Prosegue con questo di Gianni Riotta la
pubblicazione di articoli che ci aiutino a meglio capire l’attuale fase negli
USA, quella della transizione da Donald Trump a Joe Biden. E’ un articolo,
segnalato da Villa Maria Letizia, che però non offre riflessioni sulle dinamiche
politiche ed elettorali, ma una fotografia cruda del paese reale, della sua
parte più colpita dalla crisi economica legata alla pandemia. Non dice per chi
hanno votato i nuovi poveri americani, ma racconta bene la fragilità della
struttura sociale di una America nuovamente alla ricerca di sé stessa.
Ritratto
dell'America povera
in coda per il tacchino
Così
Covid ha scardinato l'equilibrio del benessere
Articolo
di Gianni Riotta – Huffington Post 30/11/2020
I nuovi
poveri non sanno comportarsi da poveri. Vanno alle mense “bank food” con gli
abiti che, solo pochi mesi fa, indossavano per andare a lavorare negli
alberghi, nei terminal delle compagnie aeree, alle grandi catene di noleggio
auto, negli uffici di scuole, banche, parchi divertimento alla Disney, chiusi
dalla pandemia Covid-19. Quando li guardate in coda, con le auto pulite, non
vecchi macinini cadenti, la felpa di moda comprata online l’anno scorso, il
loro sguardo vi sfugge, concentrato sul cellulare, per barattare il contratto
mensile fisso che spesso le ditte pagavano, con tariffe ridotte, chiamante
WhatsApp, senza scaricare video o audio. In Aprile, in uno dei suoi
tradizionali show politici, il presidente Donald Trump fece inviare a milioni
di cittadini un sussidio fiscale di 1200 dollari, sotto forma di assegno con la
firma in grassetto “Donald J. Trump”. I nuovi poveri, vittime del Covid, lo
hanno speso subito in cibo, per i loro familiari. Le spese sono state tagliate,
niente Netflix o elettronica del Black Friday, pizza o pomeriggio al fast food.
La brillante campagna pubblicitaria di Burger King, “mangiate da McDonald”,
nasce dal crollo dei profitti nei ristoranti popolari, detestati in Europa come
sponsor di colesterolo, zuccheri e grassi animali, ma che invece spesso negli
Usa mantengono, con menu a basso prezzo, tante famiglie. I vecchi poveri li
riconoscete perché raccolgono i coupon di sconto, due panini al prezzo di uno,
una Coca grande al 50% e computano come riempire di più lo stomaco pagando il
meno possibile. I nuovi si vergognano. Ma se è possibile tagliare il costo
della nuova serie tv, magari chiedendo ad amici o parenti di condividere lo
schermo, i pasti non si possono saltare, o almeno non troppi in fila. Oggi
l’America, il paese che spende in difesa più di tutti i rivali insieme, che ha
sprecato nelle guerre effimere di Iraq e Afghanistan 6400 miliardi di dollari,
5,3 miliardi di euro, che avrebbero ricostruito scuole, ospedali e
infrastrutture in tutti gli Usa, vede la fame tornare. Eletto con una valanga
di voti nel novembre del 1964, il popolare presidente democratico Lyndon
Johnson dichiarò la sua “War on Poverty”, guerra alla povertà, l’8 gennaio
dello stesso anno investendo in sanità, pensioni, istruzione, edilizia pubblica
e ottenendo certo ottimi risultati, salvo vedere un altro conflitto, lo scontro
in Vietnam, distruggere le sue riforme sociali, costringendolo a non
ripresentarsi nella corsa per la Casa Bianca 1968. Allora un americano su 4 era
considerato povero, oltre il 26%, Johnson tagliò la quota a sotto il 20%. Il
presidente Kennedy aveva letto il saggio dello studioso e attivista Michael
Harrington “The Other America”, l’altra America, sulla miseria in patria e ne
era rimasto impressionato, coinvolgendo il suo vice in una nobile
crociata. Nelle prime settimane del 2020, quando l’autorevole settimanale
britannico The Economist previde -auch!- l“Incubo Americano”, sfida elettorale
fra Trump e il senatore socialista Sanders che, di questo erano certi i
columnist della City, si sarebbe conclusa con la vittoria di Trump, la
situazione economica del paese sembrava assai diversa dalla coda di 50
chilometri che a Houston, nel poderoso Texas repubblicano, ha visto le
automobili in attesa per un pasto gratis - tacchino surgelato, verdure e
tortina - da ricevere giovedì scorso, per la tradizionale cena familiare
del Ringraziamento.Il boom della Borsa seguito ai tagli fiscali di Trump,
l’innovazione digitale dopo la crisi finanziaria 2008 e i piani di investimento
del presidente Obama avevano ridotto ai minimi storici la povertà americana,
cifre che avrebbero deliziato il presidente Johnson. L’occupazione volava, la
paga base, 7,25 dollari l’ora, vergogna che Biden spera di cancellare
aumentandola, era spesso superata in alto anche per i lavoratori manuali non
specializzati, l’assistenza malattia, rafforzata dalla mutua nazionale detta
“Obamacare”, riduceva ulteriormente i costi per le famiglie. I “food stamp”,
tessere annonarie per i poveri introdotte da Johnson, che il presidente Reagan,
ingiustamente, irrideva “le Regine del Welfare guadagnano 150.000 dollari
l’anno a spese nostre!”, citando il caso estremo della Linda Taylor, una
truffatrice seriale sospettata anche di omicidio, davano una mano a tanti.
Grazie a tutte queste positive circostanze, e con le aziende a chiedere
manodopera per crescere, la percentuale di americani che le statistiche
considerano “poveri” era scesa dall’11,8% del 2018 al 10,5% del 2019, record
minimo dal 1959, quando, sotto il presidente repubblicano Dwight Eisenhower, si
presero a tabulare i numeri dei bisognosi. Sempre meno bambini americani
andavano a letto senza cena, sempre meno vivevano solo grazie ai pasti
distribuiti dalle scuole, un quarto di latte e cereali a breakfast, il
vassoietto di stagnola con il sandwich al burro di arachidi, il minuscolo
hamburger, la scodella con i “macaroni and cheese”, pastina col formaggio, la
mela, i crackers. Covid ha scardinato questo equilibrio, brutalmente. Lo scorso
mese, una serie di rapporti ha impressionato l’America, pur ipnotizzata dalla
campagna elettorale tra Trump e l’ex vicepresidente democratico Joe Biden, che
alla fine ha prevalso per sette milioni di voti. Subito dopo la pandemia, il
Congresso aveva lanciato sussidi per 2000 miliardi di dollari, il Cares Act
degli assegni in brossura di Trump, con un benefico effetto su almeno quattro
milioni di poveri che si erano visti depennare dalle statistiche della miseria.
Non appena il temporaneo impatto estivo si è esaurito, e malgrado la Borsa
continui a crescere e il mercato del lavoro sia in una qualche, sia pur flebile,
ripresa, la trappola della povertà è scattata ancora. Uno studio della Columbia
University, lo scorso ottobre, calcola che siano 8 milioni i nuovi poveri
americani, che hanno passato il Thanksgiving, il Ringraziamento, in
ristrettezze. Una parallela ricerca delle Università di Chicago e Notre Dame ha
risultati analoghi, stimando in sei milioni i poveri da Covid, in gran
maggioranza, neri, ispanici e famiglie con bambini. Il ministero del Lavoro,
scrive il New York Times, calcola che 886.000 persone si siano iscritte alle
liste di disoccupazione, con un aumento ritmico di circa 77.000 ogni settimana.
Le organizzazioni umanitarie, religiose e laiche, vedono mettersi in coda alle
mense membri del ceto medio, che si mischiano con imbarazzo a senzatetto,
vagabondi, migranti. “Chi vive da anni delle nostre tavole -racconta un
volontario cattolico che partecipa a un programma promosso dai frati
francescani- ha nella raccolta del pasto uno dei pochi momenti umani della
giornata, fa battute con i nostri addetti, scherza con un amico che non vedeva
da tempo, è abituato alla povertà e non se ne vergogna. I nuovi poveri, che
l’anno scorso avevano un lavoro, programmi per il futuro, qualche risparmio
bruciato in fretta, accompagnano ai disagi l’umiliazione di dover portare ai
figli le nostre razioni, togliere loro cellulari e videogames, non poter
programmare doni a Natale, vacanze, dire “Niente college universitario, devi
lavorare”. I racconti di questa discesa nell’indigenza sono una tragedia
americana senza fine: l’automobile non venduta “chi mai mi darebbe un lavoro in
California senza un’auto per spostarmi?”, solo al prezzo di tagliare il gas e
vivere di cibi freddi, cereali in scatola, o scaldati al forno a microonde; la
moglie che va nelle cliniche della fertilità per vendere gli ovuli a donne
abbienti in cerca di maternità, centri come Bright Expectations pagano
fino a 8000 dollari; gli hobby che svaniscono, i ferri del garage venduti su
eBay, con i libri e le foto dei bisnonni, un orologio cipollone da tasca
dell’Ottocento. I conservatori, eredi di Reagan che temeva le Regine del
Welfare spendessero i food stamp in vodka, obiettano che la povertà è una
convenzione e, spesso, i sussidi sono più cospicui di quanto le ricerche non
colgano. Ma oggi la povertà è assai più che un pasto, non avere accesso a
telefono o wifi taglia fuori dal mercato del lavoro, dalla scuola, dalle
relazioni affettive e familiari e, intanto, la caduta del mercato e i
licenziamenti hanno riportato la fame, la fame nera dei romanzi di Dickens, in
tante case. Un’inchiesta del quotidiano Washington Post rivela che un numero
record di cittadini salta almeno un pasto la settimana, non per diete
eccentriche, ma perché non ha abbastanza soldi per fare la spesa: non era più
accaduto dal 1998, quando i benefici della globalizzazione e del commercio con
l’estero avevano aperto due decenni di prosperità. Il Census Bureau, che
raccoglie censimenti e stime sul paese, documenta in un suo rapporto che un
americano su otto salta i pasti per miseria, 26 milioni ogni giorno. Le case
dove vivono bambini hanno numeri peggiori, una su sei non ha abbastanza soldi
per breakfast, pranzo e cena. Tra gli afroamericani la pandemia semina ancor
più pena: 22% delle famiglie denuncia di aver sofferto la fame nella settimana
del Ringraziamento, poco meno di una su quattro, due volte peggio della media
del paese e due volte e mezzo la media dei bianchi. Le testimonianze, a pochi
giorni da Natale, son struggenti, i fratelli che hanno ancora un lavoro a
mandare scatolette e surgelati ai fratelli disoccupati, le mamme che allungano
il latte con l’acqua senza che i figli le vedano, gli anziani che, seduti come
per caso a un caffè, aspettano qualcuno che intuisca il loro disagio e offra un
caffellatte, la maestra che distribuendo i pasti per gli scolari vede gli occhi
lucidi della mamma con il bambino in età non scolare e, rischiando rimproveri,
le consegna tre sacchetti di cartoncino marrone colmi di cibo. Il presidente
Biden si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio e la sua agenda sarà brutale,
Covid, Iran, Cina, economia, Europa, Putin: spero che qualcuno dei suoi
ministri, a partire dalla segretaria al Tesoro Yellen, gli ricordi gli
affamati, che penano nella grande potenza Usa, per un piatto di polpettone di
carne tritato dagli avanzi, una scodella di latte, due pezzetti di pollo fritto
e grits, la polenta del Sud americano, con il gravy, l’antico sughetto dei
quartieri poveri e dei campi sperduti.
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