In ricordo di Tzyetan Todorov
Filosofo, saggista, scrittore
Articolo
di Giancarlo Bosetti – La Repubblica del 07/02/2017
La "diversità umana" è il tema
che ha attraversato tutta la vita e la vastissima produzione di Tzvetan
Todorov, morto ieri a 77 anni. Era uno scrittore che univa la grazia e la
modestia ad una vastissima cultura, che amava trasmettere al pubblico e non
soltanto coltivare tra accademici. "Diversità" e dunque dialogo. e
permanente riproporsi delle domande sugli "altri" e sul
"noi". Chi sono i barbari? Riecco l'antico quesito di Montaigne.
Fuggito dalla Bulgaria comunista e approdato a Parigi, Todorov vi si afferma
subito nella critica letteraria, nella filosofia e antropologia, negli studi
sul linguaggio; lavora con Roland Barthes, si avvicina allo strutturalismo ma,
rispetto a questa corrente, è attratto dalle grandi domande morali e dalla
varietà delle risposte che vi danno le diverse culture umane. Dunque sposta il
centro del suo interesse su una forma di "umanismo" che gli piaceva
definire "ben temperato". Che cosa significhi si capirà presto quando
si manifesta quella che è forse la sua vocazione principale, quella di storico
delle idee. È in questa chiave che affronta il tema che lo fa conoscere a un
pubblico più vasto La conquista dell'America. Il problema dell'altro (Einaudi).
L'opera non è una ricerca storiografica nuova, ma una indagine sulle idee dei
conquistatori, un'analisi delle loro motivazioni, sulla mente del
"noi" e sulle idee che avevano degli "altri". Protagonisti
del libro sono questi "noi", i molti e diversi "noi",
ciascuno con i suoi connotati culturali, ciascuno imbarcato in una diversa
forma di "conquista". Per Colombo quella che è in gioco è la
prospettiva di una "vittoria universale del Cristianesimo". Il
gigantesco paradosso di Colombo non è solo quello geografico di "buscar el
levante por el ponente", ma quello filosofico di un monista che spalanca
le porte al pluralismo, di una mentalità incorreggibilmente centrata sulla sua
cultura che aprirà lo sguardo europeo su altri mondi. L'"universalismo"
mostra qui una incrinatura coloniale e di dominio su cui Todorov tornerà
ripetutamente, individuando una severa aporia del pensiero illuministico, su
cui aveva già scritto pagine celebri Isaiah Berlin. Ma altri "noi"
entrano nel gioco della Conquista: Hernán Cortés, che è il capo militare,
studia gli indi meglio non solo di Colombo, ma persino di Bartolomé de Las
Casas (che ne diventerà il difensore) e lo fa per usare la conoscenza in
funzione strategica, per dominarli, che è il suo obiettivo. Altri come
Bernardino de Sahagún approfondiscono lo studio dei nativi, dei loro costumi e
della loro religione, con un atteggiamento analitico, ma con l'obiettivo
esplicito di estirpare l'idolatria. Altri ancora come Cabeza de Vaca, vivono
avventurosamente dall'interno entrambe le culture, la propria e quell'altra,
trovandosi in un vero sofferto conflitto con se stessi quando si viene alle
armi. Infine Las Casas, colui che prende le parti dei nativi, prova per la loro
sorte pietà e amore, si impegna in una battaglia per modificare le leggi e
imporre il rispetto dei loro diritti, perché riconosce loro una cultura con la
stessa dignità di quella del "noi" europeo. Las Casas smaschera e
denuncia gli aspetti ingiu- sti, atroci e sanguinari dell'occupazione spagnola
e ne attacca la legittimità. Anche davanti agli aspetti più cruenti della civiltà
dei nativi adotta uno sguardo che oggi possiamo definire antropologico o
prospettivista. La giustificazione dei sacrifici umani è un passaggio cruciale
delle discussioni sul giudizio morale e sul relativismo, per Todorov, come era
stato anche per Montaigne. Lo scrittore bulgaro si serve di questa chiave per
smascherare l'etnocentrismo che è in agguato dietro ogni professione di
universalismo. E si spinge fino a individuare un limite di "universalismo
inconsapevole" che si annida nell'autore degli Essais, quando gli sfuggono
valutazioni su "verità" e "ragione" che certo un autentico
relativista contemporaneo non accetterebbe mai (in Noi e gli altri. La
riflessione francese sulla diversità umana, Einaudi). Ma certo, data la precoce
epoca in cui il sindaco di Bordeaux ha affacciato i suoi pensieri, la seconda
metà del ‘500, cinque secoli prima di Nietzsche e di Wittgenstein, Todorov gli
riconosce il titolo di valido nemico dell'etnocentrismo. Negli ultimi anni
questa discussione – relativismo contro universalismo – è ritornata negli
scritti di Todorov, con evidente riferimento polemico al dopo 11 settembre e ai
teorici dei conflitti di civiltà. Riprendendo la riflessione sull'Illuminismo
francese e sui rischi di un giudizio morale generalizzante che muova da una
cultura verso un'altra, decretando "superiorità", e immaginando che
dietro a questo giudizio si affacci facilmente il dominio militare o economico,
Todorov non intende però arrendersi all'opzione nichilista: il fatto che
ciascun soggetto sia parte di una cultura e ne sia molto condizionato non
impedisce di impegnarci ad attraversare mentalmente le frontiere e a liberarci
da una possibile prigionia. A partire da ciascuna cultura è possibile aspirare
a valori di civiltà nel nome dell'unità del genere umano, che è un fatto
incontestabile tanto quanto la sua diversità culturale. Nelle discussioni
roventi che hanno attraversato in questi anni l'Europa e gli Stati Uniti,
Todorov si è schierato (in La paura dei barbari, Garzanti) con grande
determinazione contro coloro che hanno invocato l'abbandono dell'Islam come
soluzione politica individuando nelle pagine di Oriana Fallaci, di Robert
Redeker, e di altri polemisti anti-islamici il vizio che ripropone il
"noi" etnocentrico, con il suo ben noto orgoglio, contro la
"barbarie degli altri". È l'antico problema della specie umana,
quello che con Michail Bachtin, l'autore russo a lui caro, Todorov chiamava il
vizio del "monologismo", grande nemico di una possibile pacifica
"polifonia". Ancora nel libro recente del 2012 – I nemici intimi
della democrazia – Todorov invita a cercare il problema dentro di noi non fuori
tra i «barbari».
Todorov e l’arte cpme antidoto allo scontro di civiltà
Articolo di Dario Pappalardo – La Repubblica del
07/02/2017
L'arte, secondo Tzvetan Todorov, poteva
salvare il mondo. O almeno contribuire a spegnere lo scontro di civiltà. È per
questo che il filosofo, scomparso
a Parigi a 77 anni, dopo una malattia,
sosteneva che gli artisti fossero anche maestri del pensiero e di vita.
"L'artista creatore è incitato a sottrarsi al dominio del proprio interesse personale. Cosa può mettere al posto suo? L'amore del bello, rispondono i moderni, un amore modellato sul puro amore di Dio". Così scriveva nell'intervento Arte e morale, testo pubblicato adesso da Garzanti nel Caso Rembrandt, la monografia dedicata al pittore olandese, forse il più amato, ma non il solo. Per Todorov, Cézanne, nel dipingere le sue famose mele, ha dovuto "sopprimere l'amore che nutriva per tutte le mele per concentrarlo sulla mela che dipingeva". Perché - ragionava lo studioso - il vero artista non piega il mondo ai propri gusti, ma gli si sottomette. Accanto ai saggi fondamentali - da La conquista dell'America (Einaudi) a Resistenti (Garzanti), passando per La paura dei barbari. Oltre lo scontro di civiltà (ancora Garzanti, che ha tradotto gran parte delle opere) - c'è una bibliografia parallela di Todorov che attinge pienamente dalla letteratura e dalla storia dell'arte. Si può partire proprio dal saggio La bellezza salverà il mondo in cui Oscar Wilde, l'amatissimo Rainer Maria Rilke e la poetessa russa Marina Cvetaeva rappresentano non solo tre grandi autori, ma altrettanti maestri vissuti con l'ossessione di migliorare la condizione umana. L'indagine di Todorov lungo le vie della bellezza continua con il fondamentale La pittura dei lumi, dove il filosofo di origine bulgara utilizza le immagini e i percorsi di vita di artisti come Watteau, Goya, Chardin, Hogarth e gli italiani Tiepolo, Magnasco e Piranesi per dimostrare come questi maestri siano stati fondatori di un'identità e di un pensiero comune europeo, prima del tempo. Un'analisi, questa, che Todorov approfondisce in particolare attraverso la figura unica di Francisco Goya. Al pittore spagnolo, vissuto tra Settecento e Ottocento, dedica infatti una monografia in cui lo paragona per la forza delle idee a Goethe e a Dostoevskij. Perché è un artista che "non propone rimedi, si accontenta di esplorare la condizione umana". Non cerca di imporre, "si limita a proporre. I suoi valori rimangono quelli di tutti: verità, giustizia, ragione, libertà". La verità di Goya vivrà, "ma a condizione di non dimenticare i mostri crudeli". Gli stessi che lo spagnolo aveva raffigurato nei Disastri della guerra e nelle Pitture Nere. Opere che ricordano a Todorov il mondo di oggi e i pericoli derivanti dagli scontri di civiltà nati da nuovi fondamentalismi e nazionalismi. L'arte può, ancora una volta, mettere in guardia da quel sonno della ragione che genera mostri.
"L'artista creatore è incitato a sottrarsi al dominio del proprio interesse personale. Cosa può mettere al posto suo? L'amore del bello, rispondono i moderni, un amore modellato sul puro amore di Dio". Così scriveva nell'intervento Arte e morale, testo pubblicato adesso da Garzanti nel Caso Rembrandt, la monografia dedicata al pittore olandese, forse il più amato, ma non il solo. Per Todorov, Cézanne, nel dipingere le sue famose mele, ha dovuto "sopprimere l'amore che nutriva per tutte le mele per concentrarlo sulla mela che dipingeva". Perché - ragionava lo studioso - il vero artista non piega il mondo ai propri gusti, ma gli si sottomette. Accanto ai saggi fondamentali - da La conquista dell'America (Einaudi) a Resistenti (Garzanti), passando per La paura dei barbari. Oltre lo scontro di civiltà (ancora Garzanti, che ha tradotto gran parte delle opere) - c'è una bibliografia parallela di Todorov che attinge pienamente dalla letteratura e dalla storia dell'arte. Si può partire proprio dal saggio La bellezza salverà il mondo in cui Oscar Wilde, l'amatissimo Rainer Maria Rilke e la poetessa russa Marina Cvetaeva rappresentano non solo tre grandi autori, ma altrettanti maestri vissuti con l'ossessione di migliorare la condizione umana. L'indagine di Todorov lungo le vie della bellezza continua con il fondamentale La pittura dei lumi, dove il filosofo di origine bulgara utilizza le immagini e i percorsi di vita di artisti come Watteau, Goya, Chardin, Hogarth e gli italiani Tiepolo, Magnasco e Piranesi per dimostrare come questi maestri siano stati fondatori di un'identità e di un pensiero comune europeo, prima del tempo. Un'analisi, questa, che Todorov approfondisce in particolare attraverso la figura unica di Francisco Goya. Al pittore spagnolo, vissuto tra Settecento e Ottocento, dedica infatti una monografia in cui lo paragona per la forza delle idee a Goethe e a Dostoevskij. Perché è un artista che "non propone rimedi, si accontenta di esplorare la condizione umana". Non cerca di imporre, "si limita a proporre. I suoi valori rimangono quelli di tutti: verità, giustizia, ragione, libertà". La verità di Goya vivrà, "ma a condizione di non dimenticare i mostri crudeli". Gli stessi che lo spagnolo aveva raffigurato nei Disastri della guerra e nelle Pitture Nere. Opere che ricordano a Todorov il mondo di oggi e i pericoli derivanti dagli scontri di civiltà nati da nuovi fondamentalismi e nazionalismi. L'arte può, ancora una volta, mettere in guardia da quel sonno della ragione che genera mostri.
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