Il “Saggio” del mese
NOVEMBRE 2022
E’
sicuramente uno degli aspetti che testimoniano le difficoltà della democrazia
rappresentativa occidentale nell’affrontare, con la giusta efficacia ed equità,
le tante sfide di questi tempi. Ed è, purtroppo, ormai così consolidato e
pervasivo da indurre molti ad una sorta di impotente rassegnazione, ma così non deve essere ed è anzi sempre più necessario opporsi alla
crescente “inciviltà”
nel confronto politico, giunta ormai ad un punto tale da poter apertamente parlare di “politica
dell’inciviltà”. Vale a dire che quello che fino a non molto tempo
addietro era pur sempre un deprecabile, ma occasionale, ricorso alla maleducazione,
all’insulto, alla continua provocatoria sovrapposizione, sembra essere assurto
a deliberata e sistematica modalità di gestire il dibattito politico. Per meglio capire in cosa consiste l’attuale “politica
dell’inciviltà” seguiremo la riflessione
sviluppata su questo tema nel recentissimo saggio con identico titolo
di
Sara Bentivegna
(Sara Bentivegna insegna Comunicazione politica alla Sapienza
Università di Roma. Si occupa del rapporto tra politica e rete e su questo
argomento ha scritto saggi e articoli su riviste nazionali e internazionali.
Tra le sue più recenti pubblicazioni, Voci della democrazia (con G. Boccia Artieri, il Mulino 2021) e A colpi di tweet (il
Mulino 2015). Per Laterza è autrice di Campagne elettorali in rete (2006), Disuguaglianze
digitali. Le nuove forme di esclusione nella società dell’informazione (2009) e Le
teorie delle comunicazioni di massa e la sfida digitale (con G. Boccia Artieri, 2019).
e di Rossella Rega
(Rossella
Rega insegna Giornalismo e Nuovi media all’Università di Siena. Si occupa
dell’impatto dei media digitali nella comunicazione politica, con particolare
attenzione all’evoluzione dei rapporti tra politici e cittadini, alle trasformazioni del giornalismo e dei
linguaggi politici e, più di recente, all’analisi dell’inciviltà nelle
discussioni politiche online, pubblicando articoli e saggi su riviste nazionali
e internazionali)
Le quali meglio definiscono in apertura del loro saggio cosa si
debba intendere, in modo più appropriato, per inciviltà in politica così come emerge nell’ambito delle scienze
sociali (per quanto sia opinione
diffusa che, come molti concetti della politica contemporanea, anch’essa abbia
natura “scivolosa”)
“Mancanza di rispetto delle norme sociali
e culturali che governano le interazioni personali nonché di quelle che
governano il funzionamento dei sistemi democratici”
Consiste esattamente
in questo mancato rispetto delle regole fondamentali che, per quanto non sempre
scritte, regolano tanto il comune riconoscimento fra persone quanto le modalità
del confronto politico, l’impatto dell’inciviltà politica
sul funzionamento della democrazia, rendendola instabile e attivando un
processo di “delegittimazione”
sia dei singoli sia delle istituzioni democratiche (luoghi e meccanismi
della decisione politica). Non si tratta, va detto subito, di un fenomeno mai
visto, anzi. Le cronache politiche, fin dalla nascita del dibattito politico
democratico, raccontano di episodi politici incivili, ma nella situazione
politica contemporanea, con una preoccupante uniformità fra singoli paesi, è
possibile sostenere che si è ormai passati da episodi circoscritti ad una vera
e propria “strategia
comunicativa”, costruita ad arte per raccogliere consensi e imporre
una propria offerta politica, deliberatamente basata sulla inciviltà (intesa nell’accezione
di cui sopra).
L’insieme di questi due aspetti ha così contribuito a creare un quadro
democratico estremamente polarizzato in cui si è “o di qua o di là” ed in cui è
diventato legittimo passare dall’insulto all’esclusione, dalla sfacciata presa
in giro alla sfida insolente, al descrivere il nemico con stereotipi non di
rado volgari. Non è un caso che questa
evoluzione sia avvenuta al termine del lungo percorso storico in cui la
polarizzazione politica aveva una base “ideologica”, poi di fatto sostituita da una
sorta di “polarizzazione
affettiva” declinata quasi esclusivamente in termini di sentimenti
negativi verso chi non appartiene al proprio gruppo e non la pensa allo stesso
modo. E’ una evoluzione in peggio, nella quale è difficile capire chi venga
primo fra la politica dei partiti e l’opinione pubblica diffusa, ma che di
certo si è accompagnata, in reciproco alimentarsi, con l’affermazione dei vari
“populismi”
e con la trasformazione dei canali di comunicazione collettiva. Parte da qui la
riflessione della Bentivegna e della Rega sulle ragioni e sulle modalità che
hanno consentito questo preoccupante e pericoloso salto di qualità in negativo.
Attori politici e inciviltà = L’inciviltà può sicuramente
manifestarsi in relazione ad un particolare “stato d’animo”, isolato e
dettato da sentimenti provvisori, ma può anche essere “attivata” in modo ragionato per
raggiungere determinati obiettivi. Non sono rari nella storia della politica,
locale e mondiale, episodi riconducibili alla prima modalità, mentre è solo di
recente che la seconda è entrata in forma stabile, e consistente, nel confronto
politico. Volendo individuare una possibile data di questa irruzione si può
guardare alle modalità usate dalla governatrice dell’Alaska Sarah Palin nel
corso della sua campagna come candidata del Partito Repubblicano alle elezioni
presidenziali americane del 2008. Andando ben oltre una perdonabile irruenza la
Palin usò, deliberatamente ed in modo organizzato, manifestazioni di autentica inciviltà nei confronti dei suoi avversari di
partito all’insegna di un “modo di fare politica” diverso da quello solito
e ritenuto il solo capace di rappresentare “il paese reale” contro elites e mezzi di
informazione. Negli anni successivi il germe seminato dalla Palin è cresciuto
in modo impressionante negli States per essere poi adottato in molte altre
situazioni e paesi (le due esperienze che meglio
testimoniano la sua comparsa nel dibattito politico italiano sono sicuramente
quella di Umberto Bossi, da lui persino anticipata ma in forme “ruspanti”, e
poi quella di Beppe Grillo con il suo Vaffa day). L’adozione dell’inciviltà
come modalità standard di fare politica è spiegabile in relazione ad alcuni precisi
obiettivi:
ü
la costruzione di una
specifica immagine personale (personal
brand)
= l’avvenuto assorbimento di buona parte del confronto politico nella sfera mediatica
ha implicato l’avvento di una platea molto più ampia di possibili protagonisti
e quindi la necessità, per emergere, di adottare forme comunicative capaci di “bucare l’audience”.
L’aggressività sfrontata verso l’avversario di turno, Sarah Palin docet, si è
molto presto rivelata quella più efficace in questo senso. Con l’aggravante di
non poter però essere una risorsa esauribile in un singolo momento, ma di
dover, per mantenere l’attenzione mediatica così catturata, essere
continuamente alimentata quando non accentuata. E’ così diventato inevitabile
il passaggio ad autentiche forme di inciviltà
politica, capace oltretutto di fissare una sorta di canone di “autenticità”
grazie al ricorso al linguaggio della quotidianità, dell’emotività, della
rabbia. Si basa in buona misura su questa originaria molla del “personal brand”
il ricorso a cascata alle cosiddette “brutte
maniere” (bad manners) quali la demonizzazione
dell’avversario, la negazione sfrontata delle verità scomode e del dovere di
suffragare con dati verificabili le proprie affermazioni, la mancanza di
rispetto verso le istituzioni.
ü
l’attivazione di un
processo di identificazione con l’elettorato (identity
policies)
= Per
avere successo è però necessario che la costruzione di un “personal brand” basato
sull’inciviltà abbia un “pubblico” (audience) già predisposto del suo a recepirlo e
a premiarlo. E’ opinione diffusa nelle analisi sociologico/politiche che la
“classica” scelta di campo basata sull’adesione a proposte politiche valoriali
ed ideologiche sia stata, nell’ultima parte del secolo scorso, progressivamente
sostituita da inclinazioni elettorali fondate di più sulle identità sociali e
culturali percepite come propria appartenenza sociale. La realizzazione di un
personal brand richiede allora che gli attori politici modulino le forme del
suo conseguimento avendo in contemporanea individuato i segmenti
dell’elettorato con i quali è più premiante la costruzione di una vera e
propria “identificazione” (identity policies). Questo processo
di identificazione chiama in causa, ben più che una razionale valutazione
politica, elementi come l’identità etnica e razziale, quella di genere, le
appartenenze religiose, le paure irrazionali di cambiamenti in peggio o di
minacce al proprio status. L’ulteriore rafforzamento del ricorso all’inciviltà in questo quadro si
rivela allora efficace nella misura in cui si dimostra, e come tale viene
vissuta, come il modo per testimoniare e rafforzare proprio la piena
identificazione
ü la mobilitazione elettorale nella forma del “di qua o di là”(in group – out group) = Inevitabilmente la progressiva affermazione di questi due fattori porta con sé la “polarizzazione” del confronto politico che, condizionato com’è dall’affermazione personale del soggetto politico e dalla individuata appartenenza sociale, non può non evolversi in uno scontro aperto con chi viene percepito, non più come semplice avversario politico, ma come autentico nemico. Soprattutto sulle tematiche che fondano la costruzione del brand personale e della corrispondente identificazione non può infatti esserci mediazione, reciproche concessioni, ma prevale inevitabilmente la logica del “con me o contro di me” (in group – out of group). Si vedranno qui di seguito le forme specifiche di questa polarizzazione, e la loro relazione con l’inciviltà politica, dalla parte dei “cittadini”, restando per ora concentrati sui partiti non si possono non rilevare le evidenti conseguenze sulla definizione di programmi politici e proposte elettorali e sulla selezione e formazione del personale politico, nella quale le “visioni politiche” sono sostituite dalla mera ricerca di consenso a breve. Non a caso inoltre si sono sempre più ristretti gli spazi per un corretto confronto piuttosto che per la formazione di alleanze. In questo senso la polarizzazione ha acquistato valenze più generali tali da far diventare sempre più evidente la necessità di ridefinire i percorsi politici istituzionali ed il ripristino di un confronto politico basato su programmi e rispetto reciproco. Appare però improbabile che ai partiti, ai soggetti politici, sia sfuggito il suo crescente peso e le possibili conseguenze negative sulla generale tenuta democratica. Non sembra quindi, al momento, percepibile una volontà di (auto)regolazione in tal senso. Pesa molto di più l’esigenza di confermare le proprie posizioni e di rafforzare le identificazioni costruite, anche a costo di tollerare, ovvero di perseguire deliberatamente, crescenti dosi di inciviltà.
Lo spettacolo dell’inciviltà = La diffusione dell’inciviltà politica
trova quindi logiche interne di raccolta consenso e non appare pertanto corretto
ridurla, sulla base di una lettura superficiale del problema, alle sole possibilità
di comunicazione consentite delle nuove tecnologie. Le quali hanno sicuramente
moltiplicato le occasioni di interazione sia a livello orizzontale, tra
cittadini, sia a livello
verticale, tra cittadini e soggetti politici. Se è innegabile che nell’attuale variegato
mondo dei media sono molto ampi gli spazi in cui già circola un preoccupante
livello di generale inciviltà, non è meno vero allora che molte delle forme e
dei linguaggi dell’attuale inciviltà politica hanno trovato ispirazione proprio
in questo contesto comunicativo. Occorre poi rilevare che i protagonisti (i
grandi network della comunicazione) di quello che è ormai definito “il mercato
dell’attenzione” (esiste infatti un vera battaglia fra
le imprese del settore per conquistare la merce per loro più preziosa: “l’attenzione degli utenti”) quasi mai fissano
parametri stringenti di “buone maniere”, ed anzi livelli più o meno
accentuati di inciviltà possono tranquillamente essere veicolati proprio perché
premiati dall’audience. In generale, dopo alcuni decenni di vita delle nuove
forme di comunicazione mediatica, sembra inoltre possibile rilevare che questo
vasto mondo comunicativo, orizzontale e verticale, sia sempre più
caratterizzato da una grande “frammentazione dell’audience”, correlata ad
una “specializzazione
dei contenuti”. All’interno delle quali il singolo utente tende a
fare riferimento quasi esclusivo a quelli che di più già percepisce in sintonia
con i suoi valori e le sue opinioni (in un rapporto che è comunque di
reciproca alimentazione, i media a loro volta consolidano quei valori e quelle
opinioni).
Per quanto concerne la comunicazione politica ciò significa che, in stretta connessione
alla “polarizzazione
delle posizioni politiche” di cui si è detto, di norma si seguano le
fonti informative, definite “media partigiani”, che di più sono già in
sintonia con consolidati punti di vista politici. In questo ambito espressioni
di inciviltà comunicativa risultano normali, accettati, perché non percepiti
come tali, ma al contrario visti come una modalità di supporto/difesa delle proprie
opinioni. E’ questo ormai un dato acquisito che riguarda buona parte del mondo
della carta stampata, piuttosto che specifiche trasmissioni su specifici canali
televisivi, o meglio ancora “gruppi su social” e “blog con i loro eserciti di followers”. Ma è purtroppo sbagliato
pensare che l’inciviltà sia un tratto esclusivo dei “media partigiani”,
l’esasperata concorrenza mediatica fa sì che anche quelli “neutri” consentano, quando non deliberatamente
adottino, forme di confronto politico estremizzate, in cui l’insulto, la lite,
la delegittimazione reciproca, diventino normali modalità per ottenere
l’agognata “attenzione”.
E’, anche questa, una inevitabile conseguenza del quasi totale trasferimento
dell’intera vita sociale, del confronto politico, in un mondo mediatico che, proprio
per meglio catturare “l’attenzione”, tutto enfatizza, volgarizza,
spettacolarizza.
L’inciviltà dal basso: i cittadini = A questo mondo mediatico, ed al web in
particolare, viene associata, negli studi sociali, la definizione di “discarica
emozionale”. Quanto fin qui evidenziato rende questa definizione difficilmente
contestabile, ma sarebbe un errore ritenerla un aspetto esclusivo dell’attuale
contesto comunicativo, forme analoghe di sfogo collettivo sono infatti già in
precedenza rintracciabili. Ad esempio ha fatto storia la vicenda, del 1986, di
Radio Radicale che, in crisi finanziaria, decise, come modo di pubblicizzare
tali difficoltà, di sospendere le trasmissioni lasciando libero accesso, non
filtrato, al proprio canale a chiunque volesse lanciare un messaggio. Seguirono
ininterrotte ottocento ore di insulti e volgarità a sfondo razziale, sessuale,
politico, e via discorrendo, definite già al tempo come uno “spettacolo
inquietante”. Se quindi un qualche fuoco già covava sotto la cenere
diventa ancor più importante, negli attuali tempi del web, cercare di
individuare le ragioni che spingono “il basso”, i cittadini, a comporre, unitamente
“all’alto”, il quadro di quella che da “inciviltà nella
politica” si sta trasformando nella “politica dell’inciviltà”. In prima battuta non sembra essere
spiegazione sufficiente la possibilità dell’ “anonimato”, consentita al tempo
da Radio Radicale ed oggi dal web. Espressioni di inciviltà non mancano infatti
anche in piattaforme molto partecipate come Facebook e Twitter in cui
l’anonimato, il mascheramento, non rappresenta la regola. Semmai sembra più
interessante capire cosa inneschi questa sorta di senso di “disinibizione”
che spinge molti a forme aggressive e incivili di comunicazione. Possibili
spiegazioni consistono nella assenza di “contatto visivo” (non si colgono cioè in
tempo reale inibenti segnali di disapprovazione), piuttosto che nel
vivere la presenza “on line” come una “realtà parallela” nella quale sono consentite
maniere diverse da quelle praticate nella realtà vera. Ma per quanto siano aspetti
di una certa rilevanza si resta ancora nel campo di manifestazioni di inciviltà
spontanee, improvvisate, dovute ad una foga momentanea (non
di rado infatti, quando individuati, molti protagonisti di affermazioni
incivili e aggressive si pentono ribadendo però i sentimenti di frustrazione e
le ragioni di rabbia che le hanno provocate) che semmai evidenziano come l’inciviltà
sia divenuta una risorsa comunicativa “a basso costo”, semplice da utilizzare e alla
portata di tutti. Se “nel basso” è da escludere, a livello del
singolo, il ricorso sistematico ad essa come risorsa strategica (così
come si è invece visto per “l’alto”) uno sforzo di
approfondimento può essere comunque tentato esaminando tre dimensioni diverse:
quella del singolo, quella di gruppo, quella specifica della mobilitazione
politica:
ü
la dimensione
individuale = nella
quale un ruolo significativo è giocato dalla “angoscia
dell’anonimato” che,
nella società della visibilità spettacolarizzata, spiega l’ansiosa ricerca di
qualche spicciolo di “notorietà”. La quale – ormai uscita dai
confini classici delle arti, dello spettacolo e dello sport - sembra in effetti
spingere molti ad “agire in forma
performativa” anche
nella normale sfera sociale (è ad esempio impressionante
il numero di coloro che si inventano attività improbabili pur di guadagnare buoni
numeri di “followers”). L’inciviltà appare, in questo quadro, una
modalità semplice e di effetto immediato per raggiungere, per quanto
provvisoriamente, lo scopo. Incentiva poi non poco il successo riscosso, nel
suo utilizzo, da parte dei soggetti politici (soprattutto
quelli di riferimento)
capace di innescare un processo di emulazione (nella
sfera “dell’alto, corrisponde, come
si è visto in precedenza, la tendenza alla “identificazione”). Questa accentuata ricerca di
notorietà non si limita all’ambito politico, ma (anche
se è difficile stabilire nette linee di separazione) è forse persino più legata, in
senso positivo o negativo, ad altre forme di appartenenza: etnica, razziale, di
genere, nell’ambito delle quali, nel rivolgersi cioè ad un pubblico “amico”
piuttosto che “nemico”, l’inciviltà si rivela un ottimo veicolo per raccogliere, nel primo caso,
consenso, nel secondo per dare spazio a sfoghi, cinicamente incontrollati e
manifestati, di aggressivo dissenso.
ü
la dimensione del
gruppo =
è evidente, in quanto appena evidenziato, il ruolo centrale dell’“individualità”, che non sembra però essere vissuta in alternativa alla
dimensione del “gruppo”, ma anzi vissuta in
un rapporto di vicendevole alimentazione. E’ questione quanto mai complessa,
perché difficilmente misurabile, l’individuazione dei meccanismi che possano
spiegare le ragioni del successo di una azione individuale sulle masse. Quel
che gli studi sociali comunque indicano è che, per quanto qui interessa, sembra
esistere nella massa un tendenza ad essere più facilmente attratti dalle
manifestazioni di inciviltà politica. Una possibile spiegazione consiste nella
sua “capacità” di innescare, molto di più di
adesioni razionali e civili, l’interazione attiva, la costruzione di legami più
stabili e la nascita di forme di complicità. Le quali comunque, per
consolidarsi e completarsi, richiedono che sia chiaramente identificato il “nemico” sul quale indirizzare l’ostilità del gruppo, non
necessariamente definito in termini precisi (non per nulla in molti casi il nemico è identificato in un generico “loro”).
ü
Individuo e gruppo
nella conflittualità politica = L’adesione, sia a livello individuale che di gruppo, a
pratiche politiche incivili indirizzate “verso e
contro”
il nemico di turno non di rado innesca una vera e propria mobilitazione. Che,
in qualche modo fisiologica nei momenti elettorali, può raggiungere livelli
persino più alti e più accesi in campagne legate a fatti e situazioni
specifiche (lo
testimoniano ad esempio i casi di atti violenti verso insediamenti rom
piuttosto che verso le comunità ebraiche, oppure ancora nelle campagne no-vax). In questa
mobilitazione si condensano e si accentuano tutte le caratteristiche
dell’inciviltà politica sin qui esaminate, ad un livello tale (vere e proprie campagne d’odio verso “l’altro”) da far emergere in esiti violenti la sotterranea propensione in tal senso (l’inciviltà, quando applicata strategicamente
e costantemente, tende fisiologicamente alla violenza anche fisica). Ciò che si rivela
preoccupante è la constatazione che sono sempre più numerose le occasioni in
cui l’inciviltà del confronto/scontro fra opposte fazioni si rivela matrice di
possibili evoluzioni violente (l’assalto
a Capitol Hill dei sostenitori di Trump ne è la più eclatante testimonianza). Questa tendenza
tradotta in termini di psicologia delle masse evidenzia come l’uso scientifico
e sistematico dell’inciviltà, dalla parte alta dei “leader”, possa produrre “comportamenti tribali” nella parte bassa dei comuni cittadini (il
comportamento del “singolo
individuo” all’interno della “folla” è al centro del nostro “Saggio del mese” di Novembre 2019 “Il volto della folla. Soggetti collettivi,
democrazia, individuo” di Michela Nacci)
L’inciviltà
come forma di lotta =
L’insieme delle considerazioni sin qui svolte sull’emergere, crescente ed
accentuato, di forme di inciviltà in politica giustifica ampiamente la
preoccupazione che tali forme, con i caratteri specifici assunti in questa fase
storica, si impongano come la modalità ordinaria e privilegiata del confronto
politico, che il loro incontrollato dilagare consenta, come anticipato in
precedenza, che l’inciviltà in politica si trasformi in una strutturata “politica
dell’inciviltà”. Tutto ciò fermo restando è però altrettanto vero
che questa riflessione non può esaurirsi in questa preoccupazione, la storia
delle democrazie, della democrazia, attesta infatti come l’inciviltà, se intesa
come ribellione alle norme consolidate, abbia giocato un ruolo importante per
lo stesso consolidamento di pratiche democratiche allargando la partecipazione,
rendendo possibili conquiste sociali e politiche, consentendo a gruppi sociali
emarginati di reclamare ed ottenere diritti e inclusione. Esiste allora un
qualche “valore
dell’inciviltà”? quali sono le discriminanti che, a differenza di
quella attuale, consentono di giudicare epiisodi di inciviltà una “forma di lotta”
positiva? Un primo decisivo passo per
rispondere a queste domande consiste nel meglio comprendere in cosa consiste,
in cosa è storicamente consistito, il suo opposto, la “civiltà in politica”:
ü
Diventa
allora difficile negare che le sue forme, le sue regole, siano state, quasi
sempre ed ovunque, definite ed utilizzate dalle gerarchie sociali e politiche
come “strumento per silenziare il dissenso e le
richieste di cambiamento”.
Non sorprende infatti che tutti i movimenti di opposizione e di richiesta di
cambiamento, ben compresi quelli che hanno allargato la democrazia e la
giustizia sociale, e le modalità delle loro lotte, a loro volta condizionate
dagli spazi di azione praticabili, siano stati bollati dal potere di turno come
incivili e violenti. Fermo restando il ricorso ad ogni forma di violenza,
fisica e morale, appare evidente che i comportamenti civili, appropriati, con
toni e maniere misurati, ritenuti caratteristiche vincolanti della “civiltà in
politica” mal si addicono a chi è costretto da una struttura di potere
anti-democratica ad azioni di lotta per ottenere diritti e giustizia. Si può
pertanto sostenere che la patina della cortesia e delle buone maniere, in
questi caso, maschera “rapporti di potere
disuguali”, e
l’appello al loro rispetto sia strumentalmente messo in atto per restringere
l’efficacia di una innovativa azione politica, per mantenere uno “status quo”
di potere. Vale a dire che ogni manifestazione di inciviltà, intesa come
mancato rispetto della “civiltà di parte” tende a spostare sul piano delle
forme la reale controversia su fatti reali. I concetti di civiltà e inciviltà
in politica non hanno quindi una definizione ed una valenza astratta valida per
ogni situazione ed in ogni tempo, ma vanno considerati in relazione al contesto
sociale e politico in cui si manifestano.
ü
Un
importante aspetto del complicato rapporto tra ottenimento di diritti e
giustizia sociale e civiltà/inciviltà consiste nel fatto che il percorso
storico della democrazia occidentale attesta come la presunta “violazione delle norme di civiltà”, costruite come si è appena visto,
sia stata quasi sempre deliberatamente messa in atto proprio sulla base della
consapevolezza dell’impossibilità di procedere altrimenti nelle rivendicazioni.
Ed inoltre che solo in determinati contesti tale violazione ha assunto
connotati di contestazione violenta. Nella stragrande maggioranza dei casi,
soprattutto nella attuale fase storica di più piena democrazia, l’inciviltà è
consistita un comportamenti e accorgimenti che, anche se infrangevano le
proclamate norme di civiltà, si sono concretizzate in contestazione sicuramente
accese, e molto spesso “fantasiose” (si pensi ad esempio
ai Gay Pride),
finalizzate esclusivamente a raccogliere la giusta attenzione e riconoscimento
per la lotta in corso. In questo contesto una forma, sicuramente definibile
incivile sulla base dei suddetti canoni, ma di alto valore democratico, è
sicuramente rappresentata dalla “disobbedienza civile”, un’azione pubblica, non violenta,
che consiste nel rifiuto di obbedire a determinate leggi ritenute ingiuste e
nell’accettare, consapevolmente, le possibili conseguenze legali (si pensi ad esempio a casi come quelli di Julian Assange
e Edward Snowden incriminati per aver diffuso via web notizie di indebite
violazioni dei diritti democratici).
In questo senso si è persino parlato di una “etica
dell’inciviltà”. Una
interpretazione che richiede ovviamente la giusta attenzione per valutare in termini oggettivi determinati comportamenti. Anche in questo caso deve quindi essere dato il giusto peso
al “contesto” in cui essi avvengono.
ü
Tornando
in chiusura alla “politica dell’inciviltà”, della indiscutibile inciviltà
esaminata in precedenza, confortano non poco alcune reazioni che si sono
attivate proprio come rigetto di tali forme di prevaricazione. Per restare nel
nostro paese, ed a tempi recenti, si pensi ad esempio al movimento delle “Sardine”
che, al di là della valenza politica inevitabilmente assunta, è nato e si è
rapidamente diffuso con un successo sorprendente, proprio sulla base della
condanna e del rifiuto di un dibattito politico sempre più scomposto, rissoso,
per l’appunto incivile. Colpisce inoltre in questa esperienza il fatto che sia nata nel web,
culla dell’inciviltà, ma che abbia immediatamente richiamato all’importanza della “presenza fisica”
per la difesa degli spazi di vera democrazia.
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