il lavoro dello spirito” nostro “Saggio del mese”–Luglio 2020) può accedere al seguente sito FestivalFilosofia2020
Nessun commento:
Posta un commento