lunedì 12 novembre 2018

Ma di che PIL parli - a cura di Giancarlo Fagiano



Ma di che PIL parli?

Le cronache da settimane ci raccontano dello duro scontro sulle previsioni di crescita del PIL italiano negli anni  futuri ad iniziare dal prossimo. La previsione ottimistica del governo giallo-verde di una crescita dell’1,5% nel 2019 è decisamente messa in discussione dalla UE e di certo non trova una buona base di partenza nel trend attuale che ha visto, per il terzo trimestre del 2018, una crescita zero. Chi scrive non è mai stato un gran estimatore del PIL: certo è  indicatore fondamentale per misurare il tasso di crescita della produzione, e quindi dell’economia in generale, ma averlo assurto a parametro pressochè esclusivo (la cosiddetta “dittatura del PIL”) del bene-essere, dello sviluppo in senso lato, della salute generale di un paese, di una società, è operazione molto discutibile. Discorso molto ampio che varrebbe la pena di riprendere nel nostro riflettere sui “futuri”, ci limitiamo in questo post ad una sorta di “spigolatura”, a fin di bene naturalmente, sul valzer di cifre che ballano fra contendenti disposti al duello all’ultimo sangue (speriamo proprio di no, l’Italia ha bisogno dell’Europa e l’Europa non ha senso senza l’Italia) per un decimale di differenza di previsione. Ci soccorre un interessante grafico trovato, su suggerimento di un articolo letto sull’ultimo L’Espresso, nel sito vividmaps.com (che propone una raccolta di tabelle, grafici, mappe, su una miriade di argomenti a valenza globale, in grado di fornire in modo visivamente sintetico indicazioni e dati molto chiari e stimolanti); il grafico riassume per i quindici paesi che componevano al tempo la UE la percentuale di crescita del PIL nel ventennio 1995-2014:

Spicca il colore rosso dell’Italia, unico paese ad avere, con un misero 1,9%, un tasso di crescita nel ventennio in esame inferiore al 10%, a confronto del 13,5% della Grecia (appena prima del baratro successivo), del 19,1% del Portogallo, del 23,9 della Spagna, del 20,7% della Francia, del 28,7% della Germania, per non dire dei paesi colorati in verde chiaro e più ancora in verde scuro. Non compaiono nella mappa ma in alto a destra, a caratteri piccoli, sono indicati per lo stesso periodo le percentuali, tutte decisamente più positive, degli Stati Uniti, del Giappone, del Canada, le altre nazioni non europee componenti il G7, ossia il consesso dei sette paesi più industrializzati del mondo. Tornando alla spigolatura se la storia qualcosa insegna, e se la matematica non mente, l’Italia dal 1995 al 2014 vanta, si fa per dire, un tasso medio di crescita annuale dello 0,095%. E’ un dato che dovrebbe far capire, ed era esattamente quanto ci disse nella sua conferenza del Maggio 2017 lo storico dell’Economia Giuseppe Berta, che il paese Italia ha subito dopo il boom del trentennio d’oro 1960-1990, un drastico ridimensionamento ed una radicale trasformazione della sua base produttiva, una ridotta capacità di innovazione (salvo poche isole felici), la perdita di importanti settori industriali, ossia le basi principali sule quali poggia ogni ipotesi di crescita del PIL. Una situazione che, visto che per prepararci al futuro  non si può non tenere conto di questo recente passato, meriterebbe una riflessione molto più radicale e lungimirante di quella attualmente in corso, così condizionata da interessi di rendiconto elettorale a breve. Non pare infatti che questo stia avvenendo, nessuna forza politica ha il coraggio di riconoscere l’evidente declino del nostro paese per individuarne le cause ed i possibili correttivi. Evidentemente “parlare chiaro” non garantisce gli stessi ritorni elettorali del delineare “futuri”, però molto difficilmente sostenibili. Speriamo, ovviamente di sbagliarci e di essere smentiti soprattutto dai fatti, per intanto……ma di che PIL parli?

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