Ma di che PIL parli?
Le cronache da settimane ci raccontano dello
duro scontro sulle previsioni di crescita del PIL italiano negli anni futuri ad
iniziare dal prossimo. La previsione ottimistica del governo giallo-verde di
una crescita dell’1,5% nel 2019 è decisamente messa in discussione dalla UE e
di certo non trova una buona base di partenza nel trend attuale che ha visto,
per il terzo trimestre del 2018, una crescita zero. Chi scrive non è mai stato
un gran estimatore del PIL: certo è indicatore
fondamentale per misurare il tasso di crescita della produzione, e quindi
dell’economia in generale, ma averlo assurto a parametro pressochè esclusivo
(la cosiddetta “dittatura del PIL”) del bene-essere, dello sviluppo in senso
lato, della salute generale di un paese, di una società, è operazione molto
discutibile. Discorso molto ampio che varrebbe la pena di riprendere nel nostro
riflettere sui “futuri”, ci limitiamo in questo post ad una sorta di “spigolatura”,
a fin di bene naturalmente, sul valzer di cifre che ballano fra contendenti
disposti al duello all’ultimo sangue (speriamo proprio di no, l’Italia ha
bisogno dell’Europa e l’Europa non ha senso senza l’Italia) per un decimale di
differenza di previsione. Ci soccorre un interessante grafico trovato, su suggerimento
di un articolo letto sull’ultimo L’Espresso, nel sito vividmaps.com (che propone una
raccolta di tabelle, grafici, mappe, su una miriade di argomenti a valenza
globale, in grado di fornire in modo visivamente sintetico indicazioni e dati
molto chiari e stimolanti);
il grafico riassume per i quindici paesi che componevano al tempo la UE la
percentuale di crescita del PIL nel ventennio 1995-2014:
Spicca il colore rosso
dell’Italia, unico paese ad avere, con un misero 1,9%, un tasso di crescita nel
ventennio in esame inferiore al 10%, a confronto del 13,5% della Grecia (appena
prima del baratro successivo), del 19,1% del Portogallo, del 23,9 della Spagna,
del 20,7% della Francia, del 28,7% della Germania, per non dire dei paesi
colorati in verde chiaro e più ancora in verde scuro. Non compaiono nella mappa
ma in alto a destra, a caratteri piccoli, sono indicati per lo stesso periodo
le percentuali, tutte decisamente più positive, degli Stati Uniti, del Giappone,
del Canada, le altre nazioni non europee componenti il G7, ossia il consesso
dei sette paesi più industrializzati del mondo. Tornando alla spigolatura se la storia qualcosa insegna, e se la
matematica non mente, l’Italia dal 1995 al 2014 vanta, si fa per dire, un tasso medio
di crescita annuale dello 0,095%. E’ un
dato che dovrebbe far capire, ed era esattamente quanto ci disse nella sua
conferenza del Maggio 2017 lo storico dell’Economia Giuseppe Berta, che il
paese Italia ha subito dopo il boom del trentennio d’oro 1960-1990, un drastico
ridimensionamento ed una radicale trasformazione della sua base produttiva, una
ridotta capacità di innovazione (salvo poche isole felici), la perdita di
importanti settori industriali, ossia le basi principali sule quali poggia ogni ipotesi di
crescita del PIL. Una situazione che, visto che per prepararci al futuro non si può
non tenere conto di questo recente passato, meriterebbe una riflessione molto più radicale
e lungimirante di quella attualmente in corso, così condizionata da interessi di rendiconto elettorale a breve. Non pare infatti che questo stia
avvenendo, nessuna forza politica ha il coraggio di riconoscere l’evidente
declino del nostro paese per individuarne le cause ed i possibili correttivi. Evidentemente
“parlare chiaro” non garantisce gli stessi ritorni elettorali del delineare “futuri”, però molto difficilmente sostenibili. Speriamo, ovviamente di sbagliarci e di essere
smentiti soprattutto dai fatti, per intanto……ma di che PIL parli?
Nessun commento:
Posta un commento