giovedì 8 gennaio 2015

Il Capitale nel XXI secolo


“Il capitale nel XXI secolo”
di Thomas Piketty.

 
Sono due i testi, pubblicati negli ultimi anni, da molti considerati fondamentali per una lettura “da sinistra” della situazione sociale, economica e politica mondiale: “La nuova ragione del mondo” di Pierre Dardot & Christian Laval e “Il capitale nel XXI secolo” di Thomas Piketty.
Del primo è presente in questo nostro blog di Circolarmente/Agorà una sintesi, del secondo ci si limita ad offrire una presentazione in quanto, a dispetto della mole (novecento e più pagine, e non sono presenti nell’edizione italiana di Bompiani gli allegati tecnici)  e della sua apparente veste di testo tecnico è, a differenza de “La nuova ragione del mondo”,  libro di scorrevole lettura ricco di spunti di riflessione e di collegamenti letterari (ad es. Honorè de Balzac, Jane Austen,  Henry James).


Lo scopo di fondo del libro di Piketty, o meglio del numeroso gruppo di economisti, da lui coordinati, che per molti anni hanno recuperato ed analizzato dati economici, è quello di valutare l’andamento delle disuguaglianze di reddito, su scala mondiale, nell’intero arco temporale di esistenza del “capitalismo”, con una attenzione particolare però al periodo di fine ottocento/inizio novecento (la belle époque).
Il taglio letterario adottato per sintetizzare un immane lavoro di raccolta ed analisi di una quantità incredibile di dati e di statistiche, è quindi tutt’altro che tecnico e freddo; esiste una precisa ragione alla base di questa impostazione: Piketty rifiuta l’idea dell’economia come “scienza esatta”, ritenendola strettamente legata a tutte le altre discipline sociali (storia, sociologia, antropologia, etc.), ed afferma che…..per troppo tempo gli economisti hanno cercato di definire la propria identità a partire dai loro presunti metodi scientifici. In realtà, tali metodi sono soprattutto fondati su un uso smodato dei modelli matematici, i quali si risolvono spesso in un pretesto per farsi spazio e dissimulare la vacuità del ragionamento
Con questa impostazione, che consente quindi una lettura coinvolgente anche ai non addetti ai lavori, Piketty propone una tesi di fondo, non a caso immediatamente criticata dagli ambienti economici sostenitori della bontà distributiva del progresso capitalistico, che sostiene, proprio sulla base delle analisi statistiche della distribuzione dei redditi raccolte nel libro, l’aumento tendenziale e progressivo delle disuguaglianze di reddito; il capitalismo non riduce le differenze di reddito fra classi alte e classi basse, ma al contrario le accentua e favorisce soprattutto le rendite di posizione ereditarie.
In questo quadro, a noi contemporanei, può sembrare che il secondo dopoguerra (i “trenta gloriosi 1945-1975) abbia al contrario appresentato una svolta verso una riduzione delle disuguaglianze; Piketty dimostra che ciò è effettivamente avvenuto per ragione specifiche e provvisorie, ma anche che, a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, la linea di tendenza è tornata ad essere quella dell’accentuazione delle differenze di reddito…di fatto, se rimettiamo le cose nella giusta prospettiva storica, appare chiaro che, in realtà, è stato proprio il periodo dei Trente glorieuses a rappresentare un'eccezione, per il semplice fatto che l'Europa aveva accumulato nel corso degli anni 1914-45 un enorme ritardo nella crescita.
Piketty analizza in modo analitico il rapporto tra capitale/reddito (r)  e tasso di crescita (g)  e dimostra, dati storici di lungo periodo alla mano, che il loro rapporto (r > g) si diverge sempre di più quando la crescita, g, diminuisce; in parole povere in situazioni di crescita limitata, scenario ormai stabile sul lungo periodo, i patrimoni ereditati dal passato aumentano di valore di più e più in fretta del reddito da produzione, in parole ancora più povere: chi nasce ricco sarà sempre più ricco a danno di chi nasce povero e con solo redditi da lavoro…..il secolo scorso si caratterizza per una spettacolare curva a U. Il rapporto capitale/reddito si è diviso di circa un terzo nel periodo 1914-1945, per poi moltiplicarsi per più di due tra il 1945 e il 2012, .si tratta di variazioni di enorme ampiezza, contestuali ai violenti conflitti militari, politici ed economici che hanno segnato il XX secolo, in particolare in materia di capitale, proprietà privata e distribuzione mondiale delle ricchezze. Al confronto, i secoli XVIII e XIX appaiono oasi di pace……il rapporto capitale/reddito dal 2010 è praticamente ritornato sui livelli del periodo precedente la prima guerra mondiale.  
Questa ultima constatazione porta ad uno dei punti forti del libro specie nelle sue due prime parti: la profonda analogia fra la situazione attuale e quella precedente la Prima Guerra Mondiale, che viene più volte ripresa ed evidenziata proprio per enfatizzare il ritorno a profonde divisioni in termini di distribuzione della ricchezza, con il rapporto capitale/reddito tornato dopo il trentennio glorioso ai valori della belle époque.
Le analisi storico-statistiche di Piketty, seppure orientate ad una visione globale,  permettono anche di riflettere sulle differenti visioni di cultura economica dei diversi paesi e sulle loro specifiche vicende economiche.
Ad esempio: uno dei temi caldi dell’attualità politica ed economica è, sicuramente, la rigidità della Germania ad accettare debiti pubblici alti ed i conseguenti rischi di inflazione, ma perché in Germania c’è così tanta diffidenza verso l’inflazione? Per il fatto, evidenziato da Piketty, che la Germania per ben due volte ha annullato un suo alto debito pubblico proprio grazie all’inflazione, nel 1930 e nel 1950, infatti, il debito pubblico è stato riportato ad appena il 20% del PIL consentendo il successivo rilancio dell’economia, ma queste operazioni sono state tutt’altro che indolori….. il ricorso all'inflazione è stato talmente elevato, e ha destabilizzato l'economia e la società tedesca in modo talmente violento, soprattutto con la superinflazione degli anni venti, che l'opinione pubblica tedesca ha maturato, dopo episodi così significativi, una mentalità fortemente antinflazionistica. Per cui, oggi, ci troviamo in una situazione paradossale: il paese che nel XX secolo ha più massicciamente utilizzato l'inflazione per liberarsi dei debiti, vale a dire la Germania, non vuole sentir parlare di un rialzo dei prezzi superiore al 2% annuo…..
Allo stesso modo, sempre a titolo esemplificativo, non meno interessanti sono alcuni passaggi dedicati all’Italia che, misurata sul lungo periodo, mantiene un primato interessante, quello del rapporto fra capitale privato e reddito nazionale, fra il valore dei patrimoni privati e la ricchezza nazionale. Come è stato possibile arrivare ad un rapporto fra  valore del capitale privato rispetto al reddito nazionale pari a sette, con una accelerazione incredibile negli ultimi quarant’anni (era poco più di due nel 1970)? Dice Piketty…..anziché pagare le tasse per equilibrare i bilanci pubblici, gli italiani - o quantomeno la media degli italiani - hanno prestato denaro al governo acquistando buoni del Tesoro o attivi pubblici, accrescendo così il loro patrimonio privato senza accrescere il patrimonio nazionale.
L’analisi fatta da Piketty si differenzia in modo evidente da quella classica marxista attenta ai rapporti di produzione; la vera questione “di classe”, privilegiando lo studio della variabili reddito e patrimonio, è spostata sulla distribuzione della ricchezza prodotta ed accumulata.
A sostegno di questo quadro analitico Piketty produce una mole di dati che sembrano realmente inoppugnabili, tali comunque da impressionare davvero viste le cifre ed i dati relativi alla disuguaglianza di reddito.
In particolare colpiscono sicuramente il lettore le variazioni della percentuale di ricchezza posseduta dal decile (il dieci per cento più ricco della popolazione) e dal centile (l’uno per cento più ricco) in tutti i paesi presi in considerazione; in questo decile sono progressivamente entrati, accanto ai veri detentori di patrimoni consolidati, le classi dirigenti di altissimo livello (top managers, alti dirigenti pubblici e privati) l’unica vera novità dei nostri tempi rispetto al periodo storico, la belle époque, che presenta la maggiore analogia con la situazione attuale; due brevi estrapolazioni bene lo sintetizzano….. verso il 1900-10, in Francia come nel Regno Unito, in Svezia e in tutti i paesi per i quali disponiamo di dati validi, il 10% più ricco deteneva la quasi totalità del patrimonio nazionale: la quota del decile superiore  raggiungeva il 90%. L'1% più fortunato possedeva da solo più del 50% del totale dei patrimoni. La quota del centile in certi paesi a forte tasso di disuguaglianza, come il Regno Unito, superava anche il 60%.......- ……tra il ’1950 e il ’1970 gli USA hanno vissuto la fase più egualitaria della loro storia: il decile superiore della gerarchia dei redditi detiene circa il 30-35% del reddito nazionale americano, più o meno il medesimo livello della Francia di oggi.…dopodiché, a partire dagli anni settanta-ottanta, assistiamo, negli Stati Uniti, ad un'esplosione senza precedenti delle disuguaglianze di reddito. La quota del decile superiore cresce in progressione da circa il 30-35% del reddito nazionale negli anni settanta a circa il 45-50% all'inizio del XXI secolo, con un rialzo di quasi 15 punti di reddito nazionale americano….ricerche recenti, fondate sul confronto tra i file delle dichiarazioni dei redditi e quelli della dichiarazione dei salari delle società, permettono di rilevare che la grande maggioranza degli appartenenti all'1% più ricco in termini di reddito- tra il 60% e il 70%, a seconda delle definizioni adottate- è composto nel XXI secolo da dirigenti di alto livello. Al confronto, campioni sportivi, attori e artisti tutti assieme rappresentano in totale meno del 5% dagli appartenenti al gruppo.
All’interno del decile superiore viene inoltre evidenziato il peso crescente dei patrimoni, ossia delle ricchezze possedute non direttamente legate al ciclo dell’economia…quanto più il XXI secolo si caratterizzerà per una diminuzione della crescita (demografica ed economica) e per il rendimento elevato del capitale (in un contesto di spietata concorrenza tra paesi, onde attirare capitali), perlomeno nei paesi in cui si produrrà un tale sviluppo, tanto più l'eredità riacquisterà un'importanza analoga a quella che ha avuto nel XIX secolo. 
Piketty sottolinea che questo aspetto non è incoerente con le dinamiche del mercato capitalistico, anzi……. La rendita non è un'imperfezione del mercato: è, al contrario, la conseguenza di un mercato del capitale "puro e perfetto", nel senso che gli economisti danno all'espressione, ossia di un mercato del capitale che offre a ciascun detentore - anche al meno abile dei rentiers - il rendimento più alto e meglio diversificato che si possa trovare nell'economia nazionale o anche mondiale. (…) La rendita, in un'economia di mercato e di proprietà privata del capitale, è una realtà.  (…) Si pensa a volte che la logica dello sviluppo economico dovrebbe essere quella di rendere meno decisiva la distinzione tra lavoro e capitale. In verità, è proprio il contrario: la crescente manipolazione del mercato del capitale e la qualità ormai sofisticatissima dell'intermediazione finanziaria puntano a tenere sempre più distinte le identità di chi detiene il capitale e di chi lo gestisce, dunque a tenere sempre più distinti il reddito puro da capitale e il reddito da lavoro.
Non mancano nel “Capitale nel XXI secolo” preoccupazioni in merito alla ricaduta che la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza può avere sulla tenuta di una reale democrazia; siamo molto lontani dalla raffinata analisi della governamentalità neoliberista fatta da Dardot & Laval ne “La nuova ragione del mondo”, ma sembrano significative alcune affermazioni…..a volte, la razionalità economica e tecnologica non ha nulla a che vedere con la razionalità democratica. Dopo che l'illuminismo ha dato alla luce la prima, si è pensato un po' troppo spesso che la seconda fosse una semplice filiazione naturale, che nascesse come per incanto. Invece la democrazia reale e la giustizia sociale esigono, come si sa, istituzioni specifiche, che non sono soltanto quelle del mercato e non possono nemmeno ridursi alle istituzioni parlamentari e democratiche, che adempiono a funzioni perlopiù formali…….la concentrazione diseguale dei patrimoni  presuppone un sistema repressivo particolarmente efficiente, oppure un apparato di persuasione altrettanto potente, oppure tutte e due le eventualità.
Piketty traccia infine alcune linee guida per tentare, situazioni politiche nazionali ed internazionale consentendo, di intervenire su disuguaglianze così ampie e profonde; la sua prima proposta, peraltro da lui stesso definita utopistica, è un’imposta mondiale progressiva sul capitale, della quale però suggerisce una prima applicazione a livello continentale europeo. ….. per regolamentare il capitalismo patrimoniale globalizzato del XXI secolo non basta ripensare il modello fiscale e sociale del XX secolo (basato su due istituzioni fondamentali inventate proprio nel XX secolo e destinate secondo noi a continuare a svolgere un ruolo cruciale in futuro: lo Stato sociale e l'imposta progressiva sul reddito) e adattarlo al mondo attuale. Ma perché la democrazia possa riprendere il controllo del capitalismo finanziario globalizzato del nuovo secolo vanno creati strumenti altrettanto nuovi, adatti alle sfide attuali. Lo strumento ideale sarebbe un'imposta mondiale e progressiva sul capitale, accompagnata da un altissimo grado di trasparenza finanziaria internazionale. Un'istituzione del genere arresterebbe l'attuale spirale della disuguaglianza perpetua e regolamenterebbe in modo efficace l'inquietante dinamica della concentrazione mondiale dei patrimoni ….per venire infine alle considerazioni specifiche sugli scenari dell’Eurozona….l'allarme di molti sta nel fatto che all'interno dell'Unione Europea non si faccia altro che rendere più fragili gli equilibri fin qui raggiunti. È vero, il rischio c'è. Ma, a mio avviso, se si vuole riprendere davvero il controllo del capitalismo, non esiste altra scelta se non quella di scommettere fino in fondo sulla democrazia, soprattutto su scala europea. Altre comunità politiche di maggiori dimensioni, come gli Stati Uniti o la Cina, si trovano di fronte a opzioni un po' più diversificate. Ma nel caso dei piccoli paesi europei, che diventeranno sempre più piccoli con il progressivo sviluppo dell'economia-mondo, la via del protezionismo può comportare solo frustrazioni, e delusioni ancora più forti di quelle che potrebbero derivare dalla scelta europea.
Peraltro nell’analizzare le possibili contraddizioni fra aumento del rapporto capitale/reddito ed il tema marxista del calo tendenziale del saggio di profitto…nel caso in cui non esista alcuna crescita strutturale si arriva a una contraddizione logica molto vicina a quella descritta da Marx…..se il tasso di crescita  è basso e vicino allo zero, il rapporto capitale/reddito di lungo termine tende all'infinito….con un rapporto capitale/reddito infinitamente elevato, il rendimento da capitale r deve necessariamente ridursi sempre più e arrivare alla fine vicino allo zero altrimenti la quota di capitale finirà per divorare la totalità del reddito nazionale……la contraddizione dinamica segnalata da Marx corrisponde dunque a una vera difficoltà, la cui sola soluzione logica è la crescita strutturale, l'unica a consentire di equilibrare- in qualche misura - il processo di accumulazione del capitale… sembrerebbe  che per Piketty l’unica possibilità di mantenere il rapporto r > g entro limiti sopportabili sia investire su una crescita della produttività, e della popolazione; nulla però precisa sulla possibilità fisica di una crescita così infinita in un contesto, quello del pianeta Terra, di risorse finite. E’ questo un passaggio contraddittorio e non sufficientemente chiarito.
In generale sembra possibile affermare che il “Capitalismo nel XXI secolo” sia molto più orientato alla analisi della situazione, e delle tendenze storiche di lungo periodo, che alla presentazione delle possibili soluzioni. Un testo quindi utilissimo più per capire cosa è successo che per valutare cosa si potrebbe fare.

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