mercoledì 6 gennaio 2021

Il "Saggio" del mese - Gennaio 2021

 

Il “Saggio” del mese

 GENNAIO 2021

Ancora ci si divide fra il “nulla sarà più come prima”, e il “tutto tornerà come prima”. In entrambe queste opinioni ha comunque un ruolo centrale il “prima”, ovvero il giudizio di merito che su di esso pensiamo di condividere. Dando senso a questo tempo di imposta sospensione diventa allora sempre più indispensabile per immaginare, e costruire, “quello che sarà” interrogarci il più a fondo possibile su “quello che è stato” e su come sia confluito in “quello che ancora adesso è”. E’ quello che nel suo ultimo saggio fa Marco Revelli, da tutti noi ben conosciuto e anni addietro apprezzato relatore in una delle nostre prime conferenze, in cui ci guida in una riflessione sul concetto di “umano”, e delle sue possibili evoluzioni/degenerazioni, dal suo primo sorgere fin dentro lo sconvolgimento pandemico.

(Come sempre le parti citate integralmente dal testo sono evidenziate in corsivo blu, di alcuni personaggi citati nel saggio, magari non da tutti conosciuti, sono riportate brevissime presentazioni)  

 Prologo

4 Maggio 2008: Ponticelli, quartiere della periferia di Napoli, per i soliti pretestuosi motivi il vicino campo Rom diventa oggetto di un vero e proprio progrom. Dalla folla che lo assedia, mentre la polizia cerca di proteggere l’operazione di sgombero resa inevitabile da ragioni di sicurezza, si stacca una donna anziana e si fa incontro ad una giovane donna rom con una bimba piccolissima in braccio e le sputa. Sbaglia la mira e colpisce il viso della bimba sotto lo sguardo esterrefatto di un poliziotto. La folla applaude ed acclama.

13 Luglio 2019: un barcone carico di migranti naufraga davanti alle coste italiane, muoiono 150 persone. Parte in Rete una valanga di commenti irricevibili (……..stasera i pesci mangiano!!!......)

6 Marzo 2020: la pandemia da Covid19 sta colpendo duro in Italia, ospedali e Pronto Soccorso sono ormai allo stremo, non reggono l’urto dei ricoveri. La “Siaarti” (Societa italiana anestesisti e rianimatori) pubblica un documento dal titolo “Raccomandazioni di etica clinica” per la gestione dell’emergenza covid. Vi si dice che, a fronte dell’impossibilità di garantire a tutti il ricovero nei Reparti di terapia intensiva, gli accessi, anziché rispettare il casuale ordine di arrivo, dovranno privilegiare i più giovani e quelli con un quadro clinico meno compromesso da altre patologie. Tre episodi molto diversi tra di loro eppure accomunabili in una sola lettura: quella che vede emergere una sotterranea, ma comunque ben percepibile, idea di “umanità” violata, offesa, cancellata in quella che dovrebbe essere la sua essenza solidale. E’ tempo di capire cosa, da tempo, sta succedendo attorno al concetto di “umano”

Capitolo primo: Humanitas/Dis-humanitas

Il termine “Humanitas” entra a far parte del lessico colto dei Romani tra il II ed I secolo a.C. E’ la versione in latino del termine greco “philantropia”, letteralmente “amore per l’uomo”, e richiama al valore universale del rispetto dell’uomo verso gli altri uomini. Humanitas si collega anche ad un altro termine greco: “paideia”, il percorso di formazione culturale del buon cittadino. L’idea romana di humanitas lega quindi il rispetto, il riconoscimento, “dell’altro” con il saper essere un buon cittadino, una dote che può derivare solo dal possesso di una buona cultura. Questa idea sopravvive alla fine della romanità e viene, nella sua essenza, via via ripresa ed integrata con altri valori, religiosi ed etici, che la rafforzano, in tutte le culture che si innestano sul filone della classicità greco-romana a formare un processo che per molti secoli è parso inamovibile. Ma meno di un secolo fa questo processo si arresta nel modo più tragico e fin lì inconcepibile. Lo dicono in modo magistrale queste parole di George Steiner (1929-2020 scrittore, saggista e accademico francese) un umanista estremo, nella Prefazione al suo “Linguaggio e silenzio”:

…..Noi veniamo dopo. Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach o Schubert e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz……

E’ qui, in questo luogo simbolo, che il pensiero occidentale dell’uomo subisce la catastrofica irruzione del “dis-umano”. Qui ad Auschwitz dove per la prima volta nella storia la dis-umanità viene teorizzata, pianificata, attuata “industrialmente”. La storia racconta da sempre, e poi lungo tutti i secoli di vita dell’humanitas, di crudeltà verso il nemico, di barbarie verso inermi ed innocenti, di stragi incontrollate, ma Auscwitz testimonia per la prima volta, con la sua lucida razionalità annientatrice, la totale cancellazione, il definitivo disconoscimento, “dell’altro” in quanto uomo. In aggiunta al suo “Se questo è un uomo” Primo Levi parla allora di …… quanto l’uomo ha osato fare all’Uomo …… proprio per farci così capire che quel dis-umano albergava nell’uomo, era cioè letteralmente in-umano, e aveva come vero obiettivo il concetto stesso di “Uomo”. Ad Auschwitz si è pienamente rivelata la possibilità che …… l’uomo consideri nulla l’altro uomo ……. E si comprende allora ancora meglio in senso di quelle parole di Steiner …… Noi veniamo dopo …… Ma è davvero possibile che …… prima …..  non fossero già comparsi, nel corpo stesso dell’humanitas, avvisaglie di preoccupanti tensioni sotterranee …… rivelazioni di un peccato originale dello stesso umanesimo?...

Capitolo secondo: tra “non più” e “non ancora”

Un piccolo quadro esposto al Prado, attribuito a Hieronymus Bosch, (1453-1516 pittore olandese uno dei massimi interpreti del Rinascimento nordico), ed intitolato “Un ballestero”, un balestriere, qualcosa ci indica.

Si legge in questo volto, solo all’apparenza attutita dalla enigmatica piega della bocca, l’espressione dell’odio …….. come stato naturale …… non l’odio che nasce verso un traditore, un aggressore, un malvagio, un sentimento cioè che si forma in un preciso contesto e che lì resta confinato, ma quello che dimora costante nell’animo, che diventa cifra di una vita intera. Un altro quadro di Bosch aiuta a meglio capire: “il Cristo deriso” altrimenti detto “Incoronazione di spine”, è esposto alla National Gallery di Londra

Il ballestero del primo quadro è lo stesso personaggio, in alto a destra, che con altri sgherri sta imponendo la corona di spine al Cristo. Lo sguardo è identico: stesso odio, stessa qualità di odio, e la piega della bocca non è più enigmatica. Ma è l’intera composizione del quadro che ci fornisce una indicazione più precisa. Bosch dipinge a cavallo fra 1400 e 1500 e tutti i suoi quadri raccontano una umanità che sembra aver perso la sua identità, le sue radici, non a caso i suoi personaggi volano, sono sospesi, hanno forme solo in parte umane, in essi emerge un mondo caotico e sconvolto, in cui il male sembra libero di vagare ovunque. Melania Mazzucco (1966 – scrittrice italiana, gran appassionata ed esperta di pittura) sintetizza il mondo di Bosch con queste parole ……la materia stessa è… nei suoi quadri ….in balia della metamorfosi …….. Pochi anni dopo questi due quadri, datati attorno al 1485, Martin Lutero affigge, nel1517, sul portone della chiesa di Vittemberg le sue 95 Tesi dando così il formale avvio alla riforma protestante, ma anche ad un lungo secolo di guerre di religione che cambieranno volto all’Europa sancendo la fine della Civitas Christiana unificata aprendo la strada alla Modernità. Bosch muore un anno prima nel 1516, ma l’intera sua opera già testimonia il sentore di questo cambiamento alle porte, un cambiamento che lo spaventa e che in gran misura spiega i suoi personaggi umani non-umani. Già ce lo fanno capire il “Cristo deriso” ed il Ballestero. Cristo è al centro del quadro e guarda verso di noi con uno sguardo mite, rassegnato, compassionevole, a confermare il suo essere “uomo” e a ricordarci la centralità della nostra “umanità”, ma è circondato, soffocato, dall’odio del Ballestero e dei suoi tre compari. L’umanità del Cristo, la nostra stessa, stanno per scomparire. Stefan Fischer (1921-1986 critico e storico d’arte), probabilmente il massimo interprete di Bosch, così sintetizza questo quadro: …… Cristo è passivo all’esterno e attivo all’interno, le sue guardie sono attive all’esterno ma interiormente morte ……. Il dramma delle guerre di religione sta per scoppiare, ma solo la sensibilità di un artista come Bosch può coglierne i primi segnali, perché in effetti quello che si sta delineando, quella che sarà la metamorfosi della cultura umanistica europea, deve ancora prendere forma compiuta. Si è in un tempo sospeso tra il ….. non più ….. della tradizione classica e il …… non ancora ….. della piena Modernità

 Capitolo terzo: il tempo del Leviatano, 

la restaurazione dell’umano mediante il disumano

Il 500 europeo conferma tragicamente quello che Bosch immaginava: il “non più” dell’umanità cristiana, fin lì tutta compresa in un unico ordine unificante, viene violentemente evidenziato dall’irruzione di un dis-umano che la divide in mille fratture in costante e feroce conflitto. L’iniziale discordia sulle cose spirituali, le stesse che avevano fin lì costituito il cemento dell’humanitas cristiana erede e continuatrice di quella classica, si evolve in conflitto aperto e crudele cancellando ogni elemento di comunità. Non lo sono più le città, i paesi, le famiglie, gli amici, le chiese, le corporazioni e le associazioni. Dura tutto il secolo questa dittatura del dis-umano. Solo all’alba del 1600 nella stanchezza ormai esangue per questa insostenibile disumanità germoglia una reazione, un riscatto, una risposta vincente. Si delinea un nuovo ordine, che ancora non ha, non si dà, un nome nuovo, ma che si delinea ridefinendo integralmente l’antico concetto di “Sovranità”. Il disordine disumano deve essere ricondotto sotto il controllo di un ordine politico basato su un riconosciuto ed accettato principio autoritario, centralizzatore, razionalizzatore, consegnato alla forma “Stato”. Ancora una volta interviene un “non più”: questo ordine non discende più dall’alto dei cieli, da Dio, ma si territorializza, si radica con genti e luoghi riunificati all’interno dell’ordine statale. Lo stesso sovrano non è più tale per volere divino, lo è perché depositario della “sovranità”, di un preciso mandato a ricostruire un ordine che riunifichi l’umanità. Questo mandato poggia su un preciso patto: l’umanità per ritrovare sé stessa consegna al titolare della sovranità l’esclusività della violenza, delle forze che hanno per un secolo alimentato il disumano. Alla “sovranità” compete l’esclusivo diritto al “male” E’ Thomas Hobbes (1586-1651 filosofo e matematico inglese) a dare nome al nuovo potere sovrano, è un nome ripreso da una metafora biblica, il Leviatano

Ed è al Leviatano che viene quindi consegnato il fine più nobile, quello più fondante la nuova umanità: la cessazione della “guerra di tutti contro tutti”, il rispetto e la fedeltà ai patti sociali. E’ l’ottenimento di questo fine che giustifica, che istituzionalizza, il Leviatano ed il suo diritto esclusivo all’uso della forza, della violenza, al ricorso, per il “bene” di tutti, al “male” verso chi non si piega alla “Sovranità”. Tutto ciò che per l’intero Cinquecento ha costituito il dis-umano viene allora ad essere assorbito, ed in qualche modo redento, nella sovranità del Leviatano. Il dis-umano diventa, e non è un paradosso logico ma semmai la prima clamorosa affermazione della logica moderna, il garante dello stesso umano. La sensibilità della pittura ancora una volta coglie nel segno, il Cristo “umano”, seppure deriso, di Bosch si trasforma nel Cristo muscoloso e trionfante dei tanti “Giudizi Universali” del tempo. Lo testimonia meravigliosamente uno di quelli “minori”: il “Giudizio Universale” di Giuseppe Salerno, detto “Lo zoppo di Gangi” (1570-1630, pittore tardo-manierista)  un’opera del 1634

E nell’ammirare i tanti ritratti che in questo secolo raffigurano uomini di potere è bene ricordare la raccomandazione di Giovan Battista Agucchi (1570-1632, arcivescovo ed esperto d’arte) nel suo “Trattato sulla pittura” del 1610 ………… la forma più evoluta di ritrattistica è quella che andando oltre la somiglianza al soggetto raffigura i personaggi in funzione della loro posizione nel mondo ………

 Capitolo quarto: il ritorno del Ballestero, ovvero la morte del “prossimo”

Dura due secoli e mezzo il nuovo Ordine moderno che consente all’umano di muoversi sotto l’ombrello della spada della Legge. Certo la “sovranità” hobbesiana muta forma, dalla monarchia assoluta passa, in questo lungo lasso di tempo e non senza sconvolgimenti, allo Stato liberale rappresentativo, ma il paradigma dell’Ordine, quanto meno nella forma di “sovranità popolare” è rimasto lo stesso fino al XX secolo, quello della “grande trasformazione”. Un secolo così complesso e contraddittorio da rendere impossibile una sua univoca definizione, ma è certo che ad un giudizio appena obiettivo non può sfuggire il prepotente ritorno del Ballestero, o meglio il ritorno del suo sguardo che si è posato sui contemporanei per …….  certificare la morte del prossimo …… Il Novecento, che si era aperto con la premonitrice considerazione di Nietzsche sulla …… morte di Dio ……, come pieno compimento del percorso del Moderno nella sua irreversibile modifica dell’essenza esistenziale dell’umanità novecentesca, vede subito la strage industrializzata della Prima Guerra, e poi appena un quarto di secolo dopo la fabbrica meccanizzata dello sterminio di massa di Auschwitz. L’inumano è tornato, mai come prima, ad installarsi nel cuore del tempo. E’ lungo i diversi fronti della Prima Guerra che un sotterraneo spirito inizia a manifestarsi. Nelle trincee l’umano evapora come i micidiali gas usati nei combattimenti. 

Così Ernst Junger (1895-1998, scrittore e filosofo tedesco) diretto testimone nel suo “La battaglia come esperienza interiore” descrive la guerra…… un moloch incandescente che ha ridotto la gioventù dei popoli ad una scoria …… Il termine scoria non compare a caso, la Prima Guerra è la tragica conferma che l’umanità è ormai, dopo due secoli di capitalismo, una semplice variabile economica, una sorta di materiale che, quando esausto, tale diventa. E lì in quelle trincee dove giorno dopo giorno prevale, per decidere l’azione, la semplice valutazione dei costi e dei benefici, quella tipica di ogni produzione industriale, che l’umano completa questa sua nuova trasformazione, quella che Ernst Bloch (1885-1977 scrittore e filosofo tedesco di ispirazione marxista) in “Eredità del nostro tempo” definisce ……. la metamorfosi della gente normale in demoni, non è solo l’uomo mite che scompare, scompare tutto quello che reca il nome di uomo …… Una metamorfosi nell’inumano che va persino oltre quella, ancora per certi versi ancora primordiale, descritta da Bosch, quella del Ballestero, perché ormai ha le cadenze ritmate e metodiche di un linea di produzione. Con la scomparsa dell’uomo ridotto a cosa, a merce, scompare lo stesso concetto di “prossimo”, definitivamente certificato dall’ulteriore salto della Seconda Guerra e dalla immensa fabbrica della morte di Auschwitz.

Nei primi decenni del secondo dopoguerra ci si illuse che questa nuova versione dell’inumano fosse stata un unicum, un terribile incidente della Storia. Invece, fatte le debite proporzioni, la capitalistica commistione fra persone e cose, che si fa indifferenza verso il prossimo, anche se ormai lontani da trincee e deliri ideologici, lungi dall’essere eccezione è divenuta la normalità, lo stato normale dell’essere. Pochi decenni dopo, volgendoci verso il XXI secolo, si consuma, nelle condizioni sociali diffusamente invasive del benessere consumistico, una identica morte del prossimo: l’uomo metropolitano, un uomo normale che conduce una vita normale, vive come circondato da estranei. Non guarda gli altri come uomini, e dagli altri non viene guardato come uomo. Si è persa per sempre l’empatia, l’egoismo si è fatto virtù teologale. Difficile individuare una data cardine dell’irruzione di questo confermato disumano novecentesco. Forse già nel 1947 quando un gruppo di economisti fonda la Mont Pelerin Society (un'organizzazione internazionale composta da economisti, intellettuali e uomini politici, riuniti per promuovere il ibero mercato e la “società aperta)

il nucleo fondante il pensiero neoliberista con al suo centro un individualismo assoluto che riduce l’uomo a mero soggetto economico, “l’imprenditore di sé stesso”, e ne cancella ogni legame sociale. O ancora meglio nel 1987 quando Margaret Thatcher riprende questo dogma e proclama che …… non esiste la società, esistono solo individui …… O forse ancora, subito dopo, con il pieno realizzarsi della rivoluzione tecnologica di fine secolo, una miscela di virtualità e velocità che….. rende presente l’assente, il lontano, e rende assente il presente, il prossimo ….. Se ogni relazione umana è ormai mediata dalla Tecnica il prossimo si spoglia della sua umanità, diventa un avatar verso il quale è impossibile avere com-passione. Oppure ancora ha inciso la progressiva “sconfitta del lavoro”, ormai smaterializzato, delocalizzato, atomizzato a completare il “pensiero unico” del finanz-capitalismo di Luciano Gallino. Possono aiutare le parole che Emmanuel Mounier (1905-1950 filosofo francese, uno dei massimi esponenti del cattolicesimo impegnato) usa per definire la radicale riduzione dell’uomo, della persona, a individuo. …… la persona è l’uomo in relazione con l’altro, l’individuo è l’uomo nella sua incomunicante solitudine ….. La pandemia di questi giorni irrompe in questo disfacimento individualistico dell’umano, nella scomparsa del prossimo. E’ un virus che rende ancor più esplicita questa verità già prima evidente

 Capitolo quinto: In virus veritas

Un organismo piccolissimo, qualche milionesimo di millimetro, ci sta infatti rivelando quello che siamo diventati. 

Ed è sempre stato così, esiste una incredibile capacità rivelativa delle catastrofi, epidemie comprese, tale da imporre a chi si dimostra disponibile a recepirne il messaggio radicali considerazioni e cambi di paradigma. Così è stato, ad esempio, per Voltaire il terremoto di Lisbona del 1755, e per Leopardi l’eruzione del Vesuvio del 1834. Ma non diversamente agiscono le catastrofi anche solo immaginate, si pensi a Bertold Brecht ed al suo dramma del 1930 “Ascesa e caduta di Mahagonny”, una immaginaria città del vizio e degli affari colpita da una imprecisata catastrofe, oppure, per rientrare nel tema della epidemia, ad Albert Camus ed alla umanità di Orano descritta nel suo “La peste”. Ed in fondo un virus, un filamento di codice genetico avvolto in una capsula di proteine, altro non è che un frammento di un linguaggio che rischia di iscriversi nelle nostre cellule, ma che al tempo stesso dal di dentro può a sua volta essere letto come un messaggio su di noi, su chi siamo e come stiamo. E’ quanto sostiene Susan Sontag (1933-2004, scrittrice, filosofa e storica statunitense) quando afferma che   …… la malattia è una metafora di una condizione sociale ed umana che si considerava sana ….. Viste da questa ottica anche le reazioni alla pandemia, con il tormentato dibattito sulle restrizioni conseguenti, hanno confermato l’assoggettamento dell’umano alle logiche economiche. Il punto dirimente attorno al quale si sono fronteggiate le opposte strategie di contenimento è sempre ruotato sulla loro “sostenibilità economica”. Trump, Johnson, Bolsonaro, e tutti i sostenitori più o meno dichiarati dell’immunità di gregge, altro non hanno fatto che dare voce al vasto insieme di interessi che propugnavano il prevalere delle logiche economiche, che sostenevano la preminenza della scienza economica su quella sanitaria. La via che l’umanità deve seguire per uscire dalla pandemia diventa allora l’ennesima valutazione di costi e benefici, si tratta di capire fino a che punto i costi delle restrizioni possano essere accettati. Considerazioni che non sono comparse in piena luce nel dibattito pubblico ma è certo che buona parte delle misure adottate è stata accuratamente valutata non solo in merito all’efficacia sanitaria ma soprattutto per l’impatto sul quadro economico e produttivo. Sono stati all’uopo elaborati algoritmi destinati ad offrire il carattere oggettivo, impersonale, della razionalità calcolistica. A dimostrazione …… di quanta strada il disumano abbia fatto nell’installarsi al centro del motore che fa girare il nostro tempo ….. Una vicenda, del tutto sconosciuta ai più, lo attesta in modo agghiacciante: desunta dai criteri normalmente utilizzati in campo assicurativo, là dove è indispensabile valutare attentamente il costo in denaro di una vita, una equazione, individuata da un acronimo VSL (Value Statistical Life= Valore statistico di una vita), è stata utilizzata nell’ambito dei centri studi economici mainstream per misurare il costo per il sistema economico nazionale di ogni vita persa per la pandemia. L’iniziale conteggio, che includeva tutti i parametri normalmente utilizzati, implicava ad esempio per gli USA una perdita potenzialmente pari alla metà del PIL americano. Un dato che imponeva la conseguente opportunità, anche economica, di severissime misure restrittive, ma del tutto inaccettabili per il “normale” funzionamento dell’economia e della produzione Sono stati quindi introdotti specifici correttivi che hanno scremato tali parametri, con il Vsl che prima diventava VSLY, (con l’aggiunta di Year/anno per contenere il costo statistico su una base annuale) per poi evolversi in QALY (Quality Adjusted Life Years=qualità mediata di anni di vita) un nuovo algoritmo che, stante l’introduzione nel conteggio di una maggiore incidenza di  anziani, soggetti deboli e malati cronici,  indicava un costo statistico di ogni morte per pandemia molto più basso di quello iniziale. Costando di meno ogni vita persa, ed avendo così abbattuto il costo di una più alta mortalità pandemica, sono diventate “eticamente” proponibili restrizioni meno pesanti anche se in grado di comportare maggiori rischi di contagio e di morti. Un evidente disumanità affidata però all’impersonalità “pilotata” di un algoritmo che di fatto valuta alcune vite senza valore …….. o per (ri)usare il linguaggio delle merci “prodotti deteriorati ……

 Capitolo sesto: necropolitica

Si è già citato nel prologo il documento “Raccomandazioni di etica clinica” per la gestione dell’emergenza covid.19 pubblicato lo scorso Marzo dalla “Siaarti” (Societa italiana anestesisti e rianimatori).


Documenti simili sono circolati in tutta Europa nei drammatici giorni della prima fase della pandemia quando le strutture sanitarie si dimostravano inadeguate a gestire l’altissimo numero di contagiati gravi. Là dove in pochi minuti qualcuno doveva decidere chi doveva morire, là dove, conseguentemente, essere anziani e già malati spesso ha comportato la fine della speranza di sopravvivere. Là dove la logica dell’umano è quindi entrata in conflitto con la logica del vivente e dove, su questa base, tutti i codici etici al tempo emessi per sollevare il singolo operatore da dilemmi angoscianti rispondevano alla sola logica “ragionevole”, l’unica in grado di governare una situazione altrimenti ingovernabile. Ma il punto critico è consistito esattamente in questa logicità razionale, che per quanto efficiente e priva di alternative non di meno è stata …… umanamente disumana ……. In quello che si è dimostrato, fatte salve le debite differenze, un nuovo riaffacciarsi sulla scena della linea di divisione fra “sommersi” e “salvati”, a suo tempo tracciata da Primo Levi, si è svelata la disillusione di una cultura fondata sul mito dell’illimitato avanzamento dell’umano. Mettendo così a nudo l’inganno stesso della hobbesiana “Sovranità” di incorporare a fine salvifico il disumano. Achille Mbembe (1957, filosofo camerunense, docente alla Sorbona, uno dei più importanti studiosi del post-colonialismo) riflettendo proprio sul confine tra vita e morte messo in atto dal “potere” nelle società coloniali e schiaviste, e coniando all’uopo il termine “necropolitica”, 


 ha assunto come cardine il concetto secondo cui …… l’espressione ultima della “Sovranità” consiste esattamente nel potere di decidere chi può vivere e chi deve morire ……….. Come a dire che l’intero percorso della civilizzazione dell’umanità moderna sta anche nel suo produrre giustificazioni razionali per l’atto stesso di uccidere, di sopprimere il vivente, l’umano. In questo senso il termine “necropolitica” diventa una forma paradigmatica della bio-politica applicata alla nuda vita che, in uno stato d’eccezione che si fa norma, interviene anche sui criteri di produzione della morte. Ma se la necropolitica di Mbembe ha in una società coloniale e schiavista il volto di uno sfacciato dispositivo di potere razzista, in cui “l’altro” non gode di pari riconoscimento umano, nel moderno Stato democratico la linea di confine fra chi ha maggior diritto alla vita e chi no è asetticamente fondata su un non dichiarato, sotterraneamente condiviso, dispositivo culturale e politico, che in ultima fase si fa amministrativo. Un disumano che viene così incorporato nell’ordine della “Sovranità” moderna e che, per quanto ispirato e guidato nel suo fine di proteggere tutto l’umano da logiche indiscutibilmente razionali, rivela però la sua organica incapacità di sciogliere nel vivo del problema il dilemma morale della valutazione del diritto alla vita. Ovvero di concederlo o no, come è avvenuto nei triage dei Pronto Soccorso, sulla base del documento di identità e di una valutazione somatica dell’individuo. Questo irrisolto rapporto tra umano e disumano trasferisce però su un altro piano il termine della questione, la domanda diventa infatti se si è in questo modo varcata una seconda soglia, quella che separa l’umano dal “post-umano”

 Capitolo settimo: sfondamenti, alle soglie del post umano

Un minuscolo vivente “non umano” sembra aver messo clamorosamente in crisi l’idea, peraltro già da più parti messa sotto assedio, della unicità, della alterità rispetto a tutto il resto del vivente, dell’homo sapiens, di una umanità che si riteneva ormai in gran misura esentata dal gioco per la vita. Nella cultura occidentale questa presunzione di alterità ha fondamenti teologici nel pensiero giudaico-cristiano che individua nell’uomo la creatura prediletta da Dio,

al punto da concedergli, come ben si coglie nella “Genesi”, “signoria” sulla natura tutta, e nel pensiero filosofico greco, nell’aristotelismo soprattutto, che vede nell’uomo l’unico animale dotato di logos, ovvero l’unico in grado di essere …….  ragione che opera attraverso il linguaggio ….. Ma è sicuramente caposaldo condiviso da tutta la storia del pensiero occidentale anche là dove non viene chiaramente richiamato ed esplicitato. Oggi questo caposaldo sembra non tenere più, l’eccezionalismo umano, il suo essere “altro” da tutto il resto, è messo in crisi da un duplice attacco. Da una parte sta divenendo sempre più insostenibile la separatezza fra umano e artificiale, fra uomo e cose, fra uomo e macchine, assediata com’è da biotecnologie, neuroscienze, machine learning, ingegneria genetica, cyborg. Dall’altra anche la linea di demarcazione fra uomo e resto del vivente vacilla con gli impressionanti sviluppi di etologia, zoosemiotica, biosociologia, animal thinking, neurobiologia vegetale, nano-bionica, fito-ecologia. Michel Serres (1930-2019, filosofo francese) ha coniato un neologismo per dare un nome a questo processo in continuo avanzamento …… ominescenza …… per indicare che l’essenza dell’umano si sta scolorando, si scontorna, perde luminescenza, rischia di confondersi, di fondersi con cose e natura. A questo duplice rischio sembra corrispondere un duplice e contrapposto moto umano: uno verso l’alto, nel suo volersi fare manipolatore se non creatore di vita, e uno verso il basso, nel suo perfezionarsi fisiologico sostituendo parti di sé incorporando macchinari e dispositivi. E così assumendo con questo movimento duplice, ma guidato da una comune aspirazione, una “responsabilità” insostenibile: quella del dare conto del “fine”, dello scopo ultimo, sia quando si fa creatore sia quando si auto-appiattisce nel mondo delle cose, delle macchine.  Ma anche sul versante contrapposto si stanno sgretolando le convinzioni alla base della sua presunta unicità: già l’evoluzionismo darwiniano lo aveva ricondotto nell’alveo di un solo percorso di formazione e sviluppo della vita sul nostro pianeta, ma ora le recenti conoscenze in botanica ed etologia attribuiscono, in modo sempre più lampante, anche a piante ed animali forme di “intelligenza” e di “linguaggio evoluto”. In questo contesto sta allora complessivamente maturando un sempre più percepibile passaggio verso il “post-umano”, anche se ancora incerto e comunque doppio, guardando per un verso ad un grado superiore di “potenza” e per un altro ad un ruolo paritario con il resto del vivente.  E’ quindi ancora tutto da definire, per questo post-umano in fieri, il possibile equilibrio tra la “Hybris”, l’orgogliosa tracotanza del ritenersi pari ad Dio, e “l’Aidos”, la consapevole modestia del sapersi simile agli altri. Certo è che questa possibile evoluzione chiama l’umano ad una necessaria, consapevole e diffusa, “nuova responsabilità”. Che deve rivelarsi ed entrare in gioco da subito per governare alcuni processi in corso

 Capitolo ottavo: macchine che pensano?

……. Manufatti che progettano altri manufatti, macchine in grado di capire contesti complessi e di prendere decisioni e soprattutto di “prevedere”, di raggiungere obiettivi ….. 


sono le situazioni reali, concrete, che formano il “machine learning” e che rendono sempre meno lontani i mitici replicanti di Blade Runner. E’ il mondo degli algoritmi, quello delineato da Yuval Noah Harari  (1976, storico israeliano, saggista e divulgatore di successo) nel suo “Sapiens, da animali a Dei”. Un mondo che negli ultimi decenni è in costante evoluzione, gli esempi in questo senso si sprecano, l’ultimo, anedottico, potrebbe essere quello della scelta della società Deep Knowledge Ventures di nominare un algoritmo di nome Vital nel proprio Consiglio di Amministrazione come sesto membro con diritto di veto per evitare che vengano prese decisioni illogiche. E’ quanto mai acceso il dibattito attorno alla reale capacità delle macchine, ossia degli algoritmi che contengono, di sviluppare un “pensiero umano”, e a quella del complesso dei processi che rientrano nella I.A. (Intelligenza Artificiale) di raggiungere i livelli umani grazie al “machine learning” (macchine che auto-imparano). Si è nel corso del tempo passati dall’entusiasmo fiducioso di Alan Turing (1912-1954, matematico inglese considerato il padre dell’informatica) secondo il quale il confine tra uomo e macchina cadrà quando una macchina riuscirà a …… sembrare umana ad un umano ….. cosa che, seppure con molti dubbi, pare essere già avvenuta nel corso di una sorta di esperimento, ai contro-argomenti di John Searle (1932, filosofo americano, studioso dei fenomeni della mente e del linguaggio) con la sua famosa “scatola cinese” (una sorta di esperimento che dimostrava che un uomo a digiuno di cinese, richiuso in una scatola che gli impediva di vedere ed essere visto, grazie ad adeguate informazioni dall’esterno riusciva a dire cose in cinese senza però mai capire il senso di quel che diceva) convinto che ….. le macchine intelligenti sanno gestire la sintassi ma non la semantica …..


Ma dalla dimostrazione di Searle in poi, grazie al rapporto con le neuroscienze e le loro concezioni del rapporto mente-cervello, le tecno-scienze, con le reti neurali, hanno fatto significativi passi in avanti raggiungendo già ora livelli molto alti non solo nell’interagire con le informazioni esterne ma anche nel far dialogare al proprio interno diversi livelli cognitivi. Il discrimine ultimo sembra sempre più assestarsi su una caratteristica fondamentale dell’essere umani: tra “essere intelligenti”, e le macchine possiedono ormai una intelligenza molto articolata, ed “essere umani”, ossia esseri mossi da emozioni, sentimenti, passa ancora una grande differenza. …… insomma quella humanitas, quella filantropia dei classici, quell’amore “dell’uomo per l’uomo” che ci salva dall’aridità della pura razionalità, sembra appannaggio del solo “essere umano”…… . E anche sulla totale sovrapposizione fra intelligenza artificiale e intelligenza umana resta lecito nutrire un ultimo, ma decisivo, dubbio: nel post-umano sarà mai possibile una macchina dotata di una intelligenza, di un pensiero …… che pensa sé stesso mentre pensa….? Andare alla radice della coscienza appare ancora una faccenda molto più complicata e forse irrisolvibile

 

Capitolo nono: ibridazioni, alla fine di un ordine

Luc Ferry (1951, filosofo e saggista francese, Ministro per la Gioventù in un governo Chirac) ha evidenziato nel suo saggio “La rivoluzione transumanista” come la medicina stia cambiando missione: dall’essere un sapere che “ripara nel vivente ciò che è stato danneggiato” ad un insieme di tecniche “che mirano a migliorare l’umano”. In questa ulteriore metamorfosi che punta a “creare”, grazie all’inserimento nel corpo umano di componenti artificiali (sintetizzate dall’acronimo NBIC, Nanotecnologie, Biotecnologie, Informatica e Cognitivismo), una sorta di “ibrido” si rivela un ulteriore processo di uscita dall’umano verso un post-umano ancora una volta tutto da definire e valutare. Non si tratta infatti del solo potenziamento di attività fisiologiche “meccaniche” in gioco stanno entrando progetti che puntano molto più in alto. Esemplare è quello di Elon Musk (1971, imprenditore americano, fondatore di Tesla e di numerose imprese tecnologiche) denominato “Brain computer interface” che mira a realizzare un’interfaccia cervello-computer (un microchip innestato nel cranio) che consentirebbe di potenziare la nostra memoria, la nostra capacità di calcolo, ossia una “intelligenza” super umana tale da risultare in effetti dis-umana. Vale a dire che potrebbero allora prendere davvero forma quelle figure prefigurate dalla fantascienza: i cyborg.

Organismi cibernetici che cancellerebbero l’immagine canonica della perfezione umana, l’uomo vitruviano, per inaugurare un nuovo organismo in cui la “soma”, il corpo, sarebbe inseparabile ed indistinguibile dalla “tekne”, la tecnica. Ma anche in questo caso la direzione del processo verso il post-umano sembra presentarsi con una duplice valenza, andando in due opposte direzioni. Se, come si è visto, il corpo dell’uomo potrebbe incorporare manufatti e tecnologie capaci di mutarlo radicalmente allo stesso tempo è sempre più diffuso l’uso di materiale genetico per elaborare supporti tecnologici. Si pensi al “Dna-computing”, frammenti di Dna umano utilizzati per memorie digitali con potenzialità impressionanti (un grammo di Dna può memorizzare un trilione, mille miliardi, di gigabyte di dati). Un altro passaggio di confine, seppure in senso opposto, che testimonia un insieme di progetti, ai più sconosciuti e ben poco “governati”, in grado di aprire scenari al momento indecifrabili. Ben diverso è quel passaggio di confine, anticipato in precedenza, che vede l’uomo, l’umano, riconsiderare radicalmente il suo rapporto con le altre forme di vita. Sono sempre più le evidenze fornite dalla neurobiologia applicata alla botanica delle capacità intellettive delle piante, capaci di “ragionare” sui segnali che colgono dall’ambiente per mettere in atto strategie “intelligenti” di risposta, così come del possesso di forme di “linguaggio” alla base di una capacità di comunicazione. Lo stesso possesso di linguaggio, con una sintassi che in alcune specie di uccelli è articolata su vere e proprie strutture grammaticali, che sempre più l’uomo riconosce essere presenti anche nel mondo animale. La parola ……. in principio era il Verbo ….. che da sempre giustifica e sostanzia la presunzione dell’eccezionalità umana non pare proprio più essere esclusiva dell’uomo. Quella che Leonardo Caffo (1988, filosofo presso l’Università di Milano, saggista, molto attento alla problematica del rapporto uomo-mondo animale) ha definito …….. la barriera linguistica …… ha sin qui tracciato il confine tra uomini e animali divenendo, in ultima istanza, anche la giustificazione per il loro “utilizzo alimentare”, ormai anch’esso industrializzato. Diventa allora possibile immaginare un post-umano che, con movimento per sola comodità definibile verso il basso, inauguri un diverso rapporto con tutto il resto del vivente, nel quale l’uomo, così post-umanizzato, rinunci ad una buona parte della sua “alterità”.

 

Epilogo: finis terrae

E’ tempo di riprendere la domanda solo abbozzata nel Capitolo Primo: se la comparsa dell’inumano, la prima soglia, e il delinearsi sempre più marcato del post-umano, la seconda soglia, siano fenomeni, processi, “esterni” all’umanesimo, all’humanitas classica, o se al contrario non vi sia nel corpo stesso dell’umanesimo, nel materiale genetico che l’ha formato, una qualche imperfezione che possa spiegare tali evoluzioni. La risposta, che si è via via delineata nel corso della panoramica fatta, è che in effetti ……. nell’edificio sublime e seducente di quell’umanesimo effettivamente c’era una cellula malata, un grumo d’ombra ….. Che è consistita nell’idea stessa di uomo posto al centro dell’umanesimo, dell’humanitas. Un uomo che si è (auto)definito come inizio e centro della mediazione razionale fra sé stesso ed il mondo esterno. Un uomo che si (auto)ritenuto capace di un pensiero in grado di impossessarsi prima della sua comprensione e poi della sua trasformazione a proprio fine. Un meccanismo così ferocemente antropocentrico da far ritenere che l’unico “mondo possibile”, entro il quale orientare i propri comportamenti e giudizi, sia quello umano …….. un mondo creato dall’Uomo e a disposizione dell’Uomo …… Un dispositivo, da nessun altro certificato come valido se non dall’Uomo stesso, in base al quale la soggettività cognitiva umana, il Logos, il Cogito, poteva lecitamente incarnarsi nel suo prodotto e mezzo specifico, la Teknè, la Tecnica, sino a farla divenire Nomos, la Legge, la Norma, che tutto regola, tutto forma e adatta. Ma in tutto questo progressivamente è stato assorbito l’Uomo stesso, assoggettato anch’egli al Nomos della Tecnica, della produzione (il marxiano “feticismo delle merci” con l’uomo reificato, reso cosa, merce) aprendo così, senza averne piena consapevolezza, la porta all’irruzione dell’inumano e alla progettazione del post-umano. In nome del “non produttivo” è divenuta lecita l’eliminazione di chi produttivo non è, non è più, dell’inutile, del superfluo, del marginale, del fastidioso, di chi si mette di traverso, “producendo” in tal modo l’essenza dell’inumano. E sempre in nome del Nomos della Teknè è altrettanto lecito perfezionare l’uomo stesso, accrescendone all’inverosimile doti fisiche ed intellettuali, fino a dare sostanza al post-umano. Paradossalmente un segnale importante di una possibile svolta viene proprio dall’attuale erede della sacralizzazione di questa idea di uomo (auto)posto al centro del creato, quella che si legge nella “Genesi” della tradizione giudaico-cristiana. Nella sua enciclica “Laudato si” Papa Francesco parlando del rapporto dell’uomo con la “casa comune” del creato afferma …….. siamo cresciuti pensando che eravamo i suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla ….. Sono affermazioni che, se daranno vita a percorsi coerenti, equivalgono alla rivoluzione copernicana, E’ ciò di cui abbiamo bisogno: non un “di meno” di Umanesimo, ma un suo “di più”. Vestito però di un necessario e salutare post-umano in grado di ridisegnare il posto dell’uomo nel mondo. Un post-umano che sappia estendere l’essenza dell’humanitas, quella “philantropia” richiamata in precedenza, oltre i confini ristretti dell’anthropos e quindi capace di guardare all’intera catena dell’essere, del vivente. E come per i classici affinché ciò si realizzi occorre “paideia”, una nuova cultura che non sia solo solitudine dei numeri e vertigine tecnologica. 


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