lunedì 22 febbraio 2016

"Studi sull'Ombra" - Mario Trevi & Augusto Romano


Mario Trevi – Augusto Romano

STUDI SULL'OMBRA

Raffaello Cortina Editore

 

Capitolo 1

SUL PROBLEMA DELL'OMBRA NELLA PSICOLOGIA ANALITICA

(Mario Trevi)

IL CONCETTO DI OMBRA Nella parola “Ombra” si annidano svariate accezioni strettamente congiunte l'una alle altre, ma abbastanza differenziabili attraverso una paziente analisi concettuale. Il concetto di Ombra ha una parte implicita in tutta l'architettura dell'opera di Jung, le cui intuizioni fondamentali si arricchiscono man mano indicando la complessità del problema e la continuità del tema. Quando uno psicologo parla di Ombra può riferirsi almeno a uno dei tre seguenti significati:   a) Ombra come parte della personalità   b) Ombra come archetipo   c) Ombra come immagine archetipica Nel primo caso si intende globalmente per Ombra il lato non accettato della personalità (appunto ciò che anche nel linguaggio viene definito il lato “oscuro” di un individuo): la somma delle tendenze, caratteristiche, atteggiamenti, desideri inaccettabili da parte dell'Io, nonché delle funzioni non sviluppate o scarsamente differenziate e, infine dei contenuti dell'inconscio personale. Occorre ricordare che Jung parte da una visione vasta e policentrica dell'inconscio personale, inteso come sede di innumerevoli concrezioni a tonalità affettiva o “complessi”, dei quali uno avrà, nella evoluzione dell'individuo, un destino particolare: il “complesso dell'Io”. Alla nozione di Ombra non possiamo quindi dare alcuna collocazione precisa nella struttura della psiche, al contrario essa descrive un rapporto funzionale (e costantemente variabile) tra i contenuti della psiche. Secondo Jung l'Ombra non si identifica con l'inconscio personale ma in qualche modo lo comprende, come si può capire dalla seguente definizione tratta da “Psicologia dell'inconscio”:   Con Ombra intendo la parte “negativa” della personalità, la somma cioè delle qualità svantaggiose che sono tenute possibilmente nascoste e anche la somma delle funzioni difettosamente sviluppate e dei contenuti dell'inconscio personale.

Da questo punto di vista si potrebbe allora distinguere nell'Ombra, intesa come lato oscuro della personalità, due aspetti: Ombra conscia e Ombra inconscia. Quest'ultima è approssimativamente identificabile con la nozione psicoanalitica di inconscio (personale) e si costituisce prevalentemente mediante i processi di rimozione di tutte le pulsioni inaccettabili da parte dell'Io. Da un punto di vista della terminologia classica, si potrà allora dire che i contenuti dell'Ombra inconscia sono i prodotti della rimozione, mentre i contenuti dell'Ombra conscia sono occasionalmente soggetti a repressione. Il primo significato è quindi quello che considera l'Ombra come parte inferiore della personalità, dunque una parte della totalità della psiche. La più coerente accezione generale di archetipo nella psicologia analitica è quella che ne fa una funzione o forma strutturante della psiche (si ricordi a tale proposito il famoso esempio di Jung che paragona l'archetipo alle strutture secondo cui si realizza un processo di cristallizzazione e le molecole dei sali si compongono in architetture tipiche), quindi si potrebbe  definire l'archetipo come forma a priori dell'inconscio transpersonale, ereditario o collettivo, o più semplicemente, struttura fondamentale della parte collettiva dell'inconscio. Aggiungendo maggior luce alla questione, Neumann (“Storia delle origini della coscienza”) definisce gli archetipi come prodotto storico della millenaria lotta sostenuta dalla coscienza per differenziarsi dall'inconscio primitivo, esprimendo le forme della dialettica tra coscienza e inconscio, le strutture fondamentali dell'eterno dialogo che caratterizza la natura dell'uomo. L'Ombra è una istanza psichica strettamente collegata all'incontro-scontro tra inconscio e coscienza: dunque nella sua accezione di archetipo essa non può significare che struttura trascendentale del rapporto tra la coscienza continuamente emergente e la sua matrice inconscia, in una dinamica di continuo rischio e di continuo riscatto. L'Ombra è tale solo se rapportata a una qualche “luce”, è negatività in quanto c'è una positività con la quale viene messa a confronto: sarà quindi struttura categoriale del rapporto tra la coscienza e la parte inaccettabile o scarsamente accettabile della psiche e, in un significato più ampio, del rapporto tra coscienza e negatività etica. L'archetipo dell'Ombra viene attivato ogni qualvolta, nell'individuo, si produce il confronto tra elementi accettabili della psiche e il fondo inaccettabile di pulsioni istintive, aspetti arcaici e indifferenziati, tendenze contrarie al canone culturale storico. Il rapporto che esiste tra archetipo in sé e immagine archetipica può essere paragonato, con buona approssimazione, al rapporto che intercorre tra forma a priori e intuizione sensibile. Possiamo dunque considerare l'immagine archetipica come il prodotto dell'attività dell'archetipo nella sua incessante elaborazione del contenuto dell'immaginazione, o, nel campo pratico, nel suo incessante condizionamento dell'azione. Il materiale impiegato dall'archetipo nella formazione dell'immagine non può essere, in larga misura, che l'insieme dei contenuti rimossi dall'inconscio personale e l'insieme dei contenuti repressi, nonché tutto ciò che nel vasto repertorio dell'immaginazione può “allegorizzare” tali contenuti. Così spesso il sogno contiene una classica figurazione d'Ombra che dobbiamo considerare come il prodotto dell'attività dell'archetipo in sé sul materiale rimosso o represso più o meno inconscio, struttura che può essere universalmente indicata come “incontro con il negativo” (alla stessa maniera nel mito si ha l'incontro con un compagno ambiguo e spesso a contatto con forze oscure ma potenzialmente capace di aiutare l'eroe). Le tre accezioni fondamentali del termine Ombra permettono di cogliere il problema centrale connesso all'esperienza del negativo in noi. Tutto ciò che è incompatibile con la forma di vita scelta, e talvolta imposta, pur costituendo in sé una molteplicità, si fonde, nell'esperienza quotidiana, in una vera e propria “personalità” dotata di relativa e talvolta altissima autonomia. Il negativo in noi viene avvertito come realtà unitaria, e, anche se, nella riflessione, siamo capaci di scinderlo nei suoi costituenti, aspetti moralmente riprovevoli, funzioni non sviluppate o poco differenziate, elementi infantili, aspetti irrazionali e distruttivi del destini individuale, la loro fusione e la loro “personificazione” corrispondono a una precisa esperienza universale, all'inconfondibile sentimento dell'”altro”in noi. Riassumendo possiamo dire che con la prima accezione di Ombra ci viene semplicemente offerta la molteplicità del negativo, ma che questa non si unificherebbe mai in un'unità complessa senza la presenza dell'archetipo come funzione (seconda accezione) e non si renderebbe percepibile nel sentimento comune quotidiano, né nei sogni, né nei miti, senza il lavoro di simbolizzazione implicito nella terza accezione.

ALCUNI PROBLEMI CONNESSI AL CONCETTO DI OMBRA Proiezione dell'Ombra Tutto ciò che è inconscio viene proiettato, e una delle più usuali e facili proiezioni è proprio quella dell'Ombra. Le qualità inferiori e inaccettabili, i pensieri rimossi, le pulsioni ostacolate, in generale tutti gli aspetti non coscientemente vissuti dalla psiche vengono proiettati con facilità su individui che per loro natura possono costellare tali proiezioni. Le profonde antipatie ingiustificate, le idiosincrasie più irrazionali, le “fughe” stizzose di fronte a un possibile incontro umano sono quasi sempre il frutto della proiezione dell'Ombra. La “via regia” per la ricognizione della propria Ombra è il riconoscimento della proiezione avvenuta, via senza dubbio difficile e tormentosa: dalla biblica pagliuzza nell'occhio del fratello è infinitamente difficile risalire alla trave nel nostro occhio. Per chi fa una proiezione d'Ombra il problema consisterà nel riconoscere che le qualità inaccettabili attribuite al suo prossimo in realtà appartengono alla propria personalità. Il processo di ritiro dalla proiezione potrà essere senz'altro lungo e doloroso ma non comporterà in sostanza altra fatica psicologica che quella della ricognizione e dell'accettazione dell'Ombra proiettata. Dal punto di vista invece del soggetto che riceve o sopporta una proiezione d'Ombra può verificarsi una vera e propria distorsione della personalità, la quale può comportare profondo disagio psichico o anche una vera e propria sindrome nevrotica. Vi sono individui particolarmente deboli la cui “Persona” si struttura esattamente in conformità dell'ambiente sociale che li circonda. Ciò comporta un arresto del processo di maturazione e di individuazione: essi non si identificano con la propria Ombra ma con l'Ombra che vien loro proiettata addosso. Basta pensare alle difficoltà incontrate da talune personalità a stabilire una valida difesa contro la pressione esercitata da personalità più forti, in realtà umane più prossime come struttura familiare, scuola, ambiente sociale. Un simile meccanismo può comportare un'erronea svalutazione delle proprie funzioni naturalmente più differenziate e una corrispettiva erronea valutazione delle proprie funzioni inferiori. Queste ultime vengono allora assurdamente poste in luogo degli aspetti positivi della personalità e tale capovolgimento dei valori individuali conduce a un'esistenza intimamente falsa e a una sorta di atrofizzazione delle proprie funzioni psichiche. Solo quando il soggetto si è liberato dalla distorcente proiezione d'Ombra su di lui esercitata dall'esterno, egli sarà libero di iniziare la

ricognizione della sua vera Ombra e di incamminarsi così sulla via dell'autentico processo di individuazione.

Ricognizione dell'Ombra Poiché gran parte dell'Ombra è inconscia, saranno l'analisi delle proiezioni e del materiale onirico che porteranno a poco a poco in luce gli aspetti inferiori della personalità e le funzioni scarsamente differenziate, prodotti distorti come ad esempio i sentimentalismi al posto dei sentimenti, gli intellettualismi al posto dei pensieri coerenti e responsabili, ecc. Per la parte conscia dell'Ombra può rivelarsi utile quella che Jung chiama la “confessione autentica, sgombra di ogni restrizione mentale”. La ricognizione autentica dell'Ombra ha un indubitabile valore catartico, anche se non comporta di per sé quell'”assunzione” dell'Ombra nella rinnovata dinamica psichica in cui consiste propriamente solo l'”integrazione dell'Ombra”.

Scissione dell'Ombra Si deve contemplare la possibilità negativa della ricognizione dell'Ombra: il rifiuto più o meno totale dell'Ombra. In questo caso l'Io arretra spaventato di fronte alla rivelazione della parte inferiore della personalità, non può riconoscersi nelle proiezioni esercitate, né può ammettere che funzioni fondamentali della psiche siano rimaste allo stato arcaico o si siano comunque poco differenziate. Il soggetto allora, per così dire, amputa da sé la propria Ombra, e si condanna a vivere una vita psichica parziale, forzatamente ridotta alla parte in luce della personalità. L'Ombra viene abbandonata al negativo, ed è forzata a vivere di una vita autonoma, senza relazione con il resto della personalità. Ogni processo di maturazione è impedito. Un esempio famoso di rifiuto e amputazione dell'Ombra viene fornito in sede letteraria dal popolare racconto di Stevenson, Il dottor Jeckyll e Mr. Hyde, in cui il virtuosissimo Dottor Jeckyll, nell'incapacità di riconoscere e integrare la parte inferiore della personalità (vittorianamente intesa come somma di pulsioni istintive più o meno bestiali), è costretto a vivere una doppia vita, duplicandosi nella sua orribile Ombra, ormai autonomizzata e resa pertanto incontrollabile da parte dell'Io.

Identificazione con l'Ombra L'identificazione con l'Ombra è, in un certo senso, il calco negativo del momento della scissione dell'Ombra. Il destino dell'uomo identificato con la propria Ombra è un destino tragico, di una tragicità statica, non dinamica: l'energia psichica è in lui bloccata o circola solo a livelli inferiori e dinamizza solo le parti buie della personalità.

Integrazione dell'Ombra L'integrazione dell'Ombra è un momento fondamentale del processo di individuazione e la condizione di ogni ulteriore conquista sul terreno della maturità psicologica. Il termine “integrazione” va qui inteso nell'accezione di “includere, in modo organico, qualcosa in una più ampia entità”. L'inclusione non deve essere intesa come una mera “aggiunta”, ma come un processo che implica la necessità della ristrutturazione della più ampia entità nei confronti della quale si opera l'aggregazione di una nuova parte, alla stessa maniera in cui in fisica l'aggiunta di un nuovo magnete a un campo magnetico comporterà il mutamento di tutte le linee di forza che costituivano il campo stesso. Mentre la mera ricognizione dell'Ombra fornisce solo i dati cognitivi del problema, l'integrazione comporta una radicale trasformazione del rapporto Io-Ombra e la conquista di una nuova polarità dinamica e creativa tra il conscio e la parte oscura della personalità. Jung fornisce un'immagine della psiche come di una molteplice corrente energetica che in tanto può sussistere in quanto esistono i poli o le differenze di potenziale entro cui l'energia stessa si stabilisce. In quest'ottica l'integrazione dell'Ombra consiste appunto nell'assunzione del negativo alla dignità di polo di un campo energetico. Solo in tal modo l'energia che andava prima dispersa nell'Ombra non riconosciuta o rifiutata diviene disponibile all'Io. L'Ombra è quello che in noi non può essere risolto in valore collettivo: la vera individualità, la singolarità irripetibile, i cui profeti moderni sono Kierkegaard e Dostoevskij, risiede nell'Ombra. Nel momento in cui assume l'Ombra nella dinamica psichica, l'uomo accetta di individuarsi, accetta di essere un “singolo”, assumendo coraggiosamente la propria singolarità e innalzandola a strumento della vita morale. L'Ombra, condizione dinamica continuamente da instaurare e recuperare, è la vera porta di accesso a ogni processo di sviluppo psicologico. Potremmo dire che il significato profondo di un'esistenza autentica sta nel continuo riscatto dal rischio della perdita della polarità tra l'Io e l'Ombra, questo rischio comportando da una parte la ridiscesa nell'Ombra e dall'altra la banalizzazione e la sterilizzazione della vita morale che da esistenza autentica e individuale si converte in mero accozzo di moralismi collettivi.

Ombra e male: inesauribilità del tema Se nel suo aspetto personale l'Ombra può essere considerata la somma del negativo nell'individuo, nel suo aspetto sovrapersonale l'Ombra è il negativo tout court , è il male. Nell'opera di Jung si nota appunto questo progressivo passaggio da una concezione personale dell'Ombra a una concezione sovratemporale, universale della stessa. Non è possibile esaurire sia pur sommariamente questo aspetto del problema dell'Ombra: come in sede etica e metafisica il problema del male è in realtà il problema di fondo se non il problema unico, così nella psicologia del profondo esso costituisce un polo inevitabile di orientamento di ogni ricerca. Lo psicologo deve ammettere che la totalità, cioè l'integrazione reciproca di tutti gli aspetti della psiche, l'attivazione dei campi energetici tra conscio e inconscio, non è raggiungibile se non attraverso la considerazione del male, la sua accettazione e la sua integrazione. Qui si aprono i problemi fondamentali di Ombra come “peccato” e di Ombra come aspetto negativo del destino. Nel primo caso si potrà qui solo dire che il difficile sta nell'evitare, da una parte, l'identificazione con il male, dall'altra, il diniego moralistico del “peccato”.  In entrambe le situazioni viene persa di vista la via dell'individuazione e non si è capaci di innalzarsi al livello di dialettica necessario, o si consuma ogni energia psichica nel rifiuto moralistico del proprio “peccato”, senza rendersi conto che proprio in questo si annida il senso dell'individualità profonda. Il processo di individuazione vuol dire dialettica degli opposti e soluzione singolare, unica, irripetibile del conflitto. Una frase di Jung è particolarmente significativa a tale proposito:         Si può mancare non solo la propria felicità, ma anche la propria colpa decisiva senza la quale un uomo non raggiungerà mai la propria totalità. Il problema dell'Ombra è anche il problema della colpa: occorre solo saper distinguere tra colpa inautentica e colpa autentica e “individuante”.

SOGNI Il materiale onirico è, in genere, ricchissimo di figurazioni concernenti l'uno o l'altro dei tipici atteggiamenti assunti dall'Io nei confronti dell'Ombra. Così si possono facilmente rintracciare figurazioni oniriche relative a problemi di proiezione dell'Ombra, oppure relative a problemi di ricognizione dell'Ombra, agli atteggiamenti di scissione e di identificazione, e infine al problema centrale dell'integrazione dell'Ombra. Per quanto si debba esser cauti nell'interpretazione dei sogni, è spesso ipotizzabile con un largo margine di sicurezza una utilizzazione di figurazioni a carattere archetipico.

ILLUSTRAZIONI LETTERARIE Poiché l'incontro, il conflitto, il rifiuto o l'integrazione dell'Ombra costituiscono momenti eterni della dinamica psichica, la letteratura di tutti i tempi e di tutte le lingue ha fornito abbondanti illustrazioni della fenomenologia dell'Ombra. In una delle più antiche saghe dell'umanità, nelle tavole babilonesi dell'Epopea di Gilgamesh, il cui nucleo centrale risale almeno al terzo millennio, troviamo appunto una esemplificazione chiarissima della problematica in questione. Per il problema dell'Ombra tanto Jung che i suoi interpreti ricorrono spesso alle note esemplificazioni letterarie del Mefistofele goethiano, del Peter Schlemihl di Chamisso, del Pescatore e la sua ombra di Wilde, del dottor Jeckyll di Stevenson, della Donna senz'ombra di Hofmannsthal, del Lupo della steppa di Hesse. Il tema della dualità tra l'Io e la diabolica tenebrosità che gli é sottesa è così caro ai romantici che si può dire che tutto un filone della loro poetica può essere riassunto nell'appassionata ricerca del “fratello oscuro” in noi, o, per converso, del dramma dell'insorgere improvviso e travolgente di questo ospite tenebroso e del conseguente naufragio dell'Io. Il romanzo di Hoffman “Gli elisir del diavolo” è particolarmente interessante per la rara evidenza delle situazioni archetipiche e la straordinaria pertinenza del materiale simbolico impiegato.  In questo racconto l'Ombra, l'oscuro alter ego, è dotata di una immensa autonomia e può possedere completamente e sommergere la parte conscia e responsabile del protagonista, Medardo. Costui è, di volta in volta, o identificato demoniacamente con l'Ombra, o particolarmente ignaro della sua parte abissale e pericolosa. La seduzione e, d'altra parte, il limite della narrazione, consistono tutti in questa continua oscillazione di Medardo tra una identificazione con gli aspetti positivi della personalità (e conseguente amputazione radicale dell'Ombra) e l'annegamento dell'Io nella parte oscura della personalità. Questo progenitore del dottor Jeckyll è in realtà assai più sottile del suo epigono vittoriano. Il dottor Jeckyll conosce solo l'amputazione e l'autonomizzazione dell'Ombra: di tanto in tanto questa, scissa dall'Io, percorrerà i bassifondi di Londra seminando terrore sotto le spoglie di Mr Hyde. L'eroe di Hoffmann dispone invece di una serie quasi infinita di meccanismi di sostituzione, identificazione parziale o totale, oblio e anamnesi del lato oscuro, fuga e contaminazione. Un personaggio secondario che merita di essere segnalato in questo romanzo è il barbiere Belcampo, che si presenta sempre come salvatore in situazioni che sarebbero altrimenti inevitabilmente insolubili, e che pare conoscere profondamente l'anima di Medardo: esso rappresenta il “trickster”, il dio briccone, mezzo furfante e mezzo clown, paradossalmente vile e coraggioso insieme, furbo e ombroso, capace di maledetti tiri birboni e al contempo vero e proprio salvatore, un dio antichissimo che forse, secondo Radin (Radin, Jung, Kerényi, Il briccone divino) è

la matrice originaria di ogni aspetto del sacro. Gli etnologi hanno messo in rilievo la complessità fenomenologica del trickster nei miti degli indiani Winnebago. Kerényi ha mostrato che l'apparizione più pertinente di questo dio è da ricercarsi in certi aspetti di Ermes, dio sorprendente per l'imprevedibilità degli atteggiamenti e per l'innata disposizione allo scherzo, e insieme dio guaritore e salvatore per eccellenza. Jung dimostra che il trickster altro non è che un aspetto assai cospicuo della fenomenologia dell'Ombra e talvolta non esita addirittura a porre la netta equazione trickster = Ombra. Esso può essere inteso come il polo positivo e assimilabile dell'Ombra, o meglio come il punto di accesso per mezzo del quale l'Io può iniziare il recupero e l'assimilazione dell'Ombra. Rovesciato nel negativo, regredito agli aspetti più arcaici e meno assimilabili, il trickster ricompare in certi paradossali personaggi kafkiani, come i due inservienti nel Castello, le cui pazzie e disonestà fanno disperare il protagonista, il quale, però, sembra essere consapevole che la loro presenza disperante lo connette appunto al Castello. Anche la prosa di Conrad non può esaurirsi in una lettura meramente realistica: nei suoi scritti s'intravvedono ampie figurazioni simboliche, allusioni più o meno esplicite a grandi drammi della vita psichica. Racconti notissimi come Tifone e Gioventù o come La linea d'ombra e Il compagno segreto non fanno che sviluppare quel particolare momento dell'esistenza in cui, al termine della propria giovinezza, l'individuo è costretto a confrontarsi per la prima volta con l'impegno del vivere, con il passaggio dallo stato di puer alla virilità responsabile. Il giovane eroe conradiano si incontra con un aspetto paradossalmente negativo e creativo del destino: la maturità che lo attende dipende in un certo senso dalla reazione del giovane di fronte a questo aspetto della sorte personale, o, meglio, dalla sua capacità di integrarlo. Può apparire curioso che Conrad abbia intitolato La linea d'ombra quello che forse è il più suggestivo dei suoi racconti: tale espressione intende quell'irrevocabile passaggio tra la prima giovinezza e la maturità in cui appunto il negativo del destino ci si palesa come una forza individuante di fronte alla quale l'unico nostro vero peccato sarebbe il rifiuto e la fuga. Il racconto Il compagno segreto non è più che una novella marinaresca animata da sapiente suspence poliziesca, ma chiunque si lasci afferrare dalla narrazione percepisce l'inequivocabile allusività della pagina, la sua capacità di riferirsi simbolicamente a una vicenda universale ed eterna: appunto l'agnizione e l'integrazione dell'Ombra, l'intuizione e l'accettazione profonda dell'”altro in noi”, dell'oscuro fratello.

 

Capitolo 2

TRE CONTRIBUTI ALLA FENOMENOLOGIA DELL'OMBRA

(Augusto Romano)

INTRODUZIONE L'Ombra ontologica Generalmente umana è l'esperienza della bipolarità e del contrasto: vi  sono una destra e una sinistra, un alto e un basso, e così via. Tale modo di sperimentare la realtà sembra corrispondere all'esigenza di distinguere e separare, di “mettere ordine” nella varietà indifferenziata dei fenomeni, portando a moti di attrazione o repulsione che implicano un giudizio, un si o un no. La luce e l'ombra sono i termini che esprimono meglio, riassuntivamente, questa ripartizione del reale in due classi: ciò che è nostro e ciò che è alieno ma pure esiste ed, esistendo, rappresenta l'ostacolo e il problema con cui siamo chiamati a confrontarci. L'esperienza dell'Ombra è, in termini generali, l'esperienza del diverso, del non familiare, nel senso di estraneo a ciò che comprendiamo e amiamo. L'Ombra esprime la non onnipotenza e non onniscienza dell'uomo, e cioè la resistenza offerta dalla realtà, il limite alla comprensione e all'azione, tutto ciò che minaccia la consistenza dell'Io. Questa esperienza della finitudine non riguarda solo ciò che proviene dall'esterno, ma passa anche all'interno dell'individuo: è la finitudine di un uomo cosciente, che sente come inammissibile ciò che è fuori dalla coscienza, l'inconscio nella sua “indomita selvatichezza”. Il motivo del dualismo nella storia delle religioni rappresenta la proiezione di questo problema: sebbene descritto come inferiore al Dio buono, e per quanti i miti cerchino di liberare il Creatore dalla responsabilità dell'origine del male, assai sovente il principio negativo viene concepito come in grado di limitare positivamente il dominio di Dio, fino al punto che questi risulta impotente a creare o a finire il mondo senza l'aiuto del diavolo e costretto a venire a una divisione dei poteri con l'avversario. E' comprensibile che in tale visione si faccia strada l'esigenza di recuperare uno stato di non opposizione: è il mito del Paradiso terrestre che in forme diverse continuamente emerge nella coscienza individuale e in quella collettiva. La più diffusa versione mondana e nevrotica del mito paradisiaco nasce dall'odio per la realtà e il presente e viene vissuta come ricerca di un “altrove” che continuamente si consuma nell'insoddisfazione: è l'evasione nevrotica, la fuga davanti a sé stessi, il vagheggiamento di paradisi artificiali, realizzata attraverso l'immaginazione non disciplinata e il travestimento. Ma gli opposti non si risolvono certo così, anzi la loro tensione si acuisce, e il problema del confronto doloroso tra l'Io e ciò che gli si oppone persiste in tutta la sua intensità. E' appunto questa esperienza universale del dualismo il generale supporto archetipico dell'Ombra.

L'Ombra come disvalore Accanto a un'immagine amabile, la divinità ne rivela una terribile: entrambe le appartengono e non esiste una legge che regoli, e renda quindi comprensibile, la loro alternanza. Nell'interpretazione psicologica di Jung, il passaggio dal Vecchio al Nuovo Testamento, dal Dio della Bibbia al Dio del Vangelo, è specchio di una progressiva e faticosa crescita e differenziazione della coscienza, attraverso cui il Dio biblico assume consapevolezza delle proprie contraddizioni e accetta di assoggettarsi a un codice morale. Contemporaneamente Satana, il “figlio tenebroso”, perde il favore divino e viene esiliato, cosa che suscita in lui la gelosia e il desiderio di incarnare il “dio oscuro”. Il lato tenebroso della divinità inizia da questo momento una vita autonoma. La lettura che Jung fa in questa chiave dell'Apocalisse rivela “l'esplosione di sentimenti a lungo rimossi e accumulati”, non diversamente da quello che può essere osservato molto sovente in persone che pretendono di raggiungere la perfezione. Il dramma divino è la proiezione in una dimensione atemporale della vicenda umana, del combattuto emergere della coscienza e della formazione di un sistema di valori. Il problema del valore si pone infatti non appena la psiche comincia a svincolarsi da un funzionamento puramente istintivo. La necessità di una regola, di un sistema di comandi e proibizioni che si oppone alle esigenze istintive, limitandole, è inerente al funzionamento stesso della vita sociale, la quale, a sua volta, è indispensabile per la sopravvivenza dell'uomo. Il contenuto delle norme può variare, è un fatto storicamente e geograficamente condizionato, ma che una regola, quale che essa sia, esista, appartiene propriamente alla natura dell'uomo. Darsi una regola significa identificarsi con certi valori e rifiutarne altri, e significa anche esporsi al senso di colpa, che è il costo dell'inosservanza e la cui funzione è quella di mantenere viva la tensione verso il valore. A questo punto il palcoscenico è pronto per l'apparizione dell'Ombra intesa come disvalore (“ciò che l'Io non vorrebbe essere”). Nel dramma divino il demonio (Satana vuol dire “nemico”, “colui che si oppone”) pur se rifiutato, persiste nella sua azione. Analogamente occorre chiedersi cosa avvenga di tutte le tendenze incompatibili con i valori accettati dall'Io (comprese le funzioni non sviluppate) e perciò rifiutate, rimosse dalla coscienza. Esse vanno a costituire quello che Jung chiama “inconscio personale” e rappresentano una costante provocazione nei confronti dell'Io, cui spetta l'ingrata funzione di mediare le sollecitazioni che provengono dal mondo dei valori collettivi con quelle che provengono dalla parte “oscura” e inaccettabile.

La risposta all'Ombra La responsabilità dell'Io è quella di prendersi carico della propria Ombra, di “fare qualcosa” del negativo che è in lui senza pretendere semplicemente di abolirlo. Ma prima di assumersi un compito così arduo, che richiede un cambiamento dell'atteggiamento verso se stessi e verso il mondo e quindi una trasformazione della personalità, l'io cerca le strade che possano offrire minore resistenza, con conseguenti risposte parziali e inefficaci alla sfida che dall'oscurità viene lanciata all'orgogliosa coscienza.

La perdita dell'Ombra Ciò che “é rimosso ha le maggiori probabilità di continuare a esistere”. Perdere l'Ombra significa appunto relegare nell'inconscio tutto ciò che è incompatibile con l'insieme dei valori coscienti che l'individuo è andato assumendo nella sua formazione. L'Ombra perduta non è più nostra: noi non la vediamo più. Non essendo più nostra, essa diventa autonoma e si comporta come un complesso inconscio. Se è vero che l'assunzione di una norma autolimitatrice è fondamentale per lo sviluppo dell'individuo e della collettività, in quanto constatazione che i beni possono essere acquisiti solo a prezzo di certe rinunce, è altrettanto vero che privilegiare in modo esclusivo l'elemento “spirituale” rende disfunzionale il sacrificio in quanto abbandona l'aspetto “animale” a se stesso. Per legge di compensazione, quanto più è intensa l'identificazione dell'Io con il mondo dei valori collettivi, tanto più il polo opposto, divenuto inconscio, si carica di energia. Si determina allora una dissociazione della personalità totale che dà luogo a fenomeni caratteristici. Innanzitutto l'Ombra agisce ma non è percepita come tale dall'Io: agisce attraverso l'Io ed è responsabile di comportamenti impulsivi che sono in contrasto con i valori e i propositi dell'Io (questa opposizione Io-Ombra viene ben espressa attraverso l'espediente dello sdoppiamento nel Sosia di Dostoevskij). Al verificarsi di tali comportamenti, l'Io si difende di fronte alla dissonanza che essi rappresentano sia mediante un disarmante stupore per ciò che viene considerata come una semplice intermittenza nel regolato corso degli eventi, sia con processi di razionalizzazione, sia infine con il rapido oblio. Dove l'Ombra è molto attiva, essa è paragonabile a un folletto produttore di equivoci. Difatti, da un lato il mancato riconoscimento dell'Io è responsabile di una imperfetta conoscenza di se stessi,  dall'altro l'azione dell'Io, cioè il suo trasformarsi in comportamento, provoca una divergenza tra l'immagine che l'individuo ha di se stesso e quella che di lui si forma l'ambiente circostante. Infine un ulteriore equivoco nasce dalla differenza tra la valutazione che di certe azioni altrui dà l'individuo proiettivo e quella che ne viene data da chi le compie o da terzi. Tutto ciò determina una straordinaria difficoltà di comunicazione interpersonale. Proiettare l'Ombra significa attribuire ad altri caratteristiche che rifiutiamo in noi: é dunque un modo per esorcizzare ciò che ci fa paura, ciò che ci tenta, separandolo da noi, incarnandolo in altre persone e nei principi di cui facciamo portatori queste persone, permettendoci così di odiare negli altri ciò che non potremmo odiare in noi.  Questo meccanismo si presta a estensioni collettive, basti pensare alla nozione di capro espiatorio e alle proiezioni del “male” su intere comunità e nazioni. Più è inconscia, più l'Ombra diventa il nostro burattinaio. Nella proiezione tutto il male sta fuori, ma la spia che questo male ci appartiene sta nella sua insopportabilità, nella emozionalità con cui lo critichiamo negli altri, che assumono in questi casi la qualità di specchi nei confronti dei nostri tratti negativi. L'individuo proiettivo è un isolato, al quale è inibita la possibilità di un rapporto autentico con l'altro, ed è un infelice, poiché a lui si applica il ben noto principio della “profezia autoavverantesi”. Nella misura in cui ci sentiamo perseguitati dall'ostilità esterna, e ce ne difendiamo, facilitiamo l'emergenza negli altri di reali sentimenti di ostilità: alla fine la realtà diventa ciò che noi vogliamo che sia.

L'inflazione da Ombra La rimozione dell'Ombra comporta l'immersione nell'inconscio del polo negativo, il disvalore, è cioè un tentativo di abolire la tensione tra le due istanze psichiche: Un tentativo di segno opposto ma strutturalmente analogo è quello di identificarsi con l'Io: i contenuti dell'Ombra diventano il valore. L'atteggiamento luciferino, il disprezzo per le esigenze collettive, l'individualismo estremo, la rivendicazione orgogliosa di una incondizionata unicità sono segni di questo tentativo di evadere dalle responsabilità che l'esistenza dei contrasti pone. Questo darsi al male può essere definito uno scegliere sé stesso “nel senso del suo essere-fatto-così ed esser-diventato-così”. Quando l'Ombra é in stato di rimozione l'individuo “cade” nel male; nel caso di inflazione invece, incapace di sopportare la lacerazione inerente alla condizione umana, bisognoso di conferme ininterrotte, l'individuo sfugge alla dialettica degli opposti: decide che è possibile esser quello che si vuole e volere quello che si è. Un esempio illustre di questa identificazione con l'archetipo negativo è offerto dall'opera del marchese de Sade. L'ironia, il sarcasmo, la riduzione sistematica di ogni tipo di comportamento a moventi indegni sono gli strumenti di cui si avvale l'invasato. Del resto non a caso l'ironia, o almeno un certo tipo di ironia, è un mezzo per evitare di prendere contatto con il problema, abolendolo magicamente.

Il contatto con l'Ombra Mediante l'analisi dei sogni (nei quali l'Ombra appare sovente come un personaggio dello stesso sesso del sognatore) e l'analisi del transfert, è possibile prendere coscienza, con stupore e disagio, dei contenuti dell'Ombra. Quando l'Io comincia a fare esperienza di ciò che significa “sopportare” con umiltà la propria Ombra, la strada si apre all'integrazione, consistente nell'accettazione della bipolarità etica e quindi nella fondazione di una morale personale. Occorre che l'Io cambi atteggiamento nei confronti delle istanze contenute nell'Ombra: tale cambiamento consiste nell'accettazione della stessa, la quale, da figura parassitaria, deve diventare interlocutrice nel dialogo inesauribile tra esigenze del mondo collettivo ed esigenze individuali. Come osserva Jung, occorre “accettare una buona volta il conflitto (la “croce”) con tutte le sofferenze che inevitabilmente comporta; in caso contrario il conflitto non potrà mai essere risolto”, ossia “un nemico visibile è sempre preferibile a un nemico invisibile”. Porsi con serietà il problema dell'Ombra significa passare da uno stato di non decisione, stretti fra gli imperativi della moralità collettiva e gli assalti dell'inconscio, a una condizione in cui la vita assume un significato individuale. A questo punto l'Ombra cambia configurazione: se prima rappresentava il negativo, ciò era perché questo ruolo le era stato attribuito dalla coscienza in un'obbligata divisione delle parti. Essa non poteva pertanto che comportarsi negativamente, disturbando, imponendo la propria presenza nei soli modi che le erano consentiti. Ma nel momento in cui la coscienza si pone in ascolto, è la voce del creativo che si fa strada: Quando l'Ombra viene accettata, l'energia sequestrata dall'inconscio viene nuovamente resa disponibile per la coscienza e, sebbene non sia un processo definitivo, può essere utilizzata per produrre nuovi valori, per ampliare la personalità. L'Ombra non è più isolabile, non è più il negativo, anche se di fatto, in molte occasioni, continua a rappresentarlo. Ciò che conta è la relazione tra le due parti. Nella situazione precedente invece il rapporto Io-Ombra era caratterizzato dalla staticità, entrambi recitavano parti non coordinate. Ora il “male” acquista senso e può essere redento: è soltanto attraverso l'esposizione al rischio di sbagliare e l'abbandono della convinzione di sapere “cosa occorre fare” in ogni occasione che le tenebre possono convertirsi in luce. In termini mitologici questo significa appunto prendere su di sé l'ambivalenza della divinità, creativa e distruttiva, terribile e amabile, e saper rinunciare a identificarsi con l'uno o l'altro aspetto. Proprio la mitologia può aiutarci a vedere cosa c'è dentro l'Ombra, la commistione di felicità creativa, di invenzione e naturalezza e al tempo stesso quel tanto di sfuggente, di grezzo, di disturbante che le è proprio. Jung ha dedicato a Ermes pagine di grande efficacia (Jung, Lo spirito mercurio): fondamentalmente amorale, egli è però l'immagine di quella vitalità detta “mercuriale” legata all'idea della fecondità naturale e possiede la “naturale indivisibilità”. Gli etnologi hanno definito questa figura il “trickster”, “colui che gioca dei tiri”. Il suo è un fare prima della coscienza, contrassegnato da grande potenza, che si può anche tradurre in violenza, crudeltà, inganno e furbizia (soprattutto quando si tratta di soddisfare i bisogni primari: esuberanza sessuale e appetito famelico sono tipici del trickster). Esso non conosce regole e appare impulsivo, sconsiderato, al di qua del bene e del male, anche se la sua irreflessività lo rende goffo, “infantile”, a tratti stupido e incapace (Radin, Jung, Kerényi, Il briccone divino). Nell'Ombra c'è tutto questo, energia, collegamento con l'origine, difficoltà di coordinamento con le regole della vita quotidiana, gioco e avventura, invenzione, disordine, rischio della dismisura e del dissolvimento. E' con questo eroe della bricconata, questa irritante mescolanza di divino e animale, che occorre fare i conti, anche se saremmo portati a tentare di ridurlo al silenzio. Certo non lo si può accettare così come si presenta, ma al tempo stesso non si può non riconoscerlo e non dargli spazio: è nel rapporto con l'Ombra-trickster, e dal conflitto che questo rapporto comporta, che può iniziare la realizzazione autonoma dell'individuo. Testi segnalati sul tema dell'Ombra sono “L'anima buona del Sezuan” di Bertolt Brecht, “Benito Cereno” di Herman Melville e “Aspettando Godot” di Samuel Beckett.

 

Capitolo 3

 OMBRA: METAFORA E SIMBOLO

(Mario Trevi)

LA METAFORA DELL'OMBRA L'uso linguistico del termine ombra rimanda a molteplici significati. Innanzitutto l'ombra è l'immagine oscura proiettata da un corpo opaco che si ritrovi esposto alla luce: senza di questa l'ombra non avrebbe esistenza. Per di più, in quanto “ombra proiettata”, l'ombra si costituisce come ciò che toglie qualcosa allo spazio luminoso: prima dell'astrazione razionale successiva all'intuizione sensibile che costituisce l'ombra come appannaggio del corpo opaco esposto alla luce, l'ombra è una “luce tolta” o un venir meno alla luce. Da qui il passaggio a un'altra accezione dell'ombra, quella di zona di oscurità, mancanza di luce, tenebra. In questa prospettiva, almeno per un momento, noi riusciamo a concepire una tenebra senza dover per necessità pensare alla luce, anche se in realtà la dualità si ricostituisce quasi immediatamente. Ombra è anche la parte di un corpo che non è direttamente colpita dalla luce, inevitabile condizione di ogni cosa che è nella luce. Nel campo della pittura l'ombra è il tono oscuro che sottolinea ed esalta la parte non direttamente colpita dalla luce: qui l'ombra non è privazione ma è il contrassegno che permette l'emergere della figura, della corposità, dello spessore, del contrasto. In pittura l'ombra è indispensabile quanto il silenzio nella musica: è l'intervallo che permette la lettura della luce. Il campo della visione offre un'altra accezione dell'ombra: diciamo che “nel buio possiamo vedere solo ombre” per indicare che scorgiamo solo la linea che definisce e circonda le cose e le persone: la figura è ridotta al suo profilo, tuttavia ancora differenziata dal resto del campo visivo. Siamo in presenza dell'ombra che “definisce”, che delimitando permette di cogliere, di differenziare. L'ombra è inoltre il luogo nascosto dove non si può gettare lo sguardo: “si trama nell'ombra” o “si resta nell'ombra”. L'ombra ha un'ambigua topografia morale: tanto il riserbo quanto il tradimento possono servirsi dell'ombra, così come la fiducia e il sospetto, dando all'ombra l'accezione di “riparo” in quanto luogo. Un uomo può vivere “all'ombra” della legge, della fede, ma è proprio qui che l'interscambio tra ombra e luce si fa più sensibile, poiché possiamo anche vivere “nella luce” di una fede, di una ideologia e via dicendo.

LEGITTIMITA' DI UNA METAFORA L'Ombra è legata all'esperienza del valore, quest'ultimo con la sua relatività, il suo perenne mutare nel corso della storia, delle culture, nell'arco delle singole esistenze. Ogni mutamento del valore comporta un mutamento dell'Ombra, essi sono come poli di un magnete: si ricostituiscono perfettamente integri a ogni nostro tentativo inteso a separare l'Ombra dal resto, a “togliere via l'Ombra”. L'Ombra rimarrà sempre ciò che può essere configurato solo con un'immagine, essendo una metafora comprensiva gremita di contenuti e di riferimenti. Ridurre l'Ombra a “male”, ad esempio, è identificarla con uno dei suoi contenuti, è impoverirla come esperienza emotiva: essa è densità immaginale e corposa, è peso, è presenza. Possiamo “riferirci” a un valore, al Vero, al Buono, ecc, ma “abbiamo” un'Ombra.

Come già detto un corpo “ha ombra” perché riceve luce da una sorgente di luce esterna a lui. Possiamo anche dire che un corpo opaco ha parti “in” luce e parti “in” ombra: “abbiamo” un'ombra, il resto “viene” illuminato. Non importa che la luce venga da Dio, dalla società, dalla cultura o da una somma di valori, l'individuo deve fare i conti solo con l'Ombra che deriva da quella luce non sua. Avere esperienza di noi è esperirci con un'Ombra, sapendo che essa tende a dissimularsi o a ingigantire fino ad annichilirci. La metafora dell'Ombra può servire da fonte a molte esperienze o a prodotti culturali: oltre ai sogni, anche fiabe, miti, racconti, romanzi e via dicendo, e sempre, in ogni caso, non intacca la natura di ciò a cui si accosta. La metafora dell'Ombra ricerca un punto nodale e nascosto dell'esperienza, e toccato quel punto essa si ritrae: l'esperienza ora “riesce” a parlare.

OMBRA, LIMITE, DEFINIZIONE Dal punto di vista della relazione con noi stessi, l'Ombra si scinde in due aspetti complementari: da una parte è quel che siamo e che non vorremmo essere, dall'altra ciò che non siamo e che vorremmo essere. Essere coscienti di sé è vivere in questo duplice spiazzamento. Anche dal punto di vista della relazione con gli altri l'Ombra si scinde in due: da una parte è ciò che siamo e non vorremmo che apparisse, dall'altra è ciò che non siamo e che vorremmo che in qualche modo apparisse. Va da sé che nel campo delle amicizie e dell'amore, quando “non devo nascondermi”, la differenza dell'essere e dell'apparire tende a ridursi al minimo e ad annullarsi. Il nascondersi appartiene all'ordine del possesso: mi nascondo perché ho paura di perdere l'altro. Ovunque il possesso si sostituisce all'amore siamo di nuovo posti di fronte ai nostri limiti non accettati, ritorna l'esperienza del rifiuto e della mancanza. Sia nel rapporto con noi stessi che con gli altri l'Ombra è quindi allo stesso tempo peso e mancanza. Soffro dei difetti che non posso togliermi, e soffro delle virtù che non ho. Non importa rispetto a quali ideali e a quali valori difetti e virtù si costituiscano come tali, posso sottrarmi a una cultura accettandone un'altra, non è mutando ideale che faccio scomparire l'Ombra. Quello che è propriamente mio non sono i valori, ma è l'Ombra, e su questa devo lavorare. Posso tentare di allontanarla, ma dovrò presto fare i conti con lei, so perfettamente che non avere un'Ombra è un ideale infantile. Perché qualcosa di me sia in luce devo accettare l'Ombra, devo confrontarmi con questo nemico. Ho un solo mezzo per farlo: assumere l'Ombra non come un limite ma come una “definizione”, non come ciò che manca ma come il confine che mi definisce. Dove apparentemente “viene meno” la luce che vorrei avere, proprio là io riconosco il mio confine e la mia definizione. Io sono propriamente me stesso là dove incontro la mia Ombra e la assumo come ciò che mi differenzia e mi definisce, da oscurità e mancanza devo farla diventare profilo, linea di contorno, confine. In questo passaggio da limite a confine l'Ombra non perde certo i suoi connotati, il suo peso rimane tale, ma ora tale peso ha un senso. Assumo quindi i dati originari che mi sono stati consegnati dall'esterno, quali il destino, il caso e anche il corpo, come ciò che, nonostante tutto, mi è proprio, mi circoscrive e mi dà forma. O meglio, ciò che mi fornisce quella forma sulla quale io posso lavorare plasmandola, ma senza la quale ogni ulteriore forma sarebbe impossibile.

OMBRA, OSTACOLO, TRASFORMAZIONE L'operazione che permette di convertire l'Ombra da limite a definizione è una tipica operazione simbolica: scopriamo il punto prospettico che ci permette di riconoscere l'Ombra come forma, non

come corrosione della forma. Ora l'Ombra non si limita a esserci, ma mi mette in moto, mi spinge, mi pungola, mi “assilla”, ma non più perché vorrei che non ci fosse o non si manifestasse, ma perché determina un movimento a cui non posso sfuggire. La meta del movimento sono io stesso, qualcosa verso cui muovermi e verso cui sento di trasformarmi. L'Ombra si pone, in questa prospettiva, come ostacolo da superare, mai come peso o zavorra. Costante rimane la tentazione di perderla di nuovo di vista, di farla tornare in quel buio totale che mi legittima a ignorarla. Come ostacolo l'Ombra si ripropone incessantemente, la simbolica onirica dell'Ombra è eloquentissima a questo proposito: devo accettare la lotta con un compagno sconosciuto che non a caso ha molte delle mie caratteristiche. La lotta può essere leale o sleale, giocosa o atroce, in ogni caso rivela sempre qualcosa di me stesso, mi conduce dove non voglio andare e dove, al contrario, io ho l'unica possibilità di riconoscermi per quello che sono. Le fiabe sono ancora più esplicite in proposito. Apparentemente abbiamo due visioni opposte e inconciliabili, una statica e una dinamica. Nella prima io riconosco l'Ombra come costitutiva della mia stessa definizione e la accetto come aspetto inevitabile della mia fora. Nell'altra io riconosco l'Ombra come ciò che mi sospinge verso una meta tanto chiara quanto irraggiungibile, quel me stesso che continua a spostarsi più lontano a ogni mio sforzo di raggiungerlo. In realtà ricononosciamo che sono due modi di visualizzare una stessa realtà: essere e diventare sono la traduzione in parole di immagini, il risultato di nostri ineliminabili bisogni astrattivi. L'immagine che unifica i due opposti è la primordiale e ricorrente esperienza dell'Ombra: è lei che ci fa essere ciò che siamo e ci fa muovere verso ciò che saremo.

L'AGNIZIONE DELL'OMBRA L'Ombra può incombere opprimente e minacciosa sul nostro orizzonte, “togliendo” grande spazio alla luce, “oscurandoci”, oppure può sottrarsi del tutto alla nostra vista, ingannandoci col suo nascondimento. L'Ombra incombente e visibile può infastidirci o paralizzarci, ma solo l'Ombra occultata rappresenta veramente un pericolo. Dell'Ombra visibile possiamo fare un interlocutore, per trasformarla da limite in confine, essa può diventare la “nostra” Ombra, costituirsi come parte della personalità, prima come peso, zavorra, vergogna, ma poi, a poco a poco, come forma, definizione, marcatura individuale. Con l'Ombra invisibile e sfuggente non possiamo che avere un rapporto di timore. La tentazione di scacciare l'ospite sgradito è sempre forte e la malafede sempre pronta ad aiutarci nell'operazione di occultamento: non siamo noi ad avere un'Ombra, sono gli altri. L'Ombra è sempre ben visibile negli altri, ci meravigliamo che gli altri non se ne accorgano. Con un termine tratto dal linguaggio dell'oculistica, possiamo dire che “scotomizziamo” l'Ombra, cioè perdiamo la vista in un'area limitata del campo visivo, allontaniamo l'Ombra dalla nostra vista, non ci riguarda, e in questo modo ogni possibilità di stabilire un'operazione trasformatrice viene meno, risalta solo l'Ombra degli altri, e risultiamo odiosi. Dunque l'Ombra va ricercata, va messa in rilievo, il limite deve essere presente in tutte le sue forme: difetto, vizio, immaturità, mancanza, destino miserabile. La pratica religiosa di tutti i tempi contempla molte “tecniche schiedeliche”, cioè rivelatrici dell'Ombra, e tutte si riducono sostanzialmente a un unico motivo: la tecnica della mortificazione. Questa però non permette alcuna operazione successiva, poiché il negativo non viene assolto da me ma dall'Altro, non sono io a caricarmi del peso dell'Ombra, ma l'Altro che, redimendomi, annulla la mia responsabilità.

OMBRA E ANAMORFOSI Possiamo dire che l'Ombra si occulta anamorficamente dentro il visibile, occorre raggiungere il punto prospettico dal quale si rende visibile ciò che si era occultato. In realtà chi occulta è la nostra pigrizia: pretendiamo di usare solo la visione frontale, che è la visione della “maschera”, del collettivo, del conforme. Così facendo perdiamo di vista la ricchezza dell'Ombra, ci liberiamo del suo peso e del compito che ci impone, ma perdiamo anche di vista il nostro profilo, la nostra delimitazione e la possibilità di movimento. E' necessario trovare i punti schiedelici disseminati nella nostra coscienza per avvicinarci al concetto di Ombra come “spessore”. Parimenti, con un orecchio particolarmente esercitato, possiamo riuscire a cogliere i “momenti” che, lungo il tempo usuale, ma in contrasto con i ritmi di questo, rivelano un disegno, sottoforma di una sorta di anamorfosi temporale.

OMBRA E MORTE In quanto metafora del limite, l'Ombra contempla la morte come sua unica e onnicomprensiva espressione. Occultando il fatto pur evidente che la morte è il fondamento unico e costante dell'esistenza, essa rischia di rimanere per noi limite e di non costituirsi mai in definizione e profilo, rischia di rimanere sempre “ciò che non sono” e di non costituirsi mai in “ciò che anche sono”. Evitando di riconoscerla, io non posso compiere alcuna operazione nei confronti della morte, essa rimane limite. Compiamo continuamente due errori nei confronti della morte: sfuggiamo da lei o fuggiamo in lei. In tutti e due i casi la strumentalizziamo: nel primo caso per costruirci una fittizia immagine di una vita senza morte, nel secondo per liberarci da un responsabilità di costituirci secondo un senso. La fuga nella morte è il caso estremo di fuga nell'Ombra.

OMBRA E SITUAZIONE-LIMITE La situazione-limite fondamentale è probabilmente quella determinata dal fatto che viviamo sempre in una situazione determinata: cioè che sempre, ovunque e senza scampo il mondo esterno, il mio corpo, il mio passato, la mia esperienza, il mio temperamento, la mia condizione economica e infiniti altri dati, mi limitano, mi determinano. E' questa l'espressione più generale dell'Ombra, il peso del condizionamento, ciò che non vorrei essere e tuttavia sono, ciò che appare anche se tento di mascherarlo. E' l'Ombra nascosta dalla mia illusione di libertà incondizionata. Un'altra situazione-limite è quella della convinzione di non poter esistere se non nella lotta e nel dolore, in cui assegnamo un valore di maturità alla capacità di sopportare la frustrazione. Ma la maturità si situa ancor prima della frustrazione, nella capacità di accettare non tanto la lotta quanto l'inevitabilità della sua condizione. Situazione-limite è il dover assumere su di sé la colpa: non posso mutare il limite in definizione se prima non mi sono caricato della colpa, perché solo in questo modo esso è veramente mio. Infine, insieme all'inevitabilità della situazione, la lotta e la colpa, anche la morte fa parte del nucleo più profondo e segreto dell'Ombra: la situazione-limite dell'essere destinato alla morte evoca il significato più alto dell'Io, lo chiarisce come metafora della finitudine. Viene suggerito ancora un ultimo e più complicato ribaltamento anamorfico che cela il disegno della situazione-limite all'interno del disegno dell'Ombra.

 

Capitolo 4

IL DIAVOLO NELL'ESPERIENZA ANALITICA

 (Augusto Romano)

Il trattamento analitico ha come intento quello di trasformare una sofferenza insensata in una sofferenza che abbia significato per chi la vive. Ma dove c'è conflitto vi sono necessariamente due forze antagoniste: possiamo chiamare diavolo una di queste entità, quella con cui il soggetto non si identifica. Il diavolo appare nelle stesse parole del paziente, quando racconta che gli sta accadendo questo e quest'altro. Dice proprio così: “Mi capita”, rendendo così omaggio a una potenza che trascende le sue capacità di controllo e di comprensione, una potenza che gioca con lui crudelmente. Egli concepisce questa potenza come l'avversario, in certi casi anche come il tentatore (“Mi vengono strani impulsi, che mi spaventano”). Rivolgersi all'analista rappresenta l'estremo tentativo per debellare il nemico, per farlo tacere. Al soggetto non passa nemmeno per la testa che quel nemico che si esprime attraverso i sintomi possa parlare una lingua comprensibile, l'idea di partenza è che non sia possibile trattare con esso. Sebbene non sappia come, egli immagina che ci debba pur essere un modo per vincerlo: questo modo egli ritiene che lo conosca il terapeuta, l'esperto dei disturbi psichici. Il paziente, come tutti, se la vuole cavare con poco, e si rivolge al medico, nel tentativo di ridurlo a disturbo curabile: è quel modernismo ottimistico cui appartengono anche le “meraviglie della tecnica”, il mito del progresso, le creme antirughe e la vergogna della morte. Il nostro paziente, in modo più o meno consapevole, ha deciso cosa sia bene: ha – per così dire – scelto i suoi dei. La sua ingenuità consiste nella sua unilateralità. La situazione paradossale in cui si trova il nevrotico può essere così descritta: egli è un uomo civilizzato, dotato cioè di una coscienza differenziata, che vuole però sottrarsi al problema della scelta individuale. Pretende di vivere in un mondo che risulta essere unidimensionale, retto da un solo principio, vorrebbe comportarsi come se si trovasse ancora nel paradiso terrestre, mentre la sua condizione è caratterizzata dalla contraddittorietà, cioè dalla coesistenza di dio e del male. Egli non vuole scegliere, finge di farlo, ma le sue scelte sono prive di reali implicazioni personali. Parlando di fedeltà al bene, occorre non dimenticare che il bene e il male non sono altro che giudizi, dunque non implica necessariamente l'essere virtuosi. Lo scopo dell'analisi è di ridare diritto di cittadinanza al diavolo. La vecchia figura del confessore mostra qui i suoi limiti, in quanto la sua apparente generosità e gli effetti di rassicurazione che l'assoluzione induce, non fanno che ricondurre il peccatore nell'universo unidimensionale da cui, peccando, era stato tentato di uscire. La posizione dell'analista è completamente diversa: il paziente lo vorrebbe confessore-esorcista, ma egli è obbligato invece a confermare il paziente come soggetto del suo male, aiutandolo a riconoscere l'esistenza del diavolo e a imparare a dialogare con lui. Questo rende possibile all'uomo conquistare una identità, che consiste nella capacità di ricombinare continuamente gli opposti senza cadere vittima di nessuno di loro. Porgendo orecchio alla voce del dubbio, al tentatore, ci dislochiamo rispetto al territorio sicuro che noi stessi abbiamo accuratamente recintato: la scomodità sta in noi, nel nostro rifiuto alla complessità, non nella complessità, che è della vita. A ogni atteggiamento ne corrisponde uno di segno opposto, e l'arte sta nel tenerli insieme, consapevoli di dover pagare un prezzo tutte le volte che decidiamo di far pendere la bilancia da una delle due parti. Oggi pare che l'uomo post-moderno, educato dai mezzi di comunicazione di massa, partecipe del “collettivo sognante” di cui parla Benjamin, aspiri per sua natura all'assenza di tensione, nel caso migliore tenda alla estetizzazione dell'esistenza, al passaggio indolore e ludico da un atteggiamento all'altro. Niente di più contrario alla posizione di Jung, che vede nel conflitto il motore della vita. Usando una metafora politica, si potrebbe dire che l'etica della psicoanalisi junghiana corrisponde allo spirito della democrazia, secondo il quale tutte le parti hanno diritto a essere ascoltate e a pesare nelle decisioni.

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