LA MEMORIA FRA PASSATO E FUTURO
“I BRUTTI SCHERZI
DEL PASSATO”
saggio
di Manuel Cruz
(breve sintesi dell’ultimo
capitolo a cura di Enrica Gallo)
In
questo testo, dal titolo sicuramente intrigante, Manuel Cruz imposta un’ interessante riflessione sul
rapporto fra identità e memoria e sul concetto di “responsabilità”, ponendo poi
al centro del suo discorso il tema della memoria, a partire dall’idea che il
nostro rapporto col passato non sia mai del tutto innocente e che dietro la
forte rivalutazione della memoria cui assistiamo oggigiorno si nascondano
intenti meno nobili di quanto ci venga fatto credere. In questa breve relazione
faremo peraltro riferimento solo all’ultimo capitolo del libro, in cui l’autore
mette a fuoco le due istanze ugualmente forti che devono guidare il lavoro
dello storico, se il suo intento è quello di trarre dal passato ciò che può
servire a cambiare il presente: e cioè tanto la necessità di difendere il
passato dalle aggressioni che gli vengono rivolte quanto quella, non meno
importante, di difendersi dal passato impedendogli di insediarsi nel presente,
opacizzandolo e soffocandolo.
-
l’eccesso di passato e la
disattivazione della memoria:
Vediamo
dunque come si articola la sua argomentazione, che parte da un richiamo a due
modalità di pensiero che sono a suo giudizio ugualmente errate e foriere di
conseguenze decisamente negative.
In
primo luogo, quella che vede nella memoria una sorta di contenitore neutro, un
magazzino in cui gli eventi e le esperienze vengono conservati in attesa del
nostro ripescaggio. Di fatto non è così, perché la memoria è piuttosto da
intendere come un insieme di pratiche attraverso le quali noi elaboriamo la
nostra biografia: essa non conserva ma evidenzia, segnala, sceglie, a seconda
delle nostre necessità (possiamo paragonarla, dice Cruz, ad una matita che
sottolinea ciò che ci ha fatto essere ciò che siamo fino a quel determinato
momento). Allo stesso modo, è ugualmente pericoloso considerare il passato come
una sorta di proprietà da conservare o come un territorio da scoprire, perché
il passato non è mai ciò che è stato, ma si trasforma a seconda di cosa siamo
noi che lo guardiamo: averne un’immagine rigida, in cui fissare dei momenti
costitutivi da cui tutti gli altri derivino secondo una causalità coerente,
è a suo giudizio oltremodo fuorviante.
Certo
non giova, a darci un’immagine più corretta del passato, il fatto che i mezzi
di comunicazione di massa si rivolgano sempre più ad esso facendone l’oggetto di una serie infinita di
rievocazioni, e non solo perché le continue ripetizioni fanno perdere al
passato la sua aura, ma anche perché il rinnovamento dei supporti tecnologici
lo modernizza (pensiamo alle masterizzazioni, alla digitalizzazione delle
immagini), pulendo gli oggetti dalla polvere del tempo e cancellandone dunque
ogni traccia temporale.
Avviene
così che il passato, avendo acquistato lo stesso colore del presente, faccia
sempre più fatica a lasciarlo, finisca anzi con l’invaderlo incorporandosi in
esso e questo, secondo Cruz, è destinato a cambiare inevitabilmente la nostra
percezione del presente, che si dilata e allo stesso tempo si opacizza. Se
tutto può tornare, se l’istante che stiamo vivendo può essere rivissuto più e
più volte, questo ci rende incapaci di viverlo sul momento, inducendo quella
perdita di esperienza su cui già Benjamin, e più recentemente Agamben, hanno
attirato la nostra attenzione; e ancora, in un paesaggio temporale in cui non
ci lasciamo mai nulla definitivamente dietro le spalle, in cui tutto è sempre
presente, e soprattutto in cui sono altri a fissare i nostri ricordi, noi
perdiamo, dice Cruz, il potere di selezionarli, di sceglierli, e la memoria
fatalmente non solo tende ad omogeneizzarsi, ma
si disattiva.
-
il miraggio della possibilità infinita e la scomparsa del futuro:
Ora,
dare la causa alla tecnologia, che pure in tutto questo ha un ruolo rilevante,
può diventare fuorviante: a giudizio dell’autore infatti la tecnologia non è il
motore, ma piuttosto “il braccio esecutore” di altri fermenti che in qualche
modo stavano lì, fermi, in attesa di rivelarsi. E qui il discorso di Cruz
incrocia, a nostro parere, le considerazioni che Zigmunt Bauman pone nel suo “Il teatro dell’immortalità”. Entrambi
questi autori infatti concordano nel sottolineare come nella società
contemporanea la morte venga in qualche modo negata, o altrimenti pensata
“spezzettando” l’inevitabile percorso
verso di essa in una serie di malattie
per cui una guarigione sia sempre da ritenersi possibile, nell’idea che il
limite possa spostarsi in modo indefinito fino a scomparire del tutto: non è
certo casuale, osserva Cruz, che l’immortalità, a cui prima potevamo rivolgere
un pensiero puramente speculativo (“ti
immagini se…”) sia ora diventata l’oggetto di un immaginario predittivo (“verrà un giorno che…”).
Il
miraggio della possibilità è stato posto, e questo fa scomparire, secondo
l’interpretazione dell’autore, l’idea stessa di futuro: il nostro correre verso
l’idea di immortalità cancella di fatto quella di posterità, che anche secondo
Bauman ha rappresentato nei secoli la più potente “invenzione” che la civiltà
abbia messo in campo per sfuggire all’inesorabilità della morte, mentre nel contempo il fatto che tutto sia
sempre presente dà il definitivo colpo di grazia all’idea di continuità
storica, e questo aumenta sicuramente la difficoltà che abbiamo ad
autonominarci.
Allo
stesso tempo, questo miraggio che mette a rischio la nostra capacità di pensare
il futuro come il contenitore della nostra immaginazione e della nostra volontà
va a deteriorare l’immagine stessa del passato. Non tutto, infatti, è
possibile, osserva Cruz aprendo un importante riferimento a Benjamin: la
radicalità del suo discorso sull’inadempiuto, sulle schegge messianiche che il
passato conserva tra le sue pieghe e che potrebbero attualizzarsi se volgiamo
ad esse il nostro sguardo, non implica
infatti che il passato possa essere restaurato: non c’è una seconda possibilità
per i vinti della storia, dice Benjamin, ricordare la nobiltà della loro
disfatta e le sofferenze su cui il presente è stato edificato non li farà
rivivere, servirà bensì ad impugnare il presente, diventando la molla per cambiare
il futuro.
In
questo dunque il passato è davvero essenziale: se prima Cruz ha rivendicato una
sorta di diritto all’oblio, la necessità di dare al passato la possibilità di
stare davvero “dietro” di noi, non è certo per cauterizzare le sue ferite
anestetizzando la memoria, ma per rendere credibile e concreta la possibilità
di uscire da una storia bloccata che ci fa credere da un lato, con l’idea di
“immortalità” che sempre più si affaccia nel nostro immaginario, che tutto sia
possibile, dall’altro che niente lo sia, impedendoci le pratiche di una buona
politica che si volge necessariamente al futuro a partire da una considerazione
attenta del presente.
-
la responsabilità dello storico:
E’
questa, in sostanza, la sfida che lo storico deve affrontare: contribuire con
la sua analisi a rendere il presente più poroso e malleabile per renderci più
capaci di pensare il futuro, chiedendoci come vogliamo che sia, senza pensare
che il nostro desiderio sia la cosa, ma parimenti senza rimanere paralizzati
nel sentimento della disfatta dei nostri desideri non realizzati.
Forse,
dice Cruz “bisogna accettare una volta
per tutte che alcuni di questi obiettivi sono come stelle lontane, che vediamo
ancora ma che già da tempo non esistono più“ e non attribuire al disincanto
la responsabilità del nostro mutamento. Chi si è fatto carico della propria
vita come di un processo accetta di riesaminare le proprie posizioni e di
misurarsi con una realtà diversa, senza vedere in essa solo il fallimento delle
proprie aspettative utopiche: il loro fallimento non equivale infatti alla
sconfitta di ogni possibilità. Soltanto,
dobbiamo rinunciare, secondo Cruz, a tormentarci inutilmente sul problema del
fondamento o sull’assenza di fondamento di ciò che vogliamo proporre – forse
non c’è nessuna risposta alla vecchia domanda “che cosa dobbiamo fare?” - ma piuttosto, usando la memoria del
passato in funzione critica per fornirci dei quadri di riferimento, chiederci
se siamo capaci di dare una risposta ad un’ altra domanda, ancora più antica e
oggi, in questo declino della passione del futuro che ci circonda, sicuramente
più decisiva: “che cosa vogliamo fare?”
.
……………………………………………
Manuel Cruz insegna
Filosofia contemporanea all’Università di Barcellona. E’ autore di numerosi
libri, fra cui ricordiamo quelli che sono apparsi in traduzione italiana:
“Farsi carico. A
proposito di responsabilità e di identità personale” (2005)
“Come fare cose con i
ricordi. Sull’utilità della memoria e sulla convenienza di rendere conto (2009)
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