La
parola del mese
A turno si propone una parola, evocativa di pensieri
collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni
NOVEMBRE
2018
Nella storia del pensiero umano si sono, da sempre, affacciate parole che
hanno condensato in sé un intero concetto, anche complesso, piuttosto che una vera
e propria riflessione teorica. Ciò è avvenuto sia in campo scientifico che in
quello umanistico. Molte di queste parole sono rimaste legate al contesto
specifico in cui erano nate, e ormai vengono citate come “reperto storico”,
altre hanno conservato intatto il loro potere significante. Alcune non vengono
nemmeno più citate e di esse solo alcuni “addetti ai lavori” tengono memoria,
altre invece sono rimaste, spesso con ruolo importante, nell’odierno dialogo,
altre ancora giacciono lì latenti ma intatte e giungono utili quando si
ripresenta il concetto o la riflessione che sintetizzano. E’ questo il caso
della parola di questo mese: di recente “adozione” non viene citata con
eccessiva frequenza ma, essendo tuttora attuale ed attivo il concetto che
sintetizza, torna utile riportarla alla ribalta. Torna utile in particolare a
noi di CircolarMente mentre affrontiamo il tema dei “futuri” al centro del
nostro programma. Molti degli scenari presenti in questi possibili “futuri”
rientrano a ben vedere nell’ambito del complesso rapporto fra il “potere”, o
meglio ancora i diversi poteri della politica, dell’economia, della tecnica, e
le nostre vite, i nostri stessi corpi. La parola di questo mese è infatti……
BIOPOLITICA
Biopolitica sostantivo femminile formato da bio [dal greco βίοs «ciò
che vive»] e da politica [dal greco politikè “amministrazione della cosa pubblica,
della polis”] = L'insieme delle norme e delle pratiche adottate da uno stato per regolare la
vita biologica degli individui nelle sue diverse fasi e nei suoi molteplici
ambiti (sessualità, salute, riproduzione, morte, ecc.).
Fra le diverse definizioni di questa parola, che in effetti presenta
diverse sfaccettature e declinazioni, è questa quella che meglio si adatta al
nostro specifico interesse. Per meglio cogliere la sua ricca complessità ci
affidiamo alla illustrazione che di essa fa il filosofo Roberto Esposito
nell’ambito della Enciclopedia Treccani
Biopolitica
di Roberto Esposito
Per biopolitica s'intende,
soprattutto a partire dalla elaborazione che ne ha proposto M. Foucault,
un'implicazione diretta e immediata tra la dimensione della politica e quella
della vita intesa nella sua caratterizzazione strettamente biologica. In senso
generale e mediato, l'agire politico si è sempre rapportato alla vita e,
reciprocamente, la vita ha sempre costituito il quadro di riferimento delle
dinamiche socio-politiche. Ma, mentre per una lunga fase tale rapporto è
apparso indiretto, perché filtrato da mediazioni ordinative di tipo
giuridico-istituzionale, a partire da un certo momento, situabile, per
Foucault, nella seconda metà del 18° secolo, esso ha assunto la forma di una
connessione sempre più stretta e vincolante. Già in Th. Hobbes, che pure è
all'origine della filosofia politica moderna fondata sul binomio classico tra
sovranità statale e diritti individuali, la posta in gioco prioritaria della
politica è costituita dall'esigenza di conservazione della vita rispetto ai
rischi di morte violenta che sono inerenti alle interrelazioni umane. Ma
soprattutto dopo di lui il paradigma giuridico di sovranità viene affiancato, e
a volte contraddetto, da un altro regime di discorso, e dalle pratiche a esso
corrispondenti, orientato piuttosto al governo dei corpi individuali e del
corpo collettivo della popolazione. Se il dominio sovrano si esercitava
prevalentemente nel prelievo delle risorse, ma anche di sangue, di sudditi
sottoposti al diritto di vita e di morte, il biopotere si rivolge piuttosto a
quei processi - di riproduzione, risanamento, profilassi - i quali attengono al
prolungamento e al miglioramento delle condizioni di vita. Da qui - oltre al
ruolo sempre più centrale che viene assunto dal sapere medico - la nascita e lo
sviluppo di quelle scienze della vita che sono la statistica demografica,
l'igiene e anche l'economia intesa come tecnica per incrementare le ricchezze
della popolazione. Tuttavia la questione della biopolitica - la complessità del
suo concetto e la problematicità del suo significato - non è riducibile a
questa traiettoria apparentemente virtuosa. Essa, già nel dispositivo teorico
foucaultiano, implica un'antinomia costitutiva destinata a evidenziarsi sempre
più nel corso dei due secoli successivi. Il processo generale di custodia e
potenziamento della vita, infatti, non è separabile da un effetto contrapposto
che sembra restaurare, a livello di massa, la pratica sovrana di decisione di
morte. Non a caso il rapporto Social
insurance and allied services, noto come Piano Beveridge (1942)
- vale a dire il più vasto intervento internazionale a favore della salute - si
colloca nel pieno della Seconda guerra mondiale, cioè del più grande massacro
della storia moderna. Secondo Foucault, responsabile di questo intreccio
paradossale di protezione e negazione della vita - portato al culmine dal
nazismo - è stato l'incontro della biopolitica con il razzismo, esso stesso
declinato in termini sempre più rigidamente biologistici: quando la salute e la
pretesa purezza razziale di un popolo diventano l'obiettivo politico supremo, a
esso può ben essere sacrificata una porzione di vita che viene considerata non
altrettanto valida e dunque, come fu detto da alcuni, non degna di essere
vissuta. Pur avendolo portato al punto di massima elaborazione, non è stato
Foucault a coniare il concetto di biopolitica. Già in qualche modo profilato
nella cultura positivistica francese - A. Comte nel suo Système de politique
positive (1851-1854) usa il neologismo biocrazia - e poi implicito
in tutto il darwinismo sociale di impronta spenceriana, il nodo tra politica e
vita è al centro della filosofia di F.W. Nietzsche. Assumere, come egli fa, la
volontà di potenza come il fondamentale impulso umano non significa affermare
soltanto che scopo ultimo della politica è l'espansione vitale degli individui
e delle collettività, ma anche che i conflitti più significativi del nostro
tempo avranno come oggetto e come campo di battaglia il corpo vivente
dell'uomo. Rispetto alla radicalità, e anche all'articolazione, della concezione
nietzschiana, la ripresa novecentesca del tema non ha lo stesso spessore
concettuale e semantico. Sia la sua formulazione organicistica registrata negli
anni Venti in Germania (per es., a opera di J. von Uexküll), sia la
trascrizione etico-umanistica che ne fu effettuata in Francia negli anni
Sessanta (da A. Starobinski ed E. Morin), sia, infine, quella sociobiologica,
ancora attiva in alcuni settori della scienza politica americana (si veda la
serie dei volumi collettanei Research in biopolitics, 1991-2001),
appaiono appiattite su un calco naturalistico che perde gran parte della
profondità della categoria.
Rispetto a tali declinazioni
del concetto, non c'è dubbio che la prospettiva di Foucault risulti l'unica in
grado di sostenere il confronto con quella di Nietzsche, di cui riprende più di
un motivo, ma in un quadro ermeneutico che ne muta radicalmente i termini in
senso critico e problematico. La sovrapposizione tra politica e vita, intuita
drammaticamente da Nietzsche - e poi praticata in forma tanatopolitica dal
nazismo - viene da Foucault interrogata e smontata in tutte le sue pieghe
interne e i suoi effetti di senso. Essa, più che una costante naturale, è, per
il pensatore francese, frutto di una storia complessa che vede alla sua origine
il governo delle anime da parte dell'attività pastorale cristiana per poi
pervenire, attraverso quelle che Foucault definisce tecnologie sei- e
settecentesche della 'ragion di Stato' e dei 'saperi di polizia', al suo esito
più intenso e contraddittorio nella tarda modernità. Neanche l'interpretazione
di Foucault riesce a dissipare tutte le opacità di una categoria ambivalente e
aporetica come quella in questione. La stessa articolazione storica richiamata
presenta alcune lacune e incongruenze relative soprattutto al rapporto tra la
modernità e i suoi antecedenti, ma anche alla sua deriva totalitaria. Il potere
sovrano è l'origine o lo sfondo di contrasto su cui si ritaglia la biopolitica?
E ancora, il processo biopolitico va inteso in senso prevalentemente affermativo,
come potenza produttiva di vita o nei termini negativi della sua chiusura
impositiva e violenta? Probabilmente assillato da simili interrogativi, ai
quali non seppe dare una risposta definitiva, già alla fine degli anni Settanta
del Novecento Foucault abbandonava il terreno scivoloso della b. a favore di
temi meno inquietanti e controversi. Bisogna aspettare gli anni Novanta perché
l'enigma della b. torni a interessare la filosofia contemporanea. I motivi di
questa ripresa d'interesse - registrata soprattutto in Italia con i lavori di
G. Agamben, di A. Negri e di R. Esposito - sono, prima ancora che di tipo
teoretico, di carattere oggettivo. Mai come in questi anni a cavallo del nuovo
millennio tutti gli elementi topici del regime biopolitico sono venuti
prepotentemente alla ribalta. Dal carattere etnico dei conflitti internazionali
alla indistinzione crescente tra politica e polizia nella gestione dei problemi
sociali, dalla migrazione di un numero sempre crescente di uomini e di donne
sprovvisti di qualsiasi statuto giuridico e spesso ridotti allo stato informe
di nuda vita alla proliferazione corrispondente della ingerenza umanitaria,
anch'essa esterna alla sfera regolata dei diritti, dalla diffusione ossessiva
della sindrome della sicurezza (sociale, ambientale, biologica) alla ribadita
centralità della politica sanitaria in tutti i programmi di governo, la
questione della vita sembra accamparsi al centro dell'esperienza contemporanea
come l'unica fonte di legittimazione indiscussa. La stessa penetrazione della
scienza nel corpo umano attraverso l'inarrestabile incremento delle
biotecnologie - con tutti i problemi etici, sociali, antropologici che comporta
- determina una mobilitazione di interesse proporzionale al deperimento delle
forme tradizionali di partecipazione politica sul piano delle istituzioni
rappresentative. Dappertutto, in politica interna e in politica internazionale,
i paradigmi universalisti della sovranità e della legge uguale per tutti
sembrano cedere di fronte al proliferare incontenibile delle differenze
storiche, sessuali, nonché religiose. In questa situazione in continuo mutamento,
un atteggiamento di difesa attardata della semantica politica moderna appare
sempre meno praticabile. Ma ciò non vuol dire che si riproducano le condizioni
primonovecentesche di un biopotere totalitario. Al contrario, pare determinarsi
una sorta di socializzazione, o di 'immanentizzazione', della fenomenologia
biopolitica che vede crescere, almeno in Occidente, una richiesta di gestione
individuale sul proprio corpo da parte di soggetti sempre meno inclini a farsi
rappresentare dalle tradizionali istituzioni statali, partitiche e sindacali.
Tale trasformazione, legata alle dinamiche di globalizzazione tecnologica nella
parte ricca del mondo - con il relativo arretramento di quella povera a uno
stadio di mera sussistenza, quando non di costante esposizione alla morte - non
si presta certo a una valutazione compatta e indifferenziata. Di essa si
possono mettere in evidenza i caratteri negativi, addirittura catastrofici o
anche quelli, almeno potenzialmente, positivi e innovativi. Ciò che appare
indifferibile è la decostruzione, già anticipata dalla realtà, del lessico
politico-giuridico moderno a favore di una nuova idea, e pratica, politica che,
comunque la si definisca, sarà situata nell'orizzonte di senso di una vita
irriducibile ad astratti modelli normativi.
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bibliografia CONSIGLIATA PER CHI VOLESSE APPROFONDIRE
G. Agamben, Homo sacer.
Il potere sovrano e la nuda vita, Torino 1995.
M. Hardt, A. Negri, Impero.
Il nuovo ordine della globalizzazione, Milano 2002.
Politica della vita, a cura
di L. Bazzicalupo, R. Esposito, Roma-Bari 2003.
R. Esposito, Bios.
Biopolitica e filosofia, Torino 2004.
M. Foucault, Naissance de
la biopolitique. Cours au Collège de France 1978-79, Paris 2004.
M. Foucault, Sécurité, territoire, population. Cours au
Collège de France 1977-78, Paris 2004.
A. Cutro, Antologia
della biopolitica, Milano 2005.
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