Innanzitutto
per chi non lo ha ancora letto, ma per tutti quanti per farne prezioso uso, pubblichiamo
l’articolo, apparso su La Repubblica del 24 Novembre, a firma di Gustavo
Zagrebelsky che ha immediatamente suscitato molti commenti ed un dibattito
decisamente acceso. Va subito detto che buona parte degli interventi guardano
alle affermazioni di Zagrebelsky più legate all’attuale quadro politico,
governo gialloverde in primis. Aspetto sicuramente ben presente nell’articolo e
affrontato con una partecipazione ed un enfasi molto forti. A nostro modesto
parere sarebbe però riduttivo considerarlo soltanto come una sorta di pamphlet
antigovernativo, con le conseguenti divisioni aprioristiche fra sostenitori e
contrari. Che Zagrebelsky non abbia in gran stima il governo gialloverde, ed i
partiti che lo sostengono, è cosa evidente e tutt’altro che celata, ma la sua
sensibilità, professionale e civile, per la difesa dei valori democratici della
Costituzione non nasce certo in questi ultimi mesi. Ne fa fede il suo curriculum
e il suo intero percorso civile, venendo poi a tempi recenti ne aveva data ulteriore
testimonianza con il suo impegno per il NO al referendum proposto dal
precedente governo di tutt’altro segno politico. Quindi quello che Zagrebelsky
ci chiede non è tanto di “votare contro”, quanto piuttosto di
riconoscere e combattere, anche ricorrendo a forme di disobbedienza civile, un
pericoloso processo di inaridimento delle radici, di quello che egli stesso
definisce il “substrato”, della democrazia. Uno sguardo appena un poco meno
limitato alle “miserie” di casa nostra ci dimostra che questa questione è
tutt’altro che solo italiana, essendo semmai un processo che, ovviamente con
caratteri specifici per ogni paese coinvolto, sta investendo tutte le
democrazie occidentali. La decisione di pubblicare questo articolo non è quindi
mirata ad aggiungere un fuscello locale al fuoco delle polemiche “politiche”
inevitabilmente innescate - non è mai stato nel nostro stile fare la conta di
chi sta di qua piuttosto che di là - vogliamo recuperare le problematiche di
fondo che esso presenta perché condividiamo, da tempo, il grido di allarme che
viene lanciato e perché speriamo che “conoscere e capire” siano la migliore
risposta a pericoli e degenerazioni. Con questo spirito abbiamo pertanto evidenziato in corsivo grassetto le frasi che, a nostro personale avviso, meglio evidenziano il pensiero di fondo di Zagrebelsky.
P.S. = nell’articolo si fa ampio riferimento ad un articolo di
Umberto Eco sull’ur-fascismo. Ci piace ricordare che a questo termine è stato dedicato
un post di questo nostro blog del Febbraio 2015
E’ arrivato il tempo
della resistenza civile
della resistenza civile
di Gustavo Zagrebelsky
Un dato culturale assai significativo è che
oggi si discute sempre meno di Costituzione e sempre più di fascismo. E’ uno
spostamento dell’attenzione da una forma giuridica (la Costituzione) a una
sostanza politica (un regime). “Forza normativa del fatto” dicono i giuristi
quando il “fatto compiuto”, o che si sta compiendo, scalza il diritto o lo
predispone alla resa. Questo spostamento spiega il silenzio di tanti giuristi,
fino a qualche tempo fa alquanto loquaci (tra i quali io stesso). Cambia
l’oggetto e cambiano gli interlocutori, occupano la scena i politologi, gli
storici, i sociologi, i giornalisti, i politici, la gente comune. Tutti insomma
meno che i costituzionalisti. Sembra che il loro oggetto stia evaporando. La
loro voce, se è critica, si perde come un fruscio fastidioso nel rumore
dominante. Per lo più non merita neppure una risposta. Restano per ora i
“custodi”: il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale. Essi sono
organi della Costituzione, ma fino a quando e fino a che punto potranno
resistere alla forza materiale che spinge all’omologazione. Dunque: taceant iurisprudentes in munere alieno e
aspettino semmai l’avvento di tempi nuovi, quando forse si richiederà la loro
competenza per mettere in forma il fatto compiuto. Che cosa accade quando la
forza del fatto insidia la forza della Costituzione? Consideriamo che qualunque
sistema di governo ha uno strato e un substrato. Lo strato è la superficie, il
substrato è la sostanza. Lo strato è fragile. Il substrato, invece, è
molte cose pesanti: valori e interessi, rapporti di dominanza e sudditanza,
speranze e disperazioni, credenze e illusioni, miti e credulità, amicizie e
inimicizie, altruismo ed egoismo, legalità e corruzione, sopraffazioni e
violenze, cultura ed ignoranza; insomma è per così dire il sangue misto che
scorre nelle vene della società, portando con sé forze diverse e
contradditorie. Per definire la Costituzione si può dire che essa è una
selezione: promuove e condanna quanto nella società vi è di buono e quanto di
male, secondo ideali di giustizia storicamente vincenti. Ma il progetto di
selezione, per non essere campato in aria, deve essere sostenuto da una società
che, almeno prevalentemente, ci si identifica, ci crede. A ogni regime politico
deve corrispondere infatti un certo tipo di società, lo strato deve appoggiarsi
su un substrato coerente: la Costituzione democratica presuppone una
società a sua volta democratica. Non esiste democrazia politica se non
esiste democrazia sociale. Chi vuole destabilizzare la Costituzione
democratica, per poi rovesciarla e costruirne una nuova su altre basi, sa bene
che deve incominciare dalla società. Si tratta per lui di amplificare
il disgusto per le immancabili corruzioni, di diffondere veleni che alimentino
paure, invidie, risentimenti e giustificano così pulsioni autoritarie,
sopraffazioni, intolleranze, discriminazioni e violenze. Facilissimo: questo
vasi di Pandora è molto più facile scoperchiarlo che chiuderlo. Ma
ciò che ne esce è fascismo? La controversia odierna su questo punto,
per non essere un esercizio propagandistico, deve considerare, innanzitutto,
che il fascismo è solo una tra le tante manifestazioni storiche di qualcosa di
assai più profondo, costante e radicato nell’animo umano e nelle pulsioni
sociali. Questo “qualcosa” può assumere forme storiche le più varie, pur avendo
radici comuni. Noi e l’Europa occidentale ne abbiamo conosciute alcune, non
identiche ma fondate su principi similmente antidemocratici: fascismo italiano,
nazismo, falangismo spagnolo, estado novo portoghese, ecc.; sicchè si spiega che
ancora oggi per indicare ciò che contrasta la democrazia si dica: fascismo!. Ma
i
nemici della democrazia sono proteiformi, non necessariamente fascisti nel
significato che esso ha storicamente assunto. Si può essere antidemocratici
senza essere fascisti. Non tutto ciò che non ci piace è fascismo.
Questo giornale, il 2 Luglio 1995, ospitò uno scritto di Umberto Eco che parla
di fascismo eterno o di ur-fascismo (il prefisso ur indica qualcosa di
originario, primordiale). I suoi caratteri sono riassunti così: identità
aggressiva e purismo etico, rifiuto della modernità e tradizionalismo
reazionario, rigetto dei principii dell’89 e dei diritti individuali,
irrazionalismo e primato dell’azione sulla riflessione e sulla discussione,
decisionismo, culto della forza e “machismo”., anti-parlamentarismo, ostilità
nei confronti della libertà di scienza, arte e stampa, sospette portatrici di
germi critici, esaltazione dell’uomo medio e del senso comune, concezione del
popolo come un tutt’uno indifferenziato, corporativismo, intolleranza nei
confronti dei “diversi” e dei “non integrabili”, xenofobia variamente motivata
e razzismo, pensiero unico e unanimismo, fantasmi di complotti, nazionalismo ripiegato
su sé stesso contro internazionalismo e, a maggior ragione, cosmopolitismo,
complesso di unicità e di superiorità, unito a vittimismo che sfocia in
aggressività. Il linguaggio, a sua volta è l’ingrediente comunicativo pieno di
sottintesi: parole nuove, parole antiche in significati nuovi, parlar
violento e plebeo di cose difficili ed elevate, accarezzare l’ignoranza e la
banalità di massa. Non necessariamente tutti compresenti, questi sono
aspetti delle “società chiuse” o “società organiche”, di cui il modello
primordiale è la “tribù”. Sebbene talora si abbia l’impressione di cose
relativamente moderne, comparse nel secolo dei totalitarismi, sono invece
antichissime. L’archetipo è il tribalismo da sempre riemergente in particolari
situazioni storiche, ogni volta con caratteri propri, per esempio con
quelli del fascismo. Ciò significa che tutti i fascismi sono tribalisti, ma non
tutti i tribalismi sono fascisti. Donde la deduzione: per mettersi il cuore in
pace non basta dire che, data l’incontestabile distanza della società odierna
da quella del secolo scorso, ciò che bussa alle nostre porte non è fascismo;
possono bussare, uno dopo l’altro, gli ingredienti del tribalismo, ed è persino
peggio, perché è facile illudersi che ci si fermi li. Invece, uno dopo l’altro,
possono diventare una valanga. A forza di subire adeguandoci, si finisce per
diventare qualcosa che non si sarebbe voluto e, all’inizio, nemmeno si sarebbe
immaginato. Resta la domanda: che fare? Ritorniamo da capo. Si sarà
notato che tutti gli elementi del tribalismo stanno innanzitutto nel “substrato”
delle azioni e dei convincimenti sociali. Da lì occorre procedere. A
chi pretende di parlare a nome degli “italiani” e della loro “identità” si
opponga il dissenso, a chi esalta la forza si oppongano il rispetto e la
mitezza, a chi burocratizza la scuola e l’università per trasformarle in
avviamento professionale, si oppongano i diritti della cultura, alle illegalità
si reagisca senza timore con la denuncia, alla cultura della discriminazione e
della violenza si contrappongano iniziative di solidarietà. Agli ignoranti, che
usano la vuota e spesso oscena neo-lingua, si chieda: ma cosa dici mai, ma come
parli? Eccetera eccetera. Fino al limite della resistenza ai soprusi e
delle disobbedienza civile che, in casi estremi, come ha insegnato Don Milani,
sono virtù.
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