domenica 3 dicembre 2017

Sintesi della relazione tenuta da Lorenzo Ongaro e Vincenzo Cascone nel corso del seminario "Digito ergo sum" del 16 Novembre 2017 - a cura di Enrica Gallo


Relazione sull’incontro

con Lorenzo Ongaro e Vincenzo Cascone:

              

“DIGITO ERGO SUM”
COMPORTAMENTI, MUTAZIONI
E ASPETTATIVE
DELLA GENERAZIONE GOOGLE




Introduzione di Massima Bercetti:
Nel  presentare al pubblico Lorenzo Ongaro e Vincenzo Cascone, formatori alla scuola Holden di Torino e sceneggiatori (reduci, fra l’altro, da un prestigioso primo premio per la miglior sceneggiatura per lungometraggio al Mattador di Verona), l’associazione CircolarMente è consapevole di aver fatto loro una  richiesta non facile da soddisfare, quella cioè di aiutarci  a capire se le nuove modalità di conoscenza digitale rappresentino un momento di svolta epocale, da intendersi positivamente per la possibilità di attivare nuove energie  creative attraverso l’allargamento delle connessioni all’interno della Rete, o se questo nuovo modo di “navigare” in orizzontale sia destinato a rimanere alla superficie delle cose.

Un tema che l’associazione propone per la prima volta ma che è già da tempo motivo di riflessione al suo interno, in modo particolare da quando Alessandro Baricco, nel suo testo del 2006 intitolato “I Barbari. Saggio sulla mutazione”, ha suggerito l’idea di un cambiamento non solo generazionale ma davvero antropologico, quasi un cambio di civiltà che per alcuni rappresenterebbe una sorta di imbarbarimento, mentre altri, forse memori di quel Tacito che di recente il prof. Barbero ci ha richiamato alla memoria, vedono in esso la possibilità di una nuova vitalità che venga ad immettersi in una cultura ormai esausta e asfittica.

Un tema sicuramente complesso, evidenziato in questa occasione da un titolo che richiama alla mente quel “Cogito ergo sum” cartesiano che ha aperto la strada ad un cambio di passo della filosofia, destinato a svilupparsi nei secoli successivi e a plasmare la nostra autorappresentazione, ma anche inquietante perché non possiamo certo evitare di chiederci come l’uso delle nuove tecnologie impatterà nel nostro modo di conoscere, di comunicare, di partecipare all’azione politica e civile. Proprio in ragione di tale complessità questo tema sarà oggetto di altri incontri, alcuni dei quali già programmati per l’anno in corso, come quello sul rapporto fra Web e democrazia.

E’ pertanto con particolare piacere che CircolarMente si accinge ora ad affrontarlo in prima battuta, con dei relatori che per età e interessi professionali sono sicuramente in grado di guidarci a comprendere i termini della mutazione che guida i comportamenti e le aspettative delle nuove generazioni.

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Prima parte:

QUATTRO EPIGRAFI COME INDICATORI DI DIREZIONE

PER RACCONTARE IL MONDO DEI BARBARI


Per spiegare chi sono i barbari, che cosa vogliono, e anche per capire se sono in qualche modo cambiati da come li ha descritti Baricco nel suo testo del 2006, Cascone e Ongaro hanno pensato di partire da alcuni contributi video attraverso i quali farci arrivare direttamente la loro voce, per come si esprime in quei prodotti culturali ad essi più congeniali. Non è più del tutto vero, infatti, che la grammatica espressiva dei barbari – come ipotizzava allora Baricco - sia fatta principalmente dal cinema: si è andati effettivamente oltre, e oggi per raccontare il mondo dei millennials possono essere più adeguati i videogiochi, le serie televisive, i video che compaiono su Youtube o su altre piattaforme.

Prima di presentare questi contributi, che nelle intenzioni dei relatori acquistano un valore di epigrafi volte ad indicare le linee guida di un percorso che verrà ripreso e approfondito in seguito, segnaliamo che i due termini che verranno spesso sovrapposti nella conversazione non sono in realtà del tutto equivalenti, come essi stessi ci faranno notare in seguito.

Quando parliamo di “millennials”  poniamo infatti  l’accento su di un preciso dato sociologico (i giovani nati fra i primi anni ottanta e l’inizio del 2000, che vengono anche definiti come “generazione Y”, o “generazione Google”), mentre il termine “barbari” usato da Baricco non è in senso stretto generazionale ma indica i protagonisti di una mutazione nel modo di fare esperienza, di cercare il senso delle cose, di  conoscere, che si è presentata  ai suoi occhi come una vera e propria svolta epocale, un cambio di civiltà in cui tutti siamo più o meno immersi, pur posizionandoci in modo diverso.  Nonostante questa distinzione, i due termini col tempo sono diventati abbastanza sovrapponibili e pertanto in questa prima parte, in cui c’è un confronto con le intuizioni di Baricco, i relatori li utilizzeranno entrambi senza ulteriori specificazioni.  

1. “I LOVE FOOD”

che cosa intendono i barbari per esperienza

Il primo video proposto è postato su di un canale di Youtube che si chiama Tastemade – tecnicamente un multichannel network, cioè un canale dove vengono inseriti dei contributi esterni -  e che può contare, pur occupandosi solamente di cucina, su di una cifra altissima di spettatori (200 milioni ogni mese, il che significa grosso modo che i video vengono visualizzati per un periodo di tempo equivalente a duemila anni: una cifra molto superiore, tanto per fare un confronto, a quanto può raggiungere un programma televisivo di gran successo come Master Chef Italia). Che cosa guardano, dunque, i millennials in un video come questo?

In effetti in esso vediamo semplicemente persone che cucinano, mangiano, parlano di cibo muovendosi al ritmo di una musichetta allegra, mentre compaiono alcune frasi che offrono altri elementi significativi di contestualizzazione. Secondo i due relatori questo video, pur nella sua brevità, può essere utile come primo approccio per avvicinarsi al concetto barbarico di “esperienza”, intesa come qualcosa che ha a che fare con la molteplicità e con il movimento, che semplicemente si fa e non si teorizza, e che avviene al di fuori dei media tradizionali.


2. “MASTER OF NONE”

quale rapporto hanno con la conoscenza

 “Master of None” (Maestro di nulla) è una serie televisiva prodotta in quest’ultimo anno da Netflix e ideata da un autore e comico newyorchese di origine indiana, Aziz Ansari, che presta il suo volto al protagonista Dev Schah. Molto apprezzata dal pubblico e dalla critica (il New York Times ha scritto che questa serie è talmente contemporanea che sembra venire dal futuro), vuole essere un ritratto dei millennials contemporanei: il titolo fa appunto riferimento ad una delle critiche che più spesso vengono loro rivolte,  e cioè quella di essere “maestri di niente”, giovani che fanno tante cose contemporaneamente ma il cui movimento sulla superficie delle cose (il surfing di cui parla Baricco) si riduce in realtà a semplice superficialità.

Da questa serie i relatori hanno scelto i due minuti iniziali, quelli cioè che secondo una regola interna a questo genere di prodotto culturale devono dare il senso di ciò che si racconterà successivamente per esteso (che poi è una riflessione sull’amore, su quanto conviene impegnarsi in una relazione sentimentale, sulle difficoltà di farlo…).



Vediamo dunque in azione il protagonista che si accinge a fare l’amore con la sua compagna. Manca però il preservativo e tale circostanza dà adito ad una discussione sul comportamento da adottare, dal momento che nessuno dei due sembra avere le idee ben chiare. Per risolvere il problema, entrambi ricorrono ai rispettivi cellulari cercando risposte chiarificatrici su Google. In effetti le risposte arrivano, ma sono fra di loro assolutamente contradditorie: correre subito in farmacia a comprare un preservativo - Infischiarsene, e fare l’amore tranquillamente. Qual è dunque la risposta giusta?



Sta proprio qui, secondo i relatori, il senso del titolo. Se per avere la conoscenza noi ricorriamo a strumenti digitali, è facile incappare in quelle che vengono chiamate “bolle” e in cui la conoscenza che riceviamo non è altro che il rispecchiamento di quanto già pensiamo e sappiamo, o almeno crediamo di sapere. Questo è effettivamente uno dei grossi problemi da affrontare per la generazione dei millennials, che ha sicuramente accesso a conoscenze incomparabilmente più estese che in passato ma che deve essere attrezzata a cogliere bene questa opportunità, riuscendo ad individuare il confine fra verità e bufale, tra verità oggettiva e rispecchiamento.

3. IL MONDO DEL CALCIO

come cambiano i territori in cui entrano i barbari

Con la terza epigrafe entriamo in un mondo a cui già Baricco aveva dato un valore esemplificativo per illustrare un elemento fondamentale della mutazione barbarica, e cioè il fatto che i barbari, quando entrano in un territorio, ne cambiano profondamente la natura. Nel video proposto si parte dalla rappresentazione di uno schema di gioco e da una frase pronunciata da Josep “Pep” Guardiola (allenatore del Barcellona negli anni in cui questa squadra ha ottenuto le maggiori vittorie).

Richiesto in un’intervista prepartita di spiegare perché avesse schierato in campo come attaccante puro un giocatore di grande livello, ma decisamente basso di statura come Lionel Messi, Guardiola ebbe infatti a dire che lui non aveva bisogno di attaccanti, perché il suo attaccante era lo spazio. Una frase che può certo non essere immediatamente significativa per chi sia totalmente estraneo a quel mondo, ma che secondo i due relatori ci porta a ragionare sul fatto che il calcio, in epoca barbarica, non è più un gioco di ruolo ma è diventato un gioco di posizione in cui contano soprattutto il movimento e i passaggi intesi a dare energia e intensità diffusa al gioco. Anche su questo punto peraltro si ritornerà in seguito, approfondendo il tema con altri apporti video e con un ulteriore riferimento al testo di Baricco.

4. FACEBOOK

qual è la loro “cittadella”

 Mentre per Baricco il luogo simbolico della mutazione barbarica era Google, il cui motore di ricerca, elaborato da Sergey Brin e Larry Page, gli sembrava particolarmente atto ad esemplificare il nuovo modo in cui i barbari accedono al sapere (navigando cioè velocemente attraverso una traiettoria di link), secondo i due relatori è ora Facebook la nuova “cittadella” dei barbari. Come sappiamo, dopo un inizio scherzoso e sottotono questo social è diventato davvero qualcosa di enorme raggiungendo i due miliardi di utenti (tanto da “mangiare” lo stesso Internet) con l’intento dichiarato di rendere il mondo più aperto e connesso. Ora però questo obiettivo sta cambiando, forse per effetto dei recenti avvenimenti (l’elezione di Donald Trump) e di alcuni grossi scandali (il cosiddetto “Russiagate”). Il suo fondatore Mark Zuckerberg ritiene infatti che cambiare il mondo attraverso la connessione non sia più sufficiente a migliorarlo, anche perché visibilmente risulta sempre più diviso. Bisogna invece unirlo, dare alle persone il potere di costruire comunità.

Sono dunque cambiati, i barbari? Secondo i nostri relatori, pare proprio che essi comincino a vedere le falle del mondo che loro stessi hanno creato, e siano pronti ad assumersi nuove responsabilità. Non è un caso, a loro giudizio, che negli ultimi mesi molte voci si siano levate a denunciare queste falle: dal co-fondatore di Twitter, Evan Williams, che ha definito “rotta” la sua stessa creatura (ricordiamo che Twitter è il mezzo di comunicazione più usato da Trump, se non l’unico…), al primo presidente di Facebook, Sean Parker, che in una recente intervista ha dichiarato che Facebook sfrutta la vulnerabilità delle persone, ammettendo la sua personale responsabilità in questa deriva.

Poi, certo, è possibile che dietro queste affermazioni che si presentano come crisi di coscienza ci sia una finalità politica, anche se Zuckerberg ha ufficialmente smentito di volersi candidare alle prossime elezioni presidenziali (in effetti, il conflitto di interesse che ne deriverebbe sarebbe davvero gigantesco!), ma non è questo il punto, secondo i relatori. Quello che a loro sembra importante evidenziare è piuttosto che cosa succede quando i barbari entrano in un territorio e che già Baricco aveva individuato con grande chiarezza affermando che essi non si limitano a rivoluzionarne le regole, non cambiano semplicemente la posizione degli attori sulla mappa, ma cambiano letteralmente la mappa. Così è vero per il calcio, come per Google e Facebook e altri numerosi territori.

A questo punto Cascone e Ongaro danno volentieri spazio ad alcuni interventi del pubblico che fanno emergere due problemi importanti:


* Il problema di chi detiene la mappa e la controlla:

Su questo tema, che è davvero enorme, i relatori segnalano le analisi di Gaetano Mosca (un politologo e sociologo che ha insegnato per alcuni anni all’Università di Torino), secondo il quale è inevitabile che in ogni struttura si formino delle oligarchie che agiscono in modo da poter mantenere il controllo con tutti i mezzi a loro disposizione. Questo succede anche con i nuovi media digitali, che paradossalmente sono nati proprio con l’intento di favorire una maggiore democratizzazione dal basso (pensiamo ad Internet, che nasce con l’idea dell’apertura, dell’open source, secondo un piano ideale che oggi molti considerano fallito). Sappiamo bene ad esempio che c’è un grosso contenzioso in corso per ottenere da questi giganti del Web, che fanno ciò che vogliono e dove vogliono, l’assunzione di precise responsabilità fiscali, ma si tratta di una partita ancora aperta, e per il momento non è ancora possibile dire se si riuscirà a vincerla.


* il problema dell’asimmetria fra la velocità del Web, la sua capacità trasformativa e la lentezza dell’azione politica e istituzionale, e ancora della reazione della società rispetto alla coscienza che Internet ha del proprio potere:

Nella loro risposta, i relatori aprono prima una parentesi per così dire “tecnica” spiegando intanto che la velocità della Rete deriva da una sua caratteristica specifica che l’ha resa un mezzo veramente unico, e cioè dalla sottesa logica ipertestuale che permette di associare in maniera intuitiva documenti diversi. Una logica che già negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale era stata individuata da uno scienziato statunitense responsabile di importanti progetti governativi, che si era posto il problema della catalogazione di una conoscenza ormai sterminata senza peraltro riuscire a cogliere l’opportunità del digitale che si paleserà soltanto molti anni più tardi.

 Intervengono poi più ampiamente sulla capacità trasformativa del Web e sulle linee di tendenza che possono in questo momento essere individuate:
                                                           

·                    il ritorno agli oggetti fisici, con il passaggio dal virtuale puro

alla realtà potenziata e l’apertura di spazi per la disconnessione

I due relatori non escludono la possibilità che in un futuro non troppo lontano ci sia questo ritorno, a cui non è forse estraneo quel sentimento di nostalgia che già Baricco aveva notato fra i barbari vittoriosi; e ancora, che un certo tipo di coscienza  ci faccia allontanare dall’ambiente digitale e quindi da Internet. Ci sono già dei segnali, in questo senso: lo stesso Zuckerberg, che è sicuramente uno dei personaggi più rappresentativi di questo mondo, ha dichiarato di essersi dato come regola quella di tenere il cellulare spento dal venerdì sera al lunedì mattina, segnalando così una discontinuità rispetto alle stesse finalità iniziali di Facebook.  E’ pur vero, come alcuni nel pubblico fanno notare, che dietro la scelta di disconnettersi ci possa essere una situazione di privilegio, perché non tutti se lo possono permettere (altra partita aperta, secondo i relatori), tuttavia è innegabile che queste tendenze siano già percepibili, come lo spostamento verso un Internet delle cose. Il futuro sembra effettivamente volgersi verso i cosiddetti “oggetti connessi” (l’orologio che dà informazioni, il microonde che dialoga con il cellulare) e i dispositivi che ci permettono di potenziare il contatto con la realtà senza offuscarla, con una sorta di allontanamento dalla virtualità pura. C’è molta più realtà nel futuro di Internet, a giudizio dei relatori, di quanto oggi possa apparire…

Naturalmente dietro tutte queste linee di tendenza, oltre alla nostalgia di una vita meno convulsa e in cui ci sia più spazio per la fisicità e per la relazione diretta con le cose, ci sono anche dei limiti fisiologici: il mondo digitale è davvero un gran mercato della distrazione, tutto teso a trovare il modo di farci stare costantemente con lo sguardo fisso sullo schermo, lasciandoci invadere da ogni sorta di stimoli. Qui c‘è davvero un’altra partita in corso, in cui giganti come Netflix, che per una piccola somma mensile offre una miriade di film e di serie televisive, paiono avere come unico competitore il sonno (anche se quella con il sonno è una battaglia che stanno vincendo, come ha detto recentemente il CEO di Netflix, scherzando ma non troppo…)

Seconda parte:

INDAGINE SUI MILLENNIALS: IL “CHI E’”

DELL’ EXPERIENCE GENERATION

Dopo queste riflessioni sul Web, i due relatori mettono a fuoco in modo più diretto alcune delle caratteristiche di quella che viene spesso definita “experience generation”, ricollegandosi da un lato alle epigrafi iniziali, e dall’altro a quelle intuizioni di Baricco che a loro giudizio conservano ancora oggi validità esplicativa. Ritorniamo così col chiederci nuovamente che cosa voglia dire, per i millennials, “fare esperienza”.

·         l’esperienza come movimento veloce in superficie

Secondo l’analisi di Baricco, mentre un tempo l’esperienza veniva intesa soprattutto come un andare in profondità, accostandosi alle cose con un lavoro paziente di scavo in modo da trarne l’essenza profonda e trasformativa, ora vuol dire soprattutto un muoversi veloce rispetto ai contenuti e il cui fine non è una meta prestabilita. Per i due relatori questa intuizione di Baricco è ancora valida, pur nell’inevitabile generalizzazione, se è vero quanto possiamo trarre dal primo contributo video che ci racconta di visualizzazioni innumerevoli su di un canale che parla solo di cucina, senza peraltro fornire alcuna istruzione per l’uso. Non sono quelle infatti che i millennials cercano, ma piuttosto i contenuti in quanto tali, nel loro veloce movimento. Del resto, osservano, alcune ricerche di mercato ci dicono che tra i prodotti il cui uso si ridurrà sempre di più in questa fascia di popolazione - che è fra l’altro molto estesa, e per questo oggetto di studi mirati ad interpretarne le propensioni di consumo - ci sono i cereali da colazione (troppo complicati da usare! Bisogna aprire la scatola, versare, rinchiudere, aggiungere il latte, lavare la scodella…) a cui i giovani sembrano preferire i veloci yogurt che permettono di passare subito ad altro.

* la logica della condivisione e la preferenza per i sistemi passanti:  

Secondo Cascone e Ongaro, un’altra caratteristica importante da sottolineare è lo spostamento dell’interesse dei millennials dal possesso dei contenuti e delle cose all’accesso, cioè alla semplice possibilità di fruirne con altri. La logica è quella della cosiddetta “sharing economy”, cioè l’economia della condivisione.

Uno degli ambiti in cui questo spostamento è più evidente è quello dell’auto, il cui possesso è stato negli anni passati simbolo di crescita e di avanzamento sociale, mentre ora “l’avere la macchina” sta diventando sempre meno importante per le nuove generazioni (si fa presente che in uno degli incontri organizzati da CircolarMente lo scorso anno Giuseppe Berta, uno dei massimi studiosi italiani dell’industrializzazione, aveva osservato che il mercato dell’auto sta uscendo dall’egemonia delle case costruttrici per diventare un terreno d’investimento per le società informatiche, che lo  presentano non più come possesso ma come servizio per muoversi e connettersi).

Una tendenza per cui si utilizza anche il termine “uberizzazione” alludendo al servizio di taxi urbani che è stato oggetto di recente in Italia di forti polemiche, per i problemi di ordine legislativo e fiscale che comporta e perché l’utilizzo di personale esterno viene a confliggere con la corporazione dei tassisti (è opinione dei due relatori che occorrerà comunque venire in qualche modo a patti con questa cosa, anche se non è chiaro ancora come farlo, perché ogni innovazione cambia inevitabilmente lo scenario).

 Per tornare al tema dell’esperienza, anche in questo caso il passaggio dal possesso all’accesso trova in una intuizione di Baricco una interessante cornice concettuale. Baricco dice infatti che i barbari approfittano sempre più di sequenze sintetiche e di sistemi passanti, in cui le varie esperienze si generino le une dalle altre sprigionando energia. Per spiegare che cosa significhi esattamente questa espressione, i due relatori ci riportano all’epigrafe calcistica, ampliandola:

(Ci viene mostrato  in  questo caso un momento  clou  del calcio  non barbarico, e cioè  quello che è stato definito in un sondaggio on line del 2002 “il goal del secolo” (Maradona ai mondiali in Giappone), confrontandolo poi con un goal di Messi e facendo notare come ci sia un solo passaggio di palla prima dell’azione conclusiva, mentre secondo il già nominato Guardiola perché un’azione sia considerata oggi interessante e intensa ci vogliono almeno quindici passaggi dalla difesa al centrocampo. Per esprimere questa intensità, spiegano i relatori, si usa il termine TIKI TAKA – un’espressione onomatopeica, nata del tutto casualmente dal tentativo di un radiocronista sportivo di riprodurre il rumore della palla che passa velocissima fra i piedi dei calciatori, e diventata poi l’emblema di questo nuovo calcio.)

Un’intensità, spiega Baricco nel testo, per cui sono state sacrificate molte caratteristiche del calcio tradizionale, quelle che lui ha conosciuto e praticato da ragazzo: la divisione dei compiti e la specializzazione, per cui se uno era difensore era difensore a vita, e non era suo compito attaccare; un calcio in cui un fuoriclasse come Baggio se prendeva la palla non la mollava più, e non gli accadeva certo di essere messo in panchina, come successe dopo.  Ad un certo punto infatti si è preferito un sistema di gioco meno bloccato, in cui i giocatori possono essere anche meno talentuosi, ma capaci di “far passare” con azioni veloci un maggior numero di gesti, privilegiando dunque una situazione ibrida, dove tutti possono fare tutto.

Ora, secondo i relatori è  forse possibile azzardare un paragone fra questo cambiamento nel calcio con quanto sta accadendo nel mondo dell’auto, in cui si privilegiano auto magari meno brillanti e prestigiose ma che siano in grado di passare dall’uno all’altro, garantendo una maggiore vivibilità in città; e ancora, se ci spostiamo nell’ambito della politica, essi ritengono che il movimento barbarico di andare in superficie non porti tanto a porre l’enfasi sul leader ( cosa che  è stata ipotizzata in un intervento, ma che a loro sembra più obbedire ad una logica difensiva rispetto alla paura dei barbari) ma piuttosto sull’ idea o narrazione o utopia che dir si voglia (i due relatori non stanno qui dando un giudizio di valore, ma un giudizio per così dire “sociologico”) che uno valga uno, che i singoli debbano venire presi in considerazione in quanto tali, che la mediazione politica specializzata non sia necessaria perché un po’ tutti sono in grado di fare un po’ tutto…

·         l’accento sulla singolarità, fra unicorni, fiocchi di neve e nuove fragilità …

L’accento messo da Baricco sulla medietà, intesa dai barbari non come una sottrazione ma come la condizione per far passare un maggior numero di gesti, richiama dal pubblico alcune domande e spunti di riflessione: come venga a configurarsi, per esempio, quella che abbiamo sempre inteso come “eccellenza” o se vogliamo semplice competenza (non saranno forse simili, questi “maestri di niente” – osserva un altro interlocutore citando un recente testo di Roberto Calasso,” L’innominabile attuale”, dove fra le altre cose si ragiona intorno a Internet -   a quei Bouvard e Pécuchet immaginati da Flaubert, che facevano un po’ di tutto, avevano interessi molteplici e si buttavano in mille avventure senza nulla concludere, combinando anzi parecchi disastri?).

Domande e riflessioni  rispetto alle quali i relatori utilizzano una metafora che può essere secondo loro esemplificativa per indicare come i millennials si autorappresentano: non più l’animale mutante mezzo uomo e mezzo pesce, pronto ad abbandonare la pesantezza della terraferma per un ambiente liquido e fluttuante, come aveva immaginato Baricco, bensì un unicorno, il mitico essere che rappresenta l’eccellenza, l’unicità e insieme l’impossibilità, perché è destinato a rimanere un sogno (tu fondi una start-up: sai che in certi casi, peraltro rarissimi, puoi avere un successo planetario, ma in realtà non lo raggiungi mai, e allora ti chiedi, come il trentenne protagonista di Master of None, che cosa hai costruito, se sei o sarai mai eccellente in qualcosa…).

Può essere dunque – la loro risposta richiama ancora un’altra domanda dal pubblico- che l’educazione largamente liberaleggiante di cui molti millennials hanno goduto, tesa alla valorizzazione del singolo e fortemente sostenuta dall’enfasi consumistica del neoliberalismo, abbia finito col determinare un eccesso di aspettative, rendendoli di fatto più fragili di fronte ad una realtà non certo favorevole, in cui le possibilità di fatto si restringono?

In effetti questa è anche l’opinione di Simon Sinek (un sociologo inglese, autore di “Start With Why” (Partire dal Perché)- una sorta di manuale-feticcio per la generazione Google e per i giovani imprenditori, dove si esalta il valore della motivazione come fattore di riuscita nelle proprie imprese), che è molto critico nei confronti non tanto dei millennials, ma di un certo tipo di educazione familiare che non insegna ad affrontare le difficoltà (dove si ripete costantemente che tu vali, dove si danno medaglie di partecipazione agli ultimi arrivati, dice Sinek, non si impara né il senso  del successo né quello della sconfitta).

Dal canto loro, i relatori reputano giuste queste considerazioni, perché se non c’è un’educazione al fallimento, se anzi c’è una forte pressione famigliare e sociale al successo, la massima aspirazione diventa il raggiungerlo, e il non riuscirci viene percepito come uno stigma sociale e un fallimento personale. L’insistenza sulla singolarità e l’unicità, su cui anche la pubblicità fa leva (“tu sei unico, questo prodotto è pensato solo per te”), diventa pericolosa, se non c’è la consapevolezza dell’ambiguità interna al concetto di “singolare”.

Non mancano per fortuna degli autori capaci di porre in discussione questi miti generazionali: Cascone e Ongaro citano in particolare Chuck Palahniuk, uno scrittore statunitense che molti millennials considerano una sorta di guru un po’ crudo ma capace di dire la verità in modo da coinvolgerli. In uno dei suoi romanzi più celebri, “Fight Club”, uno dei personaggi pronuncia infatti una frase molto significativa:

 “Noi crediamo di essere la generazione  “snowflake” (fiocco di neve, ognuno dei quali è unico), ma in realtà siamo tutti fatti della stessa materia organica, della stessa carne degli altri” .

*  il rapporto con la conoscenza, i contenuti “su misura” e le Muraglie Cinesi

In queste ultime riflessioni il discorso sul modo di intendere l’esperienza e sull’aspirazione alla singolarità dei millennials viene a saldarsi con il rapporto con la conoscenza, rimettendo Facebook al centro della discussione. Si è già detto di come questo social rappresenti, a giudizio dei relatori, il passo successivo alle branchie di Google, perché a differenza di quest’ultimo crea un’esperienza personalizzata di navigazione e di contenuti.

Ogni giorno infatti, quando aggiorniamo la nostra news feed, il complesso algoritmo di Facebook sceglie fra molti possibili blocchetti di informazione (1500) quelli che più possono interagire con noi, così che la nostra esperienza di navigazione e di conoscenza del mondo ci arriva già filtrata: non è più dunque una vera ricerca ma una sorta di informazione settoriale, che risponde al nostro sguardo sulla realtà e naturalmente lo determina. E’ in questo senso che in precedenza i due relatori hanno parlato di “bolle”, anche se ora preferiscono adottare un termine più forte, “muri”, facendo un richiamo alla Muraglia cinese di cui parla Baricco vedendo in essa non già un sistema difensivo contro l’avanzare dei barbari (che in effetti non è mai riuscita davvero a contenere), ma piuttosto un segnale forte di distinzione volto a marcare la differenza fra la civiltà e la barbarie, un modo dunque di definirsi rispetto all’Altro:

 (in un’intervista molto interessante fatta da Francesco Pacifico a Jonathan Franzen - l’autore de “Le correzioni”- dopo l’elezione di Trump alla Casa Bianca,  lo scrittore osserva  che il vero pericolo che dobbiamo affrontare non è il muro di confine con il Messico che il nuovo presidente si è impegnato a costruire, ma i muri che noi stessi abbiamo alzato con i nostri social, quelli fra noi stessi e la diversità, attraverso i quali facciamo entrare solo quello che corrisponde perfettamente al nostro credo religioso, politico, di genere...)

Nel momento in cui alziamo una barriera non tanto per difenderci dagli altri ma per affermare noi stessi, mettiamo davvero in azione qualcosa di ben più pericoloso di un vero muro, perché è invisibile, impenetrabile, e per giunta molto maneggevole e piacevole: la portiamo sempre con noi, ci rassicura nella nostra identità.

Sembra davvero difficile sconfiggere questo concretissimo se pure invisibile e indefinito muro, che poi non è soltanto “un” muro, ma è miliardi di muri. Non è però del tutto impossibile, secondo Cascone e Ongaro, far scoppiare le bolle di Facebook: viene citata infatti l’azione provocatoria di uno dei creativi del canale Pessmed, Daniel Klein, che utilizzando a suo vantaggio il sistema che Facebook usa per “targetizzare” le sue informazioni, inserisce nelle new feed di utenti fortemente conservatori degli esempi positivi di integrazione

(anche se, a dire il vero, non sono ancora chiari i risultati, resta comunque un esempio notevole di come si possa agire all’interno dei sistemi, forzandone i meccanismi).

e per finire, ancora qualche riflessione sull’ ambiguità della Rete

Queste ultime osservazioni dei due relatori richiamano da parte del pubblico una domanda che tocca nuovamente una questione centrale relativa alla natura ambigua di Internet: ci si chiede cioè se la Rete sia da intendersi semplicemente come una sorta di estensione dei neuroni umani, volta ad agevolarci nella ricerca, o se invece la massa di dati che noi stessi vi depositiamo, non sottoposti al nostro controllo bensì alla gestione di pochi, possa ritorcersi contro di noi, manipolandoci nostro malgrado.

Sicuramente il pericolo è grande, Cascone e Ongaro ne convengono: di recente il caso Snowden ha chiarito assai bene la difficoltà di proteggere la nostra privacy, di sapere come vengono usati i nostri dati, di disconnetterci. E però qualcosa di positivo sta avvenendo e lo stesso cambio di rotta di Facebook appena        iniziato lo segnala. Quando tali questioni diventano argomenti di discussione sociale, la partita non è chiusa: c’è ora in molti, se non in tutti, una maggiore consapevolezza di come queste macchine che sembrano oggetti magici possono essere utilizzate da chi ha interesse a sapere tutto di noi. Senza contare che talvolta gli stessi sistemi hanno in sé i propri anticorpi: i relatori citano infatti il caso di una fiction britannica, prodotta in origine da Endemol, che è stata acquistata di recente da quello stesso Netfkix  che sta colonizzando il nostro immaginario (si tratta di “Black Mirror, una serie antologica il cui titolo rimanda agli specchi neri degli schermi televisivi e dei monitor, e che pone, attraverso scenari di un futuro distopico, una critica molto forte verso le derive  delle nuove tecnologie).

E’ dunque possibile, secondo Cascone e Ongaro , essere moderatamente ottimisti…

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N.B. = Si chiude così un intervento che è stato molto apprezzato per l’amabilità dei due relatori, la competenza e la capacità di mettere in discussione la loro stessa generazione di cui hanno dato prova. L’autrice della relazione si assume come sempre la responsabilità di eventuali errori di interpretazione, segnalando che sono di sua mano i vari titoli che scandiscono il discorso. Chi è interessato ad approfondire i riferimenti a Baricco e agli altri autori citati nella bibliografiai può trovare sul blog di CircolarMente un dossier riassuntivo, con il titolo di “Indagine sulla mutazione”.  

1 commento:

  1. Ho molto apprezzato la relazione (ben giocata dai due relatori con continui scambi di parola che nulla hanno tolto alla continuità del discorso e che hanno semmai aggiunto vivacità e coinvolgimento) tenuta da Ongaro e Cascone. Hanno saputo dare una rappresentazione del mondo della Rete, e della generazione ad essa più legata, al tempo stesso molto attenta allo specifico ed aperta a connessioni ad ampio raggio. Personalmente non credo di aver raggiunto una mia idea esaustiva al riguardo. Non condivido né gli entusiasmi eccessivi sulle potenzialità di Internet né le critiche che aprioristicamente ne rifiutano peso e valore. Penso però, con una riflessione a monte, che sia un errore non vedere la connessione, non solo temporale, fra l’avvento della Rete e l’affermarsi della globalizzazione neo-liberista. La creazione di un mercato unico mondiale, totalmente de-regolamentato, è andata di pari passo con l’avvento di Internet, e delle sue logiche. E credo che l’una e l’altra abbiano inciso sulle condizioni materiali di esistenza, sugli stili di vita, sulle sfere emotive individuali e collettive, sulle “culture” e sul concetto stesso di “cultura”. Ongaro e Cascone hanno offerto spunti utilissimi a capire lo stato attuale dell’arte della Rete, e a comprendere come una parte rilevante dell’umanità, quella coincidente con i Millenials, in essa si muova e su di essa si formi. Temi che sarà interessante riprendere ed approfondire. Ma starei attento ad un eccesso di generalizzazione. In Internet ormai ci stanno, con intensità e coinvolgimento molto diversificati, davvero “tutti e di tutto”. E soprattutto, considerazione preliminare, non enfatizzerei l’incidenza complessiva della Rete. I cambiamenti radicali provocati dalla contemporanea globalizzazione neo-liberista stanno suscitando, come era prevedibile, sui tempi lunghi, reazioni ispirate da comprensibili timori e paure, che molto spesso esprimono però rifiuti mossi da logiche conservatrici quando non reazionarie, facile preda delle strumentalizzazioni populiste e difficilmente collegabili al “nuovo” della Rete. Può essere una sorta di schizofrenia parlare dei barbari della Rete senza vedere i barbari dei più retrivi modi di pensare dello scorso Novecento. Così come sarebbe un errore non vedere che i Millenials, forse la fascia generazionale più colpita dalle logiche neo-liberiste, si muovono nella e sulla Rete mossi non solo lungo i percorsi specifici della Rete stessa ma anche dal vuoto, e dal suo rifiuto, che fuori di essa trova. George Orwel scriveva, in “Oceania”, “chi controlla il passato controlla il futuro, e chi controlla il presente controlla il passato”. Per la proprietà transitiva….. Regola sempre valida? Forse si, ma con la Rete, il tiki-taka, e la globalizzazione mi pare che i confini fra passato, presente e futuro si siano fatti molto labili.

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