LA PAROLA DEL MESE
A turno si propone una
parola, evocativa di pensieri collegabili ed in grado di aprirsi verso nuove
riflessioni
FEBBRAIO
2017
Linguaggio
(o più precisamente:
linguaggio umano – Darwin - noi)
dal Vocabolario Treccani on line
1. Nell’uso antico o letterale, e talora
anche nell’uso comune odierno, lo stesso che lingua, come strumento di comunicazione usato dai membri di una
stessa comunità:
2 In senso ampio, la capacità e la facoltà, peculiare
degli esseri umani, di comunicare pensieri, esprimere sentimenti, e in genere
di informare altri esseri sulla propria realtà interiore o sulla realtà
esterna, per mezzo di un sistema di segni vocali o grafici (inteso in senso
generico, senza riferimento a lingue storicamente determinate)
3 Facoltà di esprimersi attraverso
altri segni, sia gesti sia simboli. In particolare l’insieme dei mezzi
espressivi e stilistici, diversi dalla parola, che sono peculiari delle varie
arti
4. Modo individuale di esprimersi, sia per
un uso particolare della lingua, considerato sotto l’aspetto formale, sia per
l’uso di un proprio codice linguistico, Proprietà anche di una classe
d’individui, di un determinato ambiente professionale o gruppo sociale.
5. In diretta o implicita contrapposizione
al linguaggio verbale, costituito dalle lingue storico-naturali sono presi in
considerazione in diverse scienze e tecniche varî tipi di linguaggio formati da
cifre, lettere, simboli, codici usati convenzionalmente, sulla base di norme
prefissate, per esprimere teorie o concetti in modo non ambiguo o per
esplicitare e rendere suscettibili di analisi le connessioni formali di un
sistema logico
Da Wikipedia on line
Il linguaggio, in linguistica, è quell'insieme di suoni, gesti,
movimenti che possono portare attraverso processi mentali a significati ben
precisi. Questo è presente in molte specie animali tra le quali l'essere umano
ed è usato per comunicare con uno o più destinatari.
La capacità di linguaggio orale,
nell'uomo, si è sviluppata a seguito di
mutamenti strutturali della cavità orale. In particolare l'arretramento dell'ugola
ha reso l'essere umano capace di esprimere una gamma sonora variegata, capace
di garantire una non generica nomenclatura del mondo.
Il linguaggio verbale basato sulla
doppia articolazione è una prerogativa dell'uomo, senza il quale esso non
sarebbe tale. Non esiste infatti in nessun altro essere vivente un linguaggio
simile per complessità e livello di elaborazione.
Esistono due differenti teorie
sull'origine del linguaggio umano, la prima che parla del linguaggio come
innato, l'altra come una abilità appresa. Un'altra incertezza è se le tante
lingue moderne derivino da una comune lingua originaria (ipotesi monogenetica) oppure da
diversi ceppi primordiali (ipotesi
poligenetica). Non c'è dubbio, comunque, che le lingue esistenti sono il
risultato di un processo di differenziazione avvenuto nel corso dei millenni.
Il primo a dimostrare che il
linguaggio rappresenti una risorsa importante nello sviluppo intellettivo,
vista la sua funzione mediatrice tra l'ambiente e l'essere umano, fu Ivan Pavlov, che effettuò lunghi studi ed
esperimenti sulle percezioni e rappresentazioni mentali, oltre
che sulle elaborazioni dei segnali, dai quali si formano i concetti.
Importanti ricerche in questo ambito
furono realizzate da Jean Piaget, il quale sostenne la presenza di
due fasi fondamentali di sviluppo: la prima è quella del linguaggio egocentrico (0-6 anni), costituito, per lo più,
da ecolabile e monologhii, animismo e attribuzione ai nomi degli oggetti
di una concretezza non reale; la seconda fase si espande nel linguaggio
sociale, che prevede dialoghi e comunicazioni bilaterali.
Berstein elaborò la teoria che indicava nello
stretto legame fra ambiente (familiare) e orientamento, influenzato dal ceto e
dalla tipologia professionale, il tipo di linguaggio, forbito, ricco oppure
povero e concreto, sviluppato dagli individui.
Noam Chomsky afferma che le analogie strutturali
che si riscontrano nelle varie lingue, fanno ritenere che vi sia una grammatica universale innata fatta di regole
che permettono di collegare il numero limitato dii fonemi che gli organi vocali della specie
umana sono in grado di produrre. I biologi evoluzionisti
hanno avanzato una teoria, che darebbe un fondamento evolutivo
alla predisposizione umana alla lingua, basandosi su due concetti:
- In primo luogo, tengono conto dei vantaggi evolutivi e quindi presuppongono una naturale selezione della specie umana che era in grado di comunicare a scapito degli ominidi precedenti.
- In secondo luogo, si tiene conto di come dei disturbi grammaticali che si riscontrano in alcuni individui siano a carattere ereditario e quindi abbiano fondamento genetico.
________________________________________________________________________________________________
Anche inserendo altre fonti avremmo ottenuto lo stesso
risultato: il linguaggio viene definito, in tutte le sue articolate
espressioni, come lo strumento di base per la comunicazione. Si ha cioè linguaggio
là dove esiste una volontà/esigenza di comunicazione. Ma è sempre stato così?
Il linguaggio è nato e si è sviluppato per rispondere a questa
volontà/esigenza? La questione appare controversa. Inserito in una ottica
evoluzionistica il linguaggio umano sembra essere sorto, nella sua forma
universale attuale, per una diversa ragione e finalità. Proviamo a spiegarla
molto sinteticamente e restando, inevitabilmente, sulla superficie di una
materia quanto mai complessa e “fragile”: la bio-linguistica, per porci alcune
domande e riflessioni che vanno oltre questo specifico aspetto scientifico. Il
linguaggio umano ha da sempre rappresentato un rebus per l’evoluzionismo darwiniano, alle prese
con un “salto” che sembrava sfidare la tradizionale impostazione gradualistica.
Al primo significativo adattamento delle teorie darwiniane che, fermo restando il
loro impianto di base, ha visto definirsi una concezione di evoluzione “per
balzi”, l’evoluzionismo “stocastico”, si sono aggiunte decisive scoperte nel
campo delle neuroscienze. Su questo impianto pluri-disciplinare si è venuta a
delineare una spiegazione, per primo avanzata come mera ipotesi dal neurologo
Henry Jenison (nel 1973) e poi più compiutamente definita da due fra i maggiori
esperti nella materia: Noam Chomsky, leggenda vivente per quanto controversa
della linguistica, e Robert Berwick, linguista computazionale. Secondo questa
tesi, al tempo stesso evoluzionistica e discontinuistica, il linguaggio umano è,
sulla base della precedente lenta evoluzione di un complesso di facoltà sempre
più specificamente umane, una acquisizione recente databile all’incirca a
80.000 anni fa quando, in una ristretta finestra temporale, un vero e proprio
“balzo”, un gruppo di ominidi africani, gli stessi che nella forma definitiva
di “homo sapiens” partirono dall’Africa alla colonizzazione dell’intero
pianeta, subì un piccolo ri-cablaggio del cervello che consentì le operazioni
fondamentali del pensiero, in seguito esternalizzate attraverso il sistema
senso-motorio. Come strumento interno per il pensiero e non per necessità di
comunicazione l’homo sapiens avrebbe (inconsapevolmente) messo a punto la
strabiliante capacità di creare un lessico, sempre più vasto e articolato,
fatto di insiemi fonici che traducevano in vocaboli, e poi in “segni”, la
capacità di “pensare”, e di assemblare gerarchicamente questo lessico in una
sintassi, una grammatica, in grado di rappresentare concetti via via più
complessi. Affidiamo a chi è più competente in materia di noi (facile esserlo)
il compito di integrare, precisare, correggere, l’aspetto più strettamente
scientifico della questione, a tutti noi invece, ed è questa la vera ragione
della scelta di “linguaggio” come parola del mese, in questa specifica
accezione, la “sfida” a dire cosa pensiamo del senso ultimo dell’esistenza del
linguaggio e del suo rapporto, non solo generativo, con il pensiero, con il
“dialogo interiore”. E’ possibile “pensare” senza disporre di parole che diano
sostanza al suo espandersi? Se si posseggono poche parole si pensa di meno e
peggio? Chiamando in causa Joyce ed il suo “Ulisse”, ossia ad un flusso
all’apparenza inarrestabile di parole/pensieri, quanto contano il lessico, il
vocabolario, e la sintassi, la grammatica? O più prosaicamente, come diceva
Nanni Moretti, “chi parla male pensa male”?
Nessun commento:
Posta un commento