Il “Saggio” del mese
GENNAIO 2021
Ancora ci si divide fra il “nulla sarà più come prima”, e il “tutto tornerà come prima”. In entrambe queste opinioni ha comunque un ruolo centrale il “prima”, ovvero il giudizio di merito che su di esso pensiamo di condividere. Dando senso a questo tempo di imposta sospensione diventa allora sempre più indispensabile per immaginare, e costruire, “quello che sarà” interrogarci il più a fondo possibile su “quello che è stato” e su come sia confluito in “quello che ancora adesso è”. E’ quello che nel suo ultimo saggio fa Marco Revelli, da tutti noi ben conosciuto e anni addietro apprezzato relatore in una delle nostre prime conferenze, in cui ci guida in una riflessione sul concetto di “umano”, e delle sue possibili evoluzioni/degenerazioni, dal suo primo sorgere fin dentro lo sconvolgimento pandemico.
(Come sempre le parti citate integralmente dal testo sono
evidenziate in corsivo blu, di alcuni personaggi citati nel saggio, magari non
da tutti conosciuti, sono riportate brevissime presentazioni)
Prologo
4 Maggio
2008: Ponticelli, quartiere della periferia di Napoli, per i soliti pretestuosi
motivi il vicino campo Rom diventa oggetto di un vero e proprio progrom. Dalla
folla che lo assedia, mentre la polizia cerca di proteggere l’operazione di
sgombero resa inevitabile da ragioni di sicurezza, si stacca una donna anziana
e si fa incontro ad una giovane donna rom con una bimba piccolissima in braccio
e le sputa. Sbaglia la mira e colpisce il viso della bimba sotto lo sguardo
esterrefatto di un poliziotto. La folla applaude ed acclama.
13 Luglio
2019: un barcone carico di migranti naufraga davanti alle coste italiane,
muoiono 150 persone. Parte in Rete una valanga di commenti irricevibili (……..stasera i pesci
mangiano!!!......)
6 Marzo 2020:
la pandemia da Covid19 sta colpendo duro in Italia, ospedali e Pronto Soccorso
sono ormai allo stremo, non reggono l’urto dei ricoveri. La “Siaarti” (Societa
italiana anestesisti e rianimatori) pubblica un documento dal titolo “Raccomandazioni di etica clinica” per
la gestione dell’emergenza covid. Vi si dice che, a fronte dell’impossibilità
di garantire a tutti il ricovero nei Reparti di terapia intensiva, gli accessi,
anziché rispettare il casuale ordine di arrivo, dovranno privilegiare i più
giovani e quelli con un quadro clinico meno compromesso da altre patologie. Tre
episodi molto diversi tra di loro eppure accomunabili in una sola lettura: quella
che vede emergere una sotterranea, ma comunque ben percepibile, idea di
“umanità” violata, offesa, cancellata in quella che dovrebbe essere la sua
essenza solidale. E’ tempo di capire cosa, da tempo, sta succedendo attorno al
concetto di “umano”
Capitolo primo: Humanitas/Dis-humanitas
Il termine
“Humanitas” entra a far parte del lessico colto dei Romani tra il II ed I
secolo a.C. E’ la versione in latino del termine greco “philantropia”,
letteralmente “amore per l’uomo”, e richiama al valore universale del rispetto
dell’uomo verso gli altri uomini. Humanitas si collega anche ad un altro
termine greco: “paideia”, il percorso di formazione culturale del buon
cittadino. L’idea romana di humanitas lega quindi il rispetto, il
riconoscimento, “dell’altro” con il saper essere un buon cittadino, una dote
che può derivare solo dal possesso di una buona cultura. Questa idea sopravvive
alla fine della romanità e viene, nella sua essenza, via via ripresa ed integrata
con altri valori, religiosi ed etici, che la rafforzano, in tutte le culture
che si innestano sul filone della classicità greco-romana a formare un processo
che per molti secoli è parso inamovibile. Ma meno di un secolo fa questo
processo si arresta nel modo più tragico e fin lì inconcepibile. Lo dicono in
modo magistrale queste parole di George Steiner (1929-2020 scrittore, saggista e accademico francese) un umanista estremo, nella Prefazione al suo “Linguaggio e silenzio”:
…..Noi veniamo dopo.
Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare
Bach o Schubert e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad
Auschwitz……
E’
qui, in questo luogo simbolo, che il pensiero occidentale dell’uomo subisce la
catastrofica irruzione del “dis-umano”. Qui ad Auschwitz dove per la prima
volta nella storia la dis-umanità viene teorizzata, pianificata, attuata
“industrialmente”. La storia racconta da sempre, e poi lungo tutti i secoli di
vita dell’humanitas, di crudeltà verso il nemico, di barbarie verso inermi ed
innocenti, di stragi incontrollate, ma Auscwitz testimonia per la prima volta,
con la sua lucida razionalità annientatrice, la totale cancellazione, il definitivo
disconoscimento, “dell’altro” in quanto uomo. In aggiunta al suo “Se questo è
un uomo” Primo Levi parla allora di …… quanto l’uomo ha osato fare all’Uomo ……
proprio per farci così capire che quel dis-umano albergava nell’uomo, era cioè
letteralmente in-umano, e aveva come vero obiettivo il concetto stesso di
“Uomo”. Ad Auschwitz si è pienamente rivelata la possibilità che …… l’uomo consideri
nulla l’altro uomo ……. E si comprende allora ancora meglio in senso
di quelle parole di Steiner …… Noi veniamo dopo ……
Ma è davvero possibile che …… prima
….. non fossero già comparsi, nel corpo
stesso dell’humanitas, avvisaglie di preoccupanti tensioni sotterranee …… rivelazioni di
un peccato originale dello stesso umanesimo?...
Capitolo secondo: tra “non più” e “non ancora”
Un
piccolo quadro esposto al Prado, attribuito a Hieronymus Bosch, (1453-1516 pittore olandese uno dei massimi
interpreti del Rinascimento nordico), ed
intitolato “Un
ballestero”, un balestriere, qualcosa ci indica.
Si
legge in questo volto, solo all’apparenza attutita dalla enigmatica piega della
bocca, l’espressione dell’odio …….. come stato naturale
…… non l’odio che nasce verso un traditore, un aggressore, un malvagio,
un sentimento cioè che si forma in un preciso contesto e che lì resta
confinato, ma quello che dimora costante nell’animo, che diventa cifra di una
vita intera. Un altro quadro di Bosch aiuta a meglio capire: “il Cristo deriso” altrimenti detto “Incoronazione di spine”, è esposto alla
National Gallery di Londra
Il
ballestero del primo quadro è lo stesso personaggio, in alto a destra, che con
altri sgherri sta imponendo la corona di spine al Cristo. Lo sguardo è
identico: stesso odio, stessa qualità di odio, e la piega della bocca non è più
enigmatica. Ma è l’intera composizione del quadro che ci fornisce una
indicazione più precisa. Bosch dipinge a cavallo fra 1400 e 1500 e tutti i suoi
quadri raccontano una umanità che sembra aver perso la sua identità, le sue
radici, non a caso i suoi personaggi volano, sono sospesi, hanno forme solo in
parte umane, in essi emerge un mondo caotico e sconvolto, in cui il male sembra
libero di vagare ovunque. Melania Mazzucco (1966 – scrittrice italiana, gran appassionata ed esperta di
pittura) sintetizza il mondo di Bosch con
queste parole ……la
materia stessa è… nei suoi quadri ….in balia della metamorfosi …….. Pochi anni dopo questi due quadri, datati attorno al 1485, Martin
Lutero affigge, nel1517, sul portone della chiesa di Vittemberg le sue 95 Tesi
dando così il formale avvio alla riforma protestante, ma anche ad un lungo
secolo di guerre di religione che cambieranno volto all’Europa sancendo la fine
della Civitas Christiana unificata aprendo la strada alla Modernità. Bosch
muore un anno prima nel 1516, ma l’intera sua opera già testimonia il sentore
di questo cambiamento alle porte, un cambiamento che lo spaventa e che in gran
misura spiega i suoi personaggi umani non-umani. Già ce lo fanno capire il
“Cristo deriso” ed il Ballestero. Cristo è al centro del quadro e guarda verso
di noi con uno sguardo mite, rassegnato, compassionevole, a confermare il suo
essere “uomo” e a ricordarci la centralità della nostra “umanità”, ma è
circondato, soffocato, dall’odio del Ballestero e dei suoi tre compari. L’umanità
del Cristo, la nostra stessa, stanno per scomparire. Stefan Fischer (1921-1986 critico e storico d’arte), probabilmente il massimo interprete di Bosch, così sintetizza
questo quadro: …… Cristo è passivo all’esterno e attivo all’interno, le sue guardie sono
attive all’esterno ma interiormente morte
……. Il dramma delle guerre di religione sta per scoppiare, ma solo la
sensibilità di un artista come Bosch può coglierne i primi segnali, perché in
effetti quello che si sta delineando, quella che sarà la metamorfosi della
cultura umanistica europea, deve ancora prendere forma compiuta. Si è in un
tempo sospeso tra il ….. non più ….. della tradizione classica e il …… non ancora …..
della piena Modernità
Capitolo terzo: il tempo del Leviatano,
la
restaurazione dell’umano mediante il disumano
Il
500 europeo conferma tragicamente quello che Bosch immaginava: il “non più” dell’umanità cristiana, fin lì
tutta compresa in un unico ordine unificante, viene violentemente evidenziato
dall’irruzione di un dis-umano che la divide in mille fratture in costante e
feroce conflitto. L’iniziale discordia sulle cose spirituali, le stesse che
avevano fin lì costituito il cemento dell’humanitas cristiana erede e
continuatrice di quella classica, si evolve in conflitto aperto e crudele
cancellando ogni elemento di comunità. Non lo sono più le città, i paesi, le
famiglie, gli amici, le chiese, le corporazioni e le associazioni. Dura tutto
il secolo questa dittatura del dis-umano. Solo all’alba del 1600 nella
stanchezza ormai esangue per questa insostenibile disumanità germoglia una
reazione, un riscatto, una risposta vincente. Si delinea un nuovo ordine, che
ancora non ha, non si dà, un nome nuovo, ma che si delinea ridefinendo
integralmente l’antico concetto di “Sovranità”. Il disordine disumano deve
essere ricondotto sotto il controllo di un ordine politico basato su un
riconosciuto ed accettato principio autoritario, centralizzatore,
razionalizzatore, consegnato alla forma “Stato”. Ancora una volta interviene un
“non più”: questo ordine non discende
più dall’alto dei cieli, da Dio, ma si territorializza, si radica con genti e
luoghi riunificati all’interno dell’ordine statale. Lo stesso sovrano non è più
tale per volere divino, lo è perché depositario della “sovranità”, di un
preciso mandato a ricostruire un ordine che riunifichi l’umanità. Questo
mandato poggia su un preciso patto: l’umanità per ritrovare sé stessa consegna
al titolare della sovranità l’esclusività della violenza, delle forze che hanno
per un secolo alimentato il disumano. Alla “sovranità” compete l’esclusivo
diritto al “male” E’ Thomas Hobbes (1586-1651
filosofo e matematico inglese)
a dare nome al nuovo potere sovrano, è un nome ripreso da una
metafora biblica, il Leviatano
Ed
è al Leviatano che viene quindi consegnato il fine più nobile, quello più
fondante la nuova umanità: la cessazione della “guerra di tutti contro tutti”,
il rispetto e la fedeltà ai patti sociali. E’ l’ottenimento di questo fine che
giustifica, che istituzionalizza, il Leviatano ed il suo diritto esclusivo
all’uso della forza, della violenza, al ricorso, per il “bene” di tutti, al “male”
verso chi non si piega alla “Sovranità”. Tutto ciò che per l’intero Cinquecento
ha costituito il dis-umano viene allora ad essere assorbito, ed in qualche modo
redento, nella sovranità del Leviatano. Il dis-umano diventa, e non è un
paradosso logico ma semmai la prima clamorosa affermazione della logica
moderna, il garante dello stesso umano. La sensibilità della pittura ancora una
volta coglie nel segno, il Cristo “umano”, seppure deriso, di Bosch si
trasforma nel Cristo muscoloso e trionfante dei tanti “Giudizi Universali” del
tempo. Lo testimonia meravigliosamente uno di quelli “minori”: il “Giudizio
Universale” di Giuseppe Salerno, detto “Lo zoppo di Gangi” (1570-1630, pittore tardo-manierista) un’opera
del 1634
E
nell’ammirare i tanti ritratti che in questo secolo raffigurano uomini di
potere è bene ricordare la raccomandazione di Giovan Battista Agucchi (1570-1632, arcivescovo ed esperto d’arte) nel
suo “Trattato sulla pittura” del 1610 ………… la forma più evoluta di ritrattistica è quella che
andando oltre la somiglianza al soggetto raffigura i personaggi in funzione
della loro posizione nel mondo ………
Capitolo quarto: il ritorno del Ballestero, ovvero la morte del “prossimo”
Dura due
secoli e mezzo il nuovo Ordine moderno che consente all’umano di muoversi sotto
l’ombrello della spada della Legge. Certo la “sovranità” hobbesiana muta forma,
dalla monarchia assoluta passa, in questo lungo lasso di tempo e non senza
sconvolgimenti, allo Stato liberale rappresentativo, ma il paradigma dell’Ordine,
quanto meno nella forma di “sovranità popolare” è rimasto lo stesso fino al XX secolo,
quello della “grande trasformazione”. Un secolo così complesso e
contraddittorio da rendere impossibile una sua univoca definizione, ma è certo
che ad un giudizio appena obiettivo non può sfuggire il prepotente ritorno del
Ballestero, o meglio il ritorno del suo sguardo che si è posato sui contemporanei
per ……. certificare la morte del prossimo …… Il Novecento, che si era aperto con la
premonitrice considerazione di Nietzsche sulla …… morte di Dio ……, come pieno compimento del percorso del
Moderno nella sua irreversibile modifica dell’essenza esistenziale dell’umanità
novecentesca, vede subito la strage industrializzata della Prima Guerra, e poi
appena un quarto di secolo dopo la fabbrica meccanizzata dello sterminio di
massa di Auschwitz. L’inumano è tornato, mai come prima, ad installarsi nel
cuore del tempo. E’ lungo i diversi fronti della Prima Guerra che un
sotterraneo spirito inizia a manifestarsi. Nelle trincee l’umano evapora come i
micidiali gas usati nei combattimenti.
Così Ernst Junger (1895-1998, scrittore e filosofo tedesco) diretto testimone nel suo “La battaglia come esperienza interiore” descrive la guerra…… un moloch incandescente che ha ridotto la gioventù dei popoli ad una scoria …… Il termine scoria non compare a caso, la Prima Guerra è la tragica conferma che l’umanità è ormai, dopo due secoli di capitalismo, una semplice variabile economica, una sorta di materiale che, quando esausto, tale diventa. E lì in quelle trincee dove giorno dopo giorno prevale, per decidere l’azione, la semplice valutazione dei costi e dei benefici, quella tipica di ogni produzione industriale, che l’umano completa questa sua nuova trasformazione, quella che Ernst Bloch (1885-1977 scrittore e filosofo tedesco di ispirazione marxista) in “Eredità del nostro tempo” definisce ……. la metamorfosi della gente normale in demoni, non è solo l’uomo mite che scompare, scompare tutto quello che reca il nome di uomo …… Una metamorfosi nell’inumano che va persino oltre quella, ancora per certi versi ancora primordiale, descritta da Bosch, quella del Ballestero, perché ormai ha le cadenze ritmate e metodiche di un linea di produzione. Con la scomparsa dell’uomo ridotto a cosa, a merce, scompare lo stesso concetto di “prossimo”, definitivamente certificato dall’ulteriore salto della Seconda Guerra e dalla immensa fabbrica della morte di Auschwitz.
Nei primi
decenni del secondo dopoguerra ci si illuse che questa nuova versione
dell’inumano fosse stata un unicum, un terribile incidente della Storia.
Invece, fatte le debite proporzioni, la capitalistica commistione fra persone e
cose, che si fa indifferenza verso il prossimo, anche se ormai lontani da
trincee e deliri ideologici, lungi dall’essere eccezione è divenuta la normalità,
lo stato normale dell’essere. Pochi decenni dopo, volgendoci verso il XXI
secolo, si consuma, nelle condizioni sociali diffusamente invasive del
benessere consumistico, una identica morte del prossimo: l’uomo metropolitano,
un uomo normale che conduce una vita normale, vive come circondato da estranei.
Non guarda gli altri come uomini, e dagli altri non viene guardato come uomo.
Si è persa per sempre l’empatia, l’egoismo si è fatto virtù teologale.
Difficile individuare una data cardine dell’irruzione di questo confermato disumano
novecentesco. Forse già nel 1947 quando un gruppo di economisti fonda la Mont
Pelerin Society (un'organizzazione internazionale composta da
economisti, intellettuali e uomini politici, riuniti per promuovere il ibero
mercato e la “società aperta”),
il nucleo
fondante il pensiero neoliberista con al suo centro un individualismo assoluto
che riduce l’uomo a mero soggetto economico, “l’imprenditore di sé stesso”, e
ne cancella ogni legame sociale. O ancora meglio nel 1987 quando Margaret Thatcher
riprende questo dogma e proclama che …… non esiste la società, esistono solo individui …… O forse ancora, subito dopo, con il pieno
realizzarsi della rivoluzione tecnologica di fine secolo, una miscela di
virtualità e velocità che….. rende presente l’assente, il lontano, e rende assente il
presente, il prossimo ….. Se ogni relazione umana è ormai mediata dalla
Tecnica il prossimo si spoglia della sua umanità, diventa un avatar verso il
quale è impossibile avere com-passione. Oppure ancora ha inciso la progressiva
“sconfitta del lavoro”, ormai smaterializzato, delocalizzato, atomizzato a
completare il “pensiero unico” del finanz-capitalismo di Luciano Gallino.
Possono aiutare le parole che Emmanuel Mounier (1905-1950 filosofo francese, uno dei massimi esponenti del
cattolicesimo impegnato) usa per definire la radicale
riduzione dell’uomo, della persona, a individuo. …… la persona è l’uomo in relazione con
l’altro, l’individuo è l’uomo nella sua incomunicante solitudine ….. La pandemia di questi giorni irrompe in
questo disfacimento individualistico dell’umano, nella scomparsa del prossimo.
E’ un virus che rende ancor più esplicita questa verità già prima evidente
Capitolo quinto: In virus veritas
Un organismo piccolissimo, qualche milionesimo di millimetro, ci sta infatti rivelando quello che siamo diventati.Ed è sempre
stato così, esiste una incredibile capacità rivelativa delle catastrofi,
epidemie comprese, tale da imporre a chi si dimostra disponibile a recepirne il
messaggio radicali considerazioni e cambi di paradigma. Così è stato, ad
esempio, per Voltaire il terremoto di Lisbona del 1755, e per Leopardi
l’eruzione del Vesuvio del 1834. Ma non diversamente agiscono le catastrofi
anche solo immaginate, si pensi a Bertold Brecht ed al suo dramma del 1930
“Ascesa e caduta di Mahagonny”, una immaginaria città del vizio e degli affari
colpita da una imprecisata catastrofe, oppure, per rientrare nel tema della
epidemia, ad Albert Camus ed alla umanità di Orano descritta nel suo “La
peste”. Ed in fondo un virus, un filamento di codice genetico avvolto in una
capsula di proteine, altro non è che un frammento di un linguaggio che rischia
di iscriversi nelle nostre cellule, ma che al tempo stesso dal di dentro può a
sua volta essere letto come un messaggio su di noi, su chi siamo e come stiamo.
E’ quanto sostiene Susan Sontag (1933-2004,
scrittrice, filosofa e storica statunitense) quando
afferma che …… la malattia è una metafora di una
condizione sociale ed umana che si considerava sana ….. Viste da
questa ottica anche le reazioni alla pandemia, con il tormentato dibattito
sulle restrizioni conseguenti, hanno confermato l’assoggettamento dell’umano
alle logiche economiche. Il punto dirimente attorno al quale si sono fronteggiate
le opposte strategie di contenimento è sempre ruotato sulla loro “sostenibilità
economica”. Trump, Johnson, Bolsonaro, e tutti i sostenitori più o meno
dichiarati dell’immunità di gregge, altro non hanno fatto che dare voce al
vasto insieme di interessi che propugnavano il prevalere delle logiche economiche,
che sostenevano la preminenza della scienza economica su quella sanitaria. La
via che l’umanità deve seguire per uscire dalla pandemia diventa allora
l’ennesima valutazione di costi e benefici, si tratta di capire fino a che punto
i costi delle restrizioni possano essere accettati. Considerazioni che non sono
comparse in piena luce nel dibattito pubblico ma è certo che buona parte delle
misure adottate è stata accuratamente valutata non solo in merito all’efficacia
sanitaria ma soprattutto per l’impatto sul quadro economico e produttivo. Sono
stati all’uopo elaborati algoritmi destinati ad offrire il carattere oggettivo,
impersonale, della razionalità calcolistica. A dimostrazione …… di quanta strada
il disumano abbia fatto nell’installarsi al centro del motore che fa girare il
nostro tempo ….. Una vicenda, del
tutto sconosciuta ai più, lo attesta in modo agghiacciante: desunta dai criteri
normalmente utilizzati in campo assicurativo, là dove è indispensabile valutare
attentamente il costo in denaro di una vita, una equazione, individuata da un
acronimo VSL (Value Statistical Life= Valore statistico di una
vita), è stata utilizzata nell’ambito dei centri studi economici
mainstream per misurare il costo per il sistema economico nazionale di ogni
vita persa per la pandemia. L’iniziale conteggio, che includeva tutti i
parametri normalmente utilizzati, implicava ad esempio per gli USA una perdita
potenzialmente pari alla metà del PIL americano. Un dato che imponeva la
conseguente opportunità, anche economica, di severissime misure restrittive, ma
del tutto inaccettabili per il “normale” funzionamento dell’economia e della
produzione Sono stati quindi introdotti specifici correttivi che hanno scremato
tali parametri, con il Vsl che prima diventava VSLY,
(con l’aggiunta di Year/anno per contenere il costo statistico
su una base annuale) per poi evolversi in QALY (Quality Adjusted Life Years=qualità mediata di anni di vita) un nuovo algoritmo che, stante l’introduzione nel conteggio di una
maggiore incidenza di anziani, soggetti
deboli e malati cronici, indicava un
costo statistico di ogni morte per pandemia molto più basso di quello iniziale.
Costando di meno ogni vita persa, ed avendo così abbattuto il costo di una più
alta mortalità pandemica, sono diventate “eticamente” proponibili restrizioni
meno pesanti anche se in grado di comportare maggiori rischi di contagio e di
morti. Un evidente disumanità affidata però all’impersonalità “pilotata” di un
algoritmo che di fatto valuta alcune vite senza valore …….. o per (ri)usare
il linguaggio delle merci “prodotti deteriorati ……
Capitolo sesto: necropolitica
Si è già citato
nel prologo il documento “Raccomandazioni di etica clinica” per la gestione
dell’emergenza covid.19 pubblicato lo scorso Marzo dalla “Siaarti” (Societa
italiana anestesisti e rianimatori).
Documenti simili sono circolati in tutta Europa nei drammatici giorni della prima fase della pandemia quando le strutture sanitarie si dimostravano inadeguate a gestire l’altissimo numero di contagiati gravi. Là dove in pochi minuti qualcuno doveva decidere chi doveva morire, là dove, conseguentemente, essere anziani e già malati spesso ha comportato la fine della speranza di sopravvivere. Là dove la logica dell’umano è quindi entrata in conflitto con la logica del vivente e dove, su questa base, tutti i codici etici al tempo emessi per sollevare il singolo operatore da dilemmi angoscianti rispondevano alla sola logica “ragionevole”, l’unica in grado di governare una situazione altrimenti ingovernabile. Ma il punto critico è consistito esattamente in questa logicità razionale, che per quanto efficiente e priva di alternative non di meno è stata …… umanamente disumana ……. In quello che si è dimostrato, fatte salve le debite differenze, un nuovo riaffacciarsi sulla scena della linea di divisione fra “sommersi” e “salvati”, a suo tempo tracciata da Primo Levi, si è svelata la disillusione di una cultura fondata sul mito dell’illimitato avanzamento dell’umano. Mettendo così a nudo l’inganno stesso della hobbesiana “Sovranità” di incorporare a fine salvifico il disumano. Achille Mbembe (1957, filosofo camerunense, docente alla Sorbona, uno dei più importanti studiosi del post-colonialismo) riflettendo proprio sul confine tra vita e morte messo in atto dal “potere” nelle società coloniali e schiaviste, e coniando all’uopo il termine “necropolitica”,
Capitolo settimo: sfondamenti, alle soglie del post umano
Un minuscolo
vivente “non umano” sembra aver messo clamorosamente in crisi l’idea, peraltro
già da più parti messa sotto assedio, della unicità, della alterità rispetto a
tutto il resto del vivente, dell’homo sapiens, di una umanità che si riteneva
ormai in gran misura esentata dal gioco per la vita. Nella cultura occidentale
questa presunzione di alterità ha fondamenti teologici nel pensiero
giudaico-cristiano che individua nell’uomo la creatura prediletta da Dio,
al punto da
concedergli, come ben si coglie nella “Genesi”, “signoria” sulla natura tutta,
e nel pensiero filosofico greco, nell’aristotelismo soprattutto, che vede
nell’uomo l’unico animale dotato di logos, ovvero l’unico in grado di essere
……. ragione che opera attraverso il linguaggio ….. Ma è sicuramente caposaldo condiviso da tutta
la storia del pensiero occidentale anche là dove non viene chiaramente
richiamato ed esplicitato. Oggi questo caposaldo sembra non tenere più,
l’eccezionalismo umano, il suo essere “altro” da tutto il resto, è messo in
crisi da un duplice attacco. Da una parte sta divenendo sempre più
insostenibile la separatezza fra umano e artificiale, fra uomo e cose, fra uomo
e macchine, assediata com’è da biotecnologie, neuroscienze, machine learning,
ingegneria genetica, cyborg. Dall’altra anche la linea di demarcazione fra uomo
e resto del vivente vacilla con gli impressionanti sviluppi di etologia,
zoosemiotica, biosociologia, animal thinking, neurobiologia vegetale,
nano-bionica, fito-ecologia. Michel Serres (1930-2019, filosofo francese) ha coniato
un neologismo per dare un nome a questo processo in continuo avanzamento …… ominescenza …… per indicare che l’essenza
dell’umano si sta scolorando, si scontorna, perde luminescenza, rischia di
confondersi, di fondersi con cose e natura. A questo duplice rischio sembra corrispondere
un duplice e contrapposto moto umano: uno verso l’alto, nel suo volersi fare
manipolatore se non creatore di vita, e uno verso il basso, nel suo
perfezionarsi fisiologico sostituendo parti di sé incorporando macchinari e
dispositivi. E così assumendo con questo movimento duplice, ma guidato da una
comune aspirazione, una “responsabilità” insostenibile: quella del dare conto
del “fine”, dello scopo ultimo, sia quando si fa creatore sia quando si
auto-appiattisce nel mondo delle cose, delle macchine. Ma anche sul versante contrapposto si stanno
sgretolando le convinzioni alla base della sua presunta unicità: già l’evoluzionismo
darwiniano lo aveva ricondotto nell’alveo di un solo percorso di formazione e
sviluppo della vita sul nostro pianeta, ma ora le recenti conoscenze in
botanica ed etologia attribuiscono, in modo sempre più lampante, anche a piante
ed animali forme di “intelligenza” e di “linguaggio evoluto”. In questo
contesto sta allora complessivamente maturando un sempre più percepibile
passaggio verso il “post-umano”, anche se ancora incerto e comunque doppio,
guardando per un verso ad un grado superiore di “potenza” e per un altro ad un
ruolo paritario con il resto del vivente. E’ quindi ancora tutto da definire, per questo
post-umano in fieri, il possibile equilibrio tra la “Hybris”, l’orgogliosa
tracotanza del ritenersi pari ad Dio, e “l’Aidos”, la consapevole modestia del
sapersi simile agli altri. Certo è che questa possibile evoluzione chiama
l’umano ad una necessaria, consapevole e diffusa, “nuova responsabilità”. Che
deve rivelarsi ed entrare in gioco da subito per governare alcuni processi in
corso
Capitolo ottavo: macchine che pensano?
……. Manufatti che progettano altri manufatti, macchine in grado di capire contesti complessi e di prendere decisioni e soprattutto di “prevedere”, di raggiungere obiettivi …..sono le situazioni reali, concrete, che formano il “machine learning” e che rendono sempre meno lontani i mitici replicanti di Blade Runner. E’ il mondo degli algoritmi, quello delineato da Yuval Noah Harari (1976, storico israeliano, saggista e divulgatore di successo) nel suo “Sapiens, da animali a Dei”. Un mondo che negli ultimi decenni è in costante evoluzione, gli esempi in questo senso si sprecano, l’ultimo, anedottico, potrebbe essere quello della scelta della società Deep Knowledge Ventures di nominare un algoritmo di nome Vital nel proprio Consiglio di Amministrazione come sesto membro con diritto di veto per evitare che vengano prese decisioni illogiche. E’ quanto mai acceso il dibattito attorno alla reale capacità delle macchine, ossia degli algoritmi che contengono, di sviluppare un “pensiero umano”, e a quella del complesso dei processi che rientrano nella I.A. (Intelligenza Artificiale) di raggiungere i livelli umani grazie al “machine learning” (macchine che auto-imparano). Si è nel corso del tempo passati dall’entusiasmo fiducioso di Alan Turing (1912-1954, matematico inglese considerato il padre dell’informatica) secondo il quale il confine tra uomo e macchina cadrà quando una macchina riuscirà a …… sembrare umana ad un umano ….. cosa che, seppure con molti dubbi, pare essere già avvenuta nel corso di una sorta di esperimento, ai contro-argomenti di John Searle (1932, filosofo americano, studioso dei fenomeni della mente e del linguaggio) con la sua famosa “scatola cinese” (una sorta di esperimento che dimostrava che un uomo a digiuno di cinese, richiuso in una scatola che gli impediva di vedere ed essere visto, grazie ad adeguate informazioni dall’esterno riusciva a dire cose in cinese senza però mai capire il senso di quel che diceva) convinto che ….. le macchine intelligenti sanno gestire la sintassi ma non la semantica …..
Ma dalla
dimostrazione di Searle in poi, grazie al rapporto con le neuroscienze e le
loro concezioni del rapporto mente-cervello, le tecno-scienze, con le reti
neurali, hanno fatto significativi passi in avanti raggiungendo già ora livelli
molto alti non solo nell’interagire con le informazioni esterne ma anche nel
far dialogare al proprio interno diversi livelli cognitivi. Il discrimine ultimo
sembra sempre più assestarsi su una caratteristica fondamentale dell’essere umani:
tra “essere intelligenti”, e le macchine possiedono ormai una intelligenza
molto articolata, ed “essere umani”, ossia esseri mossi da emozioni,
sentimenti, passa ancora una grande differenza. …… insomma quella humanitas, quella
filantropia dei classici, quell’amore “dell’uomo per l’uomo” che ci salva
dall’aridità della pura razionalità, sembra appannaggio del solo “essere umano”……
. E anche sulla totale sovrapposizione fra intelligenza artificiale e
intelligenza umana resta lecito nutrire un ultimo, ma decisivo, dubbio: nel
post-umano sarà mai possibile una macchina dotata di una intelligenza, di un
pensiero …… che
pensa sé stesso mentre pensa….? Andare alla radice della coscienza
appare ancora una faccenda molto più complicata e forse irrisolvibile
Capitolo
nono: ibridazioni, alla fine di un ordine
Organismi
cibernetici che cancellerebbero l’immagine canonica della perfezione umana,
l’uomo vitruviano, per inaugurare un nuovo organismo in cui la “soma”, il
corpo, sarebbe inseparabile ed indistinguibile dalla “tekne”, la tecnica. Ma
anche in questo caso la direzione del processo verso il post-umano sembra
presentarsi con una duplice valenza, andando in due opposte direzioni. Se, come
si è visto, il corpo dell’uomo potrebbe incorporare manufatti e tecnologie
capaci di mutarlo radicalmente allo stesso tempo è sempre più diffuso l’uso di
materiale genetico per elaborare supporti tecnologici. Si pensi al
“Dna-computing”, frammenti di Dna umano utilizzati per memorie digitali con
potenzialità impressionanti (un grammo di Dna può memorizzare un trilione,
mille miliardi, di gigabyte di dati). Un altro passaggio di confine, seppure in
senso opposto, che testimonia un insieme di progetti, ai più sconosciuti e ben
poco “governati”, in grado di aprire scenari al momento indecifrabili. Ben
diverso è quel passaggio di confine, anticipato in precedenza, che vede l’uomo,
l’umano, riconsiderare radicalmente il suo rapporto con le altre forme di vita.
Sono sempre più le evidenze fornite dalla neurobiologia applicata alla botanica
delle capacità intellettive delle piante, capaci di “ragionare” sui segnali che
colgono dall’ambiente per mettere in atto strategie “intelligenti” di risposta,
così come del possesso di forme di “linguaggio” alla base di una capacità di
comunicazione. Lo stesso possesso di linguaggio, con una sintassi che in alcune
specie di uccelli è articolata su vere e proprie strutture grammaticali, che
sempre più l’uomo riconosce essere presenti anche nel mondo animale. La parola
……. in
principio era il Verbo ….. che da
sempre giustifica e sostanzia la presunzione dell’eccezionalità umana non pare
proprio più essere esclusiva dell’uomo. Quella che Leonardo Caffo (1988, filosofo presso l’Università di Milano,
saggista, molto attento alla problematica del rapporto uomo-mondo animale) ha definito …….. la barriera linguistica …… ha sin qui
tracciato il confine tra uomini e animali divenendo, in ultima istanza, anche
la giustificazione per il loro “utilizzo alimentare”, ormai anch’esso
industrializzato. Diventa allora possibile immaginare un post-umano che, con
movimento per sola comodità definibile verso il basso, inauguri un diverso rapporto
con tutto il resto del vivente, nel quale l’uomo, così post-umanizzato, rinunci
ad una buona parte della sua “alterità”.
Epilogo:
finis terrae
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