venerdì 22 maggio 2015

I destini generali


Pone un interrogativo, forse non nuovo ma non per questo meno coinvolgente, la riflessione che Guido Mazzoni (firma non conosciutissima, ma di sicuro valore – Mazzoni è filologo, critico letterario e poeta) propone con il suo saggio, in uscita per i titoli della Laterza, dal titolo “I destini generali”.

Lo sintetizza benissimo Michele Serra nelle prime parole dell’articolo di presentazione del saggio in questione….Dove ci ha condotti, almeno noi occidentali, la tragedia della Storia? A uno sbocco antitragico: una mediocrità sazia, un decente livello di libertà, niente che trascenda la piena soddisfazione dei bisogni individuali, una patina di tolleranza che intorpidisce i conflitti interni ed esorcizza quelli esterni efficacemente consorziati nell’integralismo islamico, che del tragico e del trascendente è, invece, la quintessenza…..Questo interrogativo non nuovo si può tradurre in queste nostre parole, meno efficaci e sapienti, ma forse più dirette e semplici: abbiamo alle spalle il secolo più tragico della Storia, contrassegnato da guerre totali, da allucinanti stermini e genocidi, da contrapposizioni ideologiche totalizzanti, da deliri di massa sfociati in brutali dittature, possibile che l’esito di questo pesantissimo bagaglio storico  si sia dissolto nel leggerissimo assopimento consumistico di questi ultimi decenni? A questo domanda alcuni rispondono con la non dissimulata nostalgia, certo non degli esiti drammatici, ma quantomeno dei coinvolgimenti, individuali e collettivi, in grado di dare senso a partecipazioni, sacrifici, valori, vite intere. Altri preferiscono evidenziare che questo esito, sicuramente mediocre, ha pur tuttavia il grande merito di garantire la soddisfazione di bisogni, materiali e “politici”, per secoli solamente sognati, come la libertà dalla fame e la libertà di esprimersi. Come rispondete a questo interrogativo? Condividete l’analisi ed il giudizio storico che lo sostengono? Leggendo le seguenti parole tratte direttamente dal saggio di Mazzoni, che rialzano, rispetto alle nostre precedenti, la qualità e la sostanza alla base dell’interrogativo….alla fine del secolo più tragico della Storia umana, alla fine di un conflitto ciclopico fra idee di società e persona, il modo di vita che esce vincitore è il meno eroico, il meno grandioso, ma anche il meno elitario, il più immanente, il più autenticamente popolare. Non ho nulla di politico o di reale da opporre a tutto questo. Ho solo una forma di disagio…..condividete non solo il giudizio, ma anche il disagio?

Sono domande che, in qualche modo, si collegano alle riflessioni che abbiamo svolto in un precedente post dedicato alla definizione di “felicità” all’apparenza diffusa e condivisa, perlomeno nel nostro mondo occidentale, contrapposta a quella declinata nello stesso ambito poco prima dell’inizio del secolo tragico.

E sono le domande che, con un percorso tutt’altro che tortuoso, portano al senso del dibattere collettivo, alla direzione che si vorrebbe, o si dovrebbe, dare alla nostra società, al ruolo ed al valore della “Cultura”

A Voi la risposta.

3 commenti:

  1. Se ripenso alla storia dell' Europa dall'anno 1000 in poi ogni secolo ha avuto morti, distruzioni ,pestilenze che hanno decimato il "popolo" e non gli hanno mai permesso di alzare la testa per pensare a come ottenere la libertà presi dal compito di come sopravvivere.
    Nel secolo scorso forse ci siamo illusi, avendo superato la contingenza della pura povertà, di conquistare la libertà di parola e di poter decidere non solo del nostro destino ma di quello del mondo. Pura illusione!!! o il nostro destino di umani è comunque quello di non dover mai alzare la guardia, ma di combattere per ottenere e consolidare le conquiste che abbiamo ottenuto? E' forse il nostro destino?
    Come per anni ci ha inculcato la religione cattolica di penare su questa terra per ottenere il paradiso. Oggi pensiamo di essere artefici del nostro destino e il paradiso lo vogliamo qui tra noi.
    Il DISAGIO profondo che tutti noi proviamo è anche dovuto al fatto di non avere più CERTEZZE ma solo PAURE.
    Sempre di più mi convinco che siamo in un epoca di transizione che ci porterà a grandi cambiamenti di cui non abbiamo ancora piena consapevolezza e questo ci procura uno stato d'animo di precarietà.
    Leggerò senz'altro il libro anche se in questo momento forse avremmo bisogno anche di una qualche SPERANZA

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  2. Non vorrei banalizzare, stiamo vivendo certamente un momento complesso ma penso che gli interrogativi che ci vengono posti siano gli interrogativi che ogni generazione alle soglie della vecchiaia si pone. Ogni essere umano in qualsiasi periodo storico abbia vissuto alla fine si domanda: il risultato è solo questo?
    La speranza di cui Carla parla i giovani ce l’hanno, vedo mia figlia, i suoi amici che pur tra tante difficoltà amano e vogliono vivere in questo tempo e cogliere le mille opportunità, che non possiamo negare, esistono ma che non sono forse più le nostre.

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  3. Comprendo, ed almeno in parte condivido, sia l’invocazione alla SPERANZA di Carla sia il richiamo allo SPIRITO DI REAZIONE di Nives. Ma, perché la speranza non si riduca a sogno e perché lo spirito di reazione non sia un semplice ed evoluzionistico adattamento alla situazione, occorre fare i conti con l’eredità storica e con la realtà dei nostri tempi. Ambedue ci dicono che alle spalle abbiamo un secolo tutt’altro che ordinario. Occorre ricordare cosa è successo per concordare che mai prima si erano viste guerre così distruttive e così diffuse, che mai prima l’uomo era arrivato a pianificare scientificamente l’eliminazione fisica di interi popoli e culture, occorre richiamare che mai prima di ora l’uomo era arrivato a predisporre armi di distruzione totale e a portare l’intero pianeta al limite di un collasso irrimediabile, che mai prima d’ora i “padroni del vapore” erano arrivati a disporre di tutte le nazioni e di tutti i popoli piegandoli a logiche di profitto sempre più anti-umane?
    Eppure questo è quanto abbiamo alle nostre spalle, questo è il quadro con cui dobbiamo misurarci.
    La constatazione, che porta al disagio di cui ora parliamo, è che questi antefatti non stanno producendo reazioni “importanti”, nessuno cita il titolo di un famoso film degli anni sessanta “fermate il mondo che voglio scendere” (film comico fra l’altro), non sembra che i nostri comportamenti diffusi siano adeguati.
    E’ solo perché non abbiamo perso la “speranza”? E’ solo perché l’uomo è, evoluzionisticamente parlando, l’animale che meglio e prima si adatta a nuovi contesti ambientali?
    O forse è perché non abbiamo imparato a sufficienza la lezione che la storia del secolo appena trascorso ci dovrebbe aver consegnato? O forse è perché alcuni decenni di consumismo ci hanno ridotto a “consolarci” con magre, e sempre più irripetibili ed insostenibili, compensazioni?
    Questione grossa, certo non risolvibile qui in questo blog, ma è bello, consolatorio, utile, poterne parlare così, alla buona; forse è l’unica maniera per tenere insieme speranza, adattamento, e consapevolezza del passato appena trascorso, del presente, e di un futuro tutto da scrivere

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