venerdì 7 ottobre 2016

"I brutti scherzi del passato" di Manuel Cruz - sintesi a cura di Enrica Gallo


LA MEMORIA FRA PASSATO E FUTURO



“I BRUTTI SCHERZI DEL PASSATO”

saggio di Manuel Cruz



(breve sintesi dell’ultimo capitolo a cura di Enrica Gallo)





In questo testo, dal titolo sicuramente intrigante, Manuel Cruz  imposta un’ interessante riflessione sul rapporto fra identità e memoria e sul concetto di “responsabilità”, ponendo poi al centro del suo discorso il tema della memoria, a partire dall’idea che il nostro rapporto col passato non sia mai del tutto innocente e che dietro la forte rivalutazione della memoria cui assistiamo oggigiorno si nascondano intenti meno nobili di quanto ci venga fatto credere. In questa breve relazione faremo peraltro riferimento solo all’ultimo capitolo del libro, in cui l’autore mette a fuoco le due istanze ugualmente forti che devono guidare il lavoro dello storico, se il suo intento è quello di trarre dal passato ciò che può servire a cambiare il presente: e cioè tanto la necessità di difendere il passato dalle aggressioni che gli vengono rivolte quanto quella, non meno importante, di difendersi dal passato impedendogli di insediarsi nel presente, opacizzandolo e soffocandolo.



- l’eccesso di passato e la  disattivazione della memoria:



Vediamo dunque come si articola la sua argomentazione, che parte da un richiamo a due modalità di pensiero che sono a suo giudizio ugualmente errate e foriere di conseguenze decisamente negative.

In primo luogo, quella che vede nella memoria una sorta di contenitore neutro, un magazzino in cui gli eventi e le esperienze vengono conservati in attesa del nostro ripescaggio. Di fatto non è così, perché la memoria è piuttosto da intendere come un insieme di pratiche attraverso le quali noi elaboriamo la nostra biografia: essa non conserva ma evidenzia, segnala, sceglie, a seconda delle nostre necessità (possiamo paragonarla, dice Cruz, ad una matita che sottolinea ciò che ci ha fatto essere ciò che siamo fino a quel determinato momento). Allo stesso modo, è ugualmente pericoloso considerare il passato come una sorta di proprietà da conservare o come un territorio da scoprire, perché il passato non è mai ciò che è stato, ma si trasforma a seconda di cosa siamo noi che lo guardiamo: averne un’immagine rigida, in cui fissare dei momenti costitutivi da cui tutti gli altri derivino secondo una causalità coerente, è  a suo giudizio oltremodo fuorviante.

Certo non giova, a darci un’immagine più corretta del passato, il fatto che i mezzi di comunicazione di massa si rivolgano sempre più ad esso  facendone l’oggetto di una serie infinita di rievocazioni, e non solo perché le continue ripetizioni fanno perdere al passato la sua aura, ma anche perché il rinnovamento dei supporti tecnologici lo modernizza (pensiamo alle masterizzazioni, alla digitalizzazione delle immagini), pulendo gli oggetti dalla polvere del tempo e cancellandone dunque ogni traccia temporale.

Avviene così che il passato, avendo acquistato lo stesso colore del presente, faccia sempre più fatica a lasciarlo, finisca anzi con l’invaderlo incorporandosi in esso e questo, secondo Cruz, è destinato a cambiare inevitabilmente la nostra percezione del presente, che si dilata e allo stesso tempo si opacizza. Se tutto può tornare, se l’istante che stiamo vivendo può essere rivissuto più e più volte, questo ci rende incapaci di viverlo sul momento, inducendo quella perdita di esperienza su cui già Benjamin, e più recentemente Agamben, hanno attirato la nostra attenzione; e ancora, in un paesaggio temporale in cui non ci lasciamo mai nulla definitivamente dietro le spalle, in cui tutto è sempre presente, e soprattutto in cui sono altri a fissare i nostri ricordi, noi perdiamo, dice Cruz, il potere di selezionarli, di sceglierli, e la memoria fatalmente non solo tende ad omogeneizzarsi, ma  si disattiva.



- il miraggio della possibilità infinita e la scomparsa del futuro:



Ora, dare la causa alla tecnologia, che pure in tutto questo ha un ruolo rilevante, può diventare fuorviante: a giudizio dell’autore infatti la tecnologia non è il motore, ma piuttosto “il braccio esecutore” di altri fermenti che in qualche modo stavano lì, fermi, in attesa di rivelarsi. E qui il discorso di Cruz incrocia, a nostro parere, le considerazioni che Zigmunt Bauman pone nel suo “Il teatro dell’immortalità”. Entrambi questi autori infatti concordano nel sottolineare come nella società contemporanea la morte venga in qualche modo negata, o altrimenti pensata “spezzettando” l’inevitabile  percorso verso di essa  in una serie di malattie per cui una guarigione sia sempre da ritenersi possibile, nell’idea che il limite possa spostarsi in modo indefinito fino a scomparire del tutto: non è certo casuale, osserva Cruz, che l’immortalità, a cui prima potevamo rivolgere un pensiero puramente speculativo (“ti immagini se…”) sia ora diventata l’oggetto di un immaginario predittivo (“verrà un giorno che…”). 

Il miraggio della possibilità è stato posto, e questo fa scomparire, secondo l’interpretazione dell’autore, l’idea stessa di futuro: il nostro correre verso l’idea di immortalità cancella di fatto quella di posterità, che anche secondo Bauman ha rappresentato nei secoli la più potente “invenzione” che la civiltà abbia messo in campo per sfuggire all’inesorabilità della morte,  mentre nel contempo il fatto che tutto sia sempre presente dà il definitivo colpo di grazia all’idea di continuità storica, e questo aumenta sicuramente la difficoltà che abbiamo ad autonominarci.

Allo stesso tempo, questo miraggio che mette a rischio la nostra capacità di pensare il futuro come il contenitore della nostra immaginazione e della nostra volontà va a deteriorare l’immagine stessa del passato. Non tutto, infatti, è possibile, osserva Cruz aprendo un importante riferimento a Benjamin: la radicalità del suo discorso sull’inadempiuto, sulle schegge messianiche che il passato conserva tra le sue pieghe e che potrebbero attualizzarsi se volgiamo ad  esse il nostro sguardo, non implica infatti che il passato possa essere restaurato: non c’è una seconda possibilità per i vinti della storia, dice Benjamin, ricordare la nobiltà della loro disfatta e le sofferenze su cui il presente è stato edificato non li farà rivivere, servirà bensì ad impugnare il presente, diventando la molla per cambiare il futuro.

In questo dunque il passato è davvero essenziale: se prima Cruz ha rivendicato una sorta di diritto all’oblio, la necessità di dare al passato la possibilità di stare davvero “dietro” di noi, non è certo per cauterizzare le sue ferite anestetizzando la memoria, ma per rendere credibile e concreta la possibilità di uscire da una storia bloccata che ci fa credere da un lato, con l’idea di “immortalità” che sempre più si affaccia nel nostro immaginario, che tutto sia possibile, dall’altro che niente lo sia, impedendoci le pratiche di una buona politica che si volge necessariamente al futuro a partire da una considerazione attenta del presente.  



- la responsabilità dello storico:



E’ questa, in sostanza, la sfida che lo storico deve affrontare: contribuire con la sua analisi a rendere il presente più poroso e malleabile per renderci più capaci di pensare il futuro, chiedendoci come vogliamo che sia, senza pensare che il nostro desiderio sia la cosa, ma parimenti senza rimanere paralizzati nel sentimento della disfatta dei nostri desideri non realizzati.

Forse, dice Cruz “bisogna accettare una volta per tutte che alcuni di questi obiettivi sono come stelle lontane, che vediamo ancora ma che già da tempo non esistono più“ e non attribuire al disincanto la responsabilità del nostro mutamento. Chi si è fatto carico della propria vita come di un processo accetta di riesaminare le proprie posizioni e di misurarsi con una realtà diversa, senza vedere in essa solo il fallimento delle proprie aspettative utopiche: il loro fallimento non equivale infatti alla sconfitta di ogni possibilità.  Soltanto, dobbiamo rinunciare, secondo Cruz, a tormentarci inutilmente sul problema del fondamento o sull’assenza di fondamento di ciò che vogliamo proporre – forse non c’è nessuna risposta alla vecchia domanda “che cosa dobbiamo fare?” - ma piuttosto, usando la memoria del passato in funzione critica per fornirci dei quadri di riferimento, chiederci se siamo capaci di dare una risposta ad un’ altra domanda, ancora più antica e oggi, in questo declino della passione del futuro che ci circonda, sicuramente più decisiva: “che cosa vogliamo fare?” .



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Manuel Cruz insegna Filosofia contemporanea all’Università di Barcellona. E’ autore di numerosi libri, fra cui ricordiamo quelli che sono apparsi in traduzione italiana:

“Farsi carico. A proposito di responsabilità e di identità personale” (2005)

“Come fare cose con i ricordi. Sull’utilità della memoria e sulla convenienza di rendere conto (2009)

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