martedì 4 dicembre 2018

Il "Saggio del mese" - Dicembre 2018



Il “saggio” del mese

DICEMBRE 2018


La grande alienazione,

 Narciso, Pigmalione, Prometeo e il tecno-capitalismo

di Lelio Demichelis (Docente di Sociologia economica Dipartimento di Economia- Università degli Studi dell’Insubria)




«Poesia

è rifare il mondo,

dopo il discorso devastatore

del mercadante»

 poesia di David Maria Turoldo, citazione di esordio del saggio

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Le riflessioni che crediamo di aver sollecitato nelle conferenze e nei seminari dedicati ai possibili “futuri”, che sembrano presentare in pari misura opportunità coinvolgenti e scenari preoccupanti, implicano necessariamente due ineludibili domande. La prima è relativa a capire quale uomo, in quanto protagonista individuale, e quale umanità, in quanto protagonista collettivo, guardino verso questi futuri e si apprestino a viverli. Si tratta cioè di far emergere le aspettative, i pregi e le problematiche, in esso/essa condensate, che in qualche modo incideranno sulle decisioni e sui percorsi verso i “futuri”. La seconda domanda è invece relativa, non tanto a capire quali “interessi” possano incidere, la risposta è ovvia vivendo in una economia di mercato, quanto piuttosto a meglio delineare le modalità ed  i processi messi in atto da tali interessi per configurare, a proprio vantaggio, i possibili futuri. Il saggio di Demichelis cerca di rispondere a queste domande, puntando in particolare l’attenzione sull’uomo, sulla umanità, dell’Occidente. Lo fa guardando con attenzione specifica a quella che ritiene essere una delle sue attuali caratteristiche costitutive, l’alienazione, ”la grande alienazione”, convinto com’è che  in essa stia la risposta che realizza la congiunzione delle due domande. Lo fa riprendendo, ed aggiornando, la categoria “classica” dell’alienazione, innanzitutto nella sfera del lavoro, così come originariamente individuata nell’analisi marxiana, poi ripresa ed ampliata nell’elaborazione della scuola di Francoforte e nell’opera di Michel Foucault (si veda al riguardo la “Parola del mese di Settembre 2018 – Reificazione”). Lo fa guardando con attenta e scientifica attenzione alle vecchie e nuove alienazioni, alle vecchie e nuove fabbriche di alienazione (la rete/piattaforme/social, l’industria culturale 2.0, ecc.). Lo fa constatando che, se da una parte la tecnica offre una affascinante illusione di individualità, libertà e creatività, e dall’altra il neoliberalismo impone, però in modi spesso  suadenti,  l’imperativo del divenire “imprenditori di se stessi”, è ben facile che nessuno si senta, si percepisca come alienato. In realtà l’alienazione, è tutt’altro che scomparsa, anzi, ma è molto ben mascherata dal sistema che attualmente la produce. Lo scopo del saggio di Demichelis è quindi quello di provare a togliere la maschera al sistema e svelare le molte forme di alienazione oggi esistenti: quelle che vanno appunto a comporre “La grande alienazione” che caratterizza quindi a suo avviso l’uomo, l’umanità del ventunesimo secolo. Riportiamo qui di seguito, alcuni estratti dall’Introduzione del saggio stesso, quelli che ci sono sembrati meglio riassumere, anticipandone il rigoroso sviluppo fatto nei capitoli successivi, i temi specifici affrontati nel saggio……………….

……………….Il nuovo avanza a grandi passi, inarrestabile, magnifico, democratico, libertario, individualista, postcapitalista, moltitudinario, soprattutto tecnologico. Questo dicono le retoriche – lo storytelling, la propaganda, il determinismo tecnico e neoliberale – di questi ultimi trent’anni. In verità i processi tecnologici e capitalistici in corso producono effetti totalmente opposti rispetto alle promesse, allo storytelling e alla propaganda…………………Ma è sbagliato credere – per le macerie sociali, culturali, antropologiche e politiche (compreso il populismo) che tecnica e neoliberalismo lasciano dietro di sé – che ciò che abbiamo definito come tecno-capitalismo (2015) sia in crisi o al tramonto. Continua infatti a produrre egemonia e dominio per sé, contro la società, l’individuo e l’ambiente. Ma il tutto è ben mascherato dal sistema stesso, posto che nessuno si ribella, nessuno cerca alternative   anche il populismo è una merce politica funzionale al tecno-capitalismo – e tutti si adattano alle dinamiche del sistema e alle molte e apparentemente diverse forme di alienazione che il tecno-capitalismo produce. Ma che appunto abilmente maschera per sostenere e promuovere la propria infinita ri-producibilità………………..Alienazioni che verranno analizzate in queste pagine grazie alle riflessioni di Michel Foucault e rileggendo e aggiornando la Teoria critica francofortese, ritornando nuovamente sui modi con cui il tecno-capitalismo ha costruito la propria egemonia e il proprio dominio……………………….Nessuna tecnofobia; ma un doveroso e necessario pensiero critico applicato al capitalismo e soprattutto alla tecnica. Perché in verità avremmo (abbiamo) un disperato bisogno di fare innovazione etica, sociale, ambientale e politica; di recuperare la capacità e le possibilità umane di immaginare altro dal tecno-capitalismo. E invece siamo chiusi in una gabbia d’acciaio di weberiana memoria, oggi divenuta virtuale ma concretissima nei suoi effetti antropologici. O, altrimenti, rinchiusi in una caverna platonica dove le ombre sulla parete sono la realtà virtuale (tecnologica e capitalistica) che il sistema crea per gli uomini. Che ha fatto perdere agli stessi uomini il rapporto con la realtà naturale, con il concetto di limite, con se stessi, con una idea di insorgenza o almeno di resistenza rispetto al potere tecno-capitalista……………………Una gabbia/caverna che impedisce ogni progettualità di-versa da quella che impone di assecondare invece un determinismo tecnologico e un sincretismo/animismo uomo-tecnica per il quale solo l’innovazione tecnica ha valore e produce risultati – e tutti devono quindi essere innovativi in termini di tecnica e tecnologia e nessuno deve esserlo in termini politici e sociali, etici e di responsabilità ambientale e sociale………..Siamo confinati e limitati – individualmente e collettivamente – in un nuovo (e in un nuovismo tecno-entusiasta, a prescindere) che produce un discorso/immaginario collettivo ormai ricorsivo e tautologico: efficace perché retorico e autoreferenziale, accattivante e motivante perché individualizzante e attivante nel profondo la psiche umana……………… È la nuova grande narrazione, più potente di tutte quelle del passato – o il dispositivo tecno-capitalista per portare l’uomo felicemente verso l’asservimento totalitario alla tecnica e verso il post-umano. Il massimo di (apparente) libertà e creatività individuale, per il massimo di (concretissima) alienazione/reificazione e mercificazione dell’individuo: è l’esproprio tecno-capitalistico della vita dell’uomo, delle sue emozioni, relazioni, socialità, responsabilità, progettualità……………..Parole come new, smart, sharing, like, social, start-up sono ormai costitutive di una neo-lingua che avevamo definito come Lingua Internet Imperii necessaria a legittimare – ne produce la pedagogia sociale e i meccanismi di veridizione, per dirla con Foucault – l’imper(i)o della tecnica e del capitalismo neoliberale e a creare e a far accettare una totale dipendenza di ciascuno dalla tecnica e la sua delega totale alla tecnica e al discorso/immaginario collettivo che essa produce (così come gli abitanti di Siviglia avevano delegato se stessi all’Inquisitore)…………………..Delega alla tecnica che nasce da una tecnofilia antica e necessaria all’uomo per sopravvivere (ieri), ma oggi divenuta tecnopatia. Nel trionfo non dell’Antropocene (la nuova era in cui sarebbe l’uomo la forza che determina l’ambiente), ma del Tecnocene, dove è cioè la tecnica a produrre l’ambiente in cui l’uomo viene portato sempre più a vivere integrato e connesso, illudendolo di essere un libero soggetto e non un oggetto ingegnerizzato da tecnica e neoliberalismo. E a delegare appunto alla tecnica ogni suo pensiero, comportamento, decisione e azione (è l’internet-centrismo secondo Evgeny Morozov; è il totalitarismo cibernetico secondo Paolo Zellini). La delega essendo la forma massima di (auto)alienazione dell’uomo……………….Molte alienazioni, in verità: da sé dell’uomo, dal suo ambiente sociale e naturale, dalla capacità di comprendere il meccanismo organizzativo tecno-capitalista in cui è stato inserito prima a forza (prima e seconda rivoluzione industriale) e poi in modalità soft/biopolitica; e alienazione dallo spazio e dal tempo, dall’immaginazione, dalla sovranità e dalla democrazia e dalla conoscenza, ormai trasformata in mera competenza e in un imparare facendo senza più progettualità e senza senso, senza razionalità e senza responsabilità verso il futuro……………….. Perché alienati – nel senso di Marx, ma non solo – sono i lavoratori di Uber e quelli uberizzati nel capitalismo delle piattaforme, gli amici che vivono su Facebook e sui social, chi si è fatto attore-comparsa nell’industria culturale dello spettacolare pulsionale integrato, i cittadini non-più-cittadini perché desovranizzati da tecnica e neoliberalismo, l’uomo portato a vivere in uno stato di mobilitazione incessante e totale di se stesso in nome dell’innovazione tecnica e della competizione di mercato, seguendo un leader e/o vivendo in uno sciame-rete. …………………….E allora, non di prima, seconda, terza e oggi quarta rivoluzione industriale bisogna ragionare – la rivoluzione industriale è unica, sempre replicandosi il suo doppio movimento [prima suddividere e poi integrare/totalizzare le parti prima separate: dalla fabbrica degli spilli di Smith alla catena di montaggio alla rete come fabbrica il meccanismo è identico] – ma di fasi successive/accrescitive del tecno-capitalismo (…). Ieri (prima fase), il tecno-capitalismo si era basato essenzialmente sulla produzione (le prime manifatture, ma soprattutto il fordismo e il taylorismo – la sua fase disciplinare, per creare l’uomo nuovo di cui necessitava e la cui identità era appunto legata al produrre). Esso ha poi spostato (seconda fase) il suo baricentro e la potenza della sua volontà di potenza al consumo di massa e poi al consumismo. Infine, oggi esso si ri-costituisce come potenza del mondo e come volontà di potenza sul mondo (terza fase della biopolitica tecno-capitalista), nel passaggio alla socializzazione non solo della competizione ma dell’innovazione tecnica……………..Simile a Calibano – riprendendo un Lewis Mumford degli anni ’50 (In nome della ragione) – «questo bruto strisciante, questa sciocca creatura incapace di esprimersi in un linguaggio articolato, questo animale ringhioso, come Shakespeare lo descrive nella Tempesta». Che le società precedenti – essendo Calibano la rappresentazione delle facoltà inferiori dell’uomo – avevano cercato di domare facendolo prigioniero e gettandolo in carcere, ma che le società contemporanee hanno invece liberato, perché utile alla volontà di potenza del tecno-capitalismo. E ora Calibano si rifiuta di riconoscere qualsiasi potere superiore al suo: in realtà, superiore e inferiore sono termini senza significato per lui, come pure buono e cattivo, creatore e distruttore; ma nella misura in cui il suo comportamento presuppone una differenza, egli sta dalla parte del distruttore. Di conseguenza, il problema della nostra epoca è di riportare ancora una volta Calibano sotto il controllo di Prospero, che è, invece, l’incarnazione delle facoltà superiori dell’uomo. Sua è l’intelligenza che sa prevedere e distinguere, vigilando contro i ciechi istinti e l’automatismo assurdo…………….


Integriamo questa anticipazione dei temi trattati nel saggio con un dialogo a due proposto e presentato dalla rivista (con collegato estratto on-line) ALFABETA 2 (rivista “storica” il cui valore è ben testimoniato dai nomi dei componenti il comitato fondatore – con altri Umberto Eco e Maurizio Ferraris – e da quelli dell’attuale redazione – fra gli altri Franco Berardi Bifo, Achille Bonito Oliva, Furio Colombo, Angelo Guglielmi, e lo stesso Lelio Demichelis) che  vede discutere di alienazione Lelio Demichelis, proprio partendo dal suo saggio “La grande alienazione”, e Andrea Fumagalli (Economista, docente universitario, autore di numerosi saggi economici), in relazione al suo ultimo libro, altrettanto meritevole di attenzione, che ha come titolo “L’economia politica del comune. Sfruttamento e sussunzione (parola del mese) nel capitalismo bio-cognitivo” di evidente collegamento con quello di Demichelis……



Andrea Fumagalli. Il tema da cui partire è l’individuazione dei sentieri di valorizzazione del capitalismo contemporaneo. A mio avviso, tali sentieri sono costituiti dalle produzioni immateriali che vanno a costituire la nuova frontiera tecnologica (bio-tecnologie, bio-genetica, intelligenza artificiale, big data, eccetera) e dal ruolo della finanza come “carburante” dell’accumulazione (finanziamento, distribuzione del reddito: finanziarizzazione del welfare e moltiplicatore finanziario). È un’interpretazione condivisibile?

Lelio Demichelis. Assolutamente sì. Il capitalismo neoliberale e tecnico – quello che definisco come tecno-capitalismo – è storicamente nato con la fase della produzione (tutti dovevano diventare produttori e proletari), passando poi alla fase del consumismo (tutti dovevano imparare a consumare). Oggi siamo nella terza fase (più che nella quarta rivoluzione industriale) dell’innovazione irrefrenabile e del micro-capitalismo diffuso, in cui tutti devono innovare, farsi imprenditori di se stessi a prescindere dalla utilità sociale dell’innovazione. Chi pensava che con la rete si creasse il general intellect marxiano non vedeva l’essenza di un tecno-capitalismo – di una tecnica, soprattutto – che si faceva grande narrazione globale nel tempo della fine delle grandi narrazioni novecentesche. Io scrivo di tecno-capitalismo. Tu parli di capitalismo bio-cognitivo…

A.F. Sì, e il mio libro inizia con venti tesi su questa nuova forma di capitalismo, che si distacca strutturalmente da quella precedete fordista pur essendone “figlia”. Il capitalismo cognitivo riguarda il periodo della net-economy, con l'enfasi sul ruolo della conoscenza e dello spazio virtuale (learning economies e network economies) e solo dopo la crisi del marzo 2000 con lo scoppio della bolla speculativa internettiana si cominciano a intravvedere le forme del capitalismo bio-cognitivo attuale, fondato sulla riproduzione sociale e sulla biogenetica, nonché l’intelligenza artificiale, la robotica, gli algoritmi per la manipolazione dei dati. Ciò che si modifica è la base dell’accumulazione che va sempre più a intaccare forme di vita che erano considerate fino ad allora improduttive (welfare, consumo, formazione, tempo libero) e modifica il rapporto tecnologico tra umano e macchinico.

L.D. Concordo. Il tecno-capitalismo ha iniziato a estrarre valore dalla socialità delle persone (era la parte della vita umana che ancora non era stata messa a profitto), dal comune – come scrivi giustamente nel tuo libro – e ha riscritto questa socialità innata facendola diventare materia prima per sé, ha fatto credere che la rete fosse libera e democratica in sé e ha creato una neo-lingua fatta di sharing, smart, social, eccetera (alienandoci anche dal linguaggio e dal senso delle parole). Il tecno-capitalismo è divenuto la forma di vita totalitaria del mondo e di un nuovo uomo a una dimensione. Che crede di essere libero ma in realtà è legato alle catene virtuali del nuovo ordine non solo capitalistico ma, per me soprattutto tecnico (e la tecnica è molto più affascinante del capitalismo). Come scriveva Günther Anders, quanto più è assicurata la nostra illusione di libertà, tanto più totale è il potere e meno vediamo l’ordine – o la weberiana gabbia d’acciaio o la caverna platonica – in cui siamo rinchiusi.

A.F. Recuperare il concetto di alienazione è molto importante per un’analisi critica del presente. Tale concetto è l’altra faccia del processo di sfruttamento che oggi mi pare tanto più pervasivo quanto più l’alienazione della tecnica diventa totalizzante. È una relazione complessa perché è multiforme e quindi non definibile in categorie omogenee come invece poteva avvenire nella fase fordista dove la composizione tecnica del lavoro e quindi quella politica non era poliedrica. Nel mio testo (specie nel terzo capitolo) cerco di enumerare le diverse forme di sfruttamento (dall’estrazione, a forme di sussunzione reale e formale, alla sussunzione finanziaria, all’imprinting). La mia tesi è che in un contesto di valorizzazione bio-cognitiva, dove la finanza definisce l’ambito della stessa valorizzazione, le forme della sussunzione e quindi le forme dello sfruttamento si moltiplicano. E che tali diverse forme di sfruttamento danno vita a un nuovo processo di sussunzione, che definisco sussunzione vitale.

L.D. Da una parte c’è il capitalismo delle piattaforme e l’uberizzazione del lavoro (il nuovo che non si può fermare), tanto simile al vecchio fordismo ma che illude ciascuno di essere imprenditore di se stesso, mentre è dipendente dalla piattaforma per tutto ciò che riguarda l’organizzazione del suo lavoro e quindi è alienato senza saperlo; e dall’altra parte le imprese e il sistema capitalista giocano con la psiche umana alternando – attivandole in ciascuno – sia la voglia di differenziazione e sia il bisogno di fare gruppo/squadra/comunità. Così l’alienazione sembra scomparire; e il mascherarla permette al sistema di ottenere poi un’intensificazione della prestazionalità/sfruttamento-autosfruttamento di ciascuno quindi della sua produttività, quindi del profitto. Far identificare ciascuno con il sistema è la forma più perfetta per mascherare l’alienazione. Oggi raggiunto: nessuno parla più di alienazione, neppure il sindacato (era il rammarico anche di Luciano Gallino). Nel mio libro provo a riportare l’alienazione sulla scena.

A.F. A partire dal capitalismo delle piattaforme (ma anche oltre), il comando sul lavoro definisce una nuova forma di sfruttamento che rimanda a una nuova alienazione. Possiamo analizzare il tema da due punti di vista, tra loro strettamene interdipendenti e che si alimentano a vicenda: a. soggettivo b. economico-sociale (oggettivo?). Concordo con la tua analisi: biopolitica disciplinante, performatività, narcisismo. Aggiungerei anche la costruzione di immaginari basati sul falso mito della meritocrazia e dell’economia della promessa. Si tratta di processi che hanno l’obiettivo di plasmare una nuova soggettività antropologica, quella dell’homo neliberalis, dove l’interazione umana tra individui non produce socialità (quindi potenziale conflitto) ma sociabilità (per dirla con Simmel), cioè l’attitudine a vivere in società ma senza essere sociale.

L.D. Soggettività neoliberale, sì; ma soprattutto tecnica (pensiamo alla potenza narrativa/libertaria di un personal computer e oggi degli apparati individuali mobili): ma è una falsa soggettività, è un falso individualismo perché siamo individui che hanno perso la capacità e la possibilità di creare la propria individuazione e di immaginare se stessi, da soli e insieme.

A.F. L’aspetto della tecnica lo richiamerei anche con riferimento ai cambiamenti strutturali nell’organizzazione del lavoro: femminilizzazione, individualizzazione contrattuale come perno intorno a cui ruotano necessità di cooperazione sociale e gerarchia. Nuovi dispositivi di controllo (qui il nesso con la biopolitica disciplinante è evidente) centrati sull’autocontrollo: precarietà e indebitamento. Tu scrivi: “i vecchi modi di intendere e analizzare l’alienazione e la società della prestazione, da Marx alla Scuola di Francoforte, sono necessari ancora oggi (con un tecno-capitalismo che torna a sfruttare il lavoro e i lavoratori come e forse peggio dell’Ottocento)”. Concordo, ma non è sufficiente. In un testo del 2010: Alienazione e homo precarius nel capitalismo bio-cognitivo, scritto con Cristina Morini e pubblicato su Millepiani, n. 37, si fa riferimento all’alienazione cerebrale come esito della schizofrenia che pervade il lavoro cognitivo-relazionale, tra standardizzazione tecnica e afflato/imperativo “performativo”. È in questo ambito che diventa centrale il concetto di alienazione tecnologica. Ma tale concetto è assimilabile all’idea marxiana di alienazione (nelle quattro fattispecie che Marx individua) e in quella francofortese? O non è piuttosto un nuovo tipo di alienazione, legata alla crescente ibridazione tra macchinico e umano?

L.D. Alienati – nel senso di Marx, ma non solo – sono i lavoratori uberizzati nel capitalismo delle piattaforme, ma anche quelli etero-motivati da un manager della felicità; è chi si è fatto attore-comparsa nell’industria culturale e nello spettacolare integrato 2.0; è l’uomo portato a vivere in uno stato di perenne dinamizzazione e mobilitazione – e precarizzazione – di se stesso adattandosi alle esigenze della rivoluzione industriale e della divisione del lavoro (era il compito del neoliberalismo secondo Walter Lippmann e gli ordoliberali); è chi delega la sua vita a qualcosa che pensa per lui (e secondo Franklin Foer, dopo l’automazione del lavoro siamo oggi all’automazione del pensiero, via algoritmi). Anche nella Fabbrica-rete/sciame di oggi, si replica quella che chiamo la legge ferrea del tecno-capitalismo: individualizzare /separare /suddividere, per poi totalizzare/integrare/organizzare il singolo in qualcosa di superiore. Mentre la società amministrata dei francofortesi si realizza oggi nella rete tramite social, internet delle cose (e degli uomini) e motori di ricerca. Per questo ho cercato di rileggere la Teoria critica, attualissima anche oggi.

A.F. Siamo in presenza di nuove forme di sussunzione. La mia tesi è che sono compresenti sia sussunzione formale che reale che danno origine alla sussunzione vitale (non totale). Vi è un parallelismo con il concetto di “alienazione totale”? In ogni caso, il concetto di alienazione tecnologica è centrale.

L.D. L’alienazione non muta le sue forme, muta e si affina invece la capacità del sistema tecno-capitalista di mascherarla. La divisione del lavoro e della vita psichica (l’individuo diventa un divisum, scriveva già Anders) serve all’integrazione dell’uomo in un apparato tecnico, in questo il tecno-capitalismo è, come ho scritto, religioso e produce, per sé una nuova forma di teologia politica, la teologia tecnica, tutto deve essere integrato nell’Uno del tecno-capitalismo. Per questa logica perversa, anche l’uomo non deve essere più solo un’appendice delle macchine, ma deve appunto ibridarsi con le macchine: non sono più fisicamente separato dalla macchina che pure mi vuole far diventare sua parte funzionale, ma sono parte integrata (quindi, ancor più funzionale, eliminando ogni possibile resistenza) nella (e non solo con la) macchina. Andiamo verso il post-umano? Sicuramente verso la completa trasformazione delle forme tecniche in forme sociali.

 A.F. Scrivi: “Ma le nuove forme del lavoro sono in realtà nuove solo in apparenza (è sempre il doppio movimento …: che strutturava il lavoro nel fordismo concentrato delle fabbriche così come struttura e definisce il lavoro nel fordismo individualizzato ed esternalizzato/uberizzato della fabbrica rete)”.

L.D. Le nuove forme di lavoro si realizzano nel capitalismo delle piattaforme – sul quale abbiamo qualche differenza - dove per me la piattaforma/fabbrica è il mezzo di connessione e di produzione come lo era ieri la catena di montaggio. Ma è proprio da questa logica – tecnica, prima che capitalista – di individualizzazione e separazione che nasce la scomposizione delle classi e l’evaporazione di ogni coscienza collettiva, ora incorporata e sublimata nello e dallo stesso apparato tecnico.

 A.F. Dai tuoi scritti, (ad esempio La religione tecno-capitalista), mi sembra di ravvisare una continuità strutturale tra la fase fordista e quella successiva (che non a caso denomini ancora con il termine “fordismo”, seppur non più centralizzato ma appunto individualizzato/esternalizzato), fondata sulla natura tecnologica dell’organizzazione capitalistica. È sul piano sovrastrutturale che si possono cogliere le differenze, nel momento in cui le soggettività vengono plasmate in modo indiretto e non più direttamente dai processi di standardizzazione taylorista, a svantaggio di “un individuo che non deve essere libero, ma deve crederlo di esserlo”. Sostituirei il “deve” con il “può”. A me pare che dalla crisi del fordismo-taylorismo si esca con una rottura socio-economica discontinua e irreversibile, principalmente basata su due aspetti: a. la totale smaterializzazione della moneta (il divenire “segno” della moneta, e quindi la crisi della sua misura: dalla moneta credito alla moneta finanza); b. la compenetrazione umano-macchina, ovvero il divenire umano della macchina e il divenire macchinico dell'umano. Quali invece per te le vie d’uscita?

L.D. Il tecno-capitalismo è dominato dalla volontà di potenza. Richiamando lo Zarathustra di Nietzsche, il sistema ci offre l’illusione di poter essere fanciulli cosmici (e di poter dire: io sono!) affinché si sia sempre più cammelli (tu devi, nella società della prestazione). Il tecno-capitalismo non conosce limiti, è irresponsabile (il riscaldamento globale, le disuguaglianze crescenti), è futurista/nichilista per essenza. Tende all’egemonia e al dominio. Per uscire dalla grande alienazione occorre in primo luogo riconoscerla; poi serve riconsiderare il concetto di limite ed esercitare responsabilità nei confronti degli altri, dell’ambiente e delle generazioni future. E governare i processi tecnici, per non esserne governati. Dovremmo introdurre quindi – dopo la democrazia politica ed economica (oggi in crisi) la democrazia tecnica, la cui mancanza reputo essere la ragione della crisi della democrazia politica ed economica.

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