PAUL
AUSTER:
“NEL PAESE DELLE ULTIME COSE”
L’AUTORE:
Nato
nel 1947 a Newark, nel New Jersey, da una famiglia ebrea benestante di origine
polacca e austriaca, Paul Auster è non solo scrittore, saggista e poeta, ma
anche sceneggiatore, regista, attore e produttore cinematografico,
testimoniando in questa multiforme attività un costante impegno civile e
politico.
Nell’ambito
narrativo è considerato uno degli esponenti più importanti della letteratura
americana contemporanea e viene ascritto, con Don De Lillo e Thomas Pynchon, al
cosiddetto “postmodernismo”. Nei suoi romanzi, tesi ad esplorare le nevrosi e
la solitudine dell’uomo contemporaneo, fonde spunti diversi che vanno
dall’esistenzialismo alla psicanalisi, dalla letteratura gialla e poliziesca alle
notazioni autobiografiche (ricordiamo fra gli altri la “Trilogia di New York”, la sua opera più famosa, “La musica
del caso”, “L’invenzione della
solitudine”, “Follie di Brooklyn”).
Oltre
a collaborare alla sceneggiatura di film come “La musica del caso”, “Smoke”
e “Blue in the face”, ha diretto personalmente “Lulu on the Bridge” e “La vita interiore di Martin Frost”.
(N.B. = tratto da Vikipedia)
IL LIBRO:
“Nel paese delle ultime
cose” è stato
pubblicato nel 1987, a due anni di distanza dall’uscita de “La città di vetro” e
quasi contemporaneamente alle altre due parti della “Trilogia di New York”, che ha lanciato Paul Auster sulla scena
letteraria dopo una difficile gavetta.
Si
tratta di un romanzo distopico*, in cui la protagonista, Anna Blume, racconta
in prima persona e in forma epistolare la sua allucinante esperienza in un
luogo di cui non vengono date precise indicazioni geografiche (nel testo si
allude ad esso semplicemente come alla città, facendogli assumere una funzione
metaforica, in coerenza con la natura del romanzo) e in cui è stata
intrappolata senza speranza di poterne uscire. Da qui scrive ad un vecchio
amico, pur sapendo non solo che la sua lettera difficilmente potrà pervenirgli,
ma che quanto le è dato di vedere e di vivere gli risulterà presumibilmente
incomprensibile. Troppo lontano e folle e disperato è infatti questo paese
perché possa comprenderlo chi vive in un mondo normale, in gran parte ordinato
e prevedibile – quello in cui lei stessa ha vissuto prima di imbarcarsi in questa
folle avventura. Nondimeno scrive, senza sapere bene neanche lei perché lo fa e
perché si è risolta a farlo in questo preciso momento. E’ passato ormai molto
tempo da quando si trova in questo luogo, anche se non saprebbe dire quanto:
non si può conservare la consapevolezza dei giorni e degli anni, nel paese
delle ultime cose… Ma forse, dice, scrive perché è giusto che qualcuno sappia
ciò che lì accade, e per non perdere del tutto quel poco di ragione che le
resta. Davvero allucinante è in effetti
la storia che Anna racconta.