“Il capitale nel XXI
secolo”
di
Thomas Piketty.
Sono due i testi, pubblicati negli
ultimi anni, da molti considerati fondamentali per una lettura “da sinistra”
della situazione sociale, economica e politica mondiale: “La nuova ragione del
mondo” di Pierre Dardot & Christian Laval e “Il capitale nel XXI secolo” di
Thomas Piketty.
Del primo è presente in questo nostro
blog di Circolarmente/Agorà una sintesi, del secondo ci si limita ad offrire
una presentazione in quanto, a dispetto della mole (novecento e più pagine, e
non sono presenti nell’edizione italiana di Bompiani gli allegati tecnici) e della sua apparente veste di testo tecnico
è, a differenza de “La nuova ragione del mondo”, libro di scorrevole lettura ricco di spunti
di riflessione e di collegamenti letterari (ad es. Honorè de Balzac, Jane
Austen, Henry James).
Lo scopo di fondo del libro di
Piketty, o meglio del numeroso gruppo di economisti, da lui coordinati, che per
molti anni hanno recuperato ed analizzato dati economici, è quello di valutare l’andamento
delle disuguaglianze di reddito, su scala mondiale, nell’intero arco temporale
di esistenza del “capitalismo”, con una attenzione particolare però al periodo
di fine ottocento/inizio novecento (la belle époque).
Il taglio letterario adottato per
sintetizzare un immane lavoro di raccolta ed analisi di una quantità
incredibile di dati e di statistiche, è quindi tutt’altro che tecnico e freddo;
esiste una precisa ragione alla base di questa impostazione: Piketty rifiuta l’idea
dell’economia come “scienza esatta”, ritenendola strettamente legata a tutte le
altre discipline sociali (storia, sociologia, antropologia, etc.), ed afferma
che…..per
troppo tempo gli economisti hanno cercato di definire la propria identità a
partire dai loro presunti metodi scientifici. In realtà, tali metodi sono
soprattutto fondati su un uso smodato dei modelli matematici, i quali si
risolvono spesso in un pretesto per farsi spazio e dissimulare la vacuità del
ragionamento
Con questa impostazione, che consente
quindi una lettura coinvolgente anche ai non addetti ai lavori, Piketty propone
una tesi di fondo, non a caso immediatamente criticata dagli ambienti economici
sostenitori della bontà distributiva del progresso capitalistico, che sostiene,
proprio sulla base delle analisi statistiche della distribuzione dei redditi raccolte
nel libro, l’aumento tendenziale e progressivo delle disuguaglianze di reddito;
il capitalismo non riduce le differenze di reddito fra classi alte e classi
basse, ma al contrario le accentua e favorisce soprattutto le rendite di
posizione ereditarie.
In questo quadro, a noi
contemporanei, può sembrare che il secondo dopoguerra (i “trenta gloriosi
1945-1975) abbia al contrario appresentato una svolta verso una riduzione delle
disuguaglianze; Piketty dimostra che ciò è effettivamente avvenuto per ragione
specifiche e provvisorie, ma anche che, a partire dagli anni ottanta del secolo
scorso, la linea di tendenza è tornata ad essere quella dell’accentuazione
delle differenze di reddito…di fatto, se rimettiamo le cose nella giusta prospettiva
storica, appare chiaro che, in realtà, è stato proprio il periodo dei Trente
glorieuses a rappresentare un'eccezione, per il semplice fatto che l'Europa
aveva accumulato nel corso degli anni 1914-45 un enorme ritardo nella crescita.
Piketty analizza in modo analitico il
rapporto tra capitale/reddito (r) e
tasso di crescita (g) e dimostra, dati
storici di lungo periodo alla mano, che il loro rapporto (r > g) si diverge
sempre di più quando la crescita, g, diminuisce; in parole povere in situazioni
di crescita limitata, scenario ormai stabile sul lungo periodo, i patrimoni
ereditati dal passato aumentano di valore di più e più in fretta del reddito da
produzione, in parole ancora più povere: chi nasce ricco sarà sempre più ricco
a danno di chi nasce povero e con solo redditi da lavoro…..il secolo scorso si
caratterizza per una spettacolare curva a U. Il rapporto capitale/reddito si è
diviso di circa un terzo nel periodo 1914-1945, per poi moltiplicarsi per più
di due tra il 1945 e il 2012, .si tratta di variazioni di enorme ampiezza,
contestuali ai violenti conflitti militari, politici ed economici che hanno
segnato il XX secolo, in particolare in materia di capitale, proprietà privata
e distribuzione mondiale delle ricchezze. Al confronto, i secoli XVIII e XIX
appaiono oasi di pace……il rapporto capitale/reddito dal 2010 è praticamente
ritornato sui livelli del periodo precedente la prima guerra mondiale.
Questa ultima constatazione porta ad
uno dei punti forti del libro specie nelle sue due prime parti: la profonda
analogia fra la situazione attuale e quella precedente la Prima Guerra Mondiale,
che viene più volte ripresa ed evidenziata proprio per enfatizzare il ritorno a
profonde divisioni in termini di distribuzione della ricchezza, con il rapporto
capitale/reddito tornato dopo il trentennio glorioso ai valori della belle
époque.
Le analisi storico-statistiche di
Piketty, seppure orientate ad una visione globale, permettono anche di riflettere sulle
differenti visioni di cultura economica dei diversi paesi e sulle loro specifiche
vicende economiche.
Ad esempio: uno dei temi caldi dell’attualità
politica ed economica è, sicuramente, la rigidità della Germania ad accettare
debiti pubblici alti ed i conseguenti rischi di inflazione, ma perché in
Germania c’è così tanta diffidenza verso l’inflazione? Per il fatto,
evidenziato da Piketty, che la Germania per ben due volte ha annullato un suo
alto debito pubblico proprio grazie all’inflazione, nel 1930 e nel 1950,
infatti, il debito pubblico è stato riportato ad appena il 20% del PIL
consentendo il successivo rilancio dell’economia, ma queste operazioni sono
state tutt’altro che indolori….. il
ricorso all'inflazione è stato talmente elevato, e ha destabilizzato l'economia
e la società tedesca in modo talmente violento, soprattutto con la
superinflazione degli anni venti, che l'opinione pubblica tedesca ha maturato,
dopo episodi così significativi, una mentalità fortemente antinflazionistica.
Per cui, oggi, ci troviamo in una situazione paradossale: il paese che nel XX
secolo ha più massicciamente utilizzato l'inflazione per liberarsi dei debiti,
vale a dire la Germania, non vuole sentir parlare di un rialzo dei prezzi
superiore al 2% annuo…..
Allo stesso modo, sempre a titolo
esemplificativo, non meno interessanti sono alcuni passaggi dedicati all’Italia
che, misurata sul lungo periodo, mantiene un primato interessante, quello del
rapporto fra capitale privato e reddito nazionale, fra il valore dei patrimoni
privati e la ricchezza nazionale. Come è stato possibile arrivare ad un
rapporto fra valore del capitale privato
rispetto al reddito nazionale pari a sette, con una accelerazione incredibile
negli ultimi quarant’anni (era poco più di due nel 1970)? Dice Piketty…..anziché pagare le tasse per equilibrare i bilanci pubblici, gli
italiani - o quantomeno la media degli italiani - hanno prestato denaro al
governo acquistando buoni del Tesoro o attivi pubblici, accrescendo così il
loro patrimonio privato senza accrescere il patrimonio nazionale.
L’analisi fatta da Piketty si
differenzia in modo evidente da quella classica marxista attenta ai rapporti di
produzione; la vera questione “di classe”, privilegiando lo studio della
variabili reddito e patrimonio, è spostata sulla distribuzione della ricchezza
prodotta ed accumulata.
A sostegno di questo quadro analitico
Piketty produce una mole di dati che sembrano realmente inoppugnabili, tali
comunque da impressionare davvero viste le cifre ed i dati relativi alla
disuguaglianza di reddito.
In particolare colpiscono sicuramente
il lettore le variazioni della percentuale di ricchezza posseduta dal decile
(il dieci per cento più ricco della popolazione) e dal centile (l’uno per cento
più ricco) in tutti i paesi presi in considerazione; in questo decile sono
progressivamente entrati, accanto ai veri detentori di patrimoni consolidati,
le classi dirigenti di altissimo livello (top managers, alti dirigenti pubblici
e privati) l’unica vera novità dei nostri tempi rispetto al periodo storico, la
belle époque, che presenta la maggiore analogia con la situazione attuale; due
brevi estrapolazioni bene lo sintetizzano….. verso il 1900-10, in
Francia come nel Regno Unito, in Svezia e in tutti i paesi per i quali
disponiamo di dati validi, il 10% più ricco deteneva la quasi totalità del
patrimonio nazionale: la quota del decile superiore raggiungeva il 90%. L'1% più fortunato
possedeva da solo più del 50% del totale dei patrimoni. La quota del centile in
certi paesi a forte tasso di disuguaglianza, come il Regno Unito, superava
anche il 60%.......- ……tra il ’1950 e il ’1970
gli USA hanno vissuto la fase più
egualitaria della loro storia: il decile superiore della gerarchia dei redditi
detiene circa il 30-35% del reddito nazionale americano, più o meno il medesimo
livello della Francia di oggi.…dopodiché, a partire dagli anni
settanta-ottanta, assistiamo, negli Stati Uniti, ad un'esplosione senza
precedenti delle disuguaglianze di reddito. La quota del decile superiore
cresce in progressione da circa il 30-35% del reddito nazionale negli anni
settanta a circa il 45-50% all'inizio del XXI secolo, con un rialzo di quasi 15
punti di reddito nazionale americano….ricerche recenti, fondate sul confronto tra i file delle
dichiarazioni dei redditi e quelli della dichiarazione dei salari delle
società, permettono di rilevare che la grande maggioranza degli appartenenti
all'1% più ricco in termini di reddito- tra il 60% e il 70%, a seconda delle
definizioni adottate- è composto nel XXI secolo da dirigenti di alto livello.
Al confronto, campioni sportivi, attori e artisti tutti assieme rappresentano
in totale meno del 5% dagli appartenenti al gruppo.
All’interno del decile superiore
viene inoltre evidenziato il peso crescente dei patrimoni, ossia delle
ricchezze possedute non direttamente legate al ciclo dell’economia…quanto più il XXI secolo si caratterizzerà per una diminuzione
della crescita (demografica ed economica) e per il rendimento elevato del
capitale (in un contesto di spietata concorrenza tra paesi, onde attirare capitali),
perlomeno nei paesi in cui si produrrà un tale sviluppo, tanto più l'eredità
riacquisterà un'importanza analoga a quella che ha avuto nel XIX secolo.
Piketty sottolinea
che questo aspetto non è incoerente con le dinamiche del mercato capitalistico,
anzi……. La rendita non è
un'imperfezione del mercato: è, al contrario, la conseguenza di un mercato del
capitale "puro e perfetto", nel senso che gli economisti danno
all'espressione, ossia di un mercato del capitale che offre a ciascun detentore
- anche al meno abile dei rentiers - il rendimento più alto e meglio
diversificato che si possa trovare nell'economia nazionale o anche mondiale.
(…) La rendita, in un'economia di mercato e di proprietà privata del capitale,
è una realtà. (…) Si pensa a volte che
la logica dello sviluppo economico dovrebbe essere quella di rendere meno
decisiva la distinzione tra lavoro e capitale. In verità, è proprio il
contrario: la crescente manipolazione del mercato del capitale e la qualità
ormai sofisticatissima dell'intermediazione finanziaria puntano a tenere sempre
più distinte le identità di chi detiene il capitale e di chi lo gestisce,
dunque a tenere sempre più distinti il reddito puro da capitale e il reddito da
lavoro.
Non mancano nel
“Capitale nel XXI secolo” preoccupazioni in merito alla ricaduta che la
disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza può avere sulla tenuta di
una reale democrazia; siamo molto lontani dalla raffinata analisi della
governamentalità neoliberista fatta da Dardot & Laval ne “La nuova ragione
del mondo”, ma sembrano significative alcune affermazioni…..a volte, la razionalità
economica e tecnologica non ha nulla a che vedere con la razionalità
democratica. Dopo che l'illuminismo ha dato alla luce la prima, si è pensato un
po' troppo spesso che la seconda fosse una semplice filiazione naturale, che
nascesse come per incanto. Invece la democrazia reale e la giustizia sociale
esigono, come si sa, istituzioni specifiche, che non sono soltanto quelle del
mercato e non possono nemmeno ridursi alle istituzioni parlamentari e
democratiche, che adempiono a funzioni perlopiù formali…….la concentrazione diseguale dei patrimoni
presuppone un sistema repressivo particolarmente efficiente,
oppure un apparato di persuasione altrettanto potente, oppure tutte e due le
eventualità.
Piketty traccia infine alcune linee
guida per tentare, situazioni politiche nazionali ed internazionale
consentendo, di intervenire su disuguaglianze così ampie e profonde; la sua
prima proposta, peraltro da lui stesso definita utopistica, è un’imposta
mondiale progressiva sul capitale, della quale però suggerisce una prima
applicazione a livello continentale europeo. ….. per regolamentare il capitalismo patrimoniale
globalizzato del XXI secolo non basta ripensare il modello fiscale e sociale
del XX secolo (basato su due istituzioni fondamentali inventate proprio nel XX
secolo e destinate secondo noi a continuare a svolgere un ruolo cruciale in
futuro: lo Stato sociale e l'imposta progressiva sul reddito) e adattarlo al mondo
attuale. Ma perché la democrazia possa riprendere il controllo del capitalismo
finanziario globalizzato del nuovo secolo vanno creati strumenti altrettanto
nuovi, adatti alle sfide attuali. Lo strumento ideale sarebbe un'imposta
mondiale e progressiva sul capitale, accompagnata da un altissimo grado di
trasparenza finanziaria internazionale. Un'istituzione del genere arresterebbe
l'attuale spirale della disuguaglianza perpetua e regolamenterebbe in modo
efficace l'inquietante dinamica della concentrazione mondiale dei patrimoni ….per venire infine alle considerazioni
specifiche sugli scenari dell’Eurozona….l'allarme di molti sta nel fatto che all'interno
dell'Unione Europea non si faccia altro che rendere più fragili gli equilibri
fin qui raggiunti. È vero, il rischio c'è. Ma, a mio avviso, se si vuole
riprendere davvero il controllo del capitalismo, non esiste altra scelta se non
quella di scommettere fino in fondo sulla democrazia, soprattutto su scala
europea. Altre comunità politiche di maggiori dimensioni, come gli Stati Uniti
o la Cina, si trovano di fronte a opzioni un po' più diversificate. Ma nel caso
dei piccoli paesi europei, che diventeranno sempre più piccoli con il
progressivo sviluppo dell'economia-mondo, la via del protezionismo può comportare
solo frustrazioni, e delusioni ancora più forti di quelle che potrebbero
derivare dalla scelta europea.
Peraltro nell’analizzare le possibili
contraddizioni fra aumento del rapporto capitale/reddito ed il tema marxista
del calo tendenziale del saggio di profitto…nel caso in cui non esista alcuna crescita
strutturale si arriva a una contraddizione logica molto vicina a quella
descritta da Marx…..se il tasso di crescita è basso e vicino allo zero, il rapporto
capitale/reddito di lungo termine tende all'infinito….con un rapporto
capitale/reddito infinitamente elevato, il rendimento da capitale r deve
necessariamente ridursi sempre più e arrivare alla fine vicino allo zero altrimenti
la quota di capitale finirà per divorare la totalità del reddito nazionale……la
contraddizione dinamica segnalata da Marx corrisponde dunque a una vera
difficoltà, la cui sola soluzione logica è la crescita strutturale, l'unica a
consentire di equilibrare- in qualche misura - il processo di accumulazione del
capitale… sembrerebbe
che per Piketty l’unica possibilità di
mantenere il rapporto r > g entro limiti sopportabili sia investire su una
crescita della produttività, e della popolazione; nulla però precisa sulla
possibilità fisica di una crescita così infinita in un contesto, quello del
pianeta Terra, di risorse finite. E’ questo un passaggio contraddittorio e non
sufficientemente chiarito.
In generale sembra possibile
affermare che il “Capitalismo nel XXI secolo” sia molto più orientato alla
analisi della situazione, e delle tendenze storiche di lungo periodo, che alla
presentazione delle possibili soluzioni. Un testo quindi utilissimo più per
capire cosa è successo che per valutare cosa si potrebbe fare.
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