La parola del mese
A turno si propone una parola, evocativa di pensieri
collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni
DICEMBRE
2020
Già
candidata a diventare la “Parola del mese” nella prima fase della pandemia,
lasciata poi in sospeso nell’illusoria parentesi estiva, è purtroppo ritornata
prepotentemente alla ribalta in non casuale coincidenza con la “fase due” e, in
questi ultimi giorni, già sta rischiando di compromettere la nostra conoscenza,
già complicata del suo, degli imminenti vaccini ……stiamo parlando di
INFODEMIA
Infodemia =
neologismo di
recente conio indica la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni,
talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un
determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili (Treccani on-line)
Più
volte discutendo della Rete, dei social e della incredibile facilità di accesso
ad informazioni su qualsiasi argomento che questi mezzi consentono, abbiamo
evidenziato che la ricchezza di notizie e dati non è automaticamente sinonimo
di migliore conoscenza e comprensione, che è anzi alto, a fronte di un’offerta
così ampia, il rischio di non avere gli strumenti per selezionare ed
orientarsi. Non si tratta solo della pur preoccupante incidenza delle vere e
proprie “fake news” il problema è che l’informazione digitalizzata e
spettacolarizzata degli ultimi decenni, così invasiva e assillante, ha prodotto
una incredibile proliferazione di notizie troppo spesso non verificate ma
immediatamente fatte circolare, di pareri, spesso forniti dagli stessi
“esperti”, contrastanti ed contraddittori, di “sentito dire” subito assurti a
fatti certi, a verità garantite. Rendendo quindi per tutti noi quanto mai complicato
il semplice informarci e, peggio ancora, il farci opinioni basate su un minimo
di certezze. Un problema tutt’altro che recente e già evidenziato da più parti,
ma che è esploso in tutta la sua complessità con la pandemia da covid19 e con
la comprensibile diffusa esigenza di meglio sapere, conoscere, capire. Non a
caso il termine infodemia è stato per la prima volta
utilizzato, nella sua versione inglese “infodemic”, dall’OMS
quando, nel corso della prima ondata pandemica, ha ritenuto urgente richiamare
la nostra attenzione sul disordinato ed ingestibile flusso di notizie, di
informazioni quasi mai a sufficienza verificate, che, soprattutto in Rete,
venivano fatte circolare in tutto il mondo ad un ritmo impressionante e ben superiore
a quello stesso dei contagi. Da qui il termine infodemia
che mette insieme in un azzeccato neologismo info, da
informazione, e demia, da pandemia. Conforta constatare che
è ormai diffusa la coscienza dell’esistenza e delle gravità di questo fenomeno,
e delle varie problematiche che può provocare, ma resta purtroppo ancora difficile
contrastarlo proprio per la sua incontrollabile ed ingestibile natura. Eppure
sembra certa una sua pesante ricaduta persino sullo stesso sviluppo pandemico,
come attesta il seguente studio
COVID-19:
l’infodemia "alleata" del contagio
uno gruppo di ricercatori del Gruppo
di Logica del dipartimento di Filosofia dell’Università La Statale di Milano ha
messo a punto un modello basato su regole logiche per misurare gli effetti
della "misinformazione" - pubblicato il 10/11/2020 su "Applied Network
Science",
L’infodemia, ovvero la “circolazione” di un eccesso di informazione spesso
non verificata, aumenta la diffusione del virus: la falsa informazione, infatti, inducendo comportamenti negativi come
l’interruzione volontaria del lockdown o della quarantena e il mancato rispetto dell’uso di misure di protezione
e controllo può avere effetti anche sulla circolazione del contagio. Lo
mostra, scientificamente, uno studio pubblicato sulla rivista Apllied Network Science condotto da Giuseppe Primiero,
docente dell'Università Statale membro del Gruppo di Logica del dipartimento
di Filosofia "Piero Martinetti" dell’Ateneo, con Lorenzo
Prandi, laureato in Filosofia della Statale. I ricercatori
hanno messo a punto un modello basato su regole
logiche e implementato in una simulazione ad agenti per
simulare l’interazione tra falsa informazione e pandemia: lo scopo è formalizzare i meccanismi logici del rifiuto di informazione proveniente
dall'autorità da parte di individui caratterizzati come paranoidi, e di
quantificare i loro effetti sulla diffusione di un virus
con caratteristiche simili a quelle mostrate dal COVID-19 nel periodo
febbraio-maggio 2020 in Italia. Gli agenti paranoidi producono dunque falsa
informazione, inducendo comportamenti negativi come l’interruzione volontaria
del lockdown o della quarantena, e il mancato rispetto dell’uso di misure di
protezione e controllo. Lo studio mostra come l’infodemia aumenti la diffusione del virus in tutti i modelli analizzati, e più
sono severe le misure applicate per limitare i contagi, più l’effetto della
disinformazione diventa visibile sul numero dei contagiati.
Il modello di controllo disegna uno scenario in cui il
virus ha una diffusione del 100% in 35 giorni su una popolazione di 500
individui, con una mortalità dell’8%. Un lockdown totale in questo modello
riduce la diffusione del 76% e la mortalità del 75%. La diffusione di falsa
informazione annulla questi effetti positivi per il 96%, rilevano i
ricercatori. In un lockdown parziale
solo per studenti e anziani, nel quale restano invece libere di muoversi le
categorie produttive, il tasso di contagio è ridotto del 20% rispetto allo
scenario di controllo. Una volta aggiunta la diffusione di falsa informazione
da parte di agenti scettici questo vantaggio scompare quasi del tutto, e
scompare per il 55% nel caso di lockdown parziale in combinazione con politiche
mirate di identificazione e isolamento dei contagiati (test and trace
strategy). Inoltre, la
"misinformazione" - intesa come falsa
informazione diffusa senza coscienza che essa sia tale, per esempio per
ignoranza dei fatti o pregiudizio - aumenta non solo il numero
dei contagiati, ma anche la velocità della curva epidemiologica,
generando una più difficile gestione del tracciamento dei contagi e della cura
degli infetti. In un contesto di lockdown totale il modello mostra un tasso di
mortalità al 1.2%, con una durata media di 104 giorni; nel modello con falsa
informazione, la completa infezione della popolazione è raggiunta in 85 giorni,
con un tasso di mortalità che torna quasi all’8%. Con un lockdown parziale per
studenti ed anziani, l’infodemia accelera la
diffusione del virus raggiungendo il picco di diffusione con 10 giorni di
anticipo rispetto al modello di controllo. I ricercatori hanno anche definito
anche un parametro per quantificare il danno
sociale computato tenendo in considerazione il numero di
infetti e il numero pesato di agenti che rimangono stazionari nel rispetto
delle strategie di lockdown parziale.
In tutti gli scenari, questo parametro aumenta con la presenza della
misinformazione, fino a triplicare. Applicare deterrenti aggiuntivi per indurre
gli agenti a rispettare le regole ha mitigato solo blandamente l’effetto della
misinformazione: pochi agenti che si rifiutano di rispettare le regole sono
responsabili di un aumento notevole dei contagi. Questo suggerisce che prevenire la diffusione di notizie false, piuttosto che rimediare ai loro
effetti, potrebbe avere benefici maggiori. "Si dice spesso –
commenta Giuseppe Primiero - che le fake news hanno un effetto
negativo. In questo studio abbiamo quantificato questo effetto nel contesto
della crisi che stiamo vivendo. Il nostro modello simula una piccola
popolazione, ma le sue caratteristiche demografiche, così come le politiche di
controllo applicate, sono modulate su quelle reali italiane nel periodo della
prima ondata di COVID-19. I nostri risultati indicano quanto sia pericoloso
sottovalutare l’aspetto della comunicazione e dell’irrazionalità nello sforzo
di sconfiggere la seconda ondata della pandemia".
La tesi avanzata da
questo studio sembra confermata da una accurata ricerca sul campo condotta
nell’ambito di un altro studio, la cui sintesi è presentata in un articolo
a cura di Riccardo Gallotti , Francesco Valle, Nicola Castaldo , Pierluigi
Sacco and Manlio De Domenico apparso sull’ultimo numero di “Nature.com”.
In un articolo pubblicato il 29 ottobre su Nature Human
Behaviour,
i ricercatori Riccardo Gallotti , Francesco Valle, Nicola Castaldo , Pierluigi
Sacco e Manlio De Domenico della Fondazione Bruno Kessler (Trento) hanno
analizzato più di 100 milioni di messaggi Twitter pubblicati in tutto il mondo dal 22 gennaio
al 10 marzo 2020 e
classificato l’affidabilità delle notizie in circolazione, elaborando un indice di
rischio infodemico per catturare l’entità dell’esposizione a
notizie inaffidabili in tutti i paesi. È stato così scoperto che ondate
di informazioni potenzialmente
inaffidabili hanno
preceduto l’aumento delle infezioni da COVID-19, esponendo intere nazioni a
bugie che hanno rappresentato una seria minaccia per la
salute pubblica.
Quando le infezioni hanno iniziato a crescere, le informazioni affidabili sono
diventate rapidamente più dominanti e il contenuto di Twitter si è spostato
verso fonti informative più credibili. Durante il COVID-19, i governi e i
cittadini stanno combattendo non solo una pandemia, ma anche un’infodemia in co-evoluzione: la diffusione rapida su vasta portata di
informazioni di qualità discutibile. In questo studio hanno mostrato che la dinamica delle
informazioni,
“fatta” su misura per alterare le
percezioni degli individui e potenzialmente le loro risposte comportamentali, è associata a
uno spostamento dell’attenzione
collettiva in
direzioni false o a contenuto provocatorio, un fenomeno denominato infodemic (cioè un’epidemia di informazioni), condividendo
somiglianze con epidemie più tradizionali e fenomeni di diffusione. Ciò
genera ondate di informazioni
inaffidabili e
di bassa qualità con impatto
potenzialmente pericoloso sulla capacità della società di rispondere in modo adattivo
a tutte le scale, adottando rapidamente tali norme e comportamenti che possono
contenere efficacemente la propagazione della pandemia. La diffusione di
informazioni false o fuorvianti può impedire l’adozione tempestiva ed efficace
di comportamenti appropriati e di raccomandazioni o misure di sanità pubblica. Perciò, se da un lato affrontiamo le minacce di una
pandemia, che si diffonde in assenza di terapie efficaci e contromisure valide
e chiede grandi sforzi per modellare e anticipare nel tempo la sua diffusione,
d’altra parte si può parlare di “minaccia infodemica”,
che prolifera quando fonti di informazioni
credibili falliscono nel catturare l’attenzione e la fiducia di alcune parti
del pubblico,
per il quale fonti alternative e di bassa qualità sono più allettanti in quanto
queste catturano una maggiore attenzione sociale, incontrano meglio le proprie
convinzioni o pregiudizi, o suonano più
convincenti,
grazie ai loro messaggi tipicamente diretti.
Una bulimia di informazioni di bassa qualità
Il fascino di informazioni di bassa qualità, fuorvianti o manipolative
si basa su meccanismi psicologici semplici
ed efficaci,
come frenare l’ansia negando o
riducendo al minimo la gravità del minaccia; controllare la paura
e la rabbia prendendo
di mira come capri espiatori individui, gruppi o istituzioni quali responsabili
della crisi; e fornire un illusorio senso di
controllo attraverso
il suggerire rimedi “miracolosi”. Analogamente alle epidemie, si potrebbe
pensare alle infodemie come focolai di false voci e notizie inaffidabili con effetti inaspettati
sulle dinamiche sociali, che possono aumentare la diffusione
dell’epidemia. Le infodemie richiedono
interventi politici adeguati basati su ricerche sociali e comportamentali
all’avanguardia. I ricercatori hanno concentrato la loro attenzione
sull’analisi di messaggi postati su Twitter, un social network caratterizzato
da connettività eterogenea e scorciatoie topologiche tipico dei sistemi del
piccolo mondo. Le informazioni diffuse su questo tipo di network sono ben comprese in
termini di cascate globali in una popolazione di individui che devono scegliere tra
alternative complementari. Spieghiamo meglio il concetto con un’immagine.
Gli account “umani” (cerchi) e non umani, quindi “bot” (quadrati)
partecipano alla diffusione di notizie su un social network. Alcuni utenti (A e
B) creano contenuti inaffidabili, come notizie false o inaffidabili o
affermazioni non supportate, mentre altri (C) creano contenuti informati da
fonti affidabili. Quando l’argomento attira l’attenzione mondiale come nel caso
del COVID 19, il volume di
informazioni che circolano rende difficile orientarsi e identificare fonti
affidabili.
In effetti, alcuni utenti (D) potrebbero essere esposti solo a informazioni
inaffidabili, mentre altri (E ed F) potrebbero ricevere informazioni
contraddittorie e diventare incerti su quali informazioni siano affidabili.
Questo meccanismo si esaspera quando si verificano più processi di diffusione e
alcuni utenti potrebbero essere esposti più volte allo stesso contenuto o a
contenuti diversi generati da account distinti. Nel complesso, il livello globale di
rischio infodemico tende a diminuire
man mano che il COVID-19 si diffonde a livello globale, suggerendo che la diffusione dell’epidemia porta le
persone a cercare fonti relativamente più affidabili. In questo, una buona mano
è stata data da influencer verificati con molti follower, che hanno iniziato a
diffondere maggiormente notizie più affidabili, forse spostando lo stato dell’infodemia verso un panorama informativo più
chiaro dove è più facile orientarsi e identificare fatti inaffidabili. Nel
caso dell’Italia, dove l’epidemia ha colpito pesantemente il Paese, si osserva
in coincidenza con i primi contagi domestici accertati un repentino, netto aumento delle
ricerche nazionali su Google dei più noti virologi italiani che hanno ottenuto una notevole visibilità sui media
tradizionali nazionali. I nostri dati non ci
consentono di stabilire una relazione causale tra l’improvviso aumento della
popolarità e l’esposizione mediatica di tali esperti e lo spostamento dell’attenzione da fonti inaffidabili
a fonti affidabili nelle conversazioni sui social media online. Lo studio in
definitiva mostra che, in una società altamente digitale, le dimensioni
epidemica ed infodemica di COVID-19 evolvono
assieme. La dimensione infodemica è guidata da un insieme
eterogeneo di attori che perseguono obiettivi in gran parte nascosti.
Data la mancanza di
interventi farmacologici per combattere il COVID-19, comportamenti responsabili
guidati da informazioni affidabili a tutte le scale sono fondamentali per la
mitigazione degli effetti avversi. Può quindi essere importante sviluppare approcci
integrati di salute pubblica, in
cui le dimensioni biologica e informativa di un’epidemia siano ugualmente
riconosciute, prese in considerazione e gestite attraverso un’attenta
progettazione delle politiche.
Ci
auguriamo che si stia davvero realizzando una maggiore consapevolezza della
gravità della questione e delle pericolose ricadute che si innescano quando ad
una pandemia si associa una correlata infodemia. E che di
conseguenza, essendo fra l’altro un tema che ha dimensioni ben più ampie del
solo rapporto pandemia/infodemia e che investe
tutti i flussi informativi che si generano in questo mondo iperconnesso, si
possa arrivare a qualche forma di suo controllo.
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