martedì 1 dicembre 2020

La Parola del mese - Dicembre 2020

                                        La parola del mese

 A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni

DICEMBRE 2020

Già candidata a diventare la “Parola del mese” nella prima fase della pandemia, lasciata poi in sospeso nell’illusoria parentesi estiva, è purtroppo ritornata prepotentemente alla ribalta in non casuale coincidenza con la “fase due” e, in questi ultimi giorni, già sta rischiando di compromettere la nostra conoscenza, già complicata del suo, degli imminenti vaccini ……stiamo parlando di

INFODEMIA

Infodemia = neologismo di recente conio indica la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili (Treccani on-line)

Più volte discutendo della Rete, dei social e della incredibile facilità di accesso ad informazioni su qualsiasi argomento che questi mezzi consentono, abbiamo evidenziato che la ricchezza di notizie e dati non è automaticamente sinonimo di migliore conoscenza e comprensione, che è anzi alto, a fronte di un’offerta così ampia, il rischio di non avere gli strumenti per selezionare ed orientarsi. Non si tratta solo della pur preoccupante incidenza delle vere e proprie “fake news” il problema è che l’informazione digitalizzata e spettacolarizzata degli ultimi decenni, così invasiva e assillante, ha prodotto una incredibile proliferazione di notizie troppo spesso non verificate ma immediatamente fatte circolare, di pareri, spesso forniti dagli stessi “esperti”, contrastanti ed contraddittori, di “sentito dire” subito assurti a fatti certi, a verità garantite. Rendendo quindi per tutti noi quanto mai complicato il semplice informarci e, peggio ancora, il farci opinioni basate su un minimo di certezze. Un problema tutt’altro che recente e già evidenziato da più parti, ma che è esploso in tutta la sua complessità con la pandemia da covid19 e con la comprensibile diffusa esigenza di meglio sapere, conoscere, capire. Non a caso il termine infodemia è stato per la prima volta utilizzato, nella sua versione inglese “infodemic”, dall’OMS quando, nel corso della prima ondata pandemica, ha ritenuto urgente richiamare la nostra attenzione sul disordinato ed ingestibile flusso di notizie, di informazioni quasi mai a sufficienza verificate, che, soprattutto in Rete, venivano fatte circolare in tutto il mondo ad un ritmo impressionante e ben superiore a quello stesso dei contagi. Da qui il termine infodemia che mette insieme in un azzeccato neologismo info, da informazione, e demia, da pandemia. Conforta constatare che è ormai diffusa la coscienza dell’esistenza e delle gravità di questo fenomeno, e delle varie problematiche che può provocare, ma resta purtroppo ancora difficile contrastarlo proprio per la sua incontrollabile ed ingestibile natura. Eppure sembra certa una sua pesante ricaduta persino sullo stesso sviluppo pandemico, come attesta il seguente studio

COVID-19:

l’infodemia "alleata" del contagio

uno gruppo di ricercatori del Gruppo di Logica del dipartimento di Filosofia dell’Università La Statale di Milano ha messo a punto un modello basato su regole logiche per misurare gli effetti della "misinformazione" - pubblicato il 10/11/2020 su "Applied Network Science",

L’infodemia, ovvero la “circolazione” di un eccesso di informazione spesso non verificata, aumenta la diffusione del virus: la falsa informazione, infatti, inducendo comportamenti negativi come l’interruzione volontaria del lockdown o della quarantena e il mancato rispetto dell’uso di misure di protezione e controllo può avere effetti anche sulla circolazione del contagio. Lo mostra, scientificamente, uno studio pubblicato sulla rivista Apllied Network Science  condotto da Giuseppe Primiero, docente dell'Università Statale membro del Gruppo di Logica del dipartimento di Filosofia "Piero Martinetti" dell’Ateneo, con Lorenzo Prandi, laureato in Filosofia della Statale. I ricercatori hanno messo a punto un modello basato su regole logiche e implementato in una simulazione ad agenti per simulare l’interazione tra falsa informazione e pandemia: lo scopo è formalizzare i meccanismi logici del rifiuto di informazione proveniente dall'autorità da parte di individui caratterizzati come paranoidi, e di quantificare i loro effetti sulla diffusione di un virus con caratteristiche simili a quelle mostrate dal COVID-19 nel periodo febbraio-maggio 2020 in Italia. Gli agenti paranoidi producono dunque falsa informazione, inducendo comportamenti negativi come l’interruzione volontaria del lockdown o della quarantena, e il mancato rispetto dell’uso di misure di protezione e controllo. Lo studio mostra come l’infodemia aumenti la diffusione del virus in tutti i modelli analizzati, e più sono severe le misure applicate per limitare i contagi, più l’effetto della disinformazione diventa visibile sul numero dei contagiati.

Il modello di controllo disegna uno scenario in cui il virus ha una diffusione del 100% in 35 giorni su una popolazione di 500 individui, con una mortalità dell’8%. Un lockdown totale in questo modello riduce la diffusione del 76% e la mortalità del 75%. La diffusione di falsa informazione annulla questi effetti positivi per il 96%, rilevano i ricercatori. In un lockdown parziale solo per studenti e anziani, nel quale restano invece libere di muoversi le categorie produttive, il tasso di contagio è ridotto del 20% rispetto allo scenario di controllo. Una volta aggiunta la diffusione di falsa informazione da parte di agenti scettici questo vantaggio scompare quasi del tutto, e scompare per il 55% nel caso di lockdown parziale in combinazione con politiche mirate di identificazione e isolamento dei contagiati (test and trace strategy). Inoltre, la "misinformazione" - intesa come falsa informazione diffusa senza coscienza che essa sia tale, per esempio per ignoranza dei fatti o pregiudizio - aumenta non solo il numero dei contagiati, ma anche la velocità della curva epidemiologica, generando una più difficile gestione del tracciamento dei contagi e della cura degli infetti. In un contesto di lockdown totale il modello mostra un tasso di mortalità al 1.2%, con una durata media di 104 giorni; nel modello con falsa informazione, la completa infezione della popolazione è raggiunta in 85 giorni, con un tasso di mortalità che torna quasi all’8%. Con un lockdown parziale per studenti ed anziani, l’infodemia accelera la diffusione del virus raggiungendo il picco di diffusione con 10 giorni di anticipo rispetto al modello di controllo. I ricercatori hanno anche definito anche un parametro per quantificare il danno sociale computato tenendo in considerazione il numero di infetti e il numero pesato di agenti che rimangono stazionari nel rispetto delle strategie di lockdown parziale. In tutti gli scenari, questo parametro aumenta con la presenza della misinformazione, fino a triplicare. Applicare deterrenti aggiuntivi per indurre gli agenti a rispettare le regole ha mitigato solo blandamente l’effetto della misinformazione: pochi agenti che si rifiutano di rispettare le regole sono responsabili di un aumento notevole dei contagi. Questo suggerisce che prevenire la diffusione di notizie false, piuttosto che rimediare ai loro effetti, potrebbe avere benefici maggiori. "Si dice spesso – commenta Giuseppe Primiero che le fake news hanno un effetto negativo. In questo studio abbiamo quantificato questo effetto nel contesto della crisi che stiamo vivendo. Il nostro modello simula una piccola popolazione, ma le sue caratteristiche demografiche, così come le politiche di controllo applicate, sono modulate su quelle reali italiane nel periodo della prima ondata di COVID-19. I nostri risultati indicano quanto sia pericoloso sottovalutare l’aspetto della comunicazione e dell’irrazionalità nello sforzo di sconfiggere la seconda ondata della pandemia".

La tesi avanzata da questo studio sembra confermata da una accurata ricerca sul campo condotta nell’ambito di un altro studio, la cui sintesi è presentata in un articolo a cura di Riccardo Gallotti  , Francesco Valle, Nicola Castaldo , Pierluigi Sacco  and Manlio De Domenico  apparso sull’ultimo numero di “Nature.com”.

In un articolo pubblicato il 29 ottobre su Nature Human Behaviour, i ricercatori Riccardo Gallotti , Francesco Valle, Nicola Castaldo , Pierluigi Sacco  e Manlio De Domenico della Fondazione Bruno Kessler (Trento) hanno analizzato più di 100 milioni di messaggi Twitter pubblicati in tutto il mondo dal 22 gennaio al 10 marzo 2020 e classificato l’affidabilità delle notizie in circolazione, elaborando un indice di rischio infodemico per catturare l’entità dell’esposizione a notizie inaffidabili in tutti i paesi. È stato così scoperto che ondate di informazioni potenzialmente inaffidabili hanno preceduto l’aumento delle infezioni da COVID-19, esponendo intere nazioni a bugie che hanno rappresentato una seria minaccia per la salute pubblica. Quando le infezioni hanno iniziato a crescere, le informazioni affidabili sono diventate rapidamente più dominanti e il contenuto di Twitter si è spostato verso fonti informative più credibili. Durante il COVID-19, i governi e i cittadini stanno combattendo non solo una pandemia, ma anche uninfodemia in co-evoluzione: la diffusione rapida su vasta portata di informazioni di qualità discutibile. In questo studio hanno mostrato che la dinamica delle informazioni, “fatta” su misura per alterare le percezioni degli individui e potenzialmente le loro risposte comportamentali, è associata a uno spostamento dell’attenzione collettiva in direzioni false o a contenuto provocatorio, un fenomeno denominato infodemic (cioè un’epidemia di informazioni), condividendo somiglianze con epidemie più tradizionali e fenomeni di diffusione. Ciò genera ondate di informazioni inaffidabili e di bassa qualità con impatto potenzialmente pericoloso sulla capacità della società di rispondere in modo adattivo a tutte le scale, adottando rapidamente tali norme e comportamenti che possono contenere efficacemente la propagazione della pandemia. La diffusione di informazioni false o fuorvianti può impedire l’adozione tempestiva ed efficace di comportamenti appropriati e di raccomandazioni o misure di sanità pubblica. Perciò, se da un lato affrontiamo le minacce di una pandemia, che si diffonde in assenza di terapie efficaci e contromisure valide e chiede grandi sforzi per modellare e anticipare nel tempo la sua diffusione, d’altra parte si può parlare di “minaccia infodemica”, che prolifera quando fonti di informazioni credibili falliscono nel catturare l’attenzione e la fiducia di alcune parti del pubblico, per il quale fonti alternative e di bassa qualità sono più allettanti in quanto queste catturano una maggiore attenzione sociale, incontrano meglio le proprie convinzioni o pregiudizi, o suonano più convincenti, grazie ai loro messaggi tipicamente diretti.

Una bulimia di informazioni di bassa qualità

Il fascino di informazioni di bassa qualità, fuorvianti o manipolative si basa su meccanismi psicologici semplici ed efficaci, come frenare l’ansia negando o riducendo al minimo la gravità del minacciacontrollare la paura e la rabbia prendendo di mira come capri espiatori individui, gruppi o istituzioni quali responsabili della crisi; e fornire un illusorio senso di controllo attraverso il suggerire rimedi “miracolosi”. Analogamente alle epidemie, si potrebbe pensare alle infodemie come focolai di false voci e notizie inaffidabili con effetti inaspettati sulle dinamiche sociali, che possono aumentare la diffusione dell’epidemia. Le infodemie richiedono interventi politici adeguati basati su ricerche sociali e comportamentali all’avanguardia. I ricercatori hanno concentrato la loro attenzione sull’analisi di messaggi postati su Twitter, un social network caratterizzato da connettività eterogenea e scorciatoie topologiche tipico dei sistemi del piccolo mondo. Le informazioni diffuse su questo tipo di network sono ben comprese in termini di cascate globali in una popolazione di individui che devono scegliere tra alternative complementari. Spieghiamo meglio il concetto con un’immagine.



Gli account “umani” (cerchi) e non umani, quindi “bot” (quadrati) partecipano alla diffusione di notizie su un social network. Alcuni utenti (A e B) creano contenuti inaffidabili, come notizie false o inaffidabili o affermazioni non supportate, mentre altri (C) creano contenuti informati da fonti affidabili. Quando l’argomento attira l’attenzione mondiale come nel caso del COVID 19, il volume di informazioni che circolano rende difficile orientarsi e identificare fonti affidabili. In effetti, alcuni utenti (D) potrebbero essere esposti solo a informazioni inaffidabili, mentre altri (E ed F) potrebbero ricevere informazioni contraddittorie e diventare incerti su quali informazioni siano affidabili. Questo meccanismo si esaspera quando si verificano più processi di diffusione e alcuni utenti potrebbero essere esposti più volte allo stesso contenuto o a contenuti diversi generati da account distinti. Nel complessoil livello globale di rischio infodemico tende a diminuire man mano che il COVID-19 si diffonde a livello globale, suggerendo che la diffusione dell’epidemia porta le persone a cercare fonti relativamente più affidabili. In questo, una buona mano è stata data da influencer verificati con molti follower, che hanno iniziato a diffondere maggiormente notizie più affidabili, forse spostando lo stato dell’infodemia verso un panorama informativo più chiaro dove è più facile orientarsi e identificare fatti inaffidabili. Nel caso dell’Italia, dove l’epidemia ha colpito pesantemente il Paese, si osserva in coincidenza con i primi contagi domestici accertati un repentino, netto aumento delle ricerche nazionali su Google dei più noti virologi italiani che hanno ottenuto una notevole visibilità sui media tradizionali nazionali. I nostri dati non ci consentono di stabilire una relazione causale tra l’improvviso aumento della popolarità e l’esposizione mediatica di tali esperti e lo spostamento dell’attenzione da fonti inaffidabili a fonti affidabili nelle conversazioni sui social media online. Lo studio in definitiva mostra che, in una società altamente digitale, le dimensioni epidemica ed infodemica di COVID-19 evolvono assieme. La dimensione infodemica è guidata da un insieme eterogeneo di attori che perseguono obiettivi in ​​gran parte nascosti. Data la mancanza di interventi farmacologici per combattere il COVID-19, comportamenti responsabili guidati da informazioni affidabili a tutte le scale sono fondamentali per la mitigazione degli effetti avversi. Può quindi essere importante sviluppare approcci integrati di salute pubblica, in cui le dimensioni biologica e informativa di un’epidemia siano ugualmente riconosciute, prese in considerazione e gestite attraverso un’attenta progettazione delle politiche.

Ci auguriamo che si stia davvero realizzando una maggiore consapevolezza della gravità della questione e delle pericolose ricadute che si innescano quando ad una pandemia si associa una correlata infodemia. E che di conseguenza, essendo fra l’altro un tema che ha dimensioni ben più ampie del solo rapporto pandemia/infodemia e che investe tutti i flussi informativi che si generano in questo mondo iperconnesso, si possa arrivare a qualche forma di suo controllo.


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