sabato 12 dicembre 2015

Commenti a margine del seminario "Franz Kafka, ai confini dell'umano" tenuto dal Prof. Gianluca Cuozzo


Numerose le persone che sono intervenute giovedì 3 Dicembre al seminario tenuto dal prof Cuozzo su Kafka; un grazie speciale va ai professori e ai tanti ragazzi dell’Istituto B. Pascal di Giaveno. Abbiamo già avuto modo di conoscere l’anno scorso il modo chiaro e appassionato con cui il prof. Cuozzo espone le proprie argomentazioni. Il relatore ha sottolineato l’attualità del testo di Kafka, la sua prosa infatti ci aiuta a comprendere il nostro mondo e quello che noi siamo. Kafka è un lettore attento alle trasformazioni della realtà a lui contemporanea (primi del 900) e non, come una certa critica corrente lo descrive, un inetto, una persona distante dal mondo. Kafka come politico, partecipò ai circoli anarchici di inizio secolo, denunciando la pandemia burocratica che pervadeva la società, il taylorismo, la trasformazione tecnologica e il conseguente controllo biopolitico sugli individui. W. Benjamin, riferendosi al mondo di Kafka, lo definisce come un mondo dove la legge vige senza significare, che comanda senza contenuto. Ancora oggi ci troviamo in questa situazione: i percorsi della burocrazia limitano il potere della nostra immaginazione, oggi più che mai infatti il concetto di utopia è totalmente assente dalle nostre vite. Il racconto ‘La metaformosi’ inizia in medias res, con il risveglio di un uomo qualunque che si ritrova trasformato in insetto. Sia il risveglio che l’insetto sono dimensioni di confine. Il primo é confine tra mondo onirico e mondo vigile sul quale ha presa la nostra coscienza. Il sonno e il sogno ci fanno regredire ad uno stadio pre-umano, regno degli istinti, e al risveglio dobbiamo essere prontissimi ad afferrare la nostra vita, quella che abbiamo lasciato la sera precedente. Il secondo, l’insetto, è il confine in cui la vita organica e la pura movenza meccanica si confondono: al risveglio Gregor Samsa si ritrova con delle gambette sulle quali la volontà non ha più alcuna autorità ma sono un meccanismo a sé stante, puramente reattivo. In questo insetto/meccanismo c’è un’assonanza con la fabbrica tayloristica. Infatti Gregor Samsa, risvegliandosi insetto, ha come prima preoccupazione quella di non potersi recare al lavoro e prova un forte senso di colpa! Il lavoro è percepito dal protagonista come una punizione, un castigo. E’ una colpa ereditata dal padre il quale ha contratto un debito con il suo datore di lavoro. Anche qui nuovamente i confini tra una responsabilità personale e una responsabilità generazionale. Il corpo di Gregor è l’oggetto dove tutto il disagio lascia una traccia indelebile: non vi è nessuna redenzione, nessuna salvezza è prevista, la morte é l'unica soluzione. Nella poetica kafkiana non c’è salvezza, la pena diventa espiazione ma senza redenzione, il mondo è per Kafka "l’esito di una cattiva giornata di Dio". Kafka intuisce che la società dei consumi, nella quale tutti siamo trasformati in macchine di produzione in perenne corsa contro il tempo, porta con sè una inevitabile rescissione dei legami vitali: se usciamo dalla catena di montaggio veniamo abbandonati a noi stessi, sotto la soglia dell'umano.

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