Relazione sull’incontro
con Lorenzo Ongaro e Vincenzo Cascone:
“DIGITO ERGO SUM”
COMPORTAMENTI, MUTAZIONI
E ASPETTATIVE
DELLA GENERAZIONE GOOGLE
Introduzione
di Massima Bercetti:
Nel presentare al pubblico Lorenzo Ongaro e
Vincenzo Cascone, formatori alla scuola Holden di Torino e sceneggiatori (reduci,
fra l’altro, da un prestigioso primo premio per la miglior sceneggiatura per
lungometraggio al Mattador di Verona), l’associazione CircolarMente è
consapevole di aver fatto loro una
richiesta non facile da soddisfare, quella cioè di aiutarci a capire se le nuove modalità di conoscenza
digitale rappresentino un momento di svolta epocale, da intendersi
positivamente per la possibilità di attivare nuove energie creative attraverso l’allargamento delle
connessioni all’interno della Rete, o se questo nuovo modo di “navigare” in
orizzontale sia destinato a rimanere alla superficie delle cose.
Un tema che
l’associazione propone per la prima volta ma che è già da tempo motivo di
riflessione al suo interno, in modo particolare da quando Alessandro Baricco,
nel suo testo del 2006 intitolato “I Barbari. Saggio sulla mutazione”, ha
suggerito l’idea di un cambiamento non solo generazionale ma davvero
antropologico, quasi un cambio di civiltà che per alcuni rappresenterebbe una
sorta di imbarbarimento, mentre altri, forse memori di quel Tacito che di
recente il prof. Barbero ci ha richiamato alla memoria, vedono in esso la
possibilità di una nuova vitalità che venga ad immettersi in una cultura ormai esausta
e asfittica.
Un tema sicuramente
complesso, evidenziato in questa occasione da un titolo che richiama alla mente
quel “Cogito ergo sum” cartesiano che ha aperto la strada ad un cambio di passo
della filosofia, destinato a svilupparsi nei secoli successivi e a plasmare la
nostra autorappresentazione, ma anche inquietante perché non possiamo certo
evitare di chiederci come l’uso delle nuove tecnologie impatterà nel nostro
modo di conoscere, di comunicare, di partecipare all’azione politica e civile.
Proprio in ragione di tale complessità questo tema sarà oggetto di altri
incontri, alcuni dei quali già programmati per l’anno in corso, come quello sul
rapporto fra Web e democrazia.
E’ pertanto con
particolare piacere che CircolarMente si accinge ora ad affrontarlo in prima
battuta, con dei relatori che per età e interessi professionali sono sicuramente
in grado di guidarci a comprendere i termini della mutazione che guida i
comportamenti e le aspettative delle nuove generazioni.
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Prima parte:
QUATTRO EPIGRAFI COME
INDICATORI DI DIREZIONE
PER RACCONTARE IL MONDO
DEI BARBARI
Per
spiegare chi sono i barbari, che cosa vogliono, e anche per capire se sono in
qualche modo cambiati da come li ha descritti Baricco nel suo testo del 2006, Cascone
e Ongaro hanno pensato di partire da alcuni contributi video attraverso i quali
farci arrivare direttamente la loro voce, per come si esprime in quei prodotti
culturali ad essi più congeniali. Non è più del tutto vero, infatti, che la
grammatica espressiva dei barbari – come ipotizzava allora Baricco - sia fatta
principalmente dal cinema: si è andati effettivamente oltre, e oggi per
raccontare il mondo dei millennials possono essere più adeguati i videogiochi,
le serie televisive, i video che compaiono su Youtube o su altre piattaforme.
Prima
di presentare questi contributi, che nelle intenzioni dei relatori acquistano
un valore di epigrafi volte ad indicare le linee guida di un percorso che verrà
ripreso e approfondito in seguito, segnaliamo che i due termini che verranno
spesso sovrapposti nella conversazione non sono in realtà del tutto equivalenti,
come essi stessi ci faranno notare in seguito.
Quando
parliamo di “millennials” poniamo
infatti l’accento su di un preciso dato
sociologico (i giovani nati fra i primi anni ottanta e l’inizio del 2000, che
vengono anche definiti come “generazione Y”, o “generazione Google”), mentre il
termine “barbari” usato da Baricco non è in senso stretto generazionale ma
indica i protagonisti di una mutazione nel modo di fare esperienza, di cercare
il senso delle cose, di conoscere, che
si è presentata ai suoi occhi come una
vera e propria svolta epocale, un cambio di civiltà in cui tutti siamo più o
meno immersi, pur posizionandoci in modo diverso. Nonostante questa distinzione, i due termini col
tempo sono diventati abbastanza sovrapponibili e pertanto in questa prima
parte, in cui c’è un confronto con le intuizioni di Baricco, i relatori li utilizzeranno
entrambi senza ulteriori specificazioni.
1. “I LOVE FOOD”
che cosa intendono i
barbari per esperienza
Il
primo video proposto è postato su di un canale di Youtube che si chiama Tastemade – tecnicamente un multichannel network, cioè un canale dove vengono inseriti
dei contributi esterni - e che può
contare, pur occupandosi solamente di cucina, su di una cifra altissima di
spettatori (200 milioni ogni mese, il che significa grosso modo che i video
vengono visualizzati per un periodo di tempo equivalente a duemila anni: una
cifra molto superiore, tanto per fare un confronto, a quanto può raggiungere un
programma televisivo di gran successo come Master Chef Italia). Che cosa
guardano, dunque, i millennials in un video come questo?
In
effetti in esso vediamo semplicemente persone che cucinano, mangiano, parlano
di cibo muovendosi al ritmo di una musichetta allegra, mentre compaiono alcune
frasi che offrono altri elementi significativi di contestualizzazione. Secondo
i due relatori questo video, pur nella sua brevità, può essere utile come primo
approccio per avvicinarsi al concetto barbarico di “esperienza”, intesa come
qualcosa che ha a che fare con la molteplicità e con il movimento, che
semplicemente si fa e non si teorizza, e che avviene al di fuori dei media
tradizionali.
2. “MASTER OF NONE”
quale rapporto hanno
con la conoscenza
“Master of None” (Maestro di nulla) è una
serie televisiva prodotta in quest’ultimo anno da Netflix e ideata da un autore
e comico newyorchese di origine indiana, Aziz Ansari, che presta il suo volto
al protagonista Dev Schah. Molto apprezzata dal pubblico e dalla critica (il
New York Times ha scritto che questa serie è talmente contemporanea che sembra
venire dal futuro), vuole essere un ritratto dei millennials contemporanei: il
titolo fa appunto riferimento ad una delle critiche che più spesso vengono loro
rivolte, e cioè quella di essere
“maestri di niente”, giovani che fanno tante cose contemporaneamente ma il cui
movimento sulla superficie delle cose (il surfing di cui parla Baricco) si
riduce in realtà a semplice superficialità.
Da
questa serie i relatori hanno scelto i due minuti iniziali, quelli cioè che
secondo una regola interna a questo genere di prodotto culturale devono dare il
senso di ciò che si racconterà successivamente per esteso (che poi è una
riflessione sull’amore, su quanto conviene impegnarsi in una relazione
sentimentale, sulle difficoltà di farlo…).
Vediamo dunque in
azione il protagonista che si accinge a fare l’amore con la sua compagna. Manca
però il preservativo e tale circostanza dà adito ad una discussione sul
comportamento da adottare, dal momento che nessuno dei due sembra avere le idee
ben chiare. Per risolvere il problema, entrambi ricorrono ai rispettivi
cellulari cercando risposte chiarificatrici su Google. In effetti le risposte
arrivano, ma sono fra di loro assolutamente contradditorie: correre subito in
farmacia a comprare un preservativo - Infischiarsene, e fare l’amore tranquillamente.
Qual è dunque la risposta giusta?
Sta
proprio qui, secondo i relatori, il senso del titolo. Se per avere la
conoscenza noi ricorriamo a strumenti digitali, è facile incappare in quelle
che vengono chiamate “bolle” e in cui la conoscenza che riceviamo non è altro
che il rispecchiamento di quanto già pensiamo e sappiamo, o almeno crediamo di
sapere. Questo è effettivamente uno dei grossi problemi da affrontare per la
generazione dei millennials, che ha sicuramente accesso a conoscenze incomparabilmente
più estese che in passato ma che deve essere attrezzata a cogliere bene questa
opportunità, riuscendo ad individuare il confine fra verità e bufale, tra verità
oggettiva e rispecchiamento.
3. IL MONDO DEL CALCIO
come cambiano i
territori in cui entrano i barbari
Con
la terza epigrafe entriamo in un mondo a cui già Baricco aveva dato un valore
esemplificativo per illustrare un elemento fondamentale della mutazione
barbarica, e cioè il fatto che i barbari, quando entrano in un territorio, ne
cambiano profondamente la natura. Nel video proposto si parte dalla
rappresentazione di uno schema di gioco e da una frase pronunciata da Josep
“Pep” Guardiola (allenatore del Barcellona negli anni in cui questa squadra ha
ottenuto le maggiori vittorie).
Richiesto
in un’intervista prepartita di spiegare perché avesse schierato in campo come
attaccante puro un giocatore di grande livello, ma decisamente basso di statura
come Lionel Messi, Guardiola ebbe infatti a dire che lui non aveva bisogno di
attaccanti, perché il suo attaccante era lo spazio. Una frase che può certo non
essere immediatamente significativa per chi sia totalmente estraneo a quel
mondo, ma che secondo i due relatori ci porta a ragionare sul fatto che il
calcio, in epoca barbarica, non è più un gioco di ruolo ma è diventato un gioco
di posizione in cui contano soprattutto il movimento e i passaggi intesi a dare
energia e intensità diffusa al gioco. Anche su questo punto peraltro si
ritornerà in seguito, approfondendo il tema con altri apporti video e con un ulteriore
riferimento al testo di Baricco.
4. FACEBOOK
qual è la loro
“cittadella”
Mentre
per Baricco il luogo simbolico della mutazione barbarica era Google, il cui
motore di ricerca, elaborato da Sergey Brin e Larry Page, gli sembrava
particolarmente atto ad esemplificare il nuovo modo in cui i barbari accedono
al sapere (navigando cioè velocemente attraverso una traiettoria di link),
secondo i due relatori è ora Facebook la nuova “cittadella” dei barbari. Come
sappiamo, dopo un inizio scherzoso e sottotono questo social è diventato
davvero qualcosa di enorme raggiungendo i due miliardi di utenti (tanto da
“mangiare” lo stesso Internet) con l’intento dichiarato di rendere il mondo più
aperto e connesso. Ora però questo obiettivo sta cambiando, forse per effetto
dei recenti avvenimenti (l’elezione di Donald Trump) e di alcuni grossi
scandali (il cosiddetto “Russiagate”). Il suo fondatore Mark Zuckerberg ritiene
infatti che cambiare il mondo attraverso la connessione non sia più sufficiente
a migliorarlo, anche perché visibilmente risulta sempre più diviso. Bisogna
invece unirlo, dare alle persone il potere di costruire comunità.
Sono
dunque cambiati, i barbari? Secondo i nostri relatori, pare proprio che essi
comincino a vedere le falle del mondo che loro stessi hanno creato, e siano
pronti ad assumersi nuove responsabilità. Non è un caso, a loro giudizio, che
negli ultimi mesi molte voci si siano levate a denunciare queste falle: dal
co-fondatore di Twitter, Evan Williams, che ha definito “rotta” la sua stessa
creatura (ricordiamo che Twitter è il mezzo di comunicazione più usato da
Trump, se non l’unico…), al primo presidente di Facebook, Sean Parker, che in
una recente intervista ha dichiarato che Facebook sfrutta la vulnerabilità
delle persone, ammettendo la sua personale responsabilità in questa deriva.
Poi,
certo, è possibile che dietro queste affermazioni che si presentano come crisi
di coscienza ci sia una finalità politica, anche se Zuckerberg ha ufficialmente
smentito di volersi candidare alle prossime elezioni presidenziali (in effetti,
il conflitto di interesse che ne deriverebbe sarebbe davvero gigantesco!), ma
non è questo il punto, secondo i relatori. Quello che a loro sembra importante
evidenziare è piuttosto che cosa succede quando i barbari entrano in un
territorio e che già Baricco aveva individuato con grande chiarezza affermando
che essi non si limitano a rivoluzionarne le regole, non cambiano semplicemente
la posizione degli attori sulla mappa, ma cambiano letteralmente la mappa. Così
è vero per il calcio, come per Google e Facebook e altri numerosi territori.
A
questo punto Cascone e Ongaro danno volentieri spazio ad alcuni interventi del
pubblico che fanno emergere due problemi importanti:
* Il problema di chi
detiene la mappa e la controlla:
Su
questo tema, che è davvero enorme, i relatori segnalano le analisi di Gaetano
Mosca (un politologo e sociologo che ha insegnato per alcuni anni
all’Università di Torino), secondo il quale è inevitabile che in ogni struttura
si formino delle oligarchie che agiscono in modo da poter mantenere il
controllo con tutti i mezzi a loro disposizione. Questo succede anche con i
nuovi media digitali, che paradossalmente sono nati proprio con l’intento di
favorire una maggiore democratizzazione dal basso (pensiamo ad Internet, che
nasce con l’idea dell’apertura, dell’open source, secondo un piano ideale che
oggi molti considerano fallito). Sappiamo bene ad esempio che c’è un grosso
contenzioso in corso per ottenere da questi giganti del Web, che fanno ciò che
vogliono e dove vogliono, l’assunzione di precise responsabilità fiscali, ma si
tratta di una partita ancora aperta, e per il momento non è ancora possibile
dire se si riuscirà a vincerla.
* il problema dell’asimmetria
fra la velocità del Web, la sua capacità trasformativa e la lentezza
dell’azione politica e istituzionale, e ancora della reazione della società
rispetto alla coscienza che Internet ha del proprio potere:
Nella
loro risposta, i relatori aprono prima una parentesi per così dire “tecnica”
spiegando intanto che la velocità della Rete deriva da una sua caratteristica
specifica che l’ha resa un mezzo veramente unico, e cioè dalla sottesa logica
ipertestuale che permette di associare in maniera intuitiva documenti diversi.
Una logica che già negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra
mondiale era stata individuata da uno scienziato statunitense responsabile di
importanti progetti governativi, che si era posto il problema della
catalogazione di una conoscenza ormai sterminata senza peraltro riuscire a cogliere
l’opportunità del digitale che si paleserà soltanto molti anni più tardi.
Intervengono poi più ampiamente sulla capacità
trasformativa del Web e sulle linee di tendenza che possono in questo momento
essere individuate:
·
il ritorno agli oggetti fisici, con
il passaggio dal virtuale puro
alla realtà potenziata e l’apertura
di spazi per la disconnessione
I
due relatori non escludono la possibilità che in un futuro non troppo lontano
ci sia questo ritorno, a cui non è forse estraneo quel sentimento di nostalgia
che già Baricco aveva notato fra i barbari vittoriosi; e ancora, che un certo
tipo di coscienza ci faccia allontanare
dall’ambiente digitale e quindi da Internet. Ci sono già dei segnali, in questo
senso: lo stesso Zuckerberg, che è sicuramente uno dei personaggi più
rappresentativi di questo mondo, ha dichiarato di essersi dato come regola
quella di tenere il cellulare spento dal venerdì sera al lunedì mattina,
segnalando così una discontinuità rispetto alle stesse finalità iniziali di
Facebook. E’ pur vero, come alcuni nel
pubblico fanno notare, che dietro la scelta di disconnettersi ci possa essere
una situazione di privilegio, perché non tutti se lo possono permettere (altra
partita aperta, secondo i relatori), tuttavia è innegabile che queste tendenze
siano già percepibili, come lo spostamento verso un Internet delle cose. Il
futuro sembra effettivamente volgersi verso i cosiddetti “oggetti connessi”
(l’orologio che dà informazioni, il microonde che dialoga con il cellulare) e i
dispositivi che ci permettono di potenziare il contatto con la realtà senza
offuscarla, con una sorta di allontanamento dalla virtualità pura. C’è molta
più realtà nel futuro di Internet, a giudizio dei relatori, di quanto oggi
possa apparire…
Naturalmente
dietro tutte queste linee di tendenza, oltre alla nostalgia di una vita meno
convulsa e in cui ci sia più spazio per la fisicità e per la relazione diretta
con le cose, ci sono anche dei limiti fisiologici: il mondo digitale è davvero
un gran mercato della distrazione, tutto teso a trovare il modo di farci stare
costantemente con lo sguardo fisso sullo schermo, lasciandoci invadere da ogni
sorta di stimoli. Qui c‘è davvero un’altra partita in corso, in cui giganti
come Netflix, che per una piccola somma mensile offre una miriade di film e di
serie televisive, paiono avere come unico competitore il sonno (anche se quella
con il sonno è una battaglia che stanno vincendo, come ha detto recentemente il
CEO di Netflix, scherzando ma non troppo…)
Seconda parte:
INDAGINE SUI
MILLENNIALS: IL “CHI E’”
DELL’ EXPERIENCE
GENERATION
Dopo
queste riflessioni sul Web, i due relatori mettono a fuoco in modo più diretto
alcune delle caratteristiche di quella che viene spesso definita “experience
generation”, ricollegandosi da un lato alle epigrafi iniziali, e dall’altro a
quelle intuizioni di Baricco che a loro giudizio conservano ancora oggi
validità esplicativa. Ritorniamo così col chiederci nuovamente che cosa voglia
dire, per i millennials, “fare esperienza”.
·
l’esperienza come movimento veloce in
superficie
Secondo
l’analisi di Baricco, mentre un tempo l’esperienza veniva intesa soprattutto
come un andare in profondità, accostandosi alle cose con un lavoro paziente di
scavo in modo da trarne l’essenza profonda e trasformativa, ora vuol dire
soprattutto un muoversi veloce rispetto ai contenuti e il cui fine non è una
meta prestabilita. Per i due relatori questa intuizione di Baricco è
ancora valida, pur nell’inevitabile generalizzazione, se è vero quanto possiamo
trarre dal primo contributo video che ci racconta di visualizzazioni
innumerevoli su di un canale che parla solo di cucina, senza peraltro fornire
alcuna istruzione per l’uso. Non sono quelle infatti che i millennials cercano,
ma piuttosto i contenuti in quanto tali, nel loro veloce movimento. Del resto,
osservano, alcune ricerche di mercato ci dicono che tra i prodotti il cui uso
si ridurrà sempre di più in questa fascia di popolazione - che è fra l’altro
molto estesa, e per questo oggetto di studi mirati ad interpretarne le
propensioni di consumo - ci sono i cereali da colazione (troppo complicati da usare!
Bisogna aprire la scatola, versare, rinchiudere, aggiungere il latte, lavare la
scodella…) a cui i giovani sembrano preferire i veloci yogurt che
permettono di passare subito ad altro.
* la logica della
condivisione e la preferenza per i sistemi passanti:
Secondo
Cascone e Ongaro, un’altra caratteristica importante da sottolineare è lo
spostamento dell’interesse dei millennials dal possesso dei contenuti e delle
cose all’accesso, cioè alla semplice possibilità di fruirne con altri. La
logica è quella della cosiddetta “sharing economy”, cioè l’economia
della condivisione.
Uno
degli ambiti in cui questo spostamento è più evidente è quello dell’auto, il
cui possesso è stato negli anni passati simbolo di crescita e di avanzamento
sociale, mentre ora “l’avere la macchina” sta diventando sempre meno importante
per le nuove generazioni (si fa presente
che in uno degli incontri organizzati da CircolarMente lo scorso anno Giuseppe
Berta, uno dei massimi studiosi italiani dell’industrializzazione, aveva
osservato che il mercato dell’auto sta uscendo dall’egemonia delle case
costruttrici per diventare un terreno d’investimento per le società
informatiche, che lo presentano non più
come possesso ma come servizio per muoversi e connettersi).
Una
tendenza per cui si utilizza anche il termine “uberizzazione” alludendo
al servizio di taxi urbani che è stato oggetto di recente in Italia di forti
polemiche, per i problemi di ordine legislativo e fiscale che comporta e perché
l’utilizzo di personale esterno viene a confliggere con la corporazione dei
tassisti (è opinione dei due relatori che occorrerà comunque venire in qualche
modo a patti con questa cosa, anche se non è chiaro ancora come farlo, perché
ogni innovazione cambia inevitabilmente lo scenario).
Per
tornare al tema dell’esperienza, anche in questo caso il passaggio dal possesso
all’accesso trova in una intuizione di Baricco una interessante cornice
concettuale. Baricco dice infatti che i barbari approfittano sempre più di sequenze
sintetiche e di sistemi passanti, in cui le varie esperienze si generino le une
dalle altre sprigionando energia. Per spiegare che cosa significhi
esattamente questa espressione, i due relatori ci riportano all’epigrafe
calcistica, ampliandola:
(Ci viene mostrato in
questo caso un momento clou del calcio
non barbarico, e cioè quello che
è stato definito in un sondaggio on line del 2002 “il goal del secolo”
(Maradona ai mondiali in Giappone), confrontandolo poi con un goal di Messi e
facendo notare come ci sia un solo passaggio di palla prima dell’azione
conclusiva, mentre secondo il già nominato Guardiola perché un’azione sia
considerata oggi interessante e intensa ci vogliono almeno quindici passaggi
dalla difesa al centrocampo. Per esprimere questa intensità, spiegano i
relatori, si usa il termine TIKI TAKA – un’espressione onomatopeica, nata del
tutto casualmente dal tentativo di un radiocronista sportivo di riprodurre il
rumore della palla che passa velocissima fra i piedi dei calciatori, e
diventata poi l’emblema di questo nuovo calcio.)
Un’intensità,
spiega Baricco nel testo, per cui sono state sacrificate molte caratteristiche
del calcio tradizionale, quelle che lui ha conosciuto e praticato da ragazzo:
la divisione dei compiti e la specializzazione, per cui se uno era difensore
era difensore a vita, e non era suo compito attaccare; un calcio in cui un
fuoriclasse come Baggio se prendeva la palla non la mollava più, e non gli
accadeva certo di essere messo in panchina, come successe dopo. Ad un certo punto infatti si è preferito un
sistema di gioco meno bloccato, in cui i giocatori possono essere anche meno talentuosi,
ma capaci di “far passare” con azioni veloci un maggior numero di gesti,
privilegiando dunque una situazione ibrida, dove tutti possono fare tutto.
Ora,
secondo i relatori è forse possibile
azzardare un paragone fra questo cambiamento nel calcio con quanto sta
accadendo nel mondo dell’auto, in cui si privilegiano auto magari meno
brillanti e prestigiose ma che siano in grado di passare dall’uno all’altro,
garantendo una maggiore vivibilità in città; e ancora, se ci spostiamo
nell’ambito della politica, essi ritengono che il movimento barbarico di andare
in superficie non porti tanto a porre l’enfasi sul leader ( cosa che è stata ipotizzata in un intervento, ma che a
loro sembra più obbedire ad una logica difensiva rispetto alla paura dei
barbari) ma piuttosto sull’ idea o narrazione o utopia che dir si voglia (i due
relatori non stanno qui dando un giudizio di valore, ma un giudizio per così
dire “sociologico”) che uno valga uno, che i singoli debbano venire presi in
considerazione in quanto tali, che la mediazione politica specializzata non sia
necessaria perché un po’ tutti sono in grado di fare un po’ tutto…
·
l’accento sulla singolarità, fra
unicorni, fiocchi di neve e nuove fragilità …
L’accento
messo da Baricco sulla medietà, intesa dai barbari non come una sottrazione ma
come la condizione per far passare un maggior numero di gesti, richiama dal
pubblico alcune domande e spunti di riflessione: come venga a configurarsi, per
esempio, quella che abbiamo sempre inteso come “eccellenza” o se vogliamo
semplice competenza (non saranno forse
simili, questi “maestri di niente” – osserva un altro interlocutore citando un
recente testo di Roberto Calasso,” L’innominabile attuale”, dove fra le altre
cose si ragiona intorno a Internet - a
quei Bouvard e Pécuchet immaginati da Flaubert, che facevano un po’ di tutto,
avevano interessi molteplici e si buttavano in mille avventure senza nulla
concludere, combinando anzi parecchi disastri?).
Domande
e riflessioni rispetto alle quali i
relatori utilizzano una metafora che può essere secondo loro esemplificativa
per indicare come i millennials si autorappresentano: non più l’animale mutante
mezzo uomo e mezzo pesce, pronto ad abbandonare la pesantezza della terraferma
per un ambiente liquido e fluttuante, come aveva immaginato Baricco, bensì un
unicorno, il mitico essere che rappresenta l’eccellenza, l’unicità e insieme
l’impossibilità, perché è destinato a rimanere un sogno (tu fondi una start-up: sai che in certi
casi, peraltro rarissimi, puoi avere un successo planetario, ma in realtà non
lo raggiungi mai, e allora ti chiedi, come il trentenne protagonista di Master
of None, che cosa hai costruito, se sei o sarai mai eccellente in qualcosa…).
Può
essere dunque – la loro risposta richiama ancora un’altra domanda dal pubblico-
che l’educazione largamente liberaleggiante di cui molti millennials hanno
goduto, tesa alla valorizzazione del singolo e fortemente sostenuta dall’enfasi
consumistica del neoliberalismo, abbia finito col determinare un eccesso di
aspettative, rendendoli di fatto più fragili di fronte ad una realtà non certo
favorevole, in cui le possibilità di fatto si restringono?
In
effetti questa è anche l’opinione di Simon Sinek (un sociologo inglese, autore
di “Start With Why” (Partire dal Perché)- una sorta di manuale-feticcio per la
generazione Google e per i giovani imprenditori, dove si esalta il valore della
motivazione come fattore di riuscita nelle proprie imprese), che è molto
critico nei confronti non tanto dei millennials, ma di un certo tipo di
educazione familiare che non insegna ad affrontare le difficoltà (dove si ripete costantemente che tu vali,
dove si danno medaglie di partecipazione agli ultimi arrivati, dice Sinek, non
si impara né il senso del successo né
quello della sconfitta).
Dal
canto loro, i relatori reputano giuste queste considerazioni, perché se non c’è
un’educazione al fallimento, se anzi c’è una forte pressione famigliare e
sociale al successo, la massima aspirazione diventa il raggiungerlo, e il non
riuscirci viene percepito come uno stigma sociale e un fallimento personale. L’insistenza
sulla singolarità e l’unicità, su cui anche la pubblicità fa leva (“tu sei unico, questo prodotto è pensato solo per te”),
diventa pericolosa, se non c’è la consapevolezza dell’ambiguità interna al
concetto di “singolare”.
Non
mancano per fortuna degli autori capaci di porre in discussione questi miti
generazionali: Cascone e Ongaro citano in particolare Chuck Palahniuk, uno
scrittore statunitense che molti millennials considerano una sorta di guru un
po’ crudo ma capace di dire la verità in modo da coinvolgerli. In uno dei suoi
romanzi più celebri, “Fight Club”, uno dei personaggi pronuncia infatti una
frase molto significativa:
“Noi crediamo di essere la generazione “snowflake” (fiocco di neve, ognuno dei quali
è unico), ma in realtà siamo tutti fatti della stessa materia organica, della
stessa carne degli altri” .
* il rapporto con la conoscenza, i contenuti “su
misura” e le Muraglie Cinesi
In
queste ultime riflessioni il discorso sul modo di intendere l’esperienza e
sull’aspirazione alla singolarità dei millennials viene a saldarsi con il
rapporto con la conoscenza, rimettendo Facebook al centro della discussione. Si
è già detto di come questo social rappresenti, a giudizio dei relatori, il
passo successivo alle branchie di Google, perché a differenza di quest’ultimo crea
un’esperienza personalizzata di navigazione e di contenuti.
Ogni
giorno infatti, quando aggiorniamo la nostra news feed, il complesso algoritmo di
Facebook sceglie fra molti possibili blocchetti di informazione (1500) quelli
che più possono interagire con noi, così che la nostra esperienza di
navigazione e di conoscenza del mondo ci arriva già filtrata: non è più
dunque una vera ricerca ma una sorta di informazione settoriale, che risponde
al nostro sguardo sulla realtà e naturalmente lo determina. E’ in questo senso
che in precedenza i due relatori hanno parlato di “bolle”, anche se ora
preferiscono adottare un termine più forte, “muri”, facendo un richiamo alla
Muraglia cinese di cui parla Baricco vedendo in essa non già un sistema
difensivo contro l’avanzare dei barbari (che in effetti non è mai riuscita
davvero a contenere), ma piuttosto un segnale forte di distinzione volto a
marcare la differenza fra la civiltà e la barbarie, un modo dunque di definirsi
rispetto all’Altro:
(in un’intervista molto interessante fatta da
Francesco Pacifico a Jonathan Franzen - l’autore de “Le correzioni”- dopo
l’elezione di Trump alla Casa Bianca, lo
scrittore osserva che il vero pericolo
che dobbiamo affrontare non è il muro di confine con il Messico che il nuovo
presidente si è impegnato a costruire, ma i muri che noi stessi abbiamo alzato
con i nostri social, quelli fra noi stessi e la diversità, attraverso i quali
facciamo entrare solo quello che corrisponde perfettamente al nostro credo
religioso, politico, di genere...)
Nel
momento in cui alziamo una barriera non tanto per difenderci dagli altri ma per
affermare noi stessi, mettiamo davvero in azione qualcosa di ben più pericoloso
di un vero muro, perché è invisibile, impenetrabile, e per giunta molto
maneggevole e piacevole: la portiamo sempre con noi, ci rassicura nella nostra
identità.
Sembra
davvero difficile sconfiggere questo concretissimo se pure invisibile e
indefinito muro, che poi non è soltanto “un” muro, ma è miliardi di muri. Non è
però del tutto impossibile, secondo Cascone e Ongaro, far scoppiare le bolle di
Facebook: viene citata infatti l’azione provocatoria di uno dei creativi del
canale Pessmed, Daniel Klein, che utilizzando a suo vantaggio il sistema che
Facebook usa per “targetizzare” le sue informazioni, inserisce nelle new feed
di utenti fortemente conservatori degli esempi positivi di integrazione
(anche
se, a dire il vero, non sono ancora chiari i risultati, resta comunque un
esempio notevole di come si possa agire all’interno dei sistemi, forzandone i
meccanismi).
e per finire, ancora
qualche riflessione sull’ ambiguità della Rete
Queste
ultime osservazioni dei due relatori richiamano da parte del pubblico una
domanda che tocca nuovamente una questione centrale relativa alla natura
ambigua di Internet: ci si chiede cioè se la Rete sia da intendersi semplicemente
come una sorta di estensione dei neuroni umani, volta ad agevolarci nella
ricerca, o se invece la massa di dati che noi stessi vi depositiamo, non
sottoposti al nostro controllo bensì alla gestione di pochi, possa ritorcersi
contro di noi, manipolandoci nostro malgrado.
Sicuramente
il pericolo è grande, Cascone e Ongaro ne convengono: di recente il caso Snowden
ha chiarito assai bene la difficoltà di proteggere la nostra privacy, di sapere
come vengono usati i nostri dati, di disconnetterci. E però qualcosa di positivo
sta avvenendo e lo stesso cambio di rotta di Facebook appena iniziato lo segnala. Quando tali
questioni diventano argomenti di discussione sociale, la partita non è chiusa:
c’è ora in molti, se non in tutti, una maggiore consapevolezza di come queste
macchine che sembrano oggetti magici possono essere utilizzate da chi ha
interesse a sapere tutto di noi. Senza contare che talvolta gli stessi sistemi hanno
in sé i propri anticorpi: i relatori citano infatti il caso di una fiction britannica,
prodotta in origine da Endemol, che è stata acquistata di recente da quello
stesso Netfkix che sta colonizzando il
nostro immaginario (si tratta di “Black Mirror, una serie antologica il cui
titolo rimanda agli specchi neri degli schermi televisivi e dei monitor, e che
pone, attraverso scenari di un futuro distopico, una critica molto forte verso
le derive delle nuove tecnologie).
E’
dunque possibile, secondo Cascone e Ongaro , essere moderatamente ottimisti…
………………………………
N.B. = Si chiude così
un intervento che è stato molto apprezzato per l’amabilità dei due relatori, la
competenza e la capacità di mettere in discussione la loro stessa generazione
di cui hanno dato prova. L’autrice della relazione si assume come sempre la
responsabilità di eventuali errori di interpretazione, segnalando che sono di
sua mano i vari titoli che scandiscono il discorso. Chi è interessato ad
approfondire i riferimenti a Baricco e agli altri autori citati nella
bibliografiai può trovare sul blog di CircolarMente un dossier riassuntivo, con
il titolo di “Indagine sulla mutazione”.
Ho molto apprezzato la relazione (ben giocata dai due relatori con continui scambi di parola che nulla hanno tolto alla continuità del discorso e che hanno semmai aggiunto vivacità e coinvolgimento) tenuta da Ongaro e Cascone. Hanno saputo dare una rappresentazione del mondo della Rete, e della generazione ad essa più legata, al tempo stesso molto attenta allo specifico ed aperta a connessioni ad ampio raggio. Personalmente non credo di aver raggiunto una mia idea esaustiva al riguardo. Non condivido né gli entusiasmi eccessivi sulle potenzialità di Internet né le critiche che aprioristicamente ne rifiutano peso e valore. Penso però, con una riflessione a monte, che sia un errore non vedere la connessione, non solo temporale, fra l’avvento della Rete e l’affermarsi della globalizzazione neo-liberista. La creazione di un mercato unico mondiale, totalmente de-regolamentato, è andata di pari passo con l’avvento di Internet, e delle sue logiche. E credo che l’una e l’altra abbiano inciso sulle condizioni materiali di esistenza, sugli stili di vita, sulle sfere emotive individuali e collettive, sulle “culture” e sul concetto stesso di “cultura”. Ongaro e Cascone hanno offerto spunti utilissimi a capire lo stato attuale dell’arte della Rete, e a comprendere come una parte rilevante dell’umanità, quella coincidente con i Millenials, in essa si muova e su di essa si formi. Temi che sarà interessante riprendere ed approfondire. Ma starei attento ad un eccesso di generalizzazione. In Internet ormai ci stanno, con intensità e coinvolgimento molto diversificati, davvero “tutti e di tutto”. E soprattutto, considerazione preliminare, non enfatizzerei l’incidenza complessiva della Rete. I cambiamenti radicali provocati dalla contemporanea globalizzazione neo-liberista stanno suscitando, come era prevedibile, sui tempi lunghi, reazioni ispirate da comprensibili timori e paure, che molto spesso esprimono però rifiuti mossi da logiche conservatrici quando non reazionarie, facile preda delle strumentalizzazioni populiste e difficilmente collegabili al “nuovo” della Rete. Può essere una sorta di schizofrenia parlare dei barbari della Rete senza vedere i barbari dei più retrivi modi di pensare dello scorso Novecento. Così come sarebbe un errore non vedere che i Millenials, forse la fascia generazionale più colpita dalle logiche neo-liberiste, si muovono nella e sulla Rete mossi non solo lungo i percorsi specifici della Rete stessa ma anche dal vuoto, e dal suo rifiuto, che fuori di essa trova. George Orwel scriveva, in “Oceania”, “chi controlla il passato controlla il futuro, e chi controlla il presente controlla il passato”. Per la proprietà transitiva….. Regola sempre valida? Forse si, ma con la Rete, il tiki-taka, e la globalizzazione mi pare che i confini fra passato, presente e futuro si siano fatti molto labili.
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